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Russia e Stati Uniti affilano le armi per il Venezuela. Ieri, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha mandato un messaggio molto chiaro nei confronti del governo di Nicolas Maduro. Su Twitter, il presidente degli Stati Uniti ha detto che la sua amministrazione segue “da vicino” la “terribile” situazione nel Paese sudamericano e ha detto che gli Usa “stanno facendo tutto il possibile” per aiutare la popolazione, mantenendo “aperte molte opzioni”. Il presidente ha evidenziato poi che il suo governo ha “molte opzioni aperte”. Secondo "occhi della guerra", questo elemento delle opzioni aperte è stato poi approfondito durante un’intervista a Fox in cui il presidente americano ha dichiarato: “Noi stiamo facendo tutto quello che possiamo, salvo, sapete, l’azione massima”. E il riferimento è stato, ovviamente, a un’opzione militare. “Ci sono molte persone che vorrebbero che lo facessimo”, ha aggiunto il capo della Casa Bianca, dicendo che fra le opzioni possibili ci sono alcune che “non voglio neanche nominarle perché sono molto severe”.

Le parole di Trump entrano come un martello in una crisi che ormai sembra arrivata a una svolta. E che rischia di deflagrare in un altro scontro internazionale. L’ennesimo di un mondo che vede ormai come una costante le tensioni fra i poli del pianeta, con Russia, Stati Uniti e Cina che guidano “dalla regia” una serie di conflitto a bassa o media intensità in diversi parti del globo. L’America Latina non da eccezione e Caracas è un altro di questi laboratori di Guerra fredda del XXI secolo, con Maduro da un alto e Juan Guaidò sostenuto apertamente da Washington.

La sfida fra Russia e Usa secondo "occhi della guerra", è ormai evidente. Ieri, in una telefonata bollente fra Mike Pompeo e Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo ha accusato Washington di ingerenze nella politica venezuelana, denunciando “l’influenza distruttiva” degli Stati Uniti sul Venezuela. Per il ministro russo, “l’ingerenza di Washington negli affari del Venezuela è una flagrante violazione del diritto internazionale” e “questa influenza distruttrice non ha nulla a che vedere con la democrazia” ribadendo che il futuro del Venezuela lo deciderà solo “il popolo venezuelano”.Accuse dirette e moto precise cui ha risposto Pompeo, che, come lo stesso Lavrov, non ha usato mezzi termini.

Intanto a casa nostra durante l'incontro alla Casina Pio IV in Vaticano, papa Francesco ha attaccato frontalmente quegli Stati che "attuano le loro relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione". Anche in questo caso quello che il Pontefice ha in mente è proprio la gestione degli sbarchi e degli arrivi. Secondo Bergoglio, le frontiere degli Stati "non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee" e "molte tensioni provengono da un'eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune". Da qui la sua "preoccupazione" per il riemergere, "un po' dovunque nel mondo", di "correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune". Il rischio, a detta di Bergoglio, è "compromettere forme già consolidate di cooperazione internazionale".

In vista delle elezioni europee del prossimo 26 maggio, il Santo Padre auspica che il Vecchio Continente non perda "la consapevolezza dei benefici apportati da questo cammino di avvicinamento e concordia tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra". "Lo Stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un'isola rispetto al contesto circostante", ha sottolineato il Pontefice. "Nell'attuale situazione di globalizzazione non solo dell'economia ma anche degli scambi tecnologici e culturali, lo Stato nazionale - ha continuato - non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio. Quando un bene comune sopranazionale è chiaramente identificato, occorre un'apposita autorità legalmente e concordemente costituita capace di agevolare la sua attuazione". E le sfide che vorrebbe mettere sul campo spaziano dal cambiamento climatico alle "nuove schiavitù". "Un visione cooperativa fra le Nazioni - ha infine concluso - può muovere la storia rilanciando il multilateralismo, opposto sia alle nuove spinte nazionalistiche, sia a una politica egemonica".

Secondo il Giornale Papa Francesco è tornato a ribadire il proprio no al "nazionalismo conflittuale" che "alza muri". Durante l'udienza ai partecipanti l'Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che si terrà fino a domani alla Casina Pio IV in Vaticano, ha duramente bacchettato quei partiti e movimenti che si fanno portavoce di istanze sovraniste e ha chiesto maggiore accoglienza per gli immigrati che partono alla volta dell'Occidente. "Uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla propria missione - ha tuonato - sappiamo dalla storia dove conducono simili deviazioni. Penso all'Europa del secolo scorso".

