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Tribolati, ma non schiacciati

Copertina_Casadei

 

Qualche anno fa Rodolfo Casadei pubblicò un'inchiesta giornalistica sulle comunità cristiane di frontiera in situazioni di trincea, nel Mediterraneo e in Medioriente (Il sangue dell’agnello, Guerini e Associati, Roma 2008, Pp. 203), con una serie di ritratti sui testimoni contemporanei di giustizia, morti da martiri (dall'arcivescovo di Mosul Paulos Faraj Rahho (1942-2008) al giornalista turco d’origine armena Hrant Dink (1954-2007)), contribuendo a sensibilizzare l'attenzione mediatica su un tema (quello delle persecuzioni fisiche alla Chiesa e ai cristiani e della libertà religiosa in senso lato) tra i più rimossi dall'informazione dominante. Ora, con questo saggio per Lindau (cfr. R. Casadei, Tribolati, ma non schiacciati. Storie di persecuzione, fede e speranza, Prefazione di Monsignor Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk, Torino, Pp. 133, Euro 14,50) l'inviato del settimanale Tempi - mentre ne tocca di nuovi - torna in alcuni di quei luoghi-simbolo della persecuzione odierna per aggiornare l'inchiesta e raccontare nuove storie che sfiorano letteralmente il vertice della santità, ancorché nascoste al grande pubblico. In questo caso l'accento è anzi decisamente su questo secondo aspetto, a partire dal titolo (un celebre passo tratto dalla Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi) che sottolinea come quello che caratterizzi la quotidianità di queste comunità perseguitate non sia - contrariamente a quanto si potrebbe pensare - la paura ma la speranza, non la disperazione ma la fede. Nella prefazione al saggio a parlare è il portavoce della cristianità forse più ferita del Mediterraneo, l'arcivescovo caldeo di Kirkuk, in Iraq, Louis Sako, che spiega come il martirio (compreso quello di preti e Vescovi) sia diventato un fatto ricorrente negli ultimi tempi e nessuno, di fatto, nella sua terra natìa si senta ormai più al sicuro. E tuttavia tra le vittime e i perseguitati resta ancora la capacità di accogliere, dimenticare e perdonare, che umanamente sarebbe inspiegabile, senza la Grazia divina. Per questo, nonostante tutto, molti iracheni restano ancora lì, giorno dopo giorno a rischio della loro stessa vita, quando tutto sembrerebbe invece consigliare la via della fuga e della diaspora: una grave responsabilità per i cristiani iracheni ma alla fine anche per noi perché, citando l'arcivescovo, “non dovete mai dimenticare che queste Chiese d'Oriente, oggi minoranze, sono le radici della vostra fede” (pag. 9). Il viaggio vero e proprio inizia proprio da qui e in particolare dall'eccidio perpetrato nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad, il 31 ottobre 2010, quando i terroristi uccisero 45 persone fra cui due sacerdoti - Tahir Saadallah Abdal e Wassim Sabih Alkas Butros - e un bambino di tre anni, Adam Odai Zuhaid Arab, mentre era in corso la Santa Messa.

Da allora la comunità cristiana è stata provata altre volte ma ha sempre resistito con tenacia, nonostante l'esiguità delle forze rimaste sul campo (si stima che dal 2003 ad oggi la popolazione della comunità sia scesa da 800.000 a 350.000 unità). Leggendo poi le altre testimonianze provenienti da Tikrit e dalla piana di Ninive si fa conoscenza di altri fedeli, oltre che seminaristi, diaconi e sacerdoti che sfidano ogni giorno la morte pur di annunciare la verità del Vangelo senza compromessi di comodo - politici o diplomatici - e a chi gli domanda se non abbiano mai un po' di paura rispondono senza esitazione: “La mia missione pastorale consiste nel mostrare che non bisogna avere paura della morte. Ma per non avere paura della morte bisogna sapere come vivere. Di fronte a questa gente che soffre da sette anni, è importante mostrargli come possono vivere” (pag. 85). Ci si potrebbe chiedere se persone così non siano dei casi eccezionali, per quanto encomiabili: in realtà il viaggio di Casadei di testimonianze di questo tipo ne raccoglie diverse e non solo dal tormentato Iraq ma anche dal vicino Libano e poi ancora dal Sudan, dall'Iran e dall'Uganda. In tutti questi casi sembra davvero di toccare con mano quanto dice San Paolo ai romani ovvero che laddove abbonda il peccato sovrabbonda la Grazia (cfr. il passo testuale della Lettera ai Romani, 5,20) perché a volte capita persino che sia il terrorista a convertirsi e a chiedere il battesimo. Un messaggio e una lezione da mandare a memoria anche e soprattutto per l'Occidente di oggi che già qualche tempo fa il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, definiva significativamente come “sazio e disperato”, avendo perso l'unica Speranza in grado di spiegare i mali dell'uomo contemporaneo e di offrire un futuro concreto. Immediata, ad avviso del giornalista, la differenza che si pone invece nel confronto con i martiri d'Oriente: “Questo è un tratto caratteristico della maggior parte dei cristiani perseguitati: confidano nella natura del cuore umano, nella sua apertura alla verità, nella sua bontà intrinseca. Perché Dio l'ha creato così. Anche il cuore del peggior persecutore, anche quello degli assassini” (pag. 133).

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