Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Venerdì, 02 Maggio 2025

Le domande poste dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul Manifesto di Ventotene ha innescato un ampio e interessante dibattito sulla cultura politica che sta alla base della rappresentanza politica cattolica in Italia del dopoguerra, un percorso che parte dalla Dc di De Gasperi fino ai Dem di Romano Prodi e compagnia. In particolare  nei giorni scorsi si è aperto un dibattito su Lanuovabussola: “Per il futuro dell'Europa bisogna davvero rifarsi a De Gasperi, Schuman e Adenauer? C'è chi lo mette in discussione”. Due interventi in particolari, hanno affrontato la questione: Giovanni Formicola (De Gasperi non era alternativo a Ventotene, 3.4.25) Sostanzialmente Formicola sostiene che quello dei padri fondatori cattolici dell'Unione Europea è un mito, la realtà è che il progetto democristiano ha contribuito alla rivoluzione, all'affermazione di un'agenda relativista e laicista. Su questo tema si può leggere un mio studio (Quelle colpe della Democrazia cristiana, 1/15 2002, Corriere del Sud)

L'altro intervento è di Riccardo Cascioli, (C'è un ingiusto pregiudizio anti-democristiano, 3.4.25)Il richiamo ai Padri Fondatori dell'Europa può essere equivoco, ma si deve riconoscere che questa Unione Europea non è l'erede di De Gasperi e soci. E non si può liquidare la storia della DC in quattro battute”. Per il momento intendo soffermarmi sul testo di Formicola che non entra nello “scontro” su Ventotene ma si sofferma sulla “cattolicità”, di Schuman, Monnet, Adenauer e De Gasperi, sulla cosiddetta “divisata”. “In realtà, quei signori - delle cui buone intenzioni non discuto, ma so quale via è lastricata di buone intenzioni - erano cattolici di una specie particolare: erano democristiani, cioè cattolici democratici”. A questo proposito Formicola cita Gramsci, che era anche “uno studioso che gli permetteva di scorgere i germi della Rivoluzione ovunque fossero annidati”. Il comunista sardo coglie del cattolicesimo democratico tutta la vena progressista, conformemente alla sua natura di espressione politico-sociale del modernismo teologico: «Il modernismo non ha creato “ordini religiosi” ma un partito politico, la democrazia cristiana» (Gramsci, Quaderni del carcere, II, 1384), cioè, «modernismo significa politicamente democrazia cristiana» (ibid., 1305); «Il cattolicismo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida. […] Perciò non fa paura ai socialisti l’avanzata impetuosa dei popolari […]. I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin» (Gramsci, I popolari, in L’Ordine Nuovo, anno I, n. 24, 1-11-1919, 286). A questo punto la “Lettera”, fa parlare gli esponenti democristiani a partire da De Gasperi: «Noi ci siamo definiti “un Partito di centro che si muove verso sinistra”» (Intervento al Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, del 31 luglio-3 agosto 1945), e se non fosse stato chiaro ribadisce, «La democrazia Cristiana [è un] partito di centro inclinato a sinistra, [che] ricava quasi la metà della sua forza elettorale da una massa di destra» (Discorso al III Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, Venezia 2/5-6-1949). Pertanto, è proprio su questa linea che si muoverà, con le parole e i fatti, tutta la classe dirigente democristiana. Un altra cosa sono gli elettori, la base, fondamentalmente venivano ingannati. Peraltro, la Lettera di Formicola non fa riferimento all'ostracismo di De Gasperi nei confronti del vero vincitore delle elezioni del 18 aprile 1948, quel Luigi Gedda che con i suoi Comitati Civici contribuì molto alla vittoria della Dc nei confronti del Fronte Popolare. Leopoldo Elia, più volte parlamentare, ministro ed anche presidente della Corte costituzionale, dirà che «De Gasperi avvertiva il pericolo che fare dell’anticomunismo la ragione dominante della propria fortuna politica poteva alimentare tendenze reazionarie [e non sia mai!]» (L. Elia, Dossetti, Lazzati e il patriottismo costituzionale, in L. Elia e Pietro Scoppola, A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984), il Mulino, Bologna 2003 ,147). Non solo i parlamentari, anche gli intellettuali cattolici democratici come  Pietro Scoppola, ha ulteriormente – ed autorevolmente – confermato questa tesi sull’azione e l’identità politica autentiche della DC: «In sostanza, la Dc ha sempre raccolto un elettorato prevalentemente moderato, che è stato tuttavia coinvolto in una politica prevalentemente diretta (tranne alcune parentesi) ad un ampliamento verso sinistra delle basi di consenso alla democrazia e alla funzione di governo» (ibidem, 132). Un'altra dichiarazione a dir poco farneticante, “estremista” è quella di Ciriaco De Mita: «Quando gli storici si occuperanno di fatti e non solo di propaganda spiegheranno che il grande merito della DC è stato quello di avere educato un elettorato che era naturalmente su posizioni conservatrici se non reazionarie a concorrere alla crescita della democrazia. La DC prendeva i voti a destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra» (Corriere della Sera, Intervista all’on. Ciriaco De Mita, 23-8-1999). E ancora le dichiarazioni di un Dc «moderato», un Doroteo doc come Flaminio Piccoli non teme affatto l’ipotesi di un accordo a sinistra. “È dagli anni ’60 – afferma – che la Dc non è più anticomunista. Anzi, se fosse stato per noi il Pci sarebbe rimasto al potere ben oltre la vicenda Moro. Non fummo mica noi a dire basta, sa? Fu Mosca a ordinare a Berlinguer di uscire dal governo…”» (Sebastiano Messina, «Muoviti Dc, il nemico non c’è più», in la Repubblica, 16-3-1990). Per Formicola questa politica democristiana viene da lontano, non è “un effetto di una degenerazione intellettuale di uomini convinti, e perciò spaventati, che il comunismo e il progressismo fossero ineluttabili, e che non si potesse contrastarli, ma si dovesse patteggiare con loro”. No. Il peccato è originale, si trova ne «Il partito popolare italiano […] è nato come un partito non cattolico, aconfessionale come un partito a forte contenuto democratico […] che non prende la religione come elemento di differenziazione politica» (don Luigi Sturzo, Discorso a Verona 16-3-1919), là dove il «forte contenuto democratico», non può significare altro che relativista-laicista, su princìpi e prassi. Quindi, ha solo ragione il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira quando afferma che «La Democrazia Cristiana non è altro che un dispositivo ideologico e politico specificamente fatto per trascinare verso l’estrema sinistra uomini di destra e soprattutto centristi ingenui». In conclusione la lettera pone una domanda: possiamo pensare davvero che quei signori avessero in mente di attuare l'autentica Dottrina Sociale della Chiesa, cioè di fondare una restaurata Europa cristiana, non laicista né secolarizzata, bensì soggetta alla regalità sociale di Cristo e che quindi la UE sarebbe un tradimento delle loro idee democristiane, cioè rivoluzionarie?

