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Dell'olandese Maarten van Aalderen, esce per Albeggi Edizioni un libro che renderà orgogliosi gli italiani. 
Il 19 febbraio l'autore lo presenta a Roma presso l'Associazione della Stampa Estera con il Ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, Josè Rallo (Donnafugata) e Massimo Franco (Corriere della Sera). 

In un momento di grave crisi per il Paese, Il Bello dell’Italia infonde una sferzata di energia per risollevarsi, proprio come l’Icaro raffigurato nella copertina. L’autore è il giornalista olandese Maarten van Aalderen, Presidente dell'Associazione della Stampa Estera in Italia, che ha chiesto a 25 colleghi corrispondenti stranieri quali cose preferiscono del Paese che li ospita. E’ nato così un appassionato “canto” corale di pareri, sensazioni, esperienze, che raccontano di una terra meravigliosa e sorprendente con tante carte da giocare per rialzare la testa. Il Bello dell’Italia può incuriosire chi opera nel mondo della politica, della comunicazione, stranieri che vivono in Italia, manager e imprenditori, viaggiatori e amanti del made in Italy, ma soprattutto è un libro che rende orgogliosi gli italiani.

Il tedesco Udo Gümpel è colpito dalla capacità degli italiani di tirarsi fuori, con grande creatività e fantasia, dalle situazioni più disastrose. Gli fanno eco la giornalista brasiliana Gina de Azevedo Marques, che ama il loro prendersi in giro con dissacrante autoironia, e la turca Esma Cakir, che elogia la convivialità a tavola. Lo spagnolo Rossend Domènech è impressionato da Slow Food e dal suo impegno affinché non si perda la cultura del cibo, mentre il finlandese Petri Burtsov loda Eataly, a suo avviso un importante biglietto da visita per l’Italia. L’americana Monica Larner cita il vino e le oltre 3.000 qualità di uva, di cui 700 ufficialmente registrate. Numeri che nessun altro Paese del mondo può vantare. La russa Elena Pouchkarskaia racconta del “caso” Loro Piana e della visione del suo imprenditore per cui il petrolio italiano è rappresentato dal pensiero, dalla capacità di creare e dallo spirito innovativo. L’algerinaNacéra Benali è sorpresa dal senso di solidarietà degli italiani e dalla forte presenza di volontariato su tutto il territorio. La segue la romena Mihaela Iordache che nel ricordare l’impegno della Comunità di Sant’Egidio come buon esempio delle qualità italiane, cita Papa Francesco sulla necessità del dialogo interreligioso. Per l’israeliana Sivan Kotler l’istruzione, spesso criticata, sta migliorando: oltre il 90% dei bambini di tre anni sono iscritti alla scuola dell’infanzia, su una media del 70% di altre nazioni. L’iraniano Hamid Masoumi Nejad afferma che il numero di persone che studia l’italiano cresce, anche in Paesi che non hanno conosciuto l’immigrazione italiana. Ogni anno più di mille studenti iraniani vengono in Italia per studiare e imparare l’italiano. La colombiana Carmen Cordoba difende il cinema contemporaneo in cui c’è grande fermento. Stessa cosa sostiene la polacca Agnieszka Zakrzewicz sull’arte contemporanea. Anche il calcio ha i suoi fans: il cinese Ma Sai dice che in Cina ci sono 150 milioni di tifosi del Milan. L’argentina Elena Llorente si sorprende per le bellezze dell’Italia così come la collega canadese Megan Williams e l’australiana Josephine McKenna sono affascinate dalla storia della Capitale e dai suoi tesori nascosti. Tra questi, la Garbatella, che per l’olandese Sarah Venema, è il quartiere più bello del mondo; il giapponese Tetsuro Akanegakubo, invece, lascia il suo cuore nelle trattorie romane. Ma non solo di Roma vive l’Italia: lo svedese Peter Loewe è molto legato a Stromboli mentre il danese Jesper Storgaard Jensen preferisce Pantelleria. C’è chi invece sceglie gli uomini: il greco Teodoro Andreadis Synghellakis evidenzia le analogie tra il leader di Syriza, il giovane Alexis Tsipras, e lo storico leader comunista Enrico Berlinguer. Per il francese Richard Heuzé è Renzi il personaggio chiave. L’inglese Philip Willan ci ricorda che se l’Italia vuole voltare pagina deve chiarire il suo passato, come ha fatto Sergio Flamigni, personaggio a cui dedica le sue pagine. L’egiziano Mahdi El Nemr sottolinea il ruolo strategico dell’Italia come Paese vicino al Medio Oriente arabo.

Da qualche settimana il Santo Padre Francesco sta dedicando le sue catechesi ai problemi familiari e in particolare al ruolo della figura paterna, attualmente in crisi nel modello familiare contemporaneo. Quello che allarma, oltre ad una inquietante “società senza padri”, è una società che ormai quasi ignora il padre, che non ne avverte nostalgia e disprezza anche la virilità.