Il tema dell'assemblea plenaria è "Nation, State, Nation-State" e papa Francesco ha ancora messo al centro l'emergenza immigrazione criticando apertamente la posizione dei partiti di destra che, una volta al governo, hanno deciso di chiudere i confini agli ingressi illegali. Per il Santo Padre è "compito dell'autorità pubblica proteggere i migranti e regolare con la virtù della prudenza i flussi migratori, come pure promuovere l'accoglienza in modo che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti". "Il modo in cui una nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l'umanità. Ogni persona umana è membro dell'umanità e ha la stessa dignità. Quando una persona o una famiglia è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità", ha spiegato nell'udienza alla plenaria ribadendo che gli obblighi verso i migranti vengono declinati su quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. "Il migrante - ha, quindi, aggiunto - non è una minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie. Anche lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve".

Intanto Luigi Di Maio presenta, a Roma, il programma del M5S in vista delle europee del 26 maggio, Matteo Salvini vola a Budapest per incontrare il primo ministro ungherese, Viktor Orban. "Vado in Ungheria per costruire una nuova Europa", annuncia il leader della Lega che incontrerà anche il ministro dell'Interno, Sandor Pinter.

Un Partito popolare europeo che distolga lo sguardo da sinistra, stracciando l'alleanza degli ultimi anni con i socialisti e che si rivolga invece verso destra, verso il nuovo gruppo sovranista a cui sta lavorando Salvini. A quella che sembra una missione impossibile, visti gli orientamenti attuali a Strasburgo e Bruxelles della dirigenza del Ppe, mirano il leader del Carroccio e un peso "massimo" dei futuri equilibri europei come Orban, recentemente sospeso dal Ppe proprio per le sue posizioni estremiste. Oggi Salvini è appunto in visita istituzionale a Budapest e, in qualità di ministro dell'Interno, avrà un bilaterale con l'omologo Pinter. Ma non è un mistero che il vero motivo del viaggio è mettere sul tavolo del leader di Fidesz le future alleanze in vista del voto del 26 maggio.

Ieri, come riferisce il giornale nel corso di un comizio elettorale a Tivoli, Salvini ha spiegato che la visita da Orban servirà "a costruire un'Europa diversa che protegga i confini e la nostra cultura". "Dipende dagli elettori, dipende da come voteranno i cittadini italiani - ha continuato il vice premier - se scelgono la Lega, quello che stiamo facendo in Italia lo faremo in Europa ovviamente alleandoci con tutti tranne che con la sinistra". L'ultimo incontro ufficiale tra i con il premier ungherese risale allo scorso agosto, a Milano, nella sede della prefettura. "Salvini ha un ruolo politico importante, noi abbiamo interesse a consolidare con lui un buon rapporto - ha spiegato ieri Orban in una intervista alla Stampa - la gente qui lo vede come un compagno della stessa sorte, subiamo entrambi attacchi, ma lui è l'eroe che ha fermato per primo le migrazioni dal mare, noi sulla terra".

 

 

 

 

Il leader dell'opposizione Juan Guaidó ha lanciato un appello ad una rivolta militare in Venezuela in un breve video nel quale appare in una base aerea a Caracas circondato da soldati pesantemente armati. Al suo fianco l'attivista Leopoldo Lopez, già agli arresti domiciliari, che ha annunciato di essere stato liberato dalle forze armate.

I militari contrari a Nicolas Maduro liberano Leopoldo Lopez, leader dell'opposizione venezuelana. Lopez si trovava agli arresti domiciliari ed è stato liberato da forze anti-chaviste in un'azione coordinata con il presidente dell'Assemblea nazionale, Juan Guaidò

Lopez ha confermato la fine degli arresti domiciliari scrivendo su Twitter che il Venezuela "ha iniziato la fase definitiva per la fine dell'usurpazione, l'Operazione Libertà". "Sono stato liberato da militari agli ordini della Costituzione e del presidente Guaidò", ha scritto il leader di Voluntad Popular. "Mi trovo nella Base La Carlota. Mobilitiamoci tutti. È ora di conquistare la libertà. Forza e Fede".

La notizia della liberazione di Lopez e dell'appello di Guaidò alla rivolta hanno ovviamente suscitato imediatamente le reazioni del mondo. Da parte dell'Unione europea, c'è stata una presa di posizione molto pacata. Da Bruxelles, Maja Kocijancic, portavoce della diplomazia dell'Ue ha detto che l'Unione "sostiene una soluzione pacifica" alla crisi in Venezuela "attraverso libere elezioni".

