Il cosiddetto “schiaffo”, o incidente di Anagni, dunque, può essere considerato come la fase di avvio di una nuova era; un’era caratterizzata da un papato progressivamente meno prestigioso ed influente. Si aprì un’epoca nella quale un certo spirito laico ‒ oggi diremmo laicista ‒, già intravisto ai tempi di Federico II di Svevia, assieme ai nascenti nazionalismi ‒ vere e proprie fasi embrionali del moderno stato nazionale ‒, iniziarono ad affacciarsi alla ribalta della storia e a reclamare un ruolo sempre maggiore. La Chiesa non poteva far finta di nulla. Il successore di Bonifacio VIII, Benedetto XI (1303-1304) fu eletto, non senza fatica, grazie alla grande opera di mediazione del cardinale Matteo Rosso Orsini (1230-1305). Il nuovo papa fu costretto, per ragioni politiche, ad annullare le sanzioni canoniche nei confronti di Filippo Il Bello e dei due cardinali appartenenti alla famiglia Colonna, suoi complici; tuttavia, tenne duro nel confermare le medesime pene a Nogaret e a quanti si erano resi protagonisti dell’oltraggio nei confronti del Papa, rifiutandosi pure di convocare un concilio postumo che lo condannasse. Per questi ed altri motivi, non ritenne più Roma una città sicura per sé, pertanto, si trasferì a Perugia, dove, dopo solo otto mesi, morì avvelenato, secondo alcuni storici. Le circostanze, ancor più avverse rispetto a quanto accaduto alla morte di Bonifacio VIII, indussero i cardinali, sempre guidati da Orsini, a riunire il Conclave a Perugia. Nonostante fossero solo quindici, non riuscivano a mettersi d’accordo; così, dopo diversi mesi di sede apostolica vacante, si accordarono su un nome di compromesso: il cardinale Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, città all’epoca sotto il dominio inglese, ma non inviso alla Francia, maggior potenza di allora. Era il mese di giugno del 1305 ed assunse il nome di Clemente V (1305-1314). Probabilmente, sotto le pressioni di Filippo il Bello, senza neppure passare da Roma, stabilì ad Avignone, in Francia, a partire dal 1309,la sua sede definitiva, iniziando così, quel periodo che gli storici – ispirati dal sonetto 114 del canzoniere di Francesco Petrarca (1304-1374), che paragonava l’esilio degli ebrei a Babilonia, con quello della Chiesa ad Avignone ‒ hanno battezzato come cattività avignonese, richiamo evidente alla cattività babilonese, di biblica memoria. Situazione che si protrarrà per quasi un settantennio, fino al 13 gennaio 1377, allorquando papa Gregorio XI (1370-1378), finalmente, riportò il papato nella sua sede naturale, a Roma, col sollievo di quasi tutta la Cristianità. Vari elementi avevano determinato questa decisione, non ultime le mutate condizioni storiche: Filippo il Bello, ormai, era morto da oltre sessant’anni, la Francia era impegnata, quasi sempre soccombendo, con la guerra dei cent’anni contro l’Inghilterra e, infine, la grande e appassionata opera di convincimento svolta da santa Caterina da Siena (1347-1380), che si recò addirittura ad Avignone, per parlare personalmente col papa, rassicurandolo sulla volontà di Dio, circa quel ritorno. Purtroppo, questo ritorno ebbe il suo rovescio di medaglia: Gregorio XI, morì l’anno dopo e il suo successore Urbano VI (1318-1389), si trovò, suo malgrado, al centro dello Scisma d’Occidente (1378-1417), perché i cardinali francesi rifiutarono di accettare la sua elezione. Furono trentanove anni di gran confusione, tra papi ed antipapi, ad un certo momento, se ne ebbero addirittura tre: naturalmente, l’unico risultato ottenuto fu una decadenza ancor più accentuata nella coscienza europea del prestigio del papato e della sua capacità di porsi come guida spirituale e culturale dell’Europa. Nel 1417, finalmente, con l’elezione di Martino V (1417-1431) e con la fine Concilio di Costanza, si pose fine al grave scandalo dello Scisma. Tuttavia, le insidie per l’unità e la tranquillità della Chiesa, non erano certo finite: proprio in quegli anni, emerge una nuova corrente, che vorrebbe limitare il potere del sommo Pontefice: il conciliarismo, che contempla la sottomissione dell’autorità pontificia a quella del Concilio. Il conciliarismo paralizzò l’azione dei pontefici subito dopo lo Scisma d’Oriente: idee conciliariste, infatti, erano state espresse già dal cardinale Umberto di Silva Candida (1000?-1061), che a sua volta le aveva riprese da monaci del VII secolo. Poi, i primi vagiti della Riforma, l’umanesimo e il Rinascimento penetrati nella Chiesa sotto il pontificato di Niccolò V (1477-1455), uniti ad avvenimenti storici di portata epocale, come la caduta di Costantinopoli, provocarono un grave ritardo nella riforma della Chiesa, che perse così, un’altra occasione per continuare a salvaguardare il suo ruolo come guida della cultura europea. A tutti questi eventi, non erano estranee le idee di pensatori come Marsilio da Padova (1275-1342) e Guglielmo da Occam (1285-1347), veri e propri antesignani della modernità, che vedremo meglio la prossima volta.