Il Papa ha evidenziato il danno notevole provocato dall’assenza del padre di famiglia per i figli, anche quando è fisicamente presente ma assente di fatto. Per Papa Francesco questa mancanza colpisce soprattutto il mondo occidentale: “la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, svanita, rimossa”. Il Papa ricorda che c’è stato un periodo storico in cui questa assenza è stata vista come "liberazione", e qui il pensiero va alla sciagurata rivoluzione sessantottina. E’ noto che “dai tempi del ’68 e dintorni che il padre sembra non avere più diritto di cittadinanza. La lotta contro il principio di autorità, cardine della protesta sessantottina, unitamente alla premiata ditta Freud&Co e al femminismo, hanno investito in pieno il ruolo del padre, che dell’autorità è sempre stato uno dei simboli forti” (Luca Del Pozzo, L’esperienza personale di un Papa, 31.1.15, LaCrocequotidiano).

Tuttavia, la crisi della figura paterna, “ha preceduto di parecchio quella economica ma che, a differenza di questa, stenta purtroppo ad essere riconosciuta nella propria portata e nelle proprie implicazioni”(Giuliano Gusso, Francesco ci fa riflettere: cosa resta del padre?, 31.1.15, LaCrocequotidiano)

Peraltro le statistiche sono assi chiare, pare che oltre un milione di bambini inglesi cresce senza avere a fianco la figura paterna, mentre nella sola città di Berlino su 430 mila nuclei familiari, ben 134 mila sono composti da ragazze madri sole con il loro bambino. In Italia, la situazione è peggiore, l’80% dei nuclei monoparentali è costituito da donne, in pratica a più di due milioni di figli non è assicurato il riferimento paterno (Istat, 30.7.2014).

Ma che cosa c’è dietro a una società sempre più orfana del padre? Gussoscorge tre livelli di rimozione culturale: religiosa, educativa e infine quella antropologica. Del resto l’eclissi della figura paterna, interessa in primo luogo il mondo occidentale dove per secoli il Cristianesimo è stato protagonista. Per quanto riguarda l’aspetto educativo, numerosi studi scientifici di specialisti effettuati in tutti i continenti hanno dimostrato che la “concreta presenza paterna si traduca, per i figli, in benefici per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, l’equilibrio psicologico e la riduzione di condotte devianti”. Pertanto non deve meravigliare il legame che esiste tra l’assenza della figura paterna e i suicidi giovanili, gli abbandoni scolastici, le gravidanze fra le giovanissime e l’abuso di sostanze stupefacenti. Ma per Gusso è più micidiale la rimozione antropologica.

Ritornando agli aspetti educativi in questi giorni mi è capitato di leggere, anche se datato, l’ottimo volumetto dello psicanalista Claudio Risè, “Il mestiere di Padre”, Edizioni San Paolo(2004). Il testo è un serrato e concreto dialogo fra l’autore e i padri e i figli che gli hanno scritto per raccontargli le loro storie e per capire meglio i problemi. E’ un libro che dovrebbe essere letto anche oggi, infatti è stato ripubblicato l’anno scorso, indispensabile in una società che, invece di sostenere e aiutare i padri, tende ad emarginarli e a confonderli.

Già nella prefazione Risè cerca di provocare il lettore: “un fantasma si aggira nei testi pedagogici, e psicologici, degli ultimi cinquant’anni: quello del padre”. Il libro è stato scritto e Risè lo scrive esplicitamente, proprio per indicare come si esercita il mestiere del padre. E’ una ricerca concreta, personale, da parte di tanti padri e figli, affrontando i problemi di tutti i giorni, interrogandosi sul loro significato. In pratica Risè con questo ma anche con il precedente volume, “Il padre, l’assente inaccettabile”, sempre pubblicato da San Paolo, vuole dare “un preciso e valido aiuto al grande popolo di persone responsabili, uomini e donne, oggi impegnato a trasformare quel fantasma ambiguo di padre, che ha preso forma nell’ultima parte del ‘900 in Occidente, in una realtà di carne e di sangue, di pensiero e d’azione”. Il testo di Risè è ricco di spunti, ne scelgo qualcuno quello dell’accoglienza dei figli che chiedono di essere educati, non solo quando sono piccoli con i loro perché. Perché la vita? Da dove vengo? Come vivere e perché? Per una lunga fase dell’infanzia e poi(se la curiosità non viene spenta o repressa troppo in fretta) per tutta l’adolescente, e ancora nella prima giovinezza, l’individuo è assillato da quesiti metafisici.Risè in questo caso si scaglia contro il “pensiero debole”, che sostanzialmente è “il pensiero senza risposte, e interesse, ai grandi quesisti, sottraendosi alle domande dei piccoli, e non offrendo loro nessuna risposta con cui possano confrontarsi, è profondamente antieducativo. Perché li lascia soli, e inquieti, di fronte alle uniche domande in grado di strutturare poi l’intera personalità e di far crescere quel gusto di vivere, e passione per la vita, che costituiscono l’indispensabile carburante per la vita”.