La Osa, l'Organizzazione degli Stati Americani, ha invece applaudito alla scelta dei militari di sostenere Guaidò, ma ha detto di confidare in una transizione democratica: "Salutiamo il rispetto dei militari per la Costituzione e il presidente incaricato del Venezuela", ha scritto il segretario generale, Luis Almagro, su Twitter. Ma ha anche concluso che "è necessario il pieno appoggio al processo di transizione democratica in maniera pacifica".

Dagli Stati Uniti, il senatore Marco Rubio, uno dei repubblicani più attivi sul fronte venezuelano, è intervenuto esortando gli ufficiali a sostenere l'autoproclamato presidente del Paese e riconosciuto da Washington quale leader. Il presidente Donald Trump, come informa la portavoce Sarah Sanders, è stato informato sulla situazione in Venezuela: "Stiamo monitorando i fatti in corso". Mentre la Spagna, da sempre attiva sul fronte di Caracas, ha detto di non appoggiare alcun intervento militare.

Il presidente della Colombia, Ivan Duque, ha convocato subito una riunione urgente del gruppo di Lima "con l'obiettivo di continuare ad appoggiare con decisione il ritorno della democrazia in Venezuela" ha annunciato il ministro degli Esteri colombiano, Carlos Holmes Trujillo.

Duro l'attacco di Evo Morales, presidente della Bolivia, che sul suo profilo ufficiale Twitter ha scritto: "Chiediamo ai governi dell'America latina di condannare il colpo di Stato in Venezuela e impedire che la violenza porti via vite di innocenti. Sarebbe un nefasto precedente lasciare che l'intromissione golpista s'installi nella regione. Il dialogo e la pace devono imporsi sul golpe".

"Informiamo il popolo del Venezuela che in questo momento stiamo affrontando e neutralizzando un ridotto gruppo di militari traditori che hanno occupato il Distributore Altamira" il principale accesso alla città "per promuovere un colpo di Stato contro la Costituzione e la pace della Repubblica", ha scritto su twitter il ministro dell'Informazione di Nicolas Maduro, Jorge Rodriguez. "A questo tentativo si è unita l'ultradestra golpista e assassina, che ha annunciato il suo piano violento da mesi. Chiamiamo il popolo alla massima allerta".

Gas lacrimogeni sono stati lanciati sui manifestanti in autostrada, secondo il quotidiano il Giornale vicino alla base. Il centro della rivolta guidata da Guaidò e da Lopez, è il distributore Altamira, uno svincolo di accesso alla città che si trova vicino alla base militare di La Carlota. Alcuni manifestanti si sono impadroniti di due autoblindo che hanno messo di traverso sulla strada. Secondo i media ufficiali, un gruppo ha cercato di penetrare nella base militare, ma l'operazione non avrebbe avuto successo.

Il vicepresidente del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), Diosdado Cabello ha invitato tutti i chavisti a recarsi al Palazzo presidenziale di Miraflores per difendere la Costituzione ed il presidente Nicolas Maduro. "Stiamo sventando un tentativo di golpe di un piccolo gruppo dell'ultradestra appoggiato da ex militari, da pochi elementi dei servizi di intelligence Sebin e dell'esercito bolivariano".

Intanto, come scrive il giornale subito dopo la liberazione di Lopez e l'appello di Guaidò, la Guardia Nacional del Venezuela ha sparato lacrimogeni contro i militari e i civili davanti alla base militare La Carlota. Violenze anche sul ponte Altamira, nella capitale venezuelana. I video diffusi in rete mostrano militari con maschere antigas circondati dal fumo dei lacrimogeni, mentre la folla fugge coprendosi il volto.

