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L'Unione Europea chiude confini e Schengen

L'Unione europea ha chiuso i suoi confini e sospeso Schengen per 30 giorni

Il trattato è una delle conquiste più importanti dell’Unione europea da quando è entrato in vigore, nel 1985. Vi aderiscono 26 stati (22 membri altri 4 non membri) e crea una zona di libera circolazione dove i controlli alle frontiere sono aboliti. Concretamente, quindi, all’interno di questa zona nel perimetro degli stati membri i cittadini e le merci possono muoversi in piena autonomia. In circostanze eccezionali, il trattato può prevedere delle deroghe o può essere sospeso per un massimo di due mesi. Le prime sono state ampiamente impiegate per contrastare la minaccia terrorismo, aumentando i controlli delle persone in transito nell’area. Per la prima volta si è presentata la seconda opzione, riportando il continente indietro di 35 anni  

La Commissione europea pare irremovibile sul punto, e preme affinché le restrizioni temporanee all’ingresso dell’Unione Europea a causa del Coronavirus “non si applichino alle persone che hanno bisogno di protezione internazionale”. Adalbert Jahnz, polacco, portavoce della Commissione Europea sui temi dell’immigrazione, risponde alle domande dei giornalisti che si interrogavano sul punto, ovvero se il divieto di ingresso nell’Ue si applicasse anche ai richiedenti asilo: “Ogni restrizione deve essere bilanciata con il principio di non respingimento e gli obblighi del diritto internazionale”, ha risposto Jahnz.

E’ appena di ieri la notizia del primo immigrato positivo al coronavirus in Italia, uno dei  Paesi (insieme alla Grecia) che subiscono di più l'”assalto” dei richiedenti asilo, nonché la Nazione con il maggior numero di infettati e di morti per coronavirus. Il primo positivo al coronavirus è stato confermato in un centro di accoglienza per immigrati di Milano. Il contagiato è ospite della struttura di via Fantoli, in zona Mecenate. Si tratterebbe di un giovane, che non presenta sintomi gravi, ed è ora in isolamento. Stessa sorte è toccata ai compagni di stanza dell’infetto. Immediata l’attivazione dei protocolli del caso e delle procedure di emergenza, che prevedono, come detto, l’isolamento, la sanificazione dei locali e il trasferimento di parte dei 160 residenti in una palazzina poco distante dalla struttura originaria

L’emergenza sanitaria per la diffusione del virus Sars-Cov-2 è arrivata in Europa al suo punto di svolta, forse quello più critico. Il presidente francese Emmanuel Macron, durante un discorso ai cittadini francesi sui nuovi provvedimenti anti contagio, ha annunciato la decisione dell’Unione europea di chiudere le frontiere dell’area Schengen. A partire dalle 12 di oggi, martedì 17 marzo, per i seguenti 30 giorni “tutti i viaggi tra i paesi non europei ed europei saranno sospesi”. Fanno eccezione – come ha aggiunto, in seguito, la presidentessa della commissione europea Ursula von der Leyen – i cittadini europei che si mettono in moto per tornare a casa, il personale sanitario e  i ricercatori, così da “non appesantire ulteriormente i sistemi sanitari”.

In questo complicato quadro politico ci sono in gioco gli interessi di tre paesi: Siria, Russia e Turchia. La Turchia chiede l’appoggio dell’Unione Europea e per farlo, come detto, utilizza i migranti. Il messaggio è chiaro: se l’Europa continua a rimanere fuori dalle azioni militari in Siria, la Turchia non rispetterà più gli accordi sul blocco dei flussi migratori. La prima a rispondere è stata la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen: “La Commissione” – ha twittato sul suo profilo ufficiale – “sta seguendo con grande preoccupazione e da vicino la situazione. La nostra priorità di assicurare che Grecia e Bulgaria abbiano il nostro pieno supporto in questo momento”.

