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È scontro nel governo sui minibot, con il leader della Lega Matteo Salvini pronto ad andare avanti con l'adozione di questa misura economica e il titolare del dicastero di via XX settembre, Giovani Tria, su tutt'altra posizione

"Il nostro obiettivo è pagare i debiti dello Stato sennò lo stato non ha nessuna credibilità per chiedere le tasse ai cittadini", ha detto il vice premier Luigi Di Maio all'assemblea di Confartigianato precisando: "Non mi affeziono a un nome in particolare".

Anche il deputato della Lega, Claudio Borghi, va all'attacco del ministro dell'Economia: "Ci vuole una grande pazienza, non so perché la pensi così, quando potremo fare una riunione gli spiegheremo che non è così. Il Ministro dell'Economia deve fare quel che il programma di governo, che lui ha visto e sottoscritto, dice",  afferma, ad un Giorno da Pecora, su Rai  Radio1, Claudio Borghi. Poi aggiuge: il ministro "non li ha ancora capiti. Non sono illegali, perché nessuno è obbligato ad accettarli. Gli faremo cambiare idea".

Una bella 'gatta da pelare' per il Presidente del Consiglio Conte, che dovrà trovare un punto di contatto tra le due posizioni di Salvini e Tria. Nel frattempo, quest'ultimo continua la propia azione di moral suasion nei confronti dell'Ue e dichiara che "la nostra politica fiscale è prudente", aggiungendo che "questo governo è più prudente di prima. Non considerate i 'rumori' elettorali". Poi, sempre su Salvini bacchetta sulle dichiarazioni del ministro dell'interno che auspica una prossima legge di bilancio "trumpiana" con la maxi sforbiciata fiscale messa in atto dal presidente statunitense. "Una manovra trumpiana implica avere il dollaro, e noi abbiamo l'euro", ha ribadito Tria che continua: "a parte questo la nostra manovra è quella che abbiamo deciso e approvato", "basata su "una politica fiscale prudente, ma compatibile con la necessità di crescere di più".

Ma sulle scelte in campo economico della maggioranza di Governo Salvini precisa che i "non sono solo nel contratto di governo, ma sono anche stati votati dalla Camera dei deputati".

Dall’Euromoney conference di Londra, il ministro dell'Economia boccia l'eventuale introduzione dei minibot e afferma:"su questo argomento voglio essere chiaro, non credo che i minibot verranno introdotti - perché, scono il ministro si tratta di uno strumento - pericoloso e non necessario". Dall'assemblea 2019 di Confartigianato, invece Matteo Salvini ha dichiarato che i minibot "sono uno strumento per pagare i debiti della pubblica amministrazione" e poi continua: "se qualcuno ha uno strumento più intelligente bene, altrimenti si va avanti con quello".

Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, sotto assedio della Lega su minibot e fisco. "Vuo fare il ministro? Deve ridurre le tasse", dice il ministro dell'Interno, Matteo Salvini. E aggiunge:  "Mi pagano lo stipendio per dare lavoro agli italiani, non per dire signor sì, signor padrone in un ufficio a Bruxelles.

Tria è un nostro ministro che porterà avanti il programma di tutto il governo che nella prossima manovra economica avrà il taglio delle tasse come punto centrale. Chi vuole fare il ministro di questa squadra sa che il taglio delle tasse è la priorità di questo Paese", ha affermato Salvini a Confartigianato. "Tagliare le tasse non è un capriccio di Salvini, è un'emergenza", ha aggiunto.

Parlando a Londra di fronte ad una platea di investitori e operatori finanziari, Tria ha detto che i minibot sono una misura "illegale e non necessaria". "Credo che il parlamento non avesse compreso la situazione reale, a volte decide cose solo per ragioni politiche - ha proseguito, notando per altro come già "il giorno dopo alcuni partiti" si fossero "chiamati fuori".

Ma, a stretto giro, arriva la replica di Salvini, intervenuto oggi all'assemblea di Confartigianato. "I minibot non stanno solo nel Contratto di governo ma sono stati anche votati dalla Camera: sono uno strumento per pagare i debiti della Pubblica amministrazione. Se qualcuno ha un mezzo più intelligente bene, altrimenti dico che si va avanti".

