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Cominciamo dall'aspetto più tragico, i troppi decessi a causa del letale virus. In un fondo interessante Riccardo Cascioli, riflette sul record di morti in prevalenza anziani in Lombardia e il conseguente loro abbandono. Senza minimizzare l'aggressività del Covid-19, un fattore importante dell'alta mortalità è l'insufficienza delle strutture sanitarie, a cui si è sommata l'incompetenza dimostrata dal governo.

Cascioli punta il dito sui tanti anziani che sono lentamente morti in casa, oppure sono arrivati in ospedale e rimandati a casa, «e non è certo colpa dei medici; semplicemente negli ospedali non ci sono più posti e scarseggiano anche i sanitari, colpiti loro stessi in gran numero dal coronavirus». (R. Cascioli, “Record di morti in Italia, c'entra l'abbandono degli anziani”, 23.3.2020, LaNuovaBQ.it).

«Quello che in altri tempi sarebbe potuto essere classificato come un caso di malasanità, oggi in certe zone è diventato purtroppo ordinaria amministrazione».

Cascioli riporta una serie di dati per evidenziare l'enorme disparità di tassi di mortalità da regione a regione. Il totale dei contagiati e dei morti si trova in Lombardia il 12,7%. La spiegazione di tanti è perchè in Lombardia si trova la popolazione più anziana. Non è affatto vero: delle 4 regioni prese in esame, la Lombardia è la più giovane: gli ultrasessantacinquenni sono il 22,6% della popolazione e l’indice di vecchiaia è 165,5, mentre per il Veneto è 172,1, per l’Emilia Romagna 182,6 e per il Piemonte addirittura 205,9 (vale a dire che ci sono più di 2 anziani per ogni ragazzo sotto i 14 anni).

Inoltre per quanto riguarda Bergamo e Brescia, sono due province, abbondantemente sotto la media regionale in quanto a indice di vecchiaia. Secondo Cascioli «il picco di mortalità in Lombardia non trova una spiegazione esauriente».

La questione è che «non essendoci posti letto sufficienti, le persone vengono lasciate morire. Non per cattiveria dei medici, non perché manchi la volontà di curare, ma semplicemente perché non c’è la possibilità di fare altrimenti».

Inoltre sottolinea Cascioli, «nei giorni scorsi è stato detto da più parti in Lombardia, un po’ sottovoce un po’ indirettamente, che i medici sono costretti a fare delle scelte».

Tuttavia pare che ai decessi dopo la terapia intensiva riportati ufficialmente dalla Protezione civile, si dovrebbero aggiungere quelli degli anziani morti in casa, che sono più numerosi.

Infatti Cascioli scrive: solo negli ultimi tre giorni in Lombardia sono morte 1.288 persone: fossero stati pazienti in buona parte ricoverati in terapia intensiva ne dovremmo vedere l’effetto, visto che questo numero è nettamente superiore a quello dei ricoverati giornalieri in terapia intensiva (ieri erano 1.142 contro i 1.050 di due giorni prima). 

Pertanto secondo il direttore de LaNuovaBQ citando le linee guida di etica clinica emanate il mese scorso dalla SIAARTI (Società Scientifica di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), indicano «la necessità di non occupare la terapia intensiva con persone anziane e con patologie pregresse. Con buona pace di chi, nei giorni scorsi, di fronte alla strategia annunciata dal premier britannico Boris Johnson, ha rivendicato per l’Italia una sorta di superiorità morale perché noi ci occupiamo di tutti allo stesso modo».

Dunque causa di questo disastro attuale è solo in parte l'aggressività del coronavirus, per Cascioli, parte importante è l’insufficienza del nostro sistema sanitario. E stiamo parlando della sanità lombarda. Poi alla debolezza strutturale si aggiunge il Governo Conte che, a oltre due mesi dalla notizia dell’epidemia in arrivo, non ha provveduto ancora a dotare il personale sanitario delle necessarie protezioni. Mascherine e guanti sono ancora introvabili. In ogni caso è già tardissimo, oltretutto con migliaia di medici ammalatisi a rendere ancora più difficile il lavoro a una categoria già sottodimensionata. Però è molto più comodo prendersela con quelli che fanno jogging.

