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Parigi capitale mondiale della lotta al terrorismo

Parigi capitale mondiale della lotta al terrorismo. In due milioni sono scesi in piazza domenica a Parigi per la marcia repubblicana contro ikl terrorismo dopo gli attentanti che hanno terrorizzato la Francia. Accanto al primo ministro Manuel Valls e al presidente Francois Hollande - che ha ricevuto i capi di Stato presenti nella capitale francese - 44 leader internazionali, non tutti campioni della libertà di stampa in patria.

Il presidente Francoise Hollande ha aperto la giornata della grande marcia repubblicana contro il terrorismo, incontrando i rappresentanti della comunità ebraica francese.

A Parigi il vertice dei ministri dell'Interno e della Giustizia per discutere di misure per la lotta al terrorismo. Sul posto è arrivato il ministro Angelino Alfano. Partecipa anche il Commissario europeo all'Immigrazione e Affari interni, Dimitris Avramopoulos e il coordinatore Antiterrorismo Ue Gilles De Kerkhove ed i ministri Usa della Giustizia Eric Elder e quello canadese della Sicurezza pubblica Steven Blaney. In tutto le delegazioni sono 15, 11 di queste di Paesi Ue.

Hanno risposto all'appello il presidenti del Mali Ibrahim Boubacar Keita, che ha sfilato accanto a Hollande. Con il presidente francese in prima fila c'erano anche Angela Merke, Mattero Renzi il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen).

Presenti i capi di governo della Tunisia Mehdi Jomaa e della Turchia Ahmet Davutoglu. A Parigi sono arrivati anche il presidente del Niger Mahamadou Issoufou, del Gabon Ali Bongo Ondimba, del Benin Thomas Boni Yayi, della Romania Klaus Iohannis e dell'Ucraina Petro Poroschenko, ma anche re Abdullah di Giordania e la regina Rania.

Fra i leader europei c'erano anche il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy e i colleghi britannico David Cameron, belga Charles Michel, olandese Mark Rutte e danese Helle Thorning-Schmidt.

Alla marcia anche gli ex premier italiani Romano Prodi e Mario Monti.

Con loro anche i primi ministri di Ungheria, Grecia, Portogallo, Repubblica Ceca, Lettonia, Bulgaria, Croazia, Lussemburgo e Svezia, oltre alla presidente della Svizzera. A loro si aggiungeranno il presidente del Kosovo e i primi ministri di Albania e Georgia. Fra i ministri degli Esteri il russo Sergei Lavrov, con i colleghi egiziano, algerino e degli Emirati Arabi Uniti. Per gli Stati Uniti presente il ministro della Giustizia Eric Holder, per il Canada il ministro della Sicurezza interna e per l'Australia il presidente del Senato.

Presenti anche le istituzioni europee con il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, l'altorappresetnante per la politica estera Federica Mogherini, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. Con loro anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Anche la Lega Araba invierà un suo rappresentante e molti altri paesi manderanno i loro ambasciatori.

Non sono poi mancati l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy e gli ex primi ministri Edouard Balladur, Alain Juppé, Lionel Jospin, Jean-Pierre Raffarin, Dominique de Villepin, François Fillon e Jean-Marc Ayrault. Assente soltanto l'ex presidente Jacques Chirac per motivi di salute.

Ora c'è il Vaticano nel mirino dei terroristi, che si preparano al prossimo attentato dopo Parigi. A lanciare l'allarme sono i servizi segreti americani: hanno avvertito il Vaticano che la Santa Sede è il prossimo bersaglio negli obiettivi della lista dell'Isis. A riferirlo è stato il telegiornale la tv di Stato israeliana Canale 1, che non ha fornito altri dettagli. La notizia "esclusiva" - ma senza ulteriori specifiche - che ha aperto il telegiornale è dell'esperto di questioni mediorientali di Canale 1 Oded Granot. Successivamente è stata ripresa in un tweet da Ayala Hasson, che è la direttrice del tg.