Intanto «In assenza di miglioramenti» sul fronte dell'inflazione «saranno necessari ulteriori stimoli». Lo sottolinea in un discorso al forum Bce di Sintra il presidente dell'Eurotower Mario Draghi, ricordando come «ulteriori tagli dei tassi e misure per mitigare eventuali effetti collaterali continuano a far parte degli strumenti a nostra disposizione».

Lo spread fra il Btp decennale e il bund scivola sotto i 250 punti base, a 246, segnando il minimo dallo scorso aprile. Mario Draghi, il presidente della Bce, ha detto che ulteriori tagli dei tassi restano fra le opzioni disponibili, che che il quantitative easing (Qe) ha ancora spazio.

Ma sul tema è il presidente americano Donald Trum ad attaccare attraverso Twitter: "Mario Draghi ha appena annunciato che potrebbero arrivare altri stimoli (all'economia europea),che hanno immediatamente fatto scivolare l'euro rispetto al dollaro. Così per gli europei diventa ingiustamente più facile competere con gli Stati Uniti. Sono anni che vanno avanti così insieme con la Cina ed altri Paesi

Scrive sul suo twwet il Presidente Americano : Mario Draghi just announced more stimulus could come, which immediately dropped the Euro against the Dollar, making it unfairly easier for them to compete against the USA. They have been getting away with this for years, along with China and others.

Per il leader degli Stati Uniti, l’unione europea rischia di essere uno schermo con cui Berlino applica la sua strategia sfidando la politica industriale americana. Ed è per questo che da tempo parla di dazi nei confronti dell’Europa che sarebbero in particolare tesi a colpire l’industria automobilistica tedesca, così come è questo il motivo per cui il presidente americano vede con estremo favore la Brexit e anche l’ascesa di governo ed esponenti politici tendenzialmente euro scettici o contrari all’asse franco-tedesco. La strategia di Trump è molto più complessa e articolata di quanto si voglia credere.

Un tweet che arriva dopo alcuni giorni in cui lo stesso presidente Usa aveva rilanciato un articolo di Bloomberg in cui si parlava del fatto che grazie all’euro i Paesi dell’Eurozona facessero di fatto concorrenza sleale nei confronti degli Stati Uniti sul fronte del turismo. In quell’occasione il leader della Casa Bianca aveva attaccato la moneta unica europea era un problema per gli Stati Uniti in quanto era proprio la sua svalutazione a creare le premesse per danneggiare l’economia americana. Per Trump, il tweet aveva due obiettivi: da un lato l’euro, dall’altro la Federal Reserve. Perché è chiaro che quel messaggio rivolto all’euro rappresentava anche l’ultimo episodio di uno scontro con la Banca centrale americana che vede il presidente Usa sostenere, l’abbassamento dei tassi mentre la Fed perseguire su un’altra direzione, mostrando una divergenza senza precedenti fra Washington e i vertici della Fed.

La guerra di Trump nei confronti dell’euro continua quindi. Ed è un conflitto che va avanti da parecchi mesi, se non direttamente dall’inizio dell’ascesa del tycoon alla guida della Casa Bianca. Una guerra che ha un chiari significato strategico. Da una parte, Trump vuole sostenere la politica di abbassamento dei tassi mettendo nel mirino le politiche della Bce. Il suo messaggio nei confronti della Fed è chiaro: “Se gli altri fanno così, dobbiamo farlo anche noi”. Dall’altro lato, non per il caso specifico di Draghi, l’obiettivo a medio e lungo termine è anche quello di colpire non tanto l’euro in sé quanto il fatto che esso si sia trasformato in uno strumento da parte della Germania per accrescere la sua leadership all’interno dell’Unione europea e sostenere il surplus commerciale che è da sempre il vero obiettivo della politica europea di Trump

Appena ricevuto la notizia delle parole del presidente della Banca centrale europea, Trump è intervenuto con uno dei suoi soliti tweet con cui annuncia battaglia. Il presidente degli Stati Uniti ha scritto: “Mario Draghi ha appena annunciato che potrebbero arrivare altri stimoli, che hanno immediatamente fatto cadere l’euro contro il dollaro, rendendo più facile e in maniera scorretta competere contro gli Stati Uniti. Sono anni che l’hanno fatta insieme alla Cina e ad altri”. Un attacco su tutta la linea che è stato seguito da un altro tweet con cui il leader della Casa Bianca ha detto: “I mercati europei sono cresciuti dopo i commenti (non equi per gli Stati Uniti) di Mario D”.  