L'Italia un modello per gli altri Paesi.

Un'altra osservazione frequente sui Media di questi giorni è quella che l'Italia è un modello per gli altri Paesi per come sta combattendo il corona virus. E' un ragionamento falso secondo Paolo Gulisano.

Circolano «narrazioni sui Media, sui social, che la strategia con cui l'Italia sta combattendo l'epidemia di Sars Covid 19 è la migliore possibile, un modello ovviamente invidiato e ammirato come tutto il resto del Made in Italy».(P. Gulisano, “L'Italia un modello? Certo, da non seguire”, 23.3.2020, LaNuovaBQ.it).

Gulisano fa riferimento a un articolo apparso ieri sul New York Times, a firma di Jason Horowitz, esperto di affari italiani. L’analisi di Horowitz è lucida e impietosa. «L’Italia ha commesso una serie di terribili errori strategici nella modalità di affrontare l’epidemia. L’Italia è il Paese in Europa dove l’epidemia si è di gran lunga più diffusa, e questo dovrebbe fare riflettere. Dove il numero di morti ha addirittura superato quello della Cina, che ha un numero di abitanti 25 volte superiore. E’ evidente che qualcosa non ha funzionato. Per certi versi si potrebbe dire che l’Italia sta diventando sì un modello per gli altri Paesi, ma come esempio di come non si debba procedere».

Sostanzialmente l'Italia è arrivata impreparata al conflitto, tra l'altro è accaduto spesso nella Storia. E continuando con i termini bellici «è come se il Governo avesse mandato allo sbaraglio i suoi soldati e ufficiali, come quando nella Prima Guerra Mondiale i generali mandavano i reparti al massacro fuori dalle trincee. Potremmo dire che questa sprovvedutezza è una eredità di anni di tagli insensati alla Sanità».

Continuando nelle riflessioni la situazione è stata poi complicata dalle scelte del governo Conte con l'attendismo, le incertezze di azione, sulla scarsa comprensione del fenomeno, sui mancati controlli sui rientri dalla Cina, motivati dall’intento di non apparire razzisti, di non fare regali alle forze politiche di opposizione. «Se l’esperienza italiana ha qualcosa da insegnare, fa notare Horowitz, è che le misure per isolare le aree colpite e per limitare gli spostamenti della popolazione devono essere adottate immediatamente, messe in atto con assoluta chiarezza e fatte rispettare rigorosamente».

Secondo Gulisano il virus si era da tempo diffuso, silenziosamente, a causa della mancanza di controlli sugli arrivi dalla Cina. Ormai sappiamo che ben prima del celebre caso uno di Codogno il virus era già attivo da settimane in Italia, trasmesso da persone asintomatiche e spesso scambiato per un’influenza stagionale. Tra l'altro si  è diffuso maggiormente in Lombardia, perchè è la regione italiana con le più forti relazioni commerciali con la Cina. (ecco perchè probabilmente in altre regioni d'Italia, in particolari al Sud, ci saranno meno contagi) .

Dagli “aperitivi solidali” allo Stato di polizia.

Infine un altro tema sul quale si sta discutendo a lungo è quello delle misure restrittive, le limitazioni della libertà. Chi avrebbe pensato, fino a poco tempo fa, che ci saremmo ritrovati in uno scenario di sostanziale legge marziale, in cui un’intera nazione è praticamente agli arresti domiciliari? Bisognava arrivare a questo punto per debellare un virus seppure letale? Anche ieri sera nella trasmissione su rete 4 di Barbara Palombelli, il dibattito tra gli intervenuti si è acceso. Certo non sarò io adesso a dover difendere la Costituzione, la Democrazia, sarebbe un paradosso, io che studiando la Storia, spesso mi appassiono per le gesta di combattenti, di generali, di Re e Regine, tra l'altro in gioventù ero perfino abbonato a un periodico dal titolo eloquente,“Monarchia”, io che recentemente ho riscoperto perfino la grande figura del dittatore illuminato, Antonio Oliveira Salazar.

