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Giulio Regeni: famiglia, non era uomo dei servizi segreti

Gli inquirenti italiani stanno lavorando per ricostruire la "rete" delle sue relazioni. Per capire chi in quella rete potrebbe averlo portato, indirettamente, alla morte. Perché chi sta cercando di dare un nome e un volto a chi lo ha brutalmente picchiato e torturato, ha raggiunto la ragionevole certezza che Regeni sia stato ucciso per le informazioni raccolte nel suo lavoro

La famiglia Regeni, attraverso il proprio legale, "smentisce categoricamente ed inequivocabilmente che Giulio sia stato un agente o un collaboratore di qualsiasi servizio segreto, italiano o straniero". "Provare ad avvalorare l'ipotesi che Giulio Regeni fosse un uomo al servizio dell'intelligence - prosegue la famiglia - significa offendere la memoria di un giovane universitario che aveva fatto della ricerca sul campo una legittima ambizione di studio e di vita".

I contatti di lavori di Giulio Regeni portano in Gran Bretagna. Come racconta la Stampa, lo studente friulano ha lavorato per un anno alla Oxford Analytica, "un'azienda d'intelligence fondata da un ex funzionario americano implicato nello scandalo Watergate"

La storia di Giulio Regeni porta stranamente alla porta di un vecchio scandalo, quello di Nixon. Mentre viveva in Gran Bretagna, lo studente friulano aveva lavorato per un anno presso un’azienda d’intelligence fondata da un ex funzionario americano implicato nello scandalo Watergate. Oggi, i suoi ex colleghi e amici presso la compagnia, secondo il quotidiano la Stampa e  la Oxford Analytica, sono tra i promotori di una petizione che chiede al governo britannico di fare pressione sulle autorità egiziane che indagano sulla vicenda. «Giulio era un collega fantastico, socievole, divertente. Ci manca molto», ricorda Ram Mashru, interpellato da i Giornalisti del quotidiano, altro giovane talento che con Giulio divideva la stanza presso la Oxford Analytica. «Era estremamente cauto nel condurre il suo lavoro – aggiunge - Certo, c’è sempre la possibilità che abbia attirato l’attenzione di qualche gruppo pericoloso, ma da quanto sappiamo Giulio non si comportava in maniera avventata o negligente».

Oxford Analytica come riferisce il quotidiano il Giornale è un ulteriore tassello nella storia di Giulio, un altro pezzo dei dieci anni trascorsi dal ricercatore di Cambridge nel Regno Unito, e potrebbe, forse, fornire qualche dettaglio per spiegare la sua morte. Il gruppo analizza tendenze politiche ed economiche su scala globale per enti privati, agenzie e ben cinquanta governi, una specie di privatizzazione di altissimo livello della raccolta di intelligence. Ha uffici, oltre che a Oxford, a New York, Washington e Parigi, e vanta una rete di 1,400 collaboratori. Promette “actionable intelligence”, informazioni su cui si possa agire, senza ideologie o inclinazioni politiche.

Secondo il quotidiano la Stampa : Dal settembre 2013 al settembre 2014, Giulio ha lavorato alla produzione del “Daily Brief”, una decina di articoli pubblicati ogni giorno sugli eventi principali e mandata a una lista di clienti d’elite. E’ uno dei prodotti di punta del gruppo, modellato sui briefing che Kissinger preparava per Nixon. Già, perché la storia del fondatore di Oxford Analytica, David Young, passa anche per uno dei capitoli più sinistri della storia USA. Young era, nella Casa Bianca di Nixon, tra i dirigenti dei cosiddetti “idraulici”, il gruppo che doveva “tappare” le fughe di notizie e di cui facevano parte anche G. Gordon Liddy e Howard Hunt, entrambi finiti dietro le sbarre per il Watergate. Dopo lo scandalo, Young lasciò l’America per completare un dottorato di ricerca in relazioni internazionali ad Oxford (leggenda vuole che la sua tesi fosse tenuta sotto chiave perché conteneva informazioni riservate), e nel 1975 fondò la Oxford Analytica. Nel cui board figurano anche John Negroponte, ex direttore della United States Intelligence Community e Sir Colin McColl, ex capo dell’MI6, il servizio segreto inglese. Mashru spiega che i rapporti speciali del gruppo, che tipicamente comportano da uno a sei mesi di lavoro, restano confidenziali. Certamente l’azienda sta tenendo un basso profilo. Ha mandato un messaggio in forma privata alla famiglia di Giulio, e per il resto è «no comment».