Cosi Donald Trump continua la sua guerra all’euro. E questa volta lo fa attaccando direttamente il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Durante il simposio di Sintra, in Portogallo, Draghi ha parlato della possibilità di “ulteriori stimoli” nei confronti dell’economia dell’Unione europea. E questa frase ha scosso il presidente degli Stati Uniti, che da tempo accusa la Bce di applicare tassi ridotti e far calare il prezzo dell’euro per effettuare una sorta di concorrenza sleale nei confronti del dollaro.

In vista del 9 luglio, quando l' Ecofin potrebbe lanciare ufficialmente la procedura d'infrazione contro l'Italia per la mancata discesa del debito, Salvini ha aggiunto: «Noi passiamo dalle grandi strategie economico-commerciali e geopolitiche qua a Washington alle piccolezze delle "multine", delle infrazioni, dei controllori imposti da Bruxelles. Abbiamo visto in Grecia come è finita. Hanno ammazzato un popolo e spalancato le porte ai cinesi che si sono comprati un paese attraverso un porto. L'Italia non è la Grecia. Noi puntiamo a convincerli coi numeri, i dati, il buon senso e la cortesia. Altrimenti le tasse le tagliamo lo stesso agli italiani, a Bruxelles se ne facciano una ragione».

La flat tax si farà». Parola di Matteo Salvini. Da Washington, dove ieri ha parlato alla stampa, il vice presidente del consiglio ha spiegato che la flat tax «non è una scelta» e che «ci devono essere i margini» per farla. Poi si può decidere come modularla negli anni, visto che abbiamo davanti quattro anni ma un taglio delle tasse non per tutti ma per tanti ci deve essere dalla prossima

Per Salvini sarebbe poi «un errore strategico, non solo commerciale ma geopolitico, allontanare la Russia dall'Occidente per lasciarla nelle braccia della potenza cinese». Per questo «credo si debba fare di tutto per tornare al tavolo» delle discussioni. Parlando da Washington - dove ieri ha parlato alla stampa italiana alla vigilia del suo incontro odierno con il segretario di Stato, Mike Pompeo, e con il vicepresidente, Mike Pence - il vice presidente del consiglio ha aggiunto: «Al di là della convenienza economica per le nostre aziende, preferisco ragionare con Mosca piuttosto che rinsaldare l'asse Mosca-Pechino. Mi sembra banale».

Intanto secondo il quotidiano della famiglia Berlusconi, lo scorso anno Sea watch aveva raccolto 1.797.388,49 euro spendendo oltre il 55%, ovvero 784.210 euro per la sua nave già sequestrata tre volte dall'Italia e da Malta, che sta ciondolando davanti a Lampedusa con una quarantina di migranti a bordo. I principali sostenitori, che ci mettono la faccia, pubblicata sul bilancio della Ong estremista tedesca, sono un gruppo variegato di personaggi molto noti in Germania. Uno dei più attivi è il capogruppo dei Verdi nel Parlamento di Berlino, Hofreite, deputato dal 2005. Al suo fianco per aiutare Sea watch il discusso Gregor Gysi, leader riformista alla fine della Germania Est sopravvissuto al crollo del muro di Berlino. Anche l'attrice tedesca Katja Hannchen Leni Riemann e il gruppo rock di Amburgo, Revolverheld, sono testimonial e finanziatori di Sea watch. Una delle sostenitrice più influenti è Barbara Lochbihler, europarlamentare dal 2009 fino a quest'anno ed ex segretario di Amnesty international in Germania. A Strasburgo ha fatto proseliti: Elena Ethel Schlein è stata eletta eurodeputata del Pd nell'ultima legislatura, anche se nel 2015 ha lasciato il partito per aderire al movimento di Giuseppe Civati.

In febbraio, dopo il primo sequestro di Sea watch 3, ha organizzato una raccolta fondi per i talebani dell'accoglienza. In quattro mesi ha raccolto da 48 sostenitori appena 3.567 euro che sono andati «direttamente a Sea watch per sostenere le loro operazioni».

