Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni, e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra”. E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, le stelle.» (Gn 1, 14-16).
In effetti, proprio dalla lettura e dalla registrazione dei moti del Sole, della Luna – col variare delle sue fasi – e delle stelle, raggruppate in costellazioni – variabili con le stagioni –, l’uomo ricavò il calendario, ossia uno strumento che gli indicava il variare del tempo, anche e soprattutto, almeno all’inizio, in relazione all’attività agricola: il significato primario del calendario, in definitiva, è quello di legare i moti degli astri alle nostre vicende quotidiane. Dai movimenti regolari delle stelle, abbiamo ricavato le nostre unità temporali di misurazione. Il “giorno” – periodo di ventiquattro ore, con alternanza del dì e della notte – è scaturito dal moto di rotazione della Terra intorno al suo asse; la settimana – sette giorni – è derivata dalla misurazione temporale di una singola fase lunare, es. primo quarto; il mese – 30 giorni – è derivato dal periodo di rotazione orbitale della Luna intorno alla Terra, con tutte le sue fasi: Luna Nuova, Primo Quarto, Luna Piena, Ultimo Quarto. Infine, dobbiamo considerare le quattro stagioni: Primavera, Estate, Autunno e Inverno. Da cosa dipendono? Dall’inclinazione dell’asse terrestre (23,27) rispetto al piano orbitale e dal moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. L’asse si mantiene sempre parallelo a se stesso; ciò che cambia giornalmente – è una proprietà geometrica euclidea – durante la rivoluzione del nostro pianeta, è l’angolo tra lo stesso asse e la retta congiungente il centro del Sole con quello terrestre. Questo angolo vale novanta gradi nei due Equinozi – primavera e autunno –, sessantasei gradi e mezzo nel solstizio di Giugno – estate per il nostro emisfero – e centotredici gradi e mezzo nel solstizio d’inverno. Tali valori numerici determinano la durata del dì e della notte – uguale agli Equinozi, massima e minima rispettivamente al solstizio estivo e invernale – e l’intensità della radiazione solare, dipendente dall’altezza del sole sull’orizzonte. Naturalmente, nell’emisfero australe le stagioni sono invertite. Il valore di dodici mesi per l’anno è stato dedotto dal moto lunare; da notare anche – è una scoperta relativamente recente, 1993 –, che l’angolo d’inclinazione dell’asse terrestre è dovuto all’influenza gravitazionale della Luna. Gli studiosi francesi J. Laskar, F. Joutel e P. Robutel che scoprirono questa proprietà, nel 1993, definirono la Luna, come il nostro indispensabile regolatore climatico: senza di essa, in altre parole, non potremmo vivere. Il calendario, dunque, ha radici affascinanti, costituite dalla combinazione e dall’intreccio di una concezione del tempo non solo immanente ma aperta al Trascendente. Il nostro calendario – poi impostosi in tutto il mondo – è il risultato della commistione del moto circolare della Terra attorno al Sole – o se vogliamo, per questo scopo, in modo del tutto equivalente –, del moto apparente del Sole attorno alla terra –, con un insieme di tradizioni storiche, sacre, cultuali, mitiche, delle quali le varie feste ricorrenti erano un simbolo per ricordare all’uomo, che non tutto si esauriva su questa Terra. Il tempo, infatti, oltre alla sua dimensione cronologica – cronos –, aveva anche una sua dimensione spirituale, Kairos. Significative, al riguardo, sono le riflessioni di un grande scienziato, – presidente, tra l’altro, della federazione mondiale degli scienziati – il prof. Antonino Zichichi: «Dalla Babele di calendari, nel 1582, ne viene fuori uno con una precisione di otto parti su dieci milioni: incredibile. (…) Esso è frutto della dimensione mistica del Tempo che fu sentita da Dionigi il piccolo e che spinse i credenti a sincronizzare con la massima precisione la data del Calendario con l’equinozio di primavera. Equinozio legato alla Resurrezione di Cristo». Questa concezione della Festa come simbolo indicante qualcosa oltre se stessa, purtroppo, si sta perdendo, di pari passo con la perdita della dimensione spirituale del Tempo. Illuminanti, al proposito, sono le riflessioni del già citato Cattabiani: «Con l’inizio del nuovo millennio molte tradizioni, ancora vive fino a cento anni fa benché presentassero già segni di disfacimento, sembrano dissolversi nella ormai predominante concezione del tempo lineare e strumentale dove le feste stanno perdendo la funzione di ponti fra la dimensione atemporale e quella temporale e sono ridotte, tranne in ambienti limitati, a comportamenti genericamente e talvolta tetramente festosi o a semplici occasioni di vacanza – dal verbo vacare, essere vuoto, privo di impegni – e di compere affannose». Ripercorrere, qui, la storia del nostro calendario può essere utile per ridarci consapevolezza sulle nostre radici. L’espressione del moto circolare della Terra attorno al Sole – o, è utile ripeterlo, del Sole, in modo apparente, intorno alla terra come pensavano i nostri avi, tanto per i calcoli è indifferente –, è già racchiusa nell’etimologia della parola “anno”, proveniente dal latino annus. Secondo quanto insegnato da Gaio Ateio Capitone, infatti, gli antichi Romani utilizzavano la particella an per significare “circolo”; da an, poi scaturì Annus –sempre a indicare circolo – e il suo diminutivo annulus, cioè anello, indicante, dunque, l’anello del tempo, figura simbolica del moto orbitale del nostro pianeta.