il motivo dell’apertura della frontiera è tutto politico: Erdogan, in cerca di fondi e alleati per continuare la sua campagna in Siria, cerca di fare la voce grossa minacciando di riversare milioni di persone alla frontiera con l’Europa (che nel 2016 ha siglato un accordo bilaterale con la Turchia per l’esternalizzazione del controllo dei suoi confini: in sostanza, dei migranti della rotta si sarebbe dovuta occupare Ankara, e ora Erdogan lamenta che la Ue non avrebbe mantenuto le sue promesse in cambio di questo ruolo). L’equilibrio di questa zona appare, ora più che mai, precario e sta esplodendo in quella che potrebbe diventare la più grave crisi umanitaria degli ultimi anni.

Il confine tra Turchia e Grecia è stato chiuso da recinzioni di filo spinato e controllato costantemente dai militari ellenici per impedire che altri rifugiati raggiungano l’Europa. Le autorità greche hanno già respinto 10mila migranti, e il premier ellenico Kyriakos Mītsotakīs ha annunciato che non verranno accettate nuove domande di asilo per il prossimo mese. I profughi sono stati invitati  a “non tentare di entrare illegalmente in Grecia perché saranno respinti”, e ai cellulari che si agganciano alle celle intorno al confine vengono inviati sms che invitano a tornare indietro.

il “sultano”, come ripicca per il mancato appoggio dell’Ue nei confronti di Ankara nell’ambito della battaglia di Idlib, ha annunciato di non voler più fermare i migranti che vogliono raggiungere il confine greco per raggiungere il territorio comunitario. Da allora, migliaia di persone hanno iniziato ad affollare i punti di frontiera e le coste dirimpettaie alle isole elleniche dell’Egeo.

La tensione lungo il fiume Evros in queste ore è dunque molto alta: adesso da entrambi i lati dei confini sono presenti le rispettive forze dell’esercito e di sicurezza, schierate le une di fronte alle altre con l’obiettivo di respingere o far passare con la forza i migranti. Questi ultimi dunque, molti dei quali, a differenza di quanto affermato da Erdogan, non coinvolti dalla battaglia di Idlib ed illusi dal governo turco di trovare le frontiere aperte con l’Europa, si ritrovano adesso in mezzo allo scontro politico aperto tra Atene ed Ankara.

Un massiccio schieramento di forze di sicurezza lungo i due fronti del confine tra Grecia e Turchia non lo si vedeva da tempo: anche questo è un segno di come la tensione, ora dopo ora, potrebbe essere destinata ad aumentare inesorabilmente.

“abbiamo inviato lungo il fiume Meric mille membri delle forze speciali di polizia – ha dichiarato il ministro degli interni turco Suleyman Soylu – completamente equipaggiati, per impedire loro di respingere i migranti”. Il fiume a cui fa riferimento il ministro è quello che in greco è conosciuto come Evros, il quale funge da confine naturale tra Grecia e Turchia.  

Le parole del rappresentante del governo di Ankara, suonano come un nuovo pericoloso guanto di sfida lanciato sia ad Atene che a Bruxelles: le autorità turche infatti, potrebbero a questo punto dispiegare le forze speciali per impedire fisicamente che dall’altra parte della frontiera si continui a respingere.

“Il confine è stato controllato con gli elicotteri – ha aggiunto il ministro Soylu – e non abbiamo intenzione di lasciare più ostacoli al passaggio di migranti”. Quest’ultima frase conferma quindi quelle che appaiono come le vere intenzioni di Ankara: far di tutto pur di vedere approdare migliaia di migranti in Grecia e poter quindi tornare a ricattare l’Europa.

Un vero e proprio esodo, a cui però Atene ha risposto con una certa risolutezza: blindati i confini, il governo greco guidato da Kyriakos Mitsotakis ha inviato mezzi e uomini per fronteggiare la situazione e respingere tutti coloro che hanno iniziato, dopo gli annunci di Erdogan, a premere per oltrepassare le barriere.