Scrive il quotidiano il giornale : I talebani dell'accoglienza tedesca, Sea watch e Sea eye, su un portale ad hoc, «ringraziano le Chiese per la promozione del salvataggio in mare nel Mediterraneo». E pubblicano le dichiarazioni ed i volti di alti esponenti ecclesiastici come testimonial per le donazioni. Fra i sostenitori c'è anche il cardinale cattolico Reinhard Marx che si appella ai cristiani: «Finché ci sono persone che nella loro angoscia e disperazione si fanno strada attraverso il Mediterraneo, la nostra missione è la misericordia». E sotto si può donare qualsiasi cifra, che verrà così suddivisa: 10% ad Alarm phone, il centralino dei migranti che vuole sostituirsi ai Centri di soccorso degli Stati, 40% a Sea eye e Sea watch ed il rimanente 10% a Solidarity at sea, che sostiene legalmente gli equipaggi delle Ong «minacciati da un processo» per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Nel bilancio 2018 di Sea watch l'esborso dei 262.435 euro per l'aereo di ricognizione Moonbird, che decolla da Lampedusa individuando i gommoni dei migranti, è stato «sostenuto in modo significativo dalla Chiesa evangelica in Germania».

È continua il quotidiano,  e interessante spulciare nella raccolta fondi odierna di Sea watch organizzata sulla piattaforma tedesca Better place, dove sono stati già donati oltre 370mila euro. I finanziatori sono quasi 7mila, ma nella stragrande maggioranza anonimi con cifre che variano da 5 ad un massimo di 790 euro. Pochissimi i donatori che pubblicano il nome intero, come Ines Schimidt, 252 euro donati e raccolti per il suo compleanno. Alcuni rendono noto solo il nome con l'iniziale del cognome come Rosa R., che ha finanziato Sea watch due volte per un totale di 232 euro.

In Italia la pseudo Ong Mediterranea, di nave Jonio sotto sequestro, ha raccolto 769.748,50 euro con 3306 sostenitori. Sulla sua pagina in rete cita come supporter i sindaci Leoluca Orlando di Palermo e Luigi de Magistris di Napoli, Greenpeace Italia e Fondo Fuocoammare creato sulla scia del successo del film che ha vinto l'Orso d'oro a Berlino nel 2016. Non mancano Comitato Addiopizzo, la Cgil, i Giuristi democratici, la Lega coop sociali Friuli-Venezia Giulia e Potere al Popolo di Palermo, orfani del comunismo duro e puro. Non solo: L'Arci fa strenua campagna per raccogliere il 5xmille a favore di Mediterranea. E Banca Etica, preferita dai parlamentari grillini, ha permesso l'acquisto della nave sotto sequestro con quasi mezzo milione di euro.

Fra i testimonial è spuntato pure il cardinale Reinhard Marx. E per il 2019 il fabbisogno, come raccolta fondi, è di «110-130mila euro al mese» secondo l'Ong tedesca.

In Italia la nave Mare Jonio, sotto sequestro dopo sbarchi illegali di migranti, è appoggiata addirittura dall'Arci con il 5 per mille, sindaci e organizzazioni si sinistra. L'Ong Open arms, appena attraccata a Napoli con la nave omonima, è nata con i fondi di una compagnia marittima spagnola, il Gruppo Ibazibal, ma ha ricevuto donazioni pure dall'attore americano Richard Gere e da una società calcistica come il Manchester city.

La Chiesa evangelica tedesca, Anton «Toni» Hofreite, capogruppo dei Verdi nel Bundestag, Gregor Gysi, l'ultimo leader della Germania Est pro Gorbaciov, l'ex europarlamentare del Pd, Elena Ethel Schlein, sono alcuni dei principali sostenitori di Sea watch, la Ong talebana dell'accoglienza.

