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Sappiamo tutti che il computer, la rete e in definitiva le nuove telecomunicazioni, diffusesi a partire da metà degli anni ’90, hanno realizzato uno sviluppo tecnologico ed economico rapido nella storia del genere umano. E qui, va detto pure, a nostro modesto avviso, che la rivoluzione digitale ha creato nuovi paradigmi e accelerato la corsa allo sviluppo di tecnologie e algoritmi capaci di elaborare milioni di dati provenienti da fonti diverse e di gettare le basi per costruire campagne pubblicitarie e di marketing sempre più mirate. Le aziende, da parte propria, sono impegnate a mettere a punto nuovi e complementari modelli di utilizzo dei dati stessi per influenzare o, per lo meno, prevedere le abitudini di consumo della gente. A questo punto, sia in teoria che nella pratica, possono verificarsi possibili rovesci della medaglia del caso, ovvero un abuso delle informazioni personali raccolte. Anche se qui va detto che ci sono aziende come Palantir, in grado di sviluppare tecnologie che potrebbero rassicurare gli operatori della rete, sul fatto che i dati raccolti o messi sotto osservazione non siano stati raccolti o utilizzati in modo improprio. Ma quanto valgono, in soldini, i nostri dati personali? Ebbene, il “Financial Times”(Stati Uniti) ha provato a rispondere a questa domanda, pubblicando sul proprio sito un “giochino in grado di calcolare”, rispondendo ad una serie di domande inerenti il proprio status(dai beni posseduti agli hobby, passando per malattie croniche e stato familiare), il valore commerciale di ogni singolo profilo personale. E dulcis in fundo , noi diciamo che per far fronte a questo tipo di potere che si impadronisce delle persone attraverso il controllo delle informazioni personali(leggi:privacy) è tempo di ripensare Internet per restituire privacy e sicurezza a tutti gli operatori della rete.

 

“Sarebbe doveroso che in questo momento di grave crisi economica peraltro, molto prolungato, gli imprenditori che si prodigano per continuare a tenere in piedi la propria azienda e a far sì che il denaro continui faticosamente a circolare fossero guardati con rispetto. Invece ci continuiamo a trovare dinanzi a situazioni terribili e dolorose anche dal punto di vista emotivo provocate dal disinteresse della casta bancaria a dispetto dei loro stessi clienti. Un motivo che ci sta portando a seguire l’ennesimo caso di presunto anatocismo ai danni di un nostro iscritto contro l’Istituto Intesa San Paolo”.

Lo dichiara il presidente di AssoTutela Michel Emi Maritato che racconta anche i motivi relativi all’accaduto che hanno ingiunto il cliente a presentare una denuncia querela avvalendosi dello Studio legale Cicchetti.

“Il nostro iscritto, peraltro si tratta di una nota società romana di gestione d'affari si è sentito chiamare dal suo istituto di credito , il Intesa San Paolo appunto, per il rientro immediato della sua posizione di affittamento per circa 100 mila euro di elasticità di cassa. Il cliente è sbalordito dinanzi a una richiesta che non può soddisfare tempestivamente ma la banca – precisa Maritato - gli dimostra di avere una soluzione pronta per lui. Si tratta di un finanziamento in due per la stessa somma con 32 mila euro di interessi. Il cliente indispettito quanto stupefatto si affida a una nostra perizia bancaria che riscontra l’anatocismo palese”.

“Dai conteggi viene fuori un tasso extra fido fissato da Intesa San Paolo al 15,7375 per cento a fronte del 15,25 imposto da Banca D’Italia. E ancora – aggiunge Maritato - nel medesimo documento viene prevista l’applicazione di un tasso di mora pari al 16,7375 per cento a fronte dell’8,75 per cento odierno vigente”.

“Dinanzi a un caso del genere la strada da percorrere purtroppo è una sola: la denuncia alla Procura della Repubblica. E noi questa strada la stiamo percorrendo avendo sottoscritto il patrocinio dell’azione legale seguita dall’avvocato Maria Luisa Cicchetti che ha chiesto la penale condanna dei querelati e altrettanto - conclude Maritato - ha presentato la costituzione di parte civile per il risarcimento dei danni tutti derivanti e derivati dalla condotta dell’istituto bancario contro il proprio cliente e nostro iscritto”.

L’ Unicef ha stimato, in occasione della Giornata contro il lavoro minorile che si è celebrata il 12 giugno scorso, che 150milioni di bambini nel mondo sono impiegati nel lavoro minorile. Ma c’è di più. 115 milioni di bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni vengono impiegati nelle forme peggiori di lavoro minorile, come quelle che prevedono carichi pesanti, contatto con sostanze chimiche ed un orario di lavoro prolungato; il 60% di minori risulta impiegato nell’agricoltura: il 7% nell’industria e il 26% nei servizi. Ovviamente, la crisi finanziaria globale, in corso, ha, ulteriormente, spinto i minori ad avviarsi, precocemente, al lavoro, specie , verso le forme di lavoro più pericolose. In verità, va detto pure, senza mezzi termini, che l’Unicef sta concentrando il suo impegno sull’istruzione, giudicata l’arma migliore per allontanare lo spettro di un’ignoranza che è in primo luogo, non conoscenza dei propri diritti e delle proprie potenzialità. E accanto a questo scenario che non dà segni di ottimismo, va collegato, purtroppo, un altro scenario: il tasso di disoccupazione giovanile, già altissimo, è al suo record, come ha confermato lo stesso Rapporto Istat. In particolare, la crisi economica ha comportato una significativa crescita di giovani disoccupati delle regioni del Mezzogiorno. Ancora, la quota di giovani non occupati e non coinvolti in attività educative o formative riflette nel nostro Paese, più che negli altri Paesi europei, lo scoraggiamento rispetto alle difficoltà di occupazione . Non a caso, quei giovani italiani che si affacciano sul lavoro intravedono, e mai come oggi, solo prospettive incerte. E a questi giovani, non resta altra scelta, purtroppo, che fare le valigie e traslocare all’estero. In conclusione, noi rivolgiamo alla politica del nostro Paese una proposta per incrementare la creazione di nuovi posti di lavoro stabili sia nel pubblico che nel privato, riportando, anche, una grande frase del premio Nobel, 2010, lo statunitense Dale Mortensen, il quale ha passato la sua vita a studiare i problemi d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, cercando di capire come migliorarne le dinamiche: “Sarebbe ora di metter   mano all’aratro e cessare di volgere indietro lo sguardo”.

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