Da Cambridge secondo la Stampa si fa vivo il professore Glen Rangwala, con cui Regeni avrebbe dovuto collaborare per un corso non appena rientrato dall’Egitto. Rangwala smentisce l’ipotesi che dall’Università qualcuno possa aver passato i report del ragazzo agli 007: «Per nessun motivo al mondo gli accademici di Cambridge diffondono le ricerche degli studenti ai servizi segreti».

I suoi ex colleghi e amici stanno tentando un’azione pubblica, con la petizione che chiede al governo britannico di assicurare una “credibile” indagine sulla morte di Giulio La petizione ha raccolto finora circa 4,500 firme, ma ce ne vogliono dieci mila per forzare una risposta del governo. Il quale, per ora tace. “L’indagine è nelle mani delle autorità egiziane”, dicono.

Intanto due nuovi testimoni sono stati sentiti dalla polizia egiziana, alla presenza di investigatori italiani, nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio di Giulio Regeni. Si tratta, secondo quanto si è appreso a Roma, di due inquilini del palazzo in cui viveva il ricercatore universitario italiano. Sarebbero stati convocati per chiarire le circostanze, riferite da altri testimoni la cui attendibilità è tuttora oggetto di verifica, della presunta richiesta di informazioni su Regeni fatta da sconosciuti all'interno dell'immobile.

Una trentina tra amici, colleghi e professori universitari: sono i contatti via Skype e Facebook con i quali Giulio Regeni aveva rapporti quotidiani dal Cairo e sui quali ora si concentra l'attenzione degli inquirenti italiani per ricostruire la rete delle relazioni del ricercatore friulano. E, soprattutto, per capire chi in quella rete potrebbe averlo portato, indirettamente, alla morte. Perchè chi sta cercando di dare un nome e un volto a chi lo ha brutalmente picchiato e torturato, ha raggiunto la ragionevole certezza che Regeni sia stato ucciso per le informazioni raccolte nel suo lavoro. Che qualcun altro potrebbe aver utilizzato per altri scopi.

Giulio, hanno infatti accertato gli investigatori grazie all'analisi del computer consegnato dai genitori, teneva conversazioni quotidiane: chat in cui il ragazzo scambiava opinioni con colleghi e professori, inviava i report sui suoi incontri con esponenti dei sindacati indipendenti e dei venditori ambulanti, teneva la corrispondenza con chi seguiva i suoi studi. Gli inquirenti - alle prese con i continui depistaggi, come quello del supertestimone che si è presentato in ambasciata dicendo che Giulio sarebbe stato preso da due poliziotti attorno alle 17.30, salvo poi esser smentito sia dalla telefonata di Gervasio sia dalla chat con la fidanzata del giovane - vogliono dunque capire se questa mole di informazioni, in qualche modo uscita dal circuito accademico e finita nelle mani di qualcuno, possa aver portato Giulio ad entrare nel mirino di chi, poi, lo ha ridotto nel modo in cui è stato trovato la sera del 3 febbraio.

D'altronde, lo spiega bene il professore Khaled Fahmy dell'American University al Cairo, quello del lavoro, dei sindacati e degli attivisti «è il topic più pericoloso di cui occuparsi» al Cairo, un tema su cui «le agenzie di sicurezza sono molto sensibili». Ed è su questi temi che si è centrata l'audizione da parte del pm Sergio Colaiocco della professoressa Maha Abdelrahman, tutor di Regeni alla Cambridge University. La docente ha spiegato, tra l'altro, che la ricerca di Giulio era diventata partecipata, vale a dire prevedeva una partecipazione attiva alla vita degli organismi di cui doveva occuparsi.

Se questo possa aver influito sul destino di Giulio, però, la professoressa non ha saputo dirlo, sostenendo che avevano avuto solo contatti via mail e che si sarebbero sentiti nuovamente a marzo. Quel che è certo è che l'attuale campo di studio di Maha Abdelrahman è rappresentato dalle primavere arabe e dalla storia delle lotte sociali in Medio Oriente in quest'inizio di secolo.

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