La sfida della "capitana", scrive il quotidiano il giornale,  della Sea Watch non è solo a Salvini, ma anche al decreto Sicurezza bis che, appena approvato, ha subito trovato applicazione. Sabato scorso il governo, in modo compatto, ha firmato "il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3 nelle acque italiane". Il divieto è, poi, stato notificato dagli uomini della Guardia di Finanza alla comandante dell'imbarcazione. Ma l'ong tedesca, da sempre restia a rispettare le leggi (italiane e internazionali), ha subito fatto sapere, tramite la portavoce Giorgia Linardi, di non essere intenzionata a fare marcia indietro. "Riportando indietro queste persone", ha spiegato, lo staff della Sea Watch "commetterebbe un crimine per cui l'Italia è già stata condannata, ovvero quello del respingimento collettivo". Gli ultrà dell'accoglienza si appigliano da sempre a una sentenza del 2009 della Corte Europea dei Diritti dell'uomo che aveva sanzionato l'Italia proprio per aver rimandato in Libia un gruppo di migranti soccorsi in mare. Ma dall'anno scorso non trovano più a Roma chi è disposto ad ascoltarli. Dopo aver chiuso tutti i porti italiani, Salvini ha anche blindato le nostre acque.

In queste ore Salvini sta facendo leva sulla convinzione che l'ong tedesca sia in torto per aver disobbedito alle indicazioni della Guardia costiera libica che aveva indicato Tripoli come porto di sbarco per i migranti. E, grazie al decreto Sicurezza bis approvato dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi, può, appunto vietarne l'ingresso nelle acque italiane. Ma la situazione di stallo rischia di trasformarsi nell'ennesimo braccio di ferro giuridico e politico. La capitana Rackete, trentunenne tedesca dai capelli rasta, sembra infatti non avere alcuna intenzione di mollare di un solo millimetro. "Non abbiamo ancora preso alcuna decisione, dobbiamo valutare molti aspetti e lo faremo con la consulenza del nostro team legale", spiega a Repubblica rimarcando, però, che "Lampedusa rimane il porto sicuro più vicino al punto dove abbiamo effettuato il salvataggio". Chiusa, dunque, qualsiasi possibilità di riportarli in Libia o di attraccare in Tunisia. "Non li riporterò mai lì - scandisce - queste persone sono sotto la mia responsabilità. Alcune hanno sulla pelle i segni della tortura e sul corpo quelli dell' abuso sessuale". Il suo obbiettivo (dichiarato) è solo l'Italia. E farà di tutto per riusciure ad arrivarci, anche infrangendo un'infinità di leggi come ha già fatto per recuperare i 53 immigrati a poche miglia dalle coste libiche. Ma Salvini non è certo una persona che si arrende facilmente. "Per me - ha fatto sapere nei giorni scorsi - possono rimanere lì a galleggiare fino a Capodanno...".

 

 

 

 

 

La Turchia, storico partner della Nato, è arrivata a pensare l’impensabile: sostituire l’ultimo modello dell’industria aeronautica occidentale con i diretti concorrenti russi o cinesi. Ovvero, con i gioielli dei Paesi che Washington ritiene strategicamente rivali...

Ma non e solo questo Il presidente turco Receyp Erdogan annuncia che lì invierà provocatoriamente una delle sue navi perforazione, a caccia di gas così come sta facendo a Cipro, ma contravvenendo in questo modo a leggi e trattati internazionali. Ankara punta, pur senza averne alcun diritto, alle immense risorse di gas naturale presenti nell'Egeo e nel Mediterraneo orientale: e in questi due quadranti rivendica la sovranità sulle isole, contravvenendo al Trattato di Lisbona che invece delineò quei confini dopo la Prima Guerra Mondiale. Insomma, Erdogan critica quel trattato perché non gli consente di partecipare al nuovo business energetico che, per quantità e qualità delle risorse, determinerà la geopolitica di alleanze e influenze nel Mare Nostrum dei prossimi trent'anni. Una mossa che potrebbe avere non poche ripercussioni, perché segue lo schiaffo di Ankara all'Ue sulla crisi a Cipro. La Turchia infatti ha deciso di ignorare i richiami di Lady Pesc e di una buona metà delle cancellerie europee perforando abusivamente nelle acque della Zona economica esclusiva di Cipro, che il governo di Nicosia ha invece legittimamente affidato tramite una gara internazionale ai tre colossi di Eni, Exxon Mobile e Total.