Certo comprendo che di fronte a un nemico invisibile e letale non si può rispondere che con la quarantena più rigida, col risultato che occorre sacrificare momentaneamente la nostra libertà personale. Anche se in Corea del Sud non è stato proprio così. Comunque sia anche qui sono necessarie alcune riflessioni sul comportamento degli uomini di sinistra e del Governo. Siamo passati dagli “aperitivi solidali” allo Stato di polizia, dal relativismo all'autoritarismo, scrive il professore Eugenio Capozzi.

Per questa gente non era facile far accettare in base al realismo e al buonsenso di chiudere immediatamente i confini a quanti provenivano dalla Cina quel o costringere quest’ultimi alla quarantena. Simili misure suonavano radicalmente inaccettabili alle orecchie degli esponenti politici del Pd e dei 5Stelle, così come di tutta l’opinione pubblica “progressista” del paese. «Si trattava naturalmente di un tasto molto dolente, di un tema indigesto per generazioni di progressisti occidentali. Ma in Italia in particolare, nella cultura egemone a sinistra il tema della sicurezza nazionale era stato totalmente rimosso in favore dell’esaltazione di un europeismo astratto e idealizzato, così come della convinzione ingenua che il mondo globalizzato fosse ormai un mondo senza più confini effettivi, in cui la governance sovranazionale fosse in grado di affrontare qualsiasi problema e conflitto».(E. Capozzi, “Dagli “aperitivi solidali” allo Stato di polizia, relativismo e autoritarismo al tempo del Coronavirus”, 22.3.2020, L'Occidentale).

Pertanto chiudere i confini per questi politici omologati al pensiero unico “no border”, era pericoloso in sé, non si poteva dare ragione a Salvini e ai sovranisti. Se non ché arriviamo alla prima settimana di marzo, l'atteggiamento del governo Conte cambia bruscamente , è passato dalla“La situazione è sotto controllo”, dal“Niente allarmismi” alla strategia di un “lockdown” in stile “cinese” massiccio e indiscriminato sull’intero territorio nazionale; completato da misure via via più stringenti di limitazione della libertà di movimento di tutti i cittadini.

Addirittura qualche governatore di sinistra manifesta per l'occasione un piglio militaresco, quasi “sudamericano”, in cerca di facili consensi securitari (esibizione che se fosse stata fatta dall’ex ministro degli Interni avrebbe suscitato commenti di orrore e raccapriccio).

Intanto i Media, gli intellettuali, più o meno organici, si sono adeguati alla nuova linea. In pochi giorni siamo passati all'esaltazione dell'”uomo forte”, alla perentoria esortazione a “stare tutti a casa”. Fino alla pubblica delazione dei presunti “untori”, nella persona dei cittadini che, tra lo stupore dei nuovi zeloti, si ostinavano ancora a pretendere di camminare o correre da soli, pur essendo queste attività ancora legali e assolutamente compatibili con il “distanziamento sociale”.

Praticamente ora tutta l'attenzione viene posta sulla popolazione “indisciplinata”, la responsabilità è sua «dell’aumento dei contagi, scagionando così in un colpo le colossali inefficienze, i ritardi, le esitazioni fatali, le leggerezze, le preclusioni ideologiche da parte del governo che nelle settimane precedenti hanno trascinato il paese in una crisi drammatica con pochi precedenti nel dopoguerra».

Tuttavia Capozzi in questa “libido autoritaria” generale ha visto che viene esercitata anche dalle componenti della cultura politica di destra. Troppi esponenti della Lega e Fdl si sono associati con entusiasmo al governo in questa nuova strategia. Hanno fatto bene, hanno fatto male?