Dal 1971, si riunisce annualmente a Davos, cittadina sciistica della Svizzera, il World Economic Forum (WEF), una community fondata dall’economista tedesco Klaus Schwab che è fondatore e direttore esecutivo, caratterizzata– si legge sulla quarta di copertina del libro – «dalla cooperazione ai massimi livelli tra colossi industriali e finanziari, importanti leader politici mondiali, realtà sovranazionali, banche centrali, […] accademie, media e influencer globali». l World Economic Forum di Davos è spesso oggetto di grande confusione. Maurizio Milano, con il suo libro, Il Pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo: protagonisti, programmi e obiettivi”, pubblicato da D’Ettoris Editore (Crotone, 2024; Pag. 336; e. 23,90), offre una prospettiva basata su affermazioni e documentazioni tratte dai libri del Prof. Klaus Schwab, in particolare da “The Great Resert, un libro da leggere, che contiene un programma da attuare. Il testo di Milano paradossalmente raccoglie una serie di fatti, che sembrano “complotti”, ma non lo sono. Già nella Premessa si pone la domanda: il Great Reset del Forum di Davos è un complotto o è la realtà? Nel libro di Schwab c'è scritto tutto, quindi è un programma alla luce del sole. Il Pifferaio di Davos, basa su un’accurata consultazione delle fonti ufficiali del Forum e include citazioni dello stesso Schwab presenti nei suoi numerosi scritti. “Nessun complottismo, quindi: non si sente proprio la necessità di aggiungere ipotesi o forzature fantasiose e indimostrabili alla narrazione pubblica”. Si tratta, scrive Milano di “dichiarazioni scritte nero su bianco dal WEF ed enunciate nei moltissimi video ufficiali, facilmente reperibili in rete, appaiono a volte già così inquietanti da far nascere il sospetto che non siano state davvero espresse, o che siano travisate o forzate”. Milano ha fatto un lavoro monumentale e certosino nello stesso tempo, ha raccolto e approfondito tutte queste fonti che si possono rintracciare tranquillamente. Sforzandosi il più possibile di eliminare una certa soggettività, lasciando parlare i fatti, le dichiarazioni dei protagonisti.

