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Quirinale, chi sarà il nuovo inquilino?

Sette giorni esatti. Tanti ne mancheranno domani, quando i palazzi della politica si rimettono in moto dopo le feste, alle dimissioni già ampiamente annunciate di Giorgio Napolitano. Da lì sarà tutta una rincorsa verso l’elezione del nuovo Presidente: il 13 Matteo Renzi terrà il discorso ufficiale di chiusura del Semestre italiano di Presidenza della Ue, il 14 arriveranno le dimissioni ufficiali del Capo dello Stato, il Presidente del Senato Pietro Grasso assumerà il ruolo di supplente, il Presidente della Camera Laura Boldrini convocherà per la fine del mese il Parlamento in seduta comune (1008 grandi elettori tra senatori, deputati, senatori a vita e rappresentanti delle regioni) per arrivare all’elezione nella prima metà di febbraio.

 

Per i primi tre voti servirà la maggioranza qualificata dei due terzi dell’Assemblea (672 consensi) mentre dal quarto la maggioranza assoluta (505 voti). Se questo è il timing che porterà al Quirinale un nuovo inquilino (ma nella memoria di tutti è ancora vivo lo choc di un Parlamento balcanizzato, ostaggio di franchi tiratori ed incapace di eleggere un nuovo Presidente nel 2013) sono le prossime settimane quelle decisive per ogni scelta. Con buona pace del premier, che ha dato per ‘chiusa’ la vicenda, il caos sulla norma ‘salva-Cav’ non accenna a diminuire e Renzi dovrà davvero, nei prossimi giorni, camminare sulle uova.

 

La partita è appena cominciata. Il nome di Prodi, già nei giorni scorsi, era stato la mela avvelenata porta dal leader di Sel Vendola a Renzi, per stanarne le intenzioni. Subito oggi il Blog di Grillo incorona il Prof, mentre il presidente Pd Orfini invita a "non mettere nessuno nel tritacarne". "Non faremo un dibattito sul nome ma sulle funzioni dell'Istituzione Presidente della Repubblica", promette intanto il premier ai deputati Pd. Le generalità di Romano Prodi, o altre dal profilo similare, indicano però la chiara volontà di una parte del Pd di non mettere al Colle un decorativo taglianastri, ma un Capo dello Stato dal peso politico simile a quello di Napolitano. Meglio se dem e lontano dall'intesa del Nazareno.

Intesa che Renzi ha mostrato ancora ieri di voler tenere in tutto conto, concedendo a Fi la clausola di salvaguardia sull'Italicum 2.0, che insieme al premio alla lista era una delle condizioni dei berlusconiani per il dialogo. Tutto si tiene, ricorda oggi l'azzurra Gelmini: "Legge elettorale, riforme costituzionali ed elezione rapida al Colle".

Se Pierluigi Bersani non ha parlato ieri, alla riunione dei gruppi Pd che ha lasciato prima del tempo senza dire una parola davanti a Matteo Renzi sul pasticcio 'salva-Cav, lo ha fatto oggi e con parole che peseranno sul percorso delle riforme e del Quirinale. "E' immaginabile partire da dove ci si è fermati", ha detto l'ex segretario e leader della minoranza dem. In molti si erano chiesti cosa avrebbe fatto Renzi se il dissenso nel Pd su delega fiscale, legge elettorale e riforme si fosse condensato attorno ad un nome per il Colle 'Patto Nazareno free', del tutto estraneo all'intesa Renzi-Berlusconi.

Bersani quel nome ora lo ha fatto: Romano Prodi. L'attenzione è ancora tutta spostata sull'Europa sotto attacco, dopo la strage islamica a Parigi. Poi ancora qualche giorno per baloccarsi sugli identikit. Ma con le dimissioni di Giorgio Napolitano, che lasceranno vacante la poltrona del Quirinale, si dovrà entrare nel merito delle scelte. Il nome fatto da Bersani aziona il count down, sta a significare che tutta un'area di dissenso (che va dalla minoranza dem alla sinistra di Sel, dai fittiani a pezzi di Ncd, Udc e Sc e può includere persino i grillini) potrebbe riorganizzarsi attorno ad un candidato non 'Pd-Fi available', mettendo in crisi il Patto del Nazareno. Che resta, al momento, la maggiore garanzia in tasca al premier di poter eleggere al quarto scrutino e con maggioranza ampia il nuovo Presidente, persino di fronte ad un plotone di franchi tiratori Pd.

Sia Forza Italia che la minoranza dem escludono che i malumori legati alla questione possano inquinare la partita sul Quirinale e quelle connesse sull’Italicum 2.0 (da domani in Aula al Senato) e della riforma del Senato (dall’8 in Aula alla Camera). Ma guarda caso i berlusconiani affilano le armi e tornano su accordi già chiusi, ritirando la disponibilità al premio di maggioranza alla lista e pretendendo risposte dal premier sulla clausola di salvaguardia (che allungherebbe fino al 2018 la legislatura). E intanto fanno sapere che sarebbe un ‘ricatto’ tenere sospeso il decreto fiscale fino a dopo l’elezione di un nuovo Presidente (come il premier ha annunciato di voler fare, magari rivedendo al ribasso il tetto del 3% dell’imponibile).

Se Renzi considera giusto lo spirito della norma - è il messaggio - riconfermi il decreto e basta. Di contro, la minoranza Pd pretende che quella norma sia cancellata e subito, per eliminare il sospetto di uno ‘scambio’ tra Berlusconi e Renzi, all’ombra del Patto del Nazareno, con la riabilitazione politica e la ricandidabilità del primo a fronte del via libera sulle scelte per il Quirinale del secondo. La cosa più pericolosa per il premier è che si sommi un fronte di nemici del Patto del Nazareno (dai grillini ai leghisti, dalla minoranza dem ai fittiani, Sel, parti di ncd, Udc, Sc) pronto a stringere accordi sul nome di un nuovo Presidente. Domani il premier riunisce i gruppi Pd per parlare di legge elettorale e di riforme, con un primo assaggio del filo rosso che terrà unite partite che lui vorrebbe giocare per parti separate.

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