Insomma la Turchia apre a piu fronti, nella sua voglia di espansione di tipo impero Ottomano, e fonti dalla Grecia informano di una certa allerta delle truppe Elleniche, ma vediamo come Il recente caso della diatriba turco-americana sui caccia F-35 e sul sistema di difesa aereo russo S-400 lo dimostra. Scrive il Giornale Ankara intende andare fino in fondo nella sua apertura all’acquisto degli S-400 e non sembra essere disposta a cedere alle minacce statunitensi di ridurre la cooperazione securitaria e di annullare le forniture di F-35 al Paese. Negli ultimi anni, a partire dal fallito golpe del 2016 dietro cui Erdogan ritiene di intravedere una regia americana, i rapporti tra Ankara e Washington sono stati tesi e complicati. Il caso F-35/S-400 cade nel pieno di un tentativo di distensione condotto dalle rispettive diplomazie che Erdogan e Donald Trump puntavano a concretizzare all’imminente summit del G20. Ora la Turchia, storico partner della Nato, è arrivata a pensare l’impensabile: sostituire l’ultimo modello dell’industria aeronautica occidentale con i diretti concorrenti russi o cinesi. Ovvero, con i gioielli dei Paesi che Washington ritiene strategicamente rivali.

Intanto la sinergia tra Pechino e Ankara potrebbe espandersi anche in ambito miltiare, dopo che nei mesi scorsi non erano mancati incontri, summit e abboccamenti tra i rispettivi vertici della Difesa. La Turchia guarda con interesse anche all’avanzamento della “Nuova Via della Seta”, per la quale rappresenterebbe assieme all’Iran uno dei pivot principali e, come sottolinea Santoro, “rifiuta di spaccare la Cina per conto degli americani con il martello uiguro”, avendo abbassato i toni sulla repressione di Pechino contro i musulmani dello Xinjiang.

Atteggiamento gradito a Pechino, dove vi sono smorzate le critiche di chi, come il generale Liu Yazhou, riteneva Ankara una minaccia ancora peggiore di Washington. Erdogan rilancia una vecchia ambizione del predecessore Turgat Ozal, che predicava una maggiore sinergia con l’Asia Centrale, e ricalibra il neo-ottomanismo dopo i disastri siriani. La Turchia punta a pensarsi come perno di uno spazio tricontinentale evitando l’eccessivo attaccamento a blocchi fissi e sfruttando la mutevolezza delle alleanze e le contingenze per giocare di sponda coi Paesi di taglia maggiore. Ovvero Stati Uniti, Russia e Cina. Affidandosi esclusivamente al suo fiuto tattico, tuttavia, Erdogan rischia di perdere di vista, una volta di più, il quadro strategico. Dimenticando che una politica estera equilibrista che cerchi di riaffermare le priorità del Paese e di ampliare la rosa dei potenziali alleati non può essere decisiva nel risolvere le contraddizioni del Paese, legate principalmente all’arresto della crescita economica, all’ inasprimento del clima politico e alla spaccatura tra città e Anatolia profonda.

Intanto scrive Francesco De Palo che l'isola greca di Kastellorizo, ultimo avamposto orientale ellenico, è di fatto al centro del dossier energetico, con le super potenze che accendono un fascio di luce sull'atollo che grandi emozioni suscitò in quella pellicola.

Come sottolinea Francesco De Palo c'è chi dice l'incidente o lo scontro aperto:  ma sta di fatto che nel frattempo attorno al gas, e al fine di diversificare l'approvviggionamento energetico per l'Ue, si è coagulato un triumvirato formato da Israele, Grecia e Cipro che, con la benedizione del Dipartimento di Stato Usa, ha fatto rete per gestire risorse e sfruttamento in chiave armonica. Una squadra che sta marciando, politicamente ed economicamente, compatta come dimostra l'interlocuzione con un altro player strategico di quella macro regione: l'Egitto. Tra l'altro Il Cairo e Nicosia si scambieranno 2.000 megawatt di alta tensione costante, grazie a un nuovo progetto, l'interconettore euro-africano.

Dopo il gasdotto Tap, che porterà il gas azero in Puglia, il Tanap tra Grecia e Bulgaria, a cui partecipa Snam, e i lavori per l'Eastmed, che sarà il più lungo in assoluto ma con il neo delle mille incertezze italiane, ecco che gli appetiti turchi non si smorzano. Anzi, sono destinati a incrementarsi perché nel frattempo Eni e Total stanno puntando anche oltre il blocco 7 di Cipro che si sono aggiudicati. E in Grecia è sorto un atollo interamente dedicato alla rigassificazione.