L’Europa non cambia mai. Ritorna il copione Grecia del 2015 .Angela Merkel non ha mai mostrato alcune reale empatia per le sorti dell’Italia. E quella frase di Christine Lagarde sullo spread – quando Piazza Affari crollava sotto i colpi della pandemia e forse delle speculazioni – era stato il segnale arrivato dalla Bce e quindi dalla linea tedesca su cosa volesse ora l’Europa. L’Ue non cerca di aiutare l’Italia: l’Ue vuole semplicemente che l’Italia faccia il suo compito. L’aiuterà, certo, ma non per pietà cristiana. Lo farà finché sarà utile salvare sé stessa, a evitare il crollo sanitario prima ancora che economico. Ma poi non ci saranno sconti.

Neanche con una crisi di proporzioni mondiali e con un Paese, l’Italia, sull’orlo del collasso sanitario. Le vane speranza degli europeisti più convinti si basavano sul fatto che l’Unione europea, per sopravvivere, avrebbe dovuto aiutare per forza il nostro Paese. Altrimenti il rischio catastrofe sarebbe stato dietro l’angolo, con pericoli sempre più crescenti per una struttura ormai a dir poco traballante come quella di Bruxelles. Ma come sempre la realtà supera l’immaginazione e dal Nord è arrivata la sentenza che condanna l’Italia. Su Mes e coronabond nessuna marcia indietro in termini di austerità e eventuali “commissariamenti” da parte del sistema finanziario europeo.

l’Europa continua a commettere lo stesso errore: non salva gli altri proprio pensando di poter salvare se stessa. Ma altro non farà che ampliare una frattura ormai enorme tra popoli e burocrazia, tra Sud e Nord Europa, tra “populisti” e tecnocrati. Nei giorni scorsi, il ministro della Finanze francese, Bruno Le Maire, aveva detto una frase molto chiara: l’Europa non si riprenderà se lascerà cadere l’Italia. Ma sembrano parole vuote di fronte a questa Ue. In un sistema dove i ministri della Sanità non rispondo alle richieste di ventilatori polmonari di un Paese che conta migliaia di morti, come si può pretendere che si possa credere a un’Europa solidale? L’Ue non è per definizione solidale: aspetta, con inquietante lucidità, che l’unica via di uscita sia cedere sovranità per evitare il baratro. Va dato, al ministro tedesco, di averci almeno risvegliato dai sogni.

La decisione è arrivata ovviamente da chi decide davvero sulle sorti dell’Europa. Altro che Ursula von der Leyen, Michel, il Consiglio europeo o altri burocrati messi lì non per decidere ma per rappresentare interessi più grandi di loro. La scelta della linea da seguire è arrivata direttamente dalla Germania, culla dell’Unione europea e probabilmente capitale della nuova Ue post-coronavirus. Il ministro dell’Economia Peter Altmaier è stato cristallino: nessuna concessione all’Italia per un “dibattito fantasma” sulle idee per una maggiore flessibilità in Europa.

Così com’è, il Mes è un’arma a doppio taglio. Il motivo è presto detto: come ricorda Repubblica, per accedere alle sue linee di credito (Eccl) è necessario sottoscrivere un programma con forti impegni sulla riduzione del debito. Certo, dall’altro lato l’intervento del fondo garantirebbe lo sblocco dell’Omt, il programma di acquisto illimitato di titoli da parte della Bce, utile per abbassare tassi e liberare risorse, ma gli impegni citati fanno rima con austerità e Troika. Insomma, il rischio di finire nelle sabbie mobili è altissimo.

Accanto alle valutazioni di natura tecnica ci sono le considerazioni politiche dei singoli Paesi. Austria, Olanda, Finlandia e Germania temono che le nazioni più indebitate, come ad esempio l’Italia, possano abbeverarsi alla fonte del Fondo salva-Stati senza pagare il conto. I governi mediterranei, invece, vorrebbero accedere al Mes senza vincoli. La loro giustificazione? La crisi in corso non è da ricollegare agli errori di un Paese ma è qualcosa che colpisce tutti allo stesso modo e che mette in discussione la tenuta della stessa Ue (tra l’altro le stesse istituzioni dell’Unione europea sottoscrivono in pieno).

