Immagino già l’ilarità appena si legge il titolo, eppure sono convinto che sia possibile, anche nel nostro tempo, così difficile e arido. Concludevo la presentazione del libro di Giorgio Gibertini, “Per una nuova generazione di politici cattolici”, Sugarcoedizioni(2013) con l’accenno alla santificazione dei politici. Il giornalista propone una figura che non conoscevo e credo che siano in tanti a non conoscerlo, si tratta di Igino Giordani, padre di quattro figli, scrittore, studioso e cofondatore insieme a Chiara Lubich, del movimento dei Focolari. “Politico lontano da ogni privilegio”, scrive Gibertini, esercitò il ruolo di parlamentare come “servizio sociale, carità in atto”. Nel 1946 guidò “Il Popolo”, quotidiano della Democrazia Cristiana, dal quale si dimette l’anno successivo per smarcarsi dai continui tentativi di condizionamento esterni. Giordani ha scritto un centinaio di libri e oltre 4.000 articoli a sfondo politico, culturale e religioso. Molti di questi pubblicati dall’”Osservatore Romano”.
Giordani fu un testimone autentico di una politica estranea ai giochi di potere, affrancata dai privilegi, si definiva sempre come un segno di contraddizione, del resto come doveva essere ogni cristiano. Già nel 1944, scriveva che “il tempo è arduo” e bisogna vivere “eroicamente e non vilmente, la mediocrità non è concessa”. Non dobbiamo scoraggiarci, Giordani ha vissuto tempi più difficili. “Il messaggio che Giordani lascia al mondo oggi fa eco all’urgenza segnalata da Giovanni Paolo II all’inizio di questo nuovo millennio: vivere ‘questa misura alta della vita cristiana’ in fabbrica, a scuola, in ufficio, fra le faccende domestiche, in Parlamento”. Gibertini indica il cofondatore dei focolarini come un punto di partenza per una nuova generazione di politici cattolici. “Il popolo si aspetta poche idee e chiare, non molte idee e per di più confuse!”Gibertini insiste: “Le famiglie vogliono insegnanti che insegnino e medici che curino. Gli italiani aspettano delle guide credibili, evangelizzate e che evangelizzino, dei testimoni concreti che dalla caducità umana si rialzino per migliorarsi e migliorare la società in cui tutti viviamo, dei governatori che siano come accorti padri di famiglia, parsimoniosi e capaci di rigore ed amore verso i figli, dei parlamentari che non vivano quel ruolo come un posto a reddito fisso(…)”. Gibertini è convinto che è il nostro momento, tra l’altro “è obbligatorio farlo e senza complessi di inferiorità”.
Il beato Giovanni Paolo II nel 2000, ha proclamato S. Tommaso Moro, patrono dei governanti e dei politici, sicuramente per la politica è un messaggio forte che il Papa polacco ci ha offerto, di fronte alle“ardue sfide e gravi responsabilità”. Oggi c’è la necessità di “modelli credibili”, come S. Tommaso Moro, ma come tanti altri, santi e sante, che si sono distinti nell’arduo compito di guidare un popolo, una nazione, penso ai tanti re e regine, nella bimillenaria Storia della Chiesa.
Non posso non ricordare la grande e straordinaria opera di animazione e di imprenditoria del sociale della venerabile e presto beata Maria Cristina di Savoia, la “Reginella Santa” del popolo napoletano, giovane compagna di Ferdinando II, re del Regno delle Due Sicilie, che in soli tre anni, prima di lasciare questa terra, si è spesa a favore della gente più umile, bisognosa, organizzando innumerevoli opere sociali. Sarebbe importante studiare questa figura anche dal punto di vista sociale e non solo per la sua grande religiosità. Molto simile alla giovane regina, mi sembra la figura del beato Francesco Faà di Bruno, “Un italiano serio”, come ha tra l’altro titolato un libro Vittorio Messori, pubblicato dalle edizioni Paoline nel 1990. Tengo gelosamente una copia autenticata del libro nella mia biblioteca. Il beato Faà di Bruno, vissuto nell’Ottocento in Piemonte a Torino, contemporaneo di don Bosco, e di tanti altri santi, fu ufficiale di Stato Maggiore e poi scienziato, stimato in tutta Europa, ma umiliato, perché cristiano coerente, dalle autorità dell’Italia anticlericale. Fu una figura “poliedrica”, per via dei suoi innumerevoli impegni nella sua vita sociale, politica e religiosa.