Intanto, il presidente dell'Assemblea nazionale venezuelana, Juan Guaidó, ha inviato al popolo venezuelano un messaggio video insieme a Lopez a un gruppo di militari, chiedendo a soldati dell'esercito e popolazione a far sì che vi sia la "cessazione definitiva dell'usurpazione". Guaidò ha lanciato poi un "grande appello ai dipendenti pubblici" per "recuperare la sovranità nazionale". E ha ringraziato i "coraggiosi" assicurando che le Forze armate sono "chiaramente dalla parte del popolo, fedeli alla Costituzione

Il presidente dell'Assemblea nazionale venezuelana, Juan Guaidó, ha lanciato un messaggio video alla nazione accompagnato da Leopoldo López, rilasciato dagli arresti domiciliari, e da un gruppo di soldati per esortare i militari e la popolazione civile a scendere in strada per chiedere la «cessazione definitiva dell'usurpazione». Guaidó ha trasmesso un video sui social network in cui, senza fare riferimento alla presenza dello storico oppositore di Maduro, lancia un «grande appello ai dipendenti pubblici» per «recuperare la sovranità nazionale». Quindi ha ringraziato i «coraggiosi» per il sostegno e ha assicurato che le Forze armate sono «chiaramente dalla parte del popolo, fedeli alla Costituzione».

Spari nella base, almeno un ferito. Almeno una persona sarebbe rimasta ferita nella base militare La Carlota da cui il presidente dell'Assemblea nazionale Juan Guaidò sta guidando la rivolta anti-Maduro affiancato dai militari. Lo riferiscono vari media internazionali, tra cui l'emittente spagnola Directo. Sul ponte vicino alla base, come documenta anche un video della Rtve, si sono uditi spari e sono stati lanciati lacrimogeni

Guaidò, capo dell'Assemblea nazionale ha assicurato di trovarsi nella base aerea di La Carlota, situata alla periferia di Caracas, e a circa 15 chilometri in linea retta dal Palazzo Miraflores, sede della Presidenza. «Mi trovo con le principali unità militari della nostra Forza armata per dare inizio alla fase finale dell'Operazione Libertà», ha dichiarato Guaidó, sotto la premessa che «il momento è ora». «Momento di coraggio e saggezza affinché arrivi la calma dal Venezuela», ha ribadito.

Il ministro della Difesa e comandante in capo della Forza armata nazionale bolivariana (Fanb) ha assicurato via Twitter che la situazione nel Paese è sotto controllo e che gli autori della rivolta sono «vigliacchi» che si sono alzati contro la Costituzione. La Fanb, ha aggiunto, si mantiene ferma a difesa della Costituzione e delle sue autorità legittime. Tutte le unità militari dispiegate nelle otto regioni del Paese riportano una situazione di normalità nelle caserme sotto la guida dei loro comandanti naturali.

Secondo il quotidiano spagnolo El Pais, i militari venezuelani hanno poi assunto il controllo della base aerea della Carlota, ad est di Caracas. Il governo di Maduro ha già parlato di tentativo di golpe da parte di "militari traditori".

"Informiamo il popolo del Venezuela che in questo momento ci stiamo scontrando e stiamo neutralizzando un piccolo gruppo di militari traditori", ha annunciato su Twitter il ministro portavoce del governo di Caracas, Jorge Rodriguez.

 

 

 

Matteo Salvini, in un colloquio sulle pagine di Repubblica : Io di pazienza ne avrei, ma la gente si avvicina per fare selfie, stringermi la mano e mi dice: Matteo, ma questi 5 Stelle vogliono continuare ancora così? Ti attaccano sempre? Perché non rompi?".

"Io non voglio fare polemica, nonostante tutto quel che mi è stato detto in queste ore - assicura il responsabile del Viminale - ma mi chiedo se la mia stessa pazienza ce l'hanno ancora gli elettori che hanno voluto questo governo". Quanto a Di Maio, "non l'ho sentito e non rispondo alle provocazioni". Salvini si sofferma dunque sul caso Siri, con il premier Giuseppe Conte chiamato a fare da 'arbitrò, "il presidente del Consiglio è libero di incontrare chi vuole - dice il leader della Lega - Io con Siri ho parlato, mi ha detto di essere tranquillo e tanto mi basta. Per me deve restare al suo posto. Spero abbia modo di spiegare ai magistrati che in un Paese normale lo avrebbero chiamato dopo un quarto d'ora, non settimane dopo".

«Siri resta dov'è». Le uniche tre parole della Lega sull'argomento, le pronuncia a metà mattina Matteo Salvini. Sul resto delle bordate grilline contro il sottosegretario, che il M5S scaglia per l'intera giornata, dal Carroccio filtra solo un lapidario «chiacchiere da bar». Secondo il Messaggero definire il vicepremier Di Maio e il Guardasigilli Bonafede come un paio di perdigiorno che si intrattengono su questioni che non conoscono o sulle quali non hanno potere di incidere, la dice lunga sulla stato dei rapporti tra i due alleati. Per Salvini il sottosegretario resta al suo posto e questo rende alquanto inutile interrogarsi sui meccanismi della sua rimozione. Dimissionare in consiglio dei ministri il sottosegretario Siri senza l'assenso del Carroccio equivale ad aprire una crisi di governo e il M5S ne è consapevole al netto della propaganda.