Nessun testo condiviso e tanto meno nessun accordo su come utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) per far fronte all’emergenza provocata dal nuovo coronavirus in Europa. L’ultima riunione dell’Eurogruppo ha reso ancora più profondo il fossato che divide i due schieramenti in campo: da una parte la Germania e i governi del Nord, dall’altra l’Italia, la Spagna e il “fronte del sud”.

La proposta di Klaus Regling prevede un prestito del Fondo salva-Stati fino al 2% del pil da spendere contro il Covid-19 con l’unica prospettiva futura di rispettare le regole del patto di stabilità. Per i “nordici”, niente da fare.

Nel frattempo il ministro Gualtieri ha fatto capire che l’Italia non chiederà l’intervento del Mes se ci sarà una qualsiasi forma di condizionalità. Ma al momento, e in attesa di ulteriori decisioni, l’unica certezza è che la linea del governo giallorosso si è schiantata contro un muro.

Tutte le opzioni continuano a restare sul tavolo ma intanto l’ennesima riunione tra i ministri delle Finanze Ue ha dato fumata nera. La palla passa ai capi di Stato e di governo, che adesso dovranno decidere il da farsi. In tutto questo una delle posizioni più nette è quella presa dall’Olanda. Secondo il premier Mark Rutte, la cui opinione è sposata anche dall’austriaco Kurtz e, sottotraccia, dalla cancelliera Merkel, le misure fin qui adottate sarebbero più che sufficienti. Tradotto: l’Italia e gli altri si facciano bastare il piano di acquisto di titoli della Bce e la sospensione del patto di stabilità, con il via libera agli aiuti di Stato, l’uso dei fondi strutturali per le spese sanitarie e il piano di prestiti della Banca europea per gli investimenti.

la proposta del premier sul Mes non ha ricevuto il consenso da parte del centrodestra. La leader di FdI, Giorgia Meloni, ha invitato il governo a non cedere ai “diktat franco-tedeschi”, auspicando “le quote versate dai singoli Stati per il Mes ritornino interamente nelle mani dei cittadini”.

Cosi la richiesta di ricorrere al fondo salva stati senza le clausole di condizionalità è arrivata proprio dal presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, dopo il via libera della Commissione Ue alla sospensione del Patto di Stabilità che sarà oggi bloccata dall’Ecofin.

Il punto di maggiore contrasto tra i capi di Stato e di Governo è proprio la flessibilità del fondo salva-Stati. Un nodo sul quale i Paesi nordici, Olanda in testa, sembrano determinati a non cedere, malgrado l’Ue stia affrontando la più grave crisi sanitaria del Dopoguerra. L’Olanda infatti non vuole valutare modifiche sulle condizioni di utilizzo del Mes, spingendo sulla linea dei prestiti con condizioni chiare. Anche la Germania è vicina alla posizione olandese, proponendo però di erogare prestiti ai Paesi che li richiederanno, sempre vincolati a misure precise, anche se ridotte.

Si allontana quindi l’ipotesi dei Coronabond, gli Eurobond dirottati all’emergenza sanitaria del Covid-19 gestita dai singoli Paesi. Ed è ancora più distante l’idea di creare linee di credito speciali per tutti e non solo per alcuni Stati. Ma Italia, Francia, Spagna e Portogallo continuano a spingere per una soluzione europea che non stigmatizzi i Paesi che ricorreranno al Mes.

Ranieri Guerra, direttore vicario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, intervenuto durante il programma Circo Massimo, Guerra non ha fatto nulla per nascondere le proprie rimostranze verso una situazione giudicata “incredibile”, annotata peraltro in uno dei momenti più difficili per la sanità globale, vista la dichiarazioni di pandemia dell’Oms arrivata nelle scorse settimane.

Il dito è stato puntato soprattutto nei confronti di un atteggiamento, notato da Guerra soprattutto in ambito europeo, in cui è mancato ogni tipo di solidarietà tra i vari Paesi e dove ogni governo ha dovuto inizialmente affrontare in solitaria la preoccupante espansione dell’epidemia: “Non c'è coesione, in nessun ambito europeo – ha affermato il direttore vicario dell’Oms – Abbiamo visto un rischio di disintegrazione dell'Unione europea”.

