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La Grecia e altri 11 paesi chiedono di fermare l'immigrazione clandestina

Dopo la Turchia, adesso è la volta della Grecia. Ankara e Atene sembrano incredibilmente vicine questa volta sulla gestione della possibile crisi dei profughi provenienti dall'Afghanistan. Anche il governo ellenico infatti, a distanza di pochi giorni da quello turco, ha dato via libera alla costruzione di un muro di confine.

Si tratta di una barriera di acciaio lunga 40 km piazzata sulla linea di frontiera terrestre tra Grecia e Turchia. I lavori sono già in corso e il ministro della Difesa greco, Nikolaos Panagiotopoulos, in questo sabato mattina ha visitato la zona dove il muro a breve sarà realtà. Incontrando i giornalisti, l'esponente del governo greco ha difeso la scelta di erigere la barriera. “Non possiamo restare a guardare – ha dichiarato Panagiotopoulos – dobbiamo assolutamente agire”.

Parole che testimoniano una certa sfiducia di Atene nei confronti dell'Ue. Un sentimento più che giustificato. Si calcola come negli ultimi anni almeno 60mila migranti afghani siano arrivati in Grecia. E di questi 40 mila sono ancora presenti nel Paese ellenico. Se dovessero tradursi in realtà i numeri di cui si è parlato nei giorni scorsi, dove a livello europeo sono stati previsti anche due milioni di potenziali profughi afghani, Atene rischia il collasso dell'accoglienza.

Un muro contro i migranti anche in Europa. L'esempio Trump fa scuola nell'Unione e così oggi, mentre prendeva il via a Lussemburgo il consiglio dei ministri degli Interni dell'Ue, 12 Paesi scrivono alla Commissione per chiedere esplicitamente nuove misure in questa materia, a partire dalla costruzione di un “Vallo” nei confini sud orientali dell’Europa. I dodici firmatari sono Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia. Un mix che mette insieme sovranisti e “frugali”. Con l'obiettivo di introdurre nuovi strumenti per proteggere le frontiere esterne anche col finanziamento di recinzioni e muri. Perché, spiegano, bisogna prevenire “le gravi conseguenze di sistemi migratori e di asilo sovraccarichi e capacità di accoglienza esaurite, che alla fine influiscono negativamente sulla fiducia nella capacità di agire con decisione quando necessario".

"Occorre una cooperazione trasversale, che non sia solo mirata sulla sicurezza. E' questo il modo migliore di prevenire i flussi irregolari e lottare contro i trafficanti".Sulla migrazione "è importante andare avanti con la dimensione interna, ma non possiamo separarla da quella esterna, cioè il rapporto di cooperazione con i Paesi di origine e transito". E' la posizione ribadita dal ministro dell'Interno spagnolo Fernando Grande-Marlaska al suo arrivo al Consiglio Ue, che ha ricordato come il punto sia comune per il gruppo dei Paesi Ue del Med5 (Italia, Spagna, Malta, Cipro e Grecia).

Nuovi strumenti per proteggere le frontiere esterne dell'Ue di fronte ai flussi migratori, anche col finanziamento europeo di recinzioni e muri: è quanto viene chiesto dai ministri dell'Interno di una dozzina di Paesi (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Rep.Slovacca) in una lettera indirizzata alla Commissione europea e alla presidenza di turno del Consiglio Ue. 

Il tema del rafforzamento dei confini esterni dell'Unione sarà affrontato dalla riunione dei ministri dell'Interno dei 27 oggi a Lussemburgo.
Nella lettera alla Commissione e alla presidenza di turno del Consiglio Ue, i 12 Paesi chiedono "nuovi strumenti che permettano di evitare, piuttosto che affrontare in seguito, le gravi conseguenze di sistemi migratori e di asilo sovraccarichi e capacità di accoglienza esaurite, che alla fine influiscono negativamente sulla fiducia nella capacità di agire con decisione quando necessario".
"Allo stesso tempo - si legge ancora in un passaggio del documento - queste soluzioni europee dovrebbero mirare a salvaguardare il sistema comune di asilo riducendo i fattori di attrazione".