La vicenda approfondisce via via in più il fossato tra M5S e Lega e mostra la corda l'intesa basata su un contratto che non prevede regole per la contesa elettorale. A Salvini la vicenda pesa anche perché non giova all'immagine del Carroccio essere chiamato a rispondere, in ogni occasione pubblica, su una vicenda che si presta molto alla strumentalizzazione. Di Maio invece ci punta molto e anche ieri ha scatenato tutti i big del movimento contro l'alleato. Il coinvolgimento di Conte da parte del M5S, e il clima di rissa che si generato, non è detto però che giovi. Peraltro Conte ha dalla sua solo l'arma della moral-suasion, mentre per avviare eventuali procedure burocratiche per ottenere le dimissioni, c'è bisogno del via libera di Salvini. Ammesso che si arrivi mai ad una conclusione del genere, dato che il senatore Siri potrebbe a quel punto decidere il passo indietro in assoluta autonomia.

La questione è quindi destinata a trascinarsi ancora. Secondo il Messaggero con il M5S che sfrutta a piene mani l'inchiesta per la campagna elettorale coinvolgendo il presidente del Consiglio che la prossima settimana dovrebbe incontrare il sottosegretario. Giuseppe Conte è da oggi in Cina - dove adottano procedure alquanto diverse per ottenere le dimissioni - per partecipare al raduno dei firmatari il memorandum sulla Via della Seta. Non è comunque detto che l'incontro a palazzo Chigi avvenga lunedì - come sostengono i grillini - e prima dell'incontro di Siri con i magistrati che lo indagano. Prendere tempo significa per Salvini conoscere ancora meglio i contorni dell'inchiesta ed evitare che la faccenda arrivi rapidamente in consiglio dei ministri dove si consumerebbe uno strappo, e quindi la crisi, qualora Conte dovesse proporre le dimissioni senza il via libera leghista.

Resta il fatto che Salvini continua a difendere a spada tratta il suo sottosegretario ma il nervosismo è palpabile. Al punto che ieri il ministro dell'Interno sono scappate un paio di frasi garantiste che a molti leghisti della prima ora non possono non ricordare l'alleato di Arcore: «In un Paese civile se si indaga qualcuno bisogna ascoltarlo un'ora dopo, no una settimana dopo». come dice Salvini sempre secondo il quotidiano Romano è ancora più preciso: «Anche i giudici che sbagliano devono pagare, come tutti gli altri lavoratori». Due concetti garantisti che stridono con il giustizialismo dell'alleato che continua a chiedere le dimissioni di Siri con sempre maggiore insistenza.

Quanto possa durare il teatrino è difficile dirlo, ma anche ieri è riuscito ad oscurare le pessime news che arrivano sul fronte dei conti pubblici e dello spread volato a 270 punti. Per ora il diretto interessato continua a negare ogni addebito, ma è di fatto anche un po' ostaggio della contesa che rischia anche di ripercuotersi su chi indaga qualora dovesse preoccuparsi di non deludere i grillini. Qualora Siri dovesse riuscire ad incontrare il presidente del Consiglio dopo i magistrati potrebbe avere nuovi argomenti per sostenere la sua innocenza o per lasciare spontaneamente il ministero dei Trasporti senza essere brutalmente dimissionato

E così Luigi Di maio decide di rincarare la dose e in un'intervista al Corriere della Sera mette nel mirino proprio il premier Conte che dovrà decidere sulle dimissioni del sottosegretario. I Cinque Stelle chiedono al premier la linea dura e Di Maio su questo punto non usa giri di parole: "Questo attaccamento alla poltrona non lo capisco. Gli abbiamo chiesto un passo indietro. Continui a fare il senatore, non va mica per strada. Parliamo tanto di lotta ai delinquenti e quando un politico è indagato per corruzione stiamo zitti? Eh no, non funziona così. Dove è la coerenza? Certo che Conte dovrebbe spingerlo alle dimissioni. E lo farà, ne sono sicuro".