“È incredibile che, a distanza di un paio di mesi dall'inizio dell'epidemia – ha proseguito Ranieri Guerra – ancora gli stati membri non riescano a trovare una risposta comune”. Da qui l’affondo in cui il rappresentante dell’Oms ha denunciato l’isolamento del nostro Paese: “L'Italia all'inizio non soltanto è stata lasciata sola – si legge nelle sue dichiarazioni – ma è stata anche isolata. Questa è una vergogna”.

Parole molto dure, pronunciate da Guerra non soltanto da rappresentante italiano ma anche e soprattutto in qualità del suo importante ruolo ricoperto all’interno dell’Oms. Un modo, quello dell’organizzazione deputata a dettare le regole ed i comportamenti in ambito sanitario a livello globale, per ribadire come la risposta internazionale contro il coronavirus è stata all’inizio insufficiente.

Governi che hanno sottovalutato il problema in Europa o che, come nelle prime settimane di epidemia in Cina, hanno nascosto la gravità della situazione. Atteggiamenti questi che adesso l’intero pianeta sta pagando a prezzi molto salati, tra le migliaia di vittime per Covid-19 già accertate ed i due miliardi e mezzo di persone in isolamento per contenere l’espansione dell’epidemia.

Intanto Ranieri Guerra, direttore vicario dell’OMS ha dichiarato che il picco di contagi del coronavirus in Italia dovrebbe essere raggiunto la prossima settimana.
Ranieri Guerra, direttore vicario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha affermato che la settimana prossima ci si aspetta il picco dei contagi dell’epidemia di coronavirus in Italia.

"Il picco dovremmo averlo entro la prossima settimana, che sarà decisiva"
Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell'Oms, ha aggiunto "Se continueremo a stare a casa, le prossime due o tre settimane saranno molto importanti per la risoluzione".

Intanto la Lega presentera’ “una proposta di legge a firma Molinari e Bagnai per la riforma dell’articolo 81″ della Costituzione e “rimuovere il vincolo del pareggio…

Borghi:  Amici del M5S, il pareggio di bilancio fu votato da tutti nel 2011 ed eravate favorevoli anche voi che pur non eravate in parlamento, lo metteste anche nel programma elettorale. Fu un errore? SI. Di tutti. Sono passati 10 anni ed è cambiato il mondo. Adesso togliamolo insieme.

Perché commettemmo questo errore ? Era il 2011... C’era lo spread alle stelle, avevano fatto credere che facendo così si sarebbe diventati credibili e lo spread sarebbe magicamente scomparso. In realtà è un progetto che parte da lontano: farlo approvare senza far capire di che si trattava per tagliare le mani alla democrazia.

 

Le frontiere della Grecia sono le frontiere europee: la Ue rispetta gli impegni presi con la Turchia sulla gestione dei migranti, Ankara deve fare lo stesso. Questo il doppio messaggio che i vertici delle istituzioni europee lanciano da Kastanies, valico di frontiera greca giorni sotto il pressing dei migranti che dal lato turco sperano di entrare in Europa.

La Grecia è "il nostro scudo europeo", dice von der Leyen, utilizzando la parola greca "aspida" per ringraziare Atene. "Queste sono circostanze eccezionali. Le autorità greche sono di fronte a un compito molto difficile nel contenere la situazione - dice - . È importante per me essere qui oggi con voi e dirvi che le preoccupazioni greche sono le nostre preoccupazioni. Questa frontiera non è solo greca, è la frontiera europea".

Il confine è rappresentato da qualche area coltivata e colline brulle. In mezzo scorre il fiume Evros, ed è proprio attraversando queste acque gelide che la stragrande maggioranza dei profughi vorrebbe cercare di arrivare entro il confine greco. In volo diversi elicotteri e numerosi droni equipaggiati con telecamere che trasmettono in tempo reale la situazione ai posti di controllo a terra. Dove possibile i frontalieri greci hanno srotolato metri e metri di quella che gli americani chiamano barbed wire, il filo spinato militare che nasconde anche piccole lamine affilatissime come lamette. 