"Non ci sono norme che impediscano agli Stati Ue di aumentare la propria protezione fisica o di costruire" muri o recinzioni alle frontiere. Se i governi "lo vogliono fare, sta a loro decidere". E' la reazione del ministro svedese alla Giustizia e Immigrazione, Morgan Johansson, riguardo alla lettera che 12 Stati membri hanno inviato alla Commissione europea e alla presidenza slovena di turno del Consiglio Ue, chiedendo il finanziamento delle barriere alle frontiere esterne con i fondi comunitari.  

Intanto diventa un caso politico anche in Italia lo scontro tra la Polonia e la Commissione Ue sul rispetto dello stato di diritto che potrebbe segnare un passo verso la 'Polexit' dopo che la Corte costituzionale di Varsavia ha decretato che alcuni articoli dei Trattati dell'Ue sono 'incompatibili' con la Costituzione dello Stato polacco e che le istituzioni comunitarie 'agiscono oltre l'ambito delle loro competenze'.
Un attacco gravissimo per la Francia, contro il quale hanno reagito la presidente della Commissione von der Leyen e il presidente del Parlamento Sassoli.

Con la Polonia, invece, la leader di Fdi Meloni e la Lega con Borghi. 'Il sovranismo antieuropeo va combattuto', replica il segretario del Pd Letta.
Oggi il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki assicura che la Polonia vuole rimanere nell'Unione europea. L'affermazione arriva un giorno dopo la sentenza della Corte costituzionale polacca sulla supremazia del diritto interno rispetto a quello Ue. "Il posto della Polonia è e sarà nella famiglia delle nazioni europee", ha detto il premier su Facebook, aggiungendo che l'adesione al blocco è stata "uno dei momenti salienti degli ultimi decenni" per la Polonia e l'UE.

Ieri la Corte costituzionale polacca, guidata dalla giudice Julia Przylebska, ha sancito che alcune norme Ue sono incompatibili con la Carta Costituzionale polacca.
"I valori della pace e della libertà contraddistinguono il nostro continente. So che in questo momento alcuni paesi ci fanno soffrire e ci auspichiamo che rivedano le loro posizioni ma non possiamo permettere che nessuno dei 27 Paesi membri violi i trattati. Noi saremo totalmente inflessibili". Lo ha detto il presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, intervenendo in videocollegamento all'European Youth Event

La pronuncia che potrebbe non solo allontanare i fondi del Recovery destinati al Paese dell'Europa centrale, ma per qualcuno potrebbe rappresentare un passo verso una "Polexit". Dopo le reazioni, ieri, di alcuni dei vertici dell'Ue - il presidente dell'Europarlamento David Sassoli e il commissario alla Giustizia, il belga Didier Reynders - è la Francia il primo Stato membro a ribattere con durezza

"I nostri Trattati sono molto chiari. Tutte le sentenze della Corte di giustizia Ue sono vincolanti e la legge Ue ha il primato sulla legge nazionale.
Useremo tutti i poteri che abbiamo ai sensi dei Trattati per assicurarlo". Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sulla sentenza della Corte costituzionale polacca. "Sono profondamente preoccupata", ha fatto sapere von der Leyen, spiegando di aver "dato istruzione ai servizi della Commissione di fare un'analisi approfondita e veloce" della decisione per decidere i passi successivi. 

Era attesa e la possibilità che la sentenza della Corte costituzionale polacca creasse un cortocircuito, solo l'ultimo, con l'Unione europea era concreta. Infatti la Corte, guidata dalla giudice Julia Przylebska, ha stabilito che alcuni regolamenti dell'Ue non sono compatibili con la Carta dello stato polacco.

Secondo i togati, tale sentenza si riferisce alle competenze dello Stato che non sono state trasferite agli organi dell'Unione europea. Una lettura che potrebbe causare conseguenze anche economiche per Varsavia, a partire dal mancato stanziamento dei fondi del Recovery Fund. Sono stati numerosi infatti i motivi di attrito legati al rispetto dello stato di diritto tra il governo polacco e le istituzioni di Bruxelles. Nel caso in cui proprio su questi temi la Polonia stabilisse che le leggi nazionali debbano essere considerate prevalenti su quelle europee, ecco che il vincolo messo sui fondi Ue per superare la crisi dovuta al Covid-19 potrebbe bloccare lo stanziamento. Il contenzioso riguarda soprattutto l’autonomia mancata del sistema della giustizia, messo sotto il controllo del partito al governo Diritto e Giustizia del premier Mateusz Morawiecki.

Fonti Ansa / il giornale e varie agenzie stampa

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