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Martedì, 21 Gennaio 2025

Gli attacchi di Berlino e in Turchia, "vendetta per gli attacchi in Siria"

La solidarietà di tutto il mondo è diretta alle vittime dell'attentato che ha colpito Berlino. Tutti i leader mondiali, anche quelli considerati più "difficili" inviano le proprio condoglianze

L'attentatore di Berlino forse ha un nome e potrebbe essere un magrebino colpito da un provvedimento di espulsione. Il terrorista era arrivato in Italia nel 2012. La polizia sta cercando un tunisino di 24 anni, Anis A... Amir secondo alcune fonti. Il sito precisa come "sotto il sedile del guidatore" del Tir "gli inquirenti hanno trovato un documento di espulsione" emesso per "un un cittadino tunisino di nome Anis A., nato nel 1992 nella città di Tataouine". Il sospetto comunque "sarebbe noto anche con due altri nomi".

Il sito della Sueddeutsche Zeitung, citando fonti delle autorità, rivela che Anis A. "era arrivato in Italia nel 2012". Nel luglio 2015 aveva poi raggiunto la Germania e dall'aprile 2016 risulta "tollerato", aggiunge il quotidiano.

"C'è un nuovo sospettato che viene ricercato. È un sospettato e non necessariamente il colpevole", ha detto il ministro dell'Interno Thomas de Maizière a Berlino riferendosi ad Anis A.. Nei suoi confronti "è stato emesso alla mezzanotte un mandato di cattura per la Germania e per tutta l'area Schengen, quindi anche per l'Europa", ha aggiunto il ministro.

Tre italiani rimasti lievemente feriti nell'attacco sono stati dimessi dagli ospedali dove erano stati ricoverati e sono già rientrati in Italia. Uno di questi è un uomo di Palermo.

La ricostruzione dei tragici minuti della strage, il cui bilancio è di 12 morti e 48 feriti, si fa man mano più chiara: l'autista polacco trovato morto all'interno del tir ha cercato fino all'ultimo di fermare l'attentatore. E il terrorista è tuttora in fuga, forse già fuori dai confini tedeschi. 

"Fatti come quelli di Berlino saranno l’eredità della Merkel", ha commentato Nigel Farage, l’ex leader del partito anti-Ue britannico Ukip. Marion Le Pen, del Front National francese, non è da meno: "Il terrorista islamico di Berlino è un migrante e la Merkel è responsabile. In Francia e in Europa, fermiamo questi leader incoscienti". L' ultranazionalista olandese Geert Wilders invece twitta un fotomontaggio choc. La Merkel è ritratta con le mani sporche di sangue. Corredata all'immagine un commento: "Merkel, Rutte e gli altri leader codardi al governo hanno provocato lo tsunami dell'asilo e del terrorismo islamico aprendo le frontiere". Anche gli esponenti del partito anti-immigrati tedesco Alternative für Deutschland (AfD) hanno scagliato violenti attacchi. La leader Frauke Petry ha puntato il dito contro la cancelliera, accusandola di mentire sulla sicurezza del Paese secondo lei la Germania dovrebbe chiudere i confini, espellere i migranti irregolari e bloccare temporaneamente le domande di asilo

Ma all’indomani dell’attacco non c’è stato alcun passo indietro sull’accoglienza da parte di Angela Merkel. La destra euroscettica di Alternative für Deutschland (AfD), al contrario, ha subito puntato il dito contro la politica delle “porte aperte” della cancelliera, accusandola di essere corresponsabile del massacro di Breitscheidplatz.

L'agenzia di stampa dell' Isis, Amaq news agency, ha rivendicato l'attentato chiamando il terrorista un "soldato dello Stato islamico". "E'una vendetta per gli attacchi in Siria", è scritto sulla rivendicazione.

L'attentato al mercatino di Natale di Berlino è l'ultimo episodio di violenza che ha insanguinato la Germania, in particolare quest'estate.

- 18 luglio: un profugo pakistano ferisce 4 persone su un treno vicino a Wuerzburg prima di essere eeliminato dalla polizia.

- 22 luglio: a Monaco di Baviera il 18enne David Sonbody tedesco-iraniano, depresso sotto trattamento farmacologico, spara con una pistola contro un gruppo di persone in un centro commerciale. Uccide 9 persone e ne ferisce 25 prima di suicidarsi.

- 24 luglio: un kamikaze profugo siriano che aveva appena giurato fedeltà ad Isis, Abu Mohammad Daleel, fa esplodere uno zaino imbottito di esplosivo ad Ansbach in Baviera ferendo 15 persone. L'unica vittima fu Daleel.

- 24 luglio: lo stesso giorno dell'attacco a Ansbach, un altro profugo siriano, armato di coltello a Reutlingen uccide una collega, una donna polacca incinta e ferì altre due persone prima di essere neutralizzato da un passante che lo investì con ll'auto.

26 novembre - Un 12enne tedesco-iracheno ha tentato di far esplodere una bomba a chiodi nel mercatino di Natale di Ludwigshafen, nel sudovest della Germania

Intanto risulta ancor dispersa Fabrizia Di Lorenzo, 31 anni che vive e lavora nella capitale tedesca. Il cellulare della ragazza è stato trovato sul luogo della strage: un giovane l'ha trovato e consegnato alla polizia. La madre e il fratello di Fabrizia sono a Berlino per essere sottoposti all'esame del Dna.

"È un dolore troppo grande...sento che mi ha abbandonata... Era così contenta, felice di essere lì.. è triste che una persona esca dal lavoro e non rientri più". Sono le parole della mamma di Fabrizia.