 
Gli scontri erano già cominciati dai primi giorni non appena Ankara aveva dato il via libera ai profughi.I poliziotti greci hanno effettuato 66 arresti tra i migranti incapucciati ed armati di razzi lacrimogeni come in una vera guerriglia. Come riferisce il media Ekathimerini di Atene, ben 17 di costoro sono stati condannati a una pena detentiva di 3 anni e mezzo.

Nelle prime 24 ore della crisi del confine, 4.000 persone sono state fermate dall’attraversamento del territorio greco, ha detto il portavoce del governo greco Stelios Petsas. Le riprese della scena mostrano grandi folle di uomini mascherati che camminano e corrono vicino alla barriera cantando “Turchia, Turchia”.
 
Ogni 25 Marzo, la Grecia ricorda la liberazione dai Ottomani. Il popolo greco si unisce, come è solito fare, in una grande sfilata che parte da Koukaki e termina a Syntagma  ..Con quello che succede a Evros e alle isole Greche non e mai stata piu attuale di ricordare la storia che per 4 secoli ha messo la Grecia nel periodo piu buia : Iniziando con la caduta di Costantinopoli, e quindi dell’impero bizantino, avvenuta ad opera dell’impero ottomano nel 1453, il suolo ellenico è stato vittima di vessazioni, usurpazioni, ruberie, persecuzioni ed uccisioni da parte dei vicini turchi.

Nel 1814, alcuni rivoluzionari decisero di organizzarsi, dando vita alla cosiddetta Φιλική Εταιρία (Filikì Eterìa), una società rivoluzionaria segreta che aveva il compito di riunire i vari leader delle classi greche con l’obiettivo finale di liberare la patria dall’occupazione ottomana. Questa società venne fondata in particolare da tre greci: Nikolaos Skoyfas, Emmanoyel Xanthos e Athanasios Tsakalof.  
  
Il 25 marzo fu approvato come un giorno di memoria della rivolta nazionale dal Re Otto il 15 marzo 1838 in uno sforzo di abbinare l’evento ecclesiale dell’Annunciazione con la lotta dell’Indipendenza. Fu anche il desiderio di Alexandros Ipsilantis e della Filiki Eteria (Società degli Amici, composta da greci espatriati allo scopo di liberare la Grecia) di associare la rivolta con una grande festa ortodossa per incoraggiare il morale dei greci!

Appoggiando rivoluzioni nel Peloponneso e a Costantinopoli, la società inizia a credere seriamente di poter essere il perno motore della rivoluzione. Non a caso, un primo evento importante  si è verificato con l’appoggio dato alle rivolte nei principati danubiani: capitanata da Αλέξανδρος Υψηλάντης (Alexandros Ipsilantis), nato a Costantinopoli nel 1792, la rivolta del 6 marzo 1821 avrebbe innescato la scintilla per l’esplosione della rivoluzione greca. Nonostante Alexandros sia stato sconfitto dall’impero ottomano, appoggiato dai Russi in quella occasione, il 17 marzo, una popolazione del sud, i manioti, avrebbero dato vita ad una rivolta nel Peloponneso che sarebbe stata seguita dai vicini di tutta la regione. Entro la fine di quello stesso mese, tutto il Peloponneso avrebbe deciso di imbracciare le armi per poter dichiarare guerra al nemico turco.

Ad ogni modo, il 25 Marzo, non a caso giorno dell’Annunciazione alla Madonna che, secondo i cristiani ortodossi, rappresenterebbe il giorno in cui la salvezza sarebbe arrivata grazie alla nascita di Gesù Cristo,   fu dichiarata l’ufficialità della guerra per l’indipendenza. L’insurrezione sarebbe stata fomentata principalmente dall’arcivescovo di Patrasso, Germanòs, appoggiato da Theodoros Kolokotronis alla guida degli Armatolì e Kleftes. Contemporaneamente, Alì Pascià guidava la secessione dell’Epiro, che fu repressa un anno dopo, nel 1822, dai Turchi.

