Se domenica vincesse il sì, come sembra possibile visto il panico nel Paese, Tsipras lascerebbe a un nuovo governo: o di unità nazionale, con l’ex governatore Provoupoulos, o un esecutivo composto dai soli moderati di Syriza, dal Pasok e dai filo-europei di Potami, con Dragasakis come premier.
L'Europa comunque teme la consultazione greca perché ne vede il significato esclusivamente politico visto che, dal punto di vista tecnico, il quesito non è nemmeno corretto perché "non è più sul tavolo", come notava il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis.
"Rassegnerò le dimissioni se vince il si" al referendum ha detto il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis in una intervista a Bloomberg TV. Il ministro ha anche aggiunto che la Grecia non firmerà "nessun accordo senza la ristrutturazione del debito" greco
Ma se invece dovesse prevalere il no allora lo scenario sarebbe ben diverso. Varoufakis ha già le idee chiare e ha esposto il suo piano a Tsipras. L’idea è quella di un nuovo "veicolo monetario" parallelo, solo in teoria convertibile alla pari con l’euro, ma necessario per ricapitalizzare le banche e permettere agli istituit di credito la riapertura prima che possa esplodere una rivolta per le strade di Atene. Quello che Varoufakis vorrebbe eviatre è l'"Ucrainizzazione" della Grecia. E così sta già studiando come funziona il Bitcoin (la monete online). Soluzioni queste che potrebbero salvare la Grecia per un breve lasso di tempo. Il danno è ben più grave e non può essere riparato solo con una moneta alternativa.
La Commissione, anche a programma ormai scaduto, l'avrebbe valutata e magari incorporata in un nuovo eventuale piano, cioè il terzo pacchetto di aiuti che chiede Tsipras. Ma Bruxelles non può muoversi senza l'Eurogruppo. Per avviare un negoziato su un nuovo piano di salvataggio serve prima di tutto il suo via libera, implicitamente legato al via libera dei capi di Stato e di Governo. Nonostante l'opposizione della Merkel a negoziare subito un terzo piano, Atene probabilmente avrebbe potuto strappare almeno un'apertura o un via libera preliminare. In cambio, però, avrebbe dovuto concedere qualcosa: il ritiro del referendum o quantomeno un cambio di schieramento, spingendo i greci a votare per il 'sì'.
Tsipras va avanti con il suo referendum invitando di nuovo i greci a votare 'no' e l'Europa congela ogni trattativa. Fino a domenica cala il silenzio dei creditori, perché ogni tentativo di raggiungere un'intesa, anche oltre l'ultimo minuto, è fallito, e ora vogliono vedere che cosa ne pensano davvero i greci. Anche la Bce si mette in modalità di attesa, rinnovando la liquidità d'emergenza (Ela) alle banche. E intanto Moody's taglia il rating della Grecia a 'Caa3' da 'Caa2'. Rating che resta sotto osservazione per un ulteriore possibile downgrade, afferma l'agenzia in una nota, sottolineando che "senza il sostegno dei creditori ufficiali, la Grecia farà default sul debito" detenuto dai privati. Merkel ha deciso di andare a vedere fino in fondo il gioco a cui sta giocando Tsipras, convocando una consultazione rischiosa, che il premier Matteo Renzi definisce un "errore", dall'esito incerto e dalle conseguenze che nessuno è in grado di prevedere. Per questo i creditori, fino ad oggi con la mano tesa, ora si tirano indietro, senza chiudere la porta ma allontanandosi dall'arena che in questi giorni ha visto scontrarsi due mondi politici e due modi diversi di concepire l'Europa. Salvare la Grecia non è più, per ora, un problema loro: "L'Ue non è in grado di aiutare nessuno contro la sua volontà", avverte il presidente Donald Tusk. Il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker ci ha creduto fino all'ultimo, cercando di mediare tra il Governo greco e un Eurogruppo ormai a corto di pazienza verso chi "non ha ancora un piano realistico per l'economia", come ha detto il ministro finlandese delle Finanze Alexander Stubb. Juncker ha anche provato a raccogliere l'ultima proposta di Tsipras contenuta in una lettera arrivata a ridosso della scadenza del programma nella quale ribadiva i paletti su iva e pensioni
"Comunque vada a finire il referendum, il danno di una uscita della Grecia dall'euro sarebbe troppo grande. Si troverà un compromesso. Se tutto il mondo, da Obama ai cinesi, continua a ripeterci che bisogna trovare un accordo, vuol dire che c'è il diffuso sentimento di una catastrofe imminente che occorre evitare ad ogni costo" dice Romano Prodi in un'intervista a Repubblica. A giudizio dell'ex premier, Atene non "affonderà" l'euro, "perché si farà un accordo. Ma il pericolo è reale. Proprio perché la crisi è così piccola, un fallimento sarebbe clamoroso. Una istituzione che non riesce a governare un problema minuscolo come la Grecia che fiducia può dare sulla sua capacità di gestire un problema più grosso?". L'uscita della Grecia dall'euro "non sarebbe tanto un danno economico, quanto un vulnus alla credibilità politica dell'Europa", aggiunge, e "purtroppo le istituzioni europee sono un pane cotto a metà". Prodi ritiene possibile un "compromesso: Voglio vedere come Merkel, Juncker o Lagarde possono prendersi la responsabilità di lasciare la Grecia fuori dall'euro. Certo, l'irrazionalità della Storia è sempre in agguato. Anche la Prima guerra mondiale scoppiò per un piccolo incidente. Ma voglio sperare che Atene non sia la nostra Sarajevo". La catena di errori che ha portato a questo punto, a suo giudizio deriva dal fatto che "manca una vera autorità europea", infatti "se ci fosse stata una forte autorità federale, probabilmente Atene non sarebbe mai entrata nell'unione monetaria, o sarebbe entrata ad altre condizioni".