La strategia di Erdogan è nota da tempo, scrive Francesco De Palo farsi interlocutore del quadrante euroasiatico ma puntando a scomporre e contando su due nuovi progetti: la prima centrale atomica che Rosatom sta realizzando ad Antalyya (di fronte a Cipro) e il gasdotto Turkish Stream che connetterà Russia e Turchia bypassando l'Ucraina. Nel mezzo le mosse provocatorie nel Mediterraneo, dove ha intrapreso la via della provocazione costante. Da un anno i caccia turchi e i nuovi droni made in Turkey sconfinano quotidianamente nei cieli ellenici, con l'incidente sfiorato più volte con l'aviazione di Atene, che l'anno scorso perse un pilota di Mirage. Stesso dicasi per il dossier migranti, mai chiuso del tutto, con la spada di Damocle di centinaia di migliaia di profughi che Erdogan potrebbe decidere di lasciar partire per la Grecia e quindi per l'Europa.

Questa e la storia recente degli anni per spiegare il perche oggi ci troviamo in difficolta con il vicino e alleato Nato : Nel 2016, Erdogan affermò che la Turchia aveva "svenduto" le isole che "erano nostre" e che sono "a un tiro di schioppo" [dalla Turchia]. "Lì ci sono ancora le nostre moschee, i nostri santuari", egli disse, riferendosi all'occupazione ottomana delle isole.  

La Turchia insidia sistematicamente la Grecia. Più di recente, il 17 aprile, l'elicottero sul quale volavano dall'isolotto di Ro a Rodi il premier greco Alexis Tsipras assieme all'ammiraglio capo delle forze armate greche Evangelos Apostolakis è stato infastidito da due F16 turchi.

Con l'attacco illegale e l'occupazione di Cipro Nord nel 1974 e della città siriana di Afrin nel marzo scorso – senza pressoché nessuna reazione globale – la Turchia sembra sentirsi incontrastata e impaziente di perseverare, e questa volta sembrerebbe aver preso di mira le isole greche ricche di gas naturale e petrolio.

Con l'attacco illegale e l'occupazione di Cipro Nord nel 1974 e della città siriana di Afrin nel marzo di quest'anno – senza pressoché nessuna reazione globale – la Turchia sembra sentirsi incontrastata e impaziente di perseverare, e questa volta sembrerebbe aver preso di mira le isole greche ricche di gas naturale e petrolio.

"Mostrare interesse per l'Iraq, la Siria, la Libia, la Crimea, il Karabakh, la Bosnia e altre regioni fraterne è un dovere e un diritto della Turchia. La Turchia non è solo Turchia. Il giorno in cui rinunceremo a queste cose sarà il giorno in cui rinunceremo alla nostra libertà e al nostro futuro." – Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nel 2016.

I bisogni turchi sono in realtà soddisfatti dai rapporti con gli Stati Uniti. I funzionari turchi di solito ottengono tutto ciò che vogliono dall'Occidente, ma sembrano aver scelto di allinearsi con l'Iran e la Russia, probabilmente nel tentativo di ricattare maggiormente l'Occidente.

C'è una questione in merito alla quale l'Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, al potere in Turchia, e il Partito repubblicano del popolo (Chp), il suo principale oppositore, sono pienamente d'accordo ed è la convinzione che le isole greche occupino il territorio turco e che pertanto debbano essere riconquistate. Tale determinazione è così forte che i leader di entrambi i partiti hanno apertamente minacciato di inviare truppe nel Mar Egeo.

I due partiti però fanno a gara per dimostrare chi è il più potente e patriottico e chi ha il coraggio di mettere in atto la minaccia contro la Grecia. Mentre il Chp accusa l'Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan di consentire alla Grecia di occupare le terre turche, l'Akp attacca il Chp, partito fondatore della Turchia, accusandolo di aver permesso alla Grecia di prendersi le isole, grazie al Trattato di Losanna nel 1924, agli accordi italo-turchi del 1932 e al Trattato di Parigi del 1947, che riconoscevano tutti alla Repubblica ellenica i diritti di sovranità sulle isole dell'Egeo.