Ricordiamo alcuni degli episodi più grotteschi messi in atto dagli ottomani, in particolare quelli nell’isola di Chio, dove nel 1822 la popolazione venne letteralmente sterminata, e a Costantinopoli, dove si verificò il cosiddetto massacro di Costantinopoli, con l’impiccagione del patriarca. Questi fatti fecero sì che, più tardi, anche l’impero russo, la Gran Bretagna, il Regno di Francia  e altre potenze europee decisero di sostenere la causa greca; dall’altro lato, i turchi furono invece aiutati dall’Egitto, Tripolitania, Algeria e Tunisia.

Lo scontro sarebbe durato fino a quando, nel 1829, con il Trattato di Adrianopoli, venne riconosciuta l’autonomia alla Grecia, seppur sotto il protettorato di Francia e Gran Bretagna. Tuttavia, nel 1830, con il Protocollo di Londra, venne sancita l’indipendenza greca, dopo nove lunghi anni di scontri. Alcune regioni erano rimaste comunque sotto il controllo ottomano, come Macedonia, Creta, Tessaglia, l’Epiro e la Tracia. Due anni dopo, nel 1832, nonostante alcuni rivoluzionari nel 1827 avessero  sancito un primo ordinamento repubblicano sotto la presidenza di Giovanni Capodistria, a seguito  del suo assassinio, le potenze protettrici decisero di imporre la monarchia. Così, nell’agosto del 1832, Ottone di Wittelsbach divenne re, eletto dal popolo a Nauplia.

Con la conquista nel 1460 dell’ultimo territorio bizantino, della Morea (Peloponneso), e del Regno di Ponto, l’impero ottomano ha regnato per circa quattro secoli, seminando terrore e calpestando ogni tipo di libertà dei cittadini. La situazione difficile in cui versava il popolo greco ha favorito la crescita di un senso di ribellione nei confronti dei “padroni”, dando vita ad una forma di organizzazione rivoluzionaria, seppur molto divisa, eterogenea ed in forma embrionale.

Una delle strategie di ribellione messe in atto dai greci era dare appoggio  alle popolazioni straniere che combattevano contro i turchi in numerose guerre. Per esempio, la battaglia di Lepanto avvenuta nel 1571, ha visto numerosi greci appoggiare la “Lega Santa” contro l’impero ottomano. La stessa strategia è stata utilizzata quando i greci hanno deciso di appoggiare le rivolte dei contadini dell’Epiro nel biennio 1600-1601, oppure, ancora, quando hanno appoggiato la Repubblica di Venezia contro i turchi per il controllo del’Egeo e dell’attuale Peloponneso.  

E così via. I risultati furono in un primo momento rincuoranti, portando alla vittoria, seppur in inferiorità numerica, in alcune rivolte, e ottenendo l’indipendenza in alcuni territori. Tuttavia, la situazione poco a poco sarebbe degenerata; la mancata sollevazione popolare ha fatto sì che i “ribelli” fossero una piccola minoranza, sterminata subito dopo dai turchi che avevano messo in atto delle vere e proprie stragi. Si ricorda, per esempio, il caso dell’assassinio nel 1798 di  Ρήγας  Φεραίος Βελενστινλής (Rigas  Fereos Velenstinlis), un precursore dell’indipendenza che aveva messo in circolazione alcuni documenti su una possibile Grecia libera.
 

Durante la rivoluzione greca contro la dominazione ottomana si scrissero fiumi di pagine gloriose, a volte intrise di sangue per la lotta alla libertá, della storia ellenica. Condottieri e capitani irriducibili, uomini valorosi e coraggiosi combatterono e immortalarono l’idea di un popolo libero, anche attraverso le loro gesta: ovviamente il sogno di questi eroi era quello essenzialmente di una Grecia libera e indipendente.

 
 
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