Insomma dal Movimento è scattato l'ordine su Conte: "Fai dimettere Siri". Il premier molto probabilmente inconterrà lo stesso Siri e solo dopo un colloquio prenderà una decisione. Una decisione che però rischia di far saltare il banco. Secondo il giornale i rapporti tra Lega e Cinque Stelle sono tesissimi e non si esclude nemmeno un ritorno alle urne. Di Maio poi torna ancora sull'indagine e chiede informazioni al Carroccio sui rapporti con Paolo Arata: "Di Salvini mi fido, meno di chi gli sta intorno. Mi riferisco a questo Paolo Arata che avrebbe scritto il programma sull’energia della Lega, che lo propose alla guida dell’Autorità Arera e che, per le inchieste, è il faccendiere di Vito Nicastri, vicino alla mafia. Credo che la Lega debba prendere le distanze da lui e chiarire il suo ruolo, visto che il figlio è stato assunto da Giorgetti". Infine manda un messaggio a Salvini: "Secondo il vicepremier sulla vicenda deve rispondere ai cittadini, non a noi. Noi abbiamo fatto quello che dovevamo, togliendo le deleghe a Siri". Insomma lo scontro adesso è aperto. Conte è sotto pressione e gli esiti di questo braccio di ferro potrebbero essere imprevedibili...

Matteo Salvini prende spunto dal titolo de La Verità per dire la sua sugli ultimi sviluppi del caso Siri. Il sottosegretario leghista alle Infrastrutture è indagato per corruzione dalla procura di Roma perché, secondo gli inquirenti, avrebbe ricevuto una tangente da 30 mila euro dall'ex parlamentare Paolo Arata in cambio di interventi legislativi nel settore dell'energia eolica.

Ci sono, però, stando a quanto pubblicato finora dai giornali, almeno due punti che non convincono nell'impianto accusatorio. Secondo il Giornale Il primo è che la norma per cui Siri si sarebbe speso non è stata approvata. Il secondo è che anche nelle stesse intercettazioni trapelate finora - intercettazioni che non coinvolgono direttamente il sottosegretario, ma riguardano un colloquio tra Paolo Arata e suo figlio - si legge la frase «questa operazione ci è costata 30mila euro», senza che Siri venga citato. Il tutto, peraltro, per una cifra certo non particolarmente allettante per chi percepisce uno stipendio da senatore.

Ora si aggiunge un altro elemento. Secondo una fonte della Procura di Roma riportata da il giornale non ci sarebbero intercettazioni in cui Siri viene nominato. Un vero e proprio giallo, insomma. Il Corriere della Sera, tirato in ballo per aver pubblicato l'intercettazione che non esisterebbe, nella sua edizione on line ha pubblicato la foto del decreto di perquisizione nei confronti dell'imprenditore Paolo Franco Arata in cui i pm scrivono che il sottosegretario Siri è indagato per corruzione in quanto «riceveva indebitamente la promessa e/o la dazione di 30.000 da parte di Paolo Franco Arata». I magistrati, ha sottolineato il Corriere.it, «hanno formulato l'accusa dopo aver ascoltato le intercettazioni delle conversazioni tra Paolo Arata e il figlio Francesco. A destare l'attenzione», scrive il giornale di via Solferino, «è in particolare un colloquio durante il quale l'imprenditore spiega che cosa è stato fatto per cercare di far passare i provvedimenti e parla di un'operazione costata 30 mila euro, riferendosi a Siri». In sostanza nulla che non fosse già emerso in precedenza.

Il problema è che la questione politica - complice la tensione all'interno del governo e la campagna elettorale - resta più che mai vivo. Ieri Luigi Di Maio ha lanciato una nuova stoccata contro Salvini, in visita a Corleone. Secondo il Giornale  «Siri si difenderà e sono sicuro che risulterà innocente. Ma intanto lavoriamo alla sanzione politica, altrimenti che senso ha dire che si festeggia a Corleone volendo eliminare la Mafia? La Mafia la elimini se dai l'esempio». In attesa dell'interrogatorio formale, Siri ha comunque deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee. «Tutto falso, lui è pronto a dimostrarlo, ma prima dobbiamo leggere gli atti. Non c'è stata alcuna contestazione, soltanto una proroga di indagine» spiega l'avvocato Pinelli. La Lega è decisa a resistere, con Salvini convinto di poter resistere alle pressioni e ai fendenti degli «alleati». «Siri resta dov'è, ci mancherebbe altro. Ha detto che chiarirà. I magistrati lo sentano al più presto. In un Paese civile se si indaga qualcuno lo si sente un quarto d'ora dopo, non settimane dopo».

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