A gennaio scorso, il presidente turco ha preso di mira il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu, accusando di nuovo il suo partito che firmò il Trattato di Losanna di aver svenduto le isole nel corso dei negoziati. "Informeremo la nostra nazione di questo", ha dichiarato Erdogan. Tale affermazione implica che Erdogan accetta il fatto che le isole appartengano alla Grecia, ma allo stesso tempo ne denuncia "l'invasione" da parte della Repubblica ellenica, esprimendo la volontà di riappropriarsi di quei territori che un tempo erano sotto il dominio dell'Impero ottomano.

Tuttavia, la retorica del Chp è altrettanto aggressiva, con Kilicdaroglu che ha affermato davanti al parlamento turco che la Grecia aveva "occupato" 18 isole. Quando il ministro greco della Difesa Panos Kammenos si è detto "imbarazzato" per questa affermazione, il responsabile per la politica estera del Chp, Ozturk Yilmaz, gli ha risposto: "La Grecia non deve mettere la nostra pazienza alla prova". Yilmaz avrebbe anche aggiunto che "la Turchia è molto di più di un governo" e ogni ministro greco che provoca la Turchia sarà "colpito con una mazza sulla testa. (...) Se Kammenos ripassa la storia, troverà molti esempi".

La storia è infatti piena di esempi di violenze e massacri perpetrati dai turchi contro i greci anatolici. Il genocidio commesso contro i cristiani greci e armeni a Izmir nel 1922 è stato evocato da Devlet Bahceli, leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp), in un discorso pronunciato davanti al parlamento:

"Se i greci vogliono di nuovo finire in mare – se hanno voglia di essere inseguiti ancora – beh, sono i benvenuti. La nazione turca è pronta e fiduciosa di rifarlo. Qualcuno deve spiegare al governo greco cosa accadde nel 1921 e nel 1922. Se non lo farà nessuno, fionderemo come proiettili nel Mar Egeo, pioveremo dal cielo come una vittoria benedetta e insegneremo la storia daccapo ai messaggeri di ahl al-salib [il popolo della croce]".

Anche i propagandisti turchi hanno distorto i fatti per cercare di ritrarre la Grecia come l'aggressore. Umit Yalim, ex segretario generale del Ministero della Difesa nazionale, ad esempio, ha dichiarato che la "Grecia ha trasformato le isole in arsenali e avamposti militari in vista dei suo futuro intervento militare contro la Turchia".

Tutti i politici turchi sembrano avere la propria motivazione a essere ossessionati dalle isole: espansionismo turco tradizionale, turchificazione delle terre elleniche, neo-ottomanesimo e – fiore all'occhiello della conquista islamica – il jihad. Il desiderio di invadere le isole è anche dettato da ragioni strategiche, come si evince da una dichiarazione rilasciata dal vice-premier Tugrul Turkes sul controllo di Cipro da parte della Turchia dal 1974:

"Circolano erronee informazioni che la Turchia sia interessata a Cipro perché lì ci sarebbe una comunità turca. (...) Anche se nessun turco vivesse a Cipro, la Turchia avrebbe comunque una questione cipriota ed è impossibile rinunciarci".

Lo stesso atteggiamento e la medesima logica valgono per le isole del Mar Egeo. Sebbene i turchi sappiano che le isole appartengono giuridicamente e storicamente alla Grecia, le autorità turche vogliono occuparle e turchificarle, presumibilmente per promuovere la campagna di annientamento dei greci, come fecero in Anatolia dal 1914 al 1923 e anche in seguito. La distruzione di tutte le vestigia della cultura greca esistenti in Asia Minore, una regione greca prima dell'invasione turca dell'XI secolo, è quasi completa. Meno di 2 mila greci vivono ancora oggi in Turchia.

Tenuto conto della brutale invasione turca di Cipro del 1974, le attuali minacce contro la Grecia – da un capo all'altro dello spettro politico turco – non dovrebbero essere sottovalutate dall'Occidente. La Grecia è la culla della civiltà occidentale. Confina con l'Unione Europea. Qualsiasi attacco contro la Grecia dovrebbe essere considerato come un attacco contro l'Occidente. È ora che l'Occidente, che è rimasto in silenzio di fronte alle atrocità turche, si opponga ad Ankara.

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