La stessa Ue ha parlato di Grecia come “scudo” dell’Europa: per adesso gli interventi voluti dall’esecutivo ellenico hanno impedito un nuovo massiccio afflusso di migranti verso la rotta balcanica, la stessa da cui tra il 2015 ed il 2016 più di un milione di persone sono arrivate nel nord del vecchio continente.

In poche parole, le misure prese da Atene hanno impedito al ricatto turco di attuarsi. Ma adesso da Ankara potrebbero tornare a rilanciare: in particolare, dalla capitale turca hanno fatto sapere che si è pronti a spedire le forze speciali verso il confine greco per impedire i respingimenti.

Il governo greco però, ha un altro motivo per provare a bloccare il flusso di profughi diretto verso le proprie frontiere. L’imperativo al momento è quello di non dare modo ad Erdogan di vincere e di ridimensionare le portate delle sue minacce. Grecia e Turchia non hanno mai goduto di ottimi rapporti e questo sia a livello storico che politico. Oggi Atene ed Ankara sono rivali in tanti dossier non indifferenti, a partire da quello energetico: Erdogan rivendica il diritto di trivellare nelle acque attorno a Cipro, la Grecia al contrario sostiene ovviamente le ragioni dei “cugini” di Nicosia in quella che ha tutto l’aspetto di essere la più importante partita del Mediterraneo orientale.

Un contrasto, quello tra greci e turchi, che ha sullo sfondo l’intera politica energetica da attuare in questa parte del Mediterraneo. E che adesso potrebbe vedere nella crisi migratoria innescata dalle frasi di Erdogan un nuovo importante round, che Atene non può permettersi di perdere. Costi quel che costi, anche se il rischio è quello di farsi carico in solitaria del problema migratorio.

La vera battaglia Ankara la sta combattendo a suon di trivellazioni. Nelle acque antistanti l’isola di Cipro infatti, vengono scoperti dei giacimenti di idrocarburi tra i più grandi e potenzialmente importanti dell’intero Mediterraneo. Un’occasione troppo ghiotta per Erdogan per implementare la sua politica in questo versante: poter avere anche una minima parte di quei giacimenti, darebbe alla Turchia una forte influenza in questa zona strategica del Mediterraneo. Per farlo, Ankara tira fuori la questione cipriota: sull’isola, come si sa, dal 1974 vi è la presenza militare turca che favorisce pochi anni dopo la creazione di uno Stato turcofono riconosciuto però solo dal paese anatolico. La comunità internazionale invece, ha rapporti con il governo grecofono che in realtà ufficialmente rappresenta l’intero territorio cipriota ed è un membro dell’Ue. La presenza però dello "Stato" turcofono, pone Erdogan nelle condizioni di rivendicare, tramite il governo di Cipro del Nord, una parte dei giacimenti che diventano subito oggetto di contrasti con l’Europa.

Secondo la Turchia, anche i turco ciprioti devono partecipare allo sfruttamento delle risorse attorno all’isola e dunque Ankara da alcuni mesi invia navi per trivellare ed esplorare i vari giacimenti. Dal canto suo, né il legittimo governo cipriota e né l’Ue sono ovviamente d’accordo con la visione di Erdogan. L’invio di navi turche nell’area è considerato illegale, Nicosia ed Atene sollecitano Bruxelles ad intervenire. Anche perché altri paesi, quali Italia e Francia, vedono compromessi in questo momento propri interessi: l’Eni, che con il governo cipriota stringe accordi per l’esplorazione di alcuni lotti dei giacimenti, si vede respingere nel 2018 la nave Saipem 1200 da parte della marina turca, anche la Francia con la Total ha analoghi problemi.

La risposta europea è però piuttosto blanda: vengono introdotte in estate alcune sanzioni, che da Ankara sono considerate però poco importanti e giudicate come non meritevoli nemmeno di considerazione..

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