Il Vaticano è un "possibile obiettivo" dell'Isis ma al momento "non ci sono segnali concreti" che possano far pensare ad un attacco, è poi appreso da fonti dell'intelligence italiana alla quale Mossad e Cia avrebbero inviato nei giorni scorsi informative in cui si analizzano i possibili scenari, senza però indicare elementi concreti di rischio.

La libera circolazione del sistema Schengen, su cui l'Unione europea pone le sue stesse fondamenta, non è in questione. Ma dopo le 17 vittime del terrore dei fratelli Kouachi e di Amedy Coulibaly ('fighters' tornati in Europa dopo l'addestramento nei campi di battaglia delle aree di crisi) i 28 tornano a chiedere alla Commissione Ue di «impegnarsi» per «attuare modifiche al regolamento di Schengen» e ottenere più informazioni sui movimenti alle frontiere.

La richiesta degli Stati membri è però una cosa ben lontana dall' «annullamento» e dalla «sospensione» su cui insistono nelle ultime ore i leader del Front National Marine Le Pen e quello della Lega Matteo Salvini. Perché «Schengen è una grande conquista di libertà, e non si può regalare ai terroristi il successo di tornare indietro», come spiega il ministro dell'Interno Angelino Alfano.

Si tratta della nostra «libertà di circolazione», evidenzia il capo della Farnesina Paolo Gentiloni, che aggiunge: «Se per alcune decine di terroristi rinunciamo alla libertà di circolazione e di espressione, gli facciamo un regalo enorme».

A farsi portavoce della richiesta di revisione del regolamento è il ministro dell'Interno francese Bernard Cazeneuve, al termine di una riunione straordinaria, a palazzo Beauveau. Un incontro che precede la grande marcia repubblicana di Parigi, e a cui partecipa il gruppo dei ministri dell'Interno di Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Italia, Olanda, Polonia, Gran Bretagna e Svezia, a cui si aggiungono Lettonia in qualità di presidenza di turno del Consiglio Ue, oltre a Stati Uniti e Canada.

Un gruppo che da almeno due anni lavora sul fenomeno dei circa 3000 europei andati a combattere in Siria (una cinquantina quelli italiani), in Iraq, in Afghanistan, che al loro rientro in Ue costituiscono una vera e propria bomba ad orologeria, come dimostrano i fatti degli ultimi mesi.

La modifica del regolamento era già stata chiesta dal consiglio Affari interni Ue lo scorso anno. In quell'occasione a farsi portavoce era stato il Belgio, all'indomani della sparatoria al museo ebraico di Bruxelles, dove Mehdi Nemmouche, il fondamentalista islamico francese addestrato nei campi di battaglia della Siria, aveva ucciso quattro persone. Ma da allora ad oggi il dossier non ha fatto grandi progressi.

Così come resta bloccato almeno da un paio d'anni al Parlamento europeo il progetto di direttiva sul Passenger name record (Pnr), per la registrazione dei passeggeri sui voli nell'area Schengen. «Uno strumento fondamentale» per la lotta al terrorismo, secondo i ministri Ue, che da tempo si trovano a cozzare contro il «no» di molti eurodeputati, che bloccano il provvedimento temendo un eccessivo abbassamento della soglia dei dati sensibili.

Ma si pensa anche al rafforzamento del dialogo con i colossi di Internet, principale strumento usato dai fondamentalisti per diffondere il jihad, e a un rafforzamento dello scambio di informazioni «chiave per il successo» nella lotta al terrorismo secondo Alfano, che ricorda come anche in Italia ci sia «la massima allerta». La presenza di «cellule dormienti» non può essere esclusa - dice - e mette in guardia: «non esiste in questo momento un Paese a rischio zero».

Occorre fare in fretta. Per questo i ministri si sono dati un nuovo appuntamento in un consiglio straordinario Ue nei prossimi giorni e alla conferenza anti-terrorismo alla Casa Bianca il 18 febbraio prossimo.

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