"Abbiamo capito che era finita stanotte all'una e mezza: siamo stati noi a chiamare la Farnesina", ha detto affranto il padre di Fabrizia Di Lorenzo, Gaetano, contattato dall'Agenzia Italiana ansa. "Ci siamo mossi coi nostri canali, ma da quanto mi dice mio figlio da Berlino, non dovrebbero esserci più dubbi - afferma trattenendo a stento i singhiozzi Gaetano - E' lì con mia moglie in attesa del dna, aspettiamo conforme ma non mi illudo. 

Una tragedia vissuta di notte, da soli, con l'angoscia nel cuore, quella di avere la figlia tra le vittime della strage avvenuta a Berlino: è toccata alla famiglia di Fabrizia Di Lorenzo - la 31enne di Sulmona risultata dispersa dopo l'attentato col tir - con i genitori che hanno allertato per primi la Farnesina, e che grazie all'aiuto dei carabinieri, hanno capito, dopo poche ore, che la figlia si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Fabrizia viveva e lavorava in una azienda di trasporti a Berlino. In Germania dal 2013, aveva anche fatto l'Erasmus in questo Paese. Si era laureata a Roma in Mediazione linguistico-culturale e dopo la prima triennale si era spostata a Bologna per finire gli studi in Relazioni internazionali e diplomatiche.

Il suo cellulare è stato ritrovato vicino al luogo dell'attentato: un ragazzo l'ha trovato e consegnato alla polizia. Oggi non si era presentata al lavoro. "Abbiamo capito - dice affranto il padre di Fabrizia, Gaetano - che era finita stanotte all'una e mezza: siamo stati noi a chiamare la Farnesina, ma l'aiuto più grande ce lo hanno dato i carabinieri di Sulmona. Ci siamo mossi con i nostri canali, ma da quanto mi dice mio figlio da Berlino, non dovrebbero esserci più dubbi - afferma trattenendo a stento i singhiozzi -. È lì con mia moglie in attesa dell'esame del dna, aspettiamo conferme, ma non mi illudo".

Gli appelli lanciati sui social network dai parenti in cerca di notizie erano rimasti senza risposta. Nel 2014 la giovane donna aveva anche collaborato con 'Berlino Magazine', il sito online in italiano di cultura e attualità, che ha prontamente lanciato un appello sulla sua pagina Facebook, per provare a rintracciarla.

Ma c'e l' altra storia accomuna gli attacchi di Berlino e di Turchia, tutti due lo stesso giorno poche ore uno dal altro rivendicati dal Isis 

Vladimir Putin non lo dice apertamente, ma ha idee assai precise sui mandanti dell'uccisione dell'ambasciatore ad Ankara Andrey Karlov. E sulle ragioni di quella plateale esecuzione. «È stata senza dubbio una provocazione rivolta a far fallire la normalizzazione delle relazioni russo-turche e a far deragliare il processo di pace portato avanti da Russia, Turchia, Iran e altri» ripete da lunedì sera il presidente russo che nel frattempo ha ordinato a Sergei Naryshkin e Alexander Bortnikov, i capi dell'intelligence esterna e interna, di scoprire «chi ha diretto le mani del killer» e innalzare il «livello della lotta al terrorismo» facendo sentire «ai banditi che questo sta avvenendo».

Ora però il Cremlino vuole capire se Hakan Fidan, l'uomo a cui Erdogan affidò la propria salvezza nella notte del golpe, sia ancora così vicino al presidente turco. Nei sospetti di Putin la pax siriana guidata da Mosca e contrassegnata dalla sofferta scelta turca di abbandonare al proprio destino i ribelli jihadisti di Aleppo Est avrebbe innescato uno scontro tra la presidenza e quei settori «islamizzati» dell'intelligence decisi a far naufragare l'inedita entente cordiale con Mosca e Teheran. Quindi Putin potrebbe rispondere all'uccisione dell'ambasciatore mantenendo intatti i rapporti politici con un Erdogan, trasformato obtorto collo da nemico in alleato, ma lanciando nel frattempo una spietata guerra sotterranea contro quei settori dei servizi segreti di Ankara che osteggiano i suoi piani. Settori a cui allude quando parla di «quanti hanno armato le mani del killer».

In quelle tre frasi sono condensate convinzioni e intenzioni del presidente. La prima è che Mevlüt Mert Altintas, il 22enne poliziotto di Ankara autore dell'omicidio, non sia solo un invasato fondamentalista, ma anche una pedina manovrata da quei settori dell'intelligence turca interessati a far naufragare il progetto di «pax siriana» garantito da Mosca, Ankara e Teheran. Un progetto destinato a prender il via proprio ieri a Mosca durante i colloqui trilaterali tra il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, quello turco Mevlüt Çavusoglu e l'omologo iraniano Mohammad Javad Zarif. Colloqui in cui Çavusoglu ha parlato, per la prima volta, di «soluzione politica», accettando l'idea di un negoziato con Damasco e archiviando le posizioni di una Turchia da sempre in piena sintonia con Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Qatar nel chiedere l'allontanamento di Bashar Assad.

Proprio questa retromarcia, per un Putin abituato a ragionare da ex del Kgb, avrebbe spinto qualcuno a utilizzare la pedina Altintas. Un qualcuno da cercare all'interno della «nuova leva» di alti ufficiali d'ispirazione islamista inseriti ai vertici del Mit (Millî stihbarat Tekilat, Organizzazione nazionale dell'intelligence) dopo la ristrutturazione segnata, nel 2009, dall'allontanamento della vecchia guardia kemalista e la nomina a capo dei servizi segreti del fedelissimo Hakan Fidan. Che è considerato il demiurgo di tutte le inconfessabili alleanze con Jabat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida, e con quello Stato Islamico a cui il Mit di Fidan ha garantito rifornimenti di armi e munizioni, libero transito in Turchia e appoggi per la commercializzazione del petrolio.

 

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