Il silenzio dei padri, dei maestri, deludono questi piccoli ma anche gli adolescenti. Hanno bisogno di sentire parlare del “bene” e del “male”. I giovani hanno bisogno di “indicazioni, di criteri, di orientamenti morali, a cui opporsi o da accettare. Mentre l’astensione da parte degli adulti nel pronunciarsi sul piano morale provoca nei giovani depressione e disorientamento”. Come quei giovani liceali di Catania del Liceo “Spedalieri” che nel febbraio 2007 dopo le violenze del fine partita che causarono la tragica morte del povero ispettore Filippo Racitisi interrogano sull'assenza di valori nella quale si sentono di vivere, sulla totale mancanza di punti di riferimento che li porta a sentirsi "soffocati dal nulla”. Gli studenti catanesi chiedevano aiuto ai loro professori: "Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e di verità". Ancora più sorprendente e sconcertante è la risposta che i docenti danno agli studenti, in pratica, i professori e le professoresse sostengono che la scuola, loro stessi, non debbono dare risposte, anzi non ci devono neanche provare. La scuola, secondo loro, dovrebbe infatti limitarsi a "stimolare domande" e per quanto riguarda il "senso della vita" che gli studenti dichiaravano nella lettera di aver perso o di non aver mai trovato, i professori rispondono:che ciascuno cerchi da solo le "risposte adeguate al proprio percorso". Qualche giornalista ha definito questa risposta come nichilismo pedagogico.In pratica i professori del Liceo catanese in quell’occasione, invece di approfittare della richiesta di aiuto dei loro studenti, che si interrogavano e si ponevano domande sul vero senso della vita, non fanno altro che defilarsi e non proporre nulla che possa aiutarli seriamente. Anzi li invitano semplicemente a smetterla: "Proporvi, o imporvi, delle verità è integralismo, cioè barbarie, e pertanto questo atteggiamento non può avere luogo nella scuola pubblica, cioè democratica e laica" .
Il documento dei docenti di Catania è il solito schema che è presente nella stragrande maggioranza degli insegnanti italiani, è l' ideologia del dialogo e dell'ascolto , del rispetto dell'altro e delle differenze . E' la scuola dei progetti multiculturali, del rispetto dell'altro e del rifiuto della prevaricazione. Tutte buone intenzioni. Ma come si fa a dialogare e incontrarsi con l'altro, se non si parte, con tutto lo spirito critico che si vuole, dai propri valori e dalla propria cultura.

Dopo Più Libri Più Liberi, Giuseppe Truini presenta nuovamente al pubblico romano, qualora questi avesse mancato l’appuntamento dello scorso dicembre, il suo ultimo libro, Di polvere e di altre gioie, uscito con Ensemble.
Giuseppe Truini, classe 1979, vive ad Amaseno, in provincia di Frosinone. Insegna Italiano e Storia, tiene corsi e workshops di scrittura e collabora con le “Officine culturali del Lazio, casa d’arte”.
Di polvere e di altre gioie è il secondo romanzo di Giuseppe Truini, dopo Se domani si vive e si muore, pubblicato nel 2012 con Ensemble.
L’appuntamento è per Giovedì 19 Febbraio, dove il giovane autore ciociaro, insieme allo scrittore e critico letterario Paolo Di Paolo racconteranno al pubblico la magia di questo ultimo libro di Truini.
Immerso in una dimensione cittadina e temporale anonima e contemporanea, il libro accoglie in sé molte delle suggestioni surreali e fantastiche di Pennac, sia per le vicende che si susseguono nel romanzo che per i caleidoscopici personaggi che lo popolano.
Innanzitutto Oscar Fiori, operatore sociale che racconta alla bambina tetraplegica che segue per lavoro, Edera, le stravaganti vicende che lo vedono, spesso involontariamente, coinvolto; ma anche una sorella incinta per miracolo, Lucia, e i suoi geniali ed intraprendenti nipoti, Silvia e Matteo, il cane Wittgenstein e la gatta Camus, ed ancora le Galatee, Beppe, Karl, Nike, Selene e Gea. Personaggi apparentemente strampalati, legati tra loro da un affetto profondo, oltre che dalla quotidianità, sicuramente indimenticabili.
Una serie di prostitute vengono torturate e uccise barbaramente durante riti crudeli e cruenti, una trasmissione televisiva, la Sedia Elettrica, promette, giocando sulla funzione della “tv verità”, vincite ingenti a fronte di scosse reali, giornalisti indelicati, sindacaliste orgogliose, indagini poliziesche e donne divine sono gli elementi di una giostra tra suspence e divertimento cui il lettore può salire attraverso le pagine di Truini; un fiume in piena che coinvolge ironicamente molti aspetti della vita reale e dell’informazione giornalistica, spesso volta alla costante ricerca di emozioni con cui colpire  il pubblico, anche oltre il lecito.
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