Maurizio Milano, analista e consulente finanziario attivo nell’apostolato culturale di Alleanza Cattolica, ricostruisce i programmi e gli obiettivi del WEF attingendo a quanto pubblicato dai suoi principali esponenti. Il «Grande Reset» è il nome assegnato dallo stesso Schwab alla «missione» del WEF: «agevolare la transizione verso un mondo nuovo, sostenibile, inclusivo e resiliente, superando il modello economico basato sul libero mercato, sulla micro, piccola e media impresa e sul governo nazionale, verso una governance mondiale, sia a livello di pianificazione economica sia a livello di decisioni politiche e di controllo»; un’agenda globalista che va attuata aggirando le eventuali resistenze dei corpi elettorali e, per ammissione dello stesso Schwab, infiltrando i governi”.

Il pifferaio di Davos è diviso in due parti: nella prima si delinea il Grande Reset nelle sue linee generali, si dimostra la contiguità di impostazione e di intenti dell’Agenda ONU 2030 con gli imperativi di Davos e si elencano i molti partner associati stabilmente al WEF: grandi realtà industriali del settore automobilistico, energetico, farmaceutico; gruppi finanziari; colossi mondiali come Amazon, Apple, Google, Meta (Facebook) e Microsoft, e fondazioni quali la Bill & Melinda Gates Foundation e le Open Society Foundations di George Soros. Un capitolo di questa parte è dedicato all’epidemia CoVID-19, salutata da Schwab come «un’opportunità per ripensare, reimmaginare e resettare il nostro mondo», che ha favorito la crescita del consenso verso «l’attuazione di straordinarie misure di confinamento e restrizioni dei diritti individuali».

La seconda parte del libro individua tredici fronti distinti su cui il WEF esercita la sua influenza, dedicando un capitolo a ciascuna tessera del mosaico. Alcuni fronti sono attinenti specificamente all’economia come, per esempio, la limitazione dell’uso del contante e l’attribuzione alle imprese di «pagelle di sostenibilità», utili a valutarne l’allineamento tanto ai diktat dell’ideologia climatista quanto a quelli dell’ideologia woke e LGBTQIA+. Altre tessere del mosaico riguardano più direttamente l’uomo e le sue abitudini, l’alimentazione, i mezzi di trasporto, nonché l’auspicio di una decrescita demografica. il libro di Milano si chiude con delle indicazioni operative per chi intende a opporsi a questo Reset del mondo promosso dalle élites tecnocratiche. Per esempio, si sottolinea l’urgenza di «promuovere, innanzitutto sul piano culturale e quindi anche sul piano pratico, anche fiscale, la natalità, ridando centralità alla famiglia»; rivendicando «il principio di sussidiarietà e il ruolo primario dei corpi intermedi, con la difesa della proprietà privata, della libertà e dell’autonomia della famiglia» e recuperando «le radici cristiane che hanno creato la nostra cultura, e con la fede ritrovare anche la ragione e il semplice buon senso». Per l'autore del libro, “urge una contro-narrazione per rompere l’incantesimo, mostrare che il Re è nudo e scendere finalmente dalla Montagna Incantata di Davos. Per un salutare ritorno al reale, prima che il reale ci presenti il conto”.