Nel libro, Messori riporta le parole dell’allora Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il cardinale Pietro Palazzini, tra le centinaia di “cause”, ancora in corso per accertare se quei candidati meritassero di figurare negli elenchi della santità, il cardinale aveva scelto quella di Francesco Faà di Bruno.
C’è da chiedersi, come mai il Prefetto “delle cause dei Santi”, aveva scelto proprio quell’allora ancora semplice ‘Venerabile’, dedicandovi il tempo e la fatica di anni? Palazzini rispose a Messori che la Chiesa “propone all’attenzione alcuni dei suoi figli innanzitutto perché siano d’esempio, di monito, di stimolo agli altri cristiani e, coll’aiuto di Dio, costituiscono un possibile motivo di meditazione anche per chi è fuori dalla Chiesa. Ebbene: conosco ben pochi altri candidati alla santità che possano proporre tanti e così vari ‘esempi di vita’, che siano di testimonianza a così diverse categorie umane, come Francesco Faà di Bruno. In effetti fu un aristocratico che, pur mantenendo sempre alto il senso alto della dignità, seppe rinunciare ai privilegi della sua classe, consumando la sua vita e le sue sostanze a favore dei più sfortunati. Fu un ufficiale preparato e valoroso(…)Fu uno scienziato(…)Fu un professore universitario, impedito nella carriera dall’ostilità e dalle congiure settarie (…)Fu un inventore di strumenti socialmente utili (…)Fu un architetto e un ingegnere di grande abilità tecnica. Fu un musicista (…)Fu scrittore di libri scientifici. Fu educatore, fondando una rete di scuole(…) Fu fondatore – e ancora da laico- da una Congregazione femminile. Fu giornalista (…) Fu benefattore sociale (…) Fu prete zelatissimo…”.
Uno così potrebbe essere uno straordinario esempio utilissimo per tutti uomini e donne, che hanno qualche grado più o meno importante di responsabilità nella nostra società. Mentre scrivo sto guardando la fiction di Rai1 sul Commissario Calabresi, una figura anche questa da studiare, ci sono numerosi esponenti della Chiesa, primo tra i quali colui che fu il confessore e padre spirituale del commissario, don Ennio Innocenti, del clero romano, che chiedono di iniziare il processo di beatificazione. “Luigi Calabresi ha vissuto in pieno le “assurdità” cristiane - ha commentato il cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, nella prefazione al documentato libro di Giordano Brunettin, “Luigi Calabresi. Un profilo per la storia” (Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis) - non si è preoccupato del potere ma del dovere, non si è preoccupato della carriera ma della fedeltà alla coscienza, non ha cercato onori ma ha cercato di far onore alla verità e all’onestà. Per questo è stato ucciso; e, dopo l’uccisione, è stato più volte crocifisso da una campagna di menzogne che, finalmente, ora si stanno sciogliendo come la nebbia al sole”.
Anche Giovanni Paolo II in occasione del XXX anniversario del sacrificio di Calabresi (caduto nel 2002), lo ha definito, “generoso servitore dello Stato, fedele testimone del Vangelo, costante nella dedizione al proprio dovere pur fra gravi difficoltà e incomprensioni, esempio nell’anteporre sempre all’interesse privato il bene comune”.
Un’ultima puntualizzazione: uomini e donne che si rendono protagonisti di simili testimonianze non sono degli “alieni”, dei marziani inarrivabili, personaggi disincarnati. Non è così era gente come noi. “Solo che, a differenza di noi, - scrive Messori - seppero arrendersi davvero a quella Grazia che a tutti è proposta ma che non tutti può ‘lavorare’ allo stesso modo per le resistenze che le opponiamo”.