Forse è utile precisare che Il pifferaio di Davos è stato pubblicato prima della rielezione di Donald John Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Pertanto sembra che la politica di Trump tende a scardinare le conquiste di Davos, anche quanto ha sostenuto recentemente Maurizio Milano nei suoi interventi presentando il suo libro. Il saggio è per tutti, una lettura facile, per comprendere quello che l'ideologia climatista, il socialismo verde, ci sta preparando. Il libro ha una struttura molto efficace. È diviso in capitoletti non troppo lunghi e alla fine di ognuno di essi l’autore propone una sintesi riassuntiva di quanto detto. All’inizio c’è una doverosa informazione su cosa sia il Forum di Davos. “Qui il lettore che non sia addentro al problema rimane stupito dalla enorme concentrazione di potere concentrata nella Community di Davos che, alla fine, rimane un ente, diciamo così, del privato-sociale, ma che costituisce una “rete” globale di società e di persone capaci di esercitare una enorme influenza sulla politica, l’economia, la finanza e la cultura. Si tratta senz’altro di una espressione del Deep State, perché questa influenza sulla politica globale, avviene spesso sotterraneamente mediante la rete dei contatti, ma nello stesso tempo i dati della potenza di Davos si possono desumere semplicemente dal suo sito internet”. (Stefano Fontana, Il pifferaio di Davos. L’analisi di Maurizio Milano sul Great Reset del capitalismo 30.5.24, Osservatorio Vant Thuan). Il libro fa i nomi (I Protagonisti) di chi guida il Great Resert, a parte Schwab, ci sono finanziari, imprenditori, leader politici. Sono tanti i temi esplorati da Maurizio Milano, nella Prima Parte, ripercorre il perseguimento del Great Reset durante il biennio Covid, che Schwab considerava nei suoi scritti come la grande occasione per la svolta e la radicale ristrutturazione del mondo. Illustra quindi la “grande narrazione” che è stata predisposta, massicciamente diffusa e sostanzialmente imposta come nuovo Verbo, per arrivare a mostrare la coincidenza di tutto ciò con gli obiettivi ONU del 2030 sullo sviluppo sostenibile. “L’autore sottopone tutto questo processo a sostanziale critica, mostrando come dietro vi sia prima di tutto una errata concezione dell’uomo ed evidenziando poi la singolare convergenza di liberalismo e capitalismo in tutti questi passi compiuti”. Milano parla di un “socialismo liberale” e, quando entra nel campo specifico di sua competenza, ossia nell’economia, parla di “socialismo finanziario”, come un sottoprodotto del socialismo liberale. Non c’è nessuna dietrologia e nessun complottismo nell'analisi di Milano, ma la spiegazione precisa e sobria di quanto è avvenuto e del perché è avvenuto, come monito verso quello che potrebbe venire.

Questa prima parte è “di quadro” ed è la più importante per la comprensione dell’ideologia che anima il Great Reset. La seconda parte è analitica ed esamina come il Nuovo Inizio viene attuato nei diversi ambiti, dalla finanza all’energia, dall’auto alla casa, dal cibo ai consumi … Importantissime le analisi di tre ambiti particolari e decisivi: Il Grande Reset della famiglia, quello della società e quello dell’uomo. Perché il progetto Davos non riguarda solo l’economia o la politica. Si tratta di un progetto molto più ambizioso: la riplasmazione della realtà secondo intenti e metodologie gnostiche, la creazione di un “nuovo Adamo” dai connotati transumani. E comunque secondo Fontana, “quello che emerge dal libro è inquietante. Una “grande  narrazione” ci induce tutti a pensare nello stesso modo e occulta il vero volto della realtà, si va verso un sistema dirigistico e di controllo pianificato e pervasivo, si crea un clima costante di paura, si riduce l’umano al piano orizzontale, si crea una società palliativa deresponsabilizzante in cui tutti sia considerati “malati”. Sarebbe interessante presentare qualche tema in particolare, ma poi il mio intervento diventa troppo esteso. In qualche recensione si è puntata l'attenzione sul  grande reset dell’identità”, destinato a limitare ulteriormente la nostra libertà. Si potrebbero presentare altri interessanti grandi reset come quello dell'auto, dove Milano pone diverse domande fondamentali, per esempio sulle batterie elettriche. Il grande reset delle città da 15 minuti, delle abitazioni, del cibo. Il WEF sta orchestrando un colpo di stato globale per instaurare un nuovo ordine mondiale guidato da un élite tecnocratica? Un “Great Reset”, che porterebbe a: perdita di libertà individuale e sovranità nazionale; aumento delle disuguaglianze sociali; maggiore sorveglianza e controllo governativo? Occorrerà che gli Stati diventino Stati di Polizia, con un modello di Security preso dagli Stati totalitari come la Cina? Milano critica duramente il WEF, definendolo un’organizzazione antidemocratica e pericolosa per la libertà e la prosperità. Il suo libro ha generato un vivace dibattito, suscitando pareri contrastanti tra lettori e critici. Indipendentemente dalle opinioni che si possono generare sul WEF e sul “Great Reset”, il libro di Milano è senza dubbio un’opera stimolante, che provoca su temi attualissimi, e che incoraggia il lettore a formarsi una propria opinione.

Il romanzo dello scrittore Saverio Simonelli “L’infinito non basta”, edito dalla casa editrice Città Nuova, ci riporta nel mondo ottocentesco tratteggiato con sapienza di richiami storici e letterari che fanno rivivere i più importanti personaggi che hanno segnato il periodo della musica classica, fra cui Beethoven e Franz Liszt.

La narrazione si dispiega fra continui intrecci e richiami alla vita degli attori che sembra intersecarsi, ora volutamente ora casualmente, in ampie volute armoniose che creano scenari di una trama strutturata in modo tale da rendere il racconto avvincente e coinvolgente. Colpisce la particolarità dei dettagli e la descrizione degli ambienti storico-sociali dell’epoca in cui vengono descritti i vissuti di tali personalità calate in un ambiente quotidiano e familiare. Saverio Simonelli riprende, inserendola in una atmosfera realistico-fiabesca, la vita di Herman Grimm, figlio di Wilhelm, uno dei due fratelli autori delle celebri fiabe. Quest’ultimo desidera emulare il padre raccontando la vita di Franz Liszt, musicista sublime in grado, in gioventù, di improvvisare in maniera tale da commuovere addirittura un diffidente Beethoven, ma che ora è atteso da una sfida: conciliare il talento con le esigenze della vita. Ogni capitolo del libro suggella e sviluppa le vicende dei protagonisti che si susseguono in una brillante composizione melodica caratterizzando la scena con note ad effetto sorpresa che stupiscono il lettore e lo invogliano sempre di più nel proseguire la lettura così coinvolgente di questo romanzo. Vengono descritti in modo sublime i sentimenti che legano gli attori delle storie fra di loro in un completo spettro cromatico composto dalle svariate emozioni e sensazioni che rappresentano una umanità universale. E’ facile immedesimarsi in questi racconti di un tempo senza tempo frutto della contemplazione immaginifica che si rende realtà concreta nella sua rappresentazione umana e valoriale. Infatti, dopo le tante conquiste ottenute, l’eccelso pianista si trova a dover gestire un amore difficile, una figlia sfuggente e spinosa, una vocazione tardiva. Accanto a lui un giovane e talentuoso di nome Ludwig, in fuga dal destino di musicista iscritto nel suo nome ma che, proprio come Liszt, è costretto a fare i conti con l’amore e con la figura paterna. Nel romanzo vengono affrontati vari temi che approfondiscono le storie e le tradizioni locali dei paesi internazionali con una forte attenzione agli aspetti e alle componenti della profonda umanità collettiva. In questi echi e in questi rimandi così attenti e pertinenti si rivela la professionalità degli studi approfonditi compiuti da Saverio Simonelli, giornalista e vicecaporedattore del Tg2000, che è laureato in filologia germanica e traduttore di testi. Formatosi come filologo germanico si muove da sempre nell'alveo della grande tradizione classico romantica tedesca, con un interesse particolare anche per la produzione letteraria delle isole britanniche che traspare particolarmente agli inizi della sua produzione. Nel romanzo è molto sentito l’aspetto religioso che si esplica e si rivela come componente teologica che indirizza i personaggi verso una finale “rivelazione” e conoscenza interiore che svela l’intelligenza della fede e il valore dei miracoli. Come nelle fiabe, padri e figli intrecciano i propri destini: riuscirà Herman a districarne la trama? “Ora sotto il cielo di Roma, sotto quel cielo che dovrebbe essere così chiaro desidera il silenzio. Saluta solo con un cenno due carbonai che gli passano accanto scendendo verso il Tevere. Uno di fianco all’altro. Neanche loro parlano. Sotto i lecci scorge il questurino che sbadigliando compie l’ultimo giro fino alle Botteghe Oscure, dove sa che si gioca d’azzardo. Nessuno di loro guarda il cielo. E sua madre chissà se lo sta guardando il cielo o se pensa a lui lassù a Parigi. Neanche lei sa quello che lui sta per fare a Roma. Nessuno lo sa. Quanto gli piace questa cosa. E’ proprio da lui, sì, pensa, so ancora sorprendere il mondo”. L’elemento fiabesco rivela tutta la sua efficacia come insegnamento di vita che i protagonisti scoprono nel dipanarsi delle vicende storiche e personali. La bellezza e unicità di questo romanzo risiede nell’abilità di saper incrociare e far rivivere i vissuti di personaggi così noti nel mondo culturale calandoli in una dimensione calda e quotidiana che tocca le corde dei sentimenti collettivi universali.   

 

 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI