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Giovedì, 02 Maggio 2024

Un elenco di nomi redatto dal Viminale e che include i terroristi "bianchi, rossi, neri", dice Salvini ricercati nel Belpaese per crimini di cui non hanno mai saldato il conto. Latitanti, tecnicamente. Protetti da anni di dottrina Mitterrand come "rifugiati" politici nel Paese d'Oltralpe e mai estradati.

Per ora, però, la Francia mantiene il totale riserbo. "Le richieste di estradizione che riceveremo nei prossimi giorni dalle autorità italiane, saranno oggetto di analisi approfondite, caso per caso, come accade da una quindicina di anno", ha detto il ministero della Giustizia francese. Secondo i francesi, riporta il Messaggero, "non c'è alcuna lista". 

Ed è per questo che il Viminale è pronta a consegnarla alle diplomazie così da eliminare ogni alibi. "Sarà più che un appello, saremo convincenti. Se qualcuno protegge i terroristi, siano rossi, siano neri o bianchi, fa il piacere di restituirli all'Italia", ha spiegato chiaramente Salvini.

Il piano per riavere i latitanti, dunque, parte dal dossier che metterà in chiaro le situazioni dei diretti interessati. Poi forse le elezioni europee e gli eventuali effetti sulla politica francese potrebbero fare il resto. Come successo per Battisti, che con l'arrivo di Bolsonaro alla guida del Brasile ha visto cadere la sua rete di protezione.

Ventisette in tutto, dei quali 12 solo in Francia. È questo il dato ufficiale che arriva dal Dipartimento di Pubblica sicurezza. Ne sono scappati a centinaia tra terroristi neri e rossi, negli anni di piombo, una cinquantina sono rimasti nella lista dei ricercati per moltissimi anni. Alcuni hanno scelto i paesi del centro e sud americani, Brasile, Nicaragua e Perù. Altri il Giappone e la Gran Bretagna. 

Ora, dopo la cattura di Cesare Battisti, il numero di chi ancora avrebbe da scontare anni di carcere si è dimezzato. E su di loro le intenzioni del Governo sembrano chiare: «Riportarne indietro quanti più possibile». Ma tra il dire e il fare ci sono le varie condizioni imposte dagli stati che li ospitano. Molti hanno la cittadinanza, alcuni sono diventati imprenditori di un certo rilievo, e difficilmente verranno ceduti all'Italia. Obiettivo, quindi, è puntare sulla Francia. 

Proprio in queste ore, infatti, il Viminale sta lavorando alla nuova documentazione che verrà consegnata alla Francia. Dossier e informazioni aggiornate che saranno trasmesse a breve.

Negli anni Ottanta se ne contarono anche 400, erano gli anni in cui la Dottrina Mitterrand sembrava intoccabile, la parola d'onore di un paese che apriva le porte a chi scappava prima di tutto da una fase storica chiusa e non da una condanna. Nel 2002, con il mandato europeo entrato in vigore, Berlusconi e Chirac ai vertici, ci fu la svolta: Paolo Persichetti venne riconsegnato all'Italia. Anche allora venne fuori una lista: comprendeva settanta nomi. Nel tempo si sono ridotti: le prescrizioni, i decessi, e poi quelli che sono tornati spontaneamente.

Per i diretti interessati, non si tratta più di giustizia ma di «vendetta». Anche perché - dicono - c'è chi aperto un ristorante, come Maurizio di Marzio, chi fa il traduttore e insegna l'italiano come Giovanni Alimonti, c'è chi ha lavorato per una casa editrice di fumetti ed è stato per anni rappresentante dei genitori a scuola, come Roberta Cappelli, chi è stato già graziato da Nicolas Sarkozy per motivi di salute, come Marina Petrella. Insomma, la battaglia italiana parte in salita. I francesi, infatti, non sembrano essere d'accordo nemmeno sul numero delle persone che andrebbero rimpatriate. «Non c'è alcuna lista», affermano.

L'Italia ha più volte tentato di riavere indietro Alessio Casimirri, il brigatista che faceva parte del commando che ha sequestrato Aldo Moro e ucciso gli uomini della scorta. «Nel 1993 eravamo a un passo dal farlo rientrare in Italia - racconta Carlo Parolisi, agente del Sisde, ora in pensione - Poi un scoop giornalistico ha fatto saltare tutto». Condannato a sei ergastoli, Casimirri non ha mai passato un giorno in cella e da 37 anni vive in Nicaragua, dove ha moglie e figli oltre che una fiorente attività da ristoratore. Talmente fiorente che nella capitale, a Managua, il suo locale Gastronomia El Buzo Il sub ha guadagnato il primo posto nella classifica di Trip advisor. Viene indicato per l'ottimo pesce, e lo chef è proprio Casimirri.

Se ci si sposta di paese, in Brasile, si trova un altro terrorista che ho scelto di esibirsi in cucina: Luciano Pessina, esponente di punta di Prima linea, condannato a 12 anni e 4 mesi per reati che comprendono rapina, furto e detenzione illegale di armi. «I miei reati sono stati prescritti - dice - L'Italia ha chiesto la mia estradizione ma il Brasile l'ha negata e la cosa è finita lì». A Rio, ha preferito il mestolo al mitra. Oltre 20 anni fa ha aperto un ristorante, Osteria all'angolo, che ha chiuso i battenti l'anno scorso. Ma solo perché l'attività si è spostata a Copacabana, con Pasta&Vino, un piccolo negozio dove viene venduta pasta fatta in casa. Perché in Italia, Pessina si guarda bene dal tornare, ma sui prodotti del suo paese ci guadagna, eccome.

Intanto Davigo spegne le polemiche che nelle ultime ore hanno coinvolto il ministro degli Interni, Matteo Salvini e quello della Giustizia, Alfonso Bonafede. Di certo le istituzioni non hanno potuto nascondere l'esultanza per un arresto atteso da 37 anni. Sulla pista di Ciampino è arrivato un monito chiaro a chi pensa di poter sfuggire alla giustizia italiana.

Il consigliere superiore della magistratura in un'intervista al Fatto non critica i ministri che si sono esposti in prima fila per la cattura dell'ex terrorista dei Pac. "Un ministro è a capo di una branca della Pubblica amministrazione. È normale che rivendichi i meriti dell'amministrazione che dirige. Poi le forme con cui manifesta la sua soddisfazione non sta a me giudicarle". A questo punto arriva l'affondo per chi critica questo tipo di esposizione mediatica dell'arresto di un assassino come Battisti: "In Italia c'è libertà di manifestazione del pensiero, dunque anche di andare a eventi di questo tipo. Ma mi sono sempre meravigliato di quelli che si dicono garantisti e sono attentissimi ai diritti degli imputati, ma niente affatto a quelli delle vittime di reati".

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E dal 2004, quando Jacques Chirac decide di mettere fine a questa situazione, così, la giustizia francese dà il via libera alla sua estradizione. Ma gli intellettuali lo difendono: Fred Vargas, Bernard-Henri Levy, Tiziano Scarpa, Christian Raimo, Daniel Pennac, Vauro e Davide Ferrario.

A quel punto, il terrorista fugge in Brasile sotto falsa identità, e, a suo dire con l’aiuto dei servizi segreti di Parigi. Il 18 marzo del 2007, dopo tre anni in clandestinità, viene arrestato a Rio de Janeiro e spedito nel carcere di Brasilia, dove ci resta per quattro anni dicendo anche di “morire in Brasile piuttosto che tornare in Italia”.

Nel 2009 il ministro della Giustizia del governo Lula, Tarso Genro, gli concede l’asilo politico. Il 18 novembre del 2009 la Corte suprema brasiliana autorizza l’estradizione di Battisti, ma lascia l’ultima parola al presidente Lula, che nell’ultimo giorno del suo mandato, il 31 dicembre 2010, rifiuta di estradarlo con decreto. A giugno del 2011,gli viene assegnato un permesso di residenza permanente in Brasile.

Nel 2015 un giudice federale ordina la sua espulsione in Messico o in Francia. La polizia lo arresta, ma poi viene scarcerato. A ottobre 2017 viene arrestato, questa volta al confine con la Bolivia. Rilasciato, fino ad aprile del 2018 è sottoposto a obbligo di firma e della sorveglianza elettronica.

Dopo la cattura di Cesare Battisti, Salvini e pronto a tornare alla carica con Macron. Non che i rapporti tra i due siano ottimali come quelli con Bolsonaro in Brasile, ma il presidente francese è in evidente difficoltà interna e non è detto che abbia interesse a difendere le ragioni dei protagonisti di vecchie storie di 30 e passa anni fa. E certo a Salvini non dispiacerà di mettere ulteriore carne sul fuoco di un già asserragliato Macron.

Secondo quanto riporta il Messaggero, in queste ore al ministero dell'Interno stanno lavorando a "una nuova documentazione" da inviare alla Francia. Ci saranno tutte le informazioni aggiornate su latitanti e ricercati che il Dipartimento di pubblica sicurezza pensa siano nascosti in Francia. Dovrebbero essere 12 (su 27 in totale, gli altri sono sparsi per il mondo). In fondo ieri è stata la leader del RN, Marine Le Pen, a far intendere che se l'aria politica cambiasse, allora Parigi sarebbe pronta a riconsegnarci gli ex terroristi.

L'”inizio della fine” della latitanza boliviana di Cesare Battisti comincia a Santa Cruz de la Sierra, precisamente al residence Casona Azul, sulla Radial 21, una stradona dell’estrema periferia ovest della metropoli a poche centinaia di metri dal quarto anello di circonvallazione.

Battisti è arrivato al residence la notte del 16 novembre a bordo di un Suv Toyota Rav4 color scuro accompagnato da un amico, un individuo descritto come alto, in carne e con i capelli corti e la pelle chiara, istruito, molto probabilmente un locale e unico soggetto che ha più volte visitato il latitante durante il suo breve soggiorno al residence; è stato proprio questo suo amico a fare il check-in per poi allontanarsi e lasciare la stanza a Battisti che viaggiava con bagaglio leggero.

Violenza, rapine, omicidi, terrorismo. La vita di Cesare Battisti è segnata da una continua fuga dalla giustizia. Che adesso, con il suo arresto, sembra essersi definitivamente interrotta. E l’Italia attende il ritorno di un assassino, prima ancora che di un “ex” terrorista.

Nato 63 anni fa a Cisterna di Latina, Battisti inizia la sua carriera criminale sin da giovane per alcuni reati comuni. Nessuna giustizia proletaria, nessuna idea, nessun vento ideologico: semplice violenza e furti.

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Dal carcere, inizia ad avvicinarsi alla sinistra estrema. E alla fine degli anni Settanta entra nei Pac, un piccolo e quasi insignificante gruppo armato del terrorismo di sinistra che si è specializzato in rapine come “espropri proletari”. “Pretendere di cambiare il mondo con le armi è una stupidaggine ma a quell’epoca tutti avevano delle pistole”, disse nel 1991 Battisti. Ma intanto il sangue scorreva a fiumi, mentre il comunismo serviva più per dare una parvenza di mito a una semplice e orribile  criminalità.

Arrestato nel 1979 a Milano, Battisti evade nel 1981 dal carcere di Frosinone. La giustizia italiana lo condanna in via definitiva per quattro omicidi tra il 1978 e il 1979, di cui due come esecutore materiale. Il terrorista si dichiara innocente. Ma i tribunali sono di ben altro avviso.

Sotto i colpi delle sue azioni e dei Pac, muoiono la guardia carceraria Andrea Santoro a Udine, il gioielliere Pierluigi Torregiani a Milano e il macellaio Lino Sabbadin, questa volta a Mestre. Gli ultimi due innocenti sono stati uccisi perché avevano sparato a dei rapinatori. Il figlio di Torregiani, Alberto, allora 15enne cade vittima dell’agguato rimanendo paralizzato. L’ultima vittima è il poliziotto Andrea Campagna, ucciso a Milano.

 

L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e 35 partner lanciano oggi un appello congiunto per la raccolta di 296 milioni di dollari USA volti ad assicurare con urgenza aiuti cruciali per il 2019 ai circa 345.000 burundesi rifugiati nei Paesi confinanti.

Quella del Burundi costituisce una delle crisi di rifugiati maggiormente trascurate a livello mondiale e il dato è misurabile: nel 2018 è stata fra quelle per cui sono stati raccolti meno fondi.

Le conseguenze di tale situazione sono avvertite indiscriminatamente dai rifugiati burundesi in quattro Paesi confinanti: Tanzania, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Ruanda e Uganda. La popolazione sta resistendo a tagli alle razioni alimentari, carenza di medicinali, scuole sovraffollate e alloggi inadeguati. Nonostante i grandi sforzi di tutti gli attori coinvolti, è necessario garantire ulteriore supporto per assicurare una risposta adeguata perfino alle esigenze più basilari.

I bambini, che rappresentano oltre la metà della popolazione rifugiata, sono i più colpiti da questa crisi. Molti sono giunti nei Paesi in cui si trovano in seguito alla separazione dai propri genitori o da altri familiari. Gli ostacoli nel garantire affidamenti sicuri e adeguati sono significativi. Altri soffrono di stress emotivo causato dalle violenze a cui hanno assistito. Questi bambini hanno bisogno di supporto psicosociale.

L’accesso all’istruzione dopo le scuola primaria è ancora estremamente ridotto. Solo il 20% dei bambini burundesi rifugiati in età di istruzione secondaria frequenta la scuola. In tutta la regione è fortemente necessario un numero maggiore di insegnanti e di risorse didattiche. Le classi sono talmente sovraffollate che in Tanzania gli studenti si accontentano di fare lezione sotto gli alberi invece che nelle aule.

Donne e ragazze sono esposte a elevati livelli di sfruttamento e violenza sessuale e di genere. Gli alloggi improvvisati e fatiscenti non garantiscono protezione. La mancanza di materiali per cucinare e per la costruzione delle abitazioni costringe donne e ragazze a percorrere lunghe distanze a piedi per raccogliere la legna fuori dai campi e dagli insediamenti, trovandosi così isolate e vulnerabili a possibili aggressioni.

L’anno scorso, sono state tagliate le scorte alimentari in Tanzania, RDC e Ruanda. Le famiglie sono state lasciate regolarmente, ogni mese, senza sufficienti quantità di cibo. Donne e ragazze stanno facendo ricorso a meccanismi negativi di risposta, fra cui “sesso per sopravvivenza” (survival sex) e matrimoni precoci e forzati.

Alla luce delle politiche in vigore in Uganda, Ruanda e RDC, che consentono ai rifugiati di lavorare ed essere imprenditori, un obiettivo chiave è quello di aiutare a generare opportunità economiche che permetteranno loro di acquistare scorte supplementari di cibo e guadagnarsi da vivere.   

Se da un lato le condizioni di sicurezza nel loro insieme sono migliorate in Burundi, dall’altro persistono preoccupazioni significative relativamente al rispetto dei diritti umani. Circa 57.000 rifugiati hanno fatto ritorno in Burundi dalla metà del 2017, esprimendo il desiderio di tornare nelle proprie case e nelle proprie fattorie, e di riunirsi alle proprie famiglie. Altri rifugiati ritornati nel Paese ritengono che, per quanto problematico, vivere a casa propria costituirà un miglioramento rispetto alla condizione vissuta da rifugiati.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ritiene che le condizioni attuali in Burundi non consentano di promuovere il ritorno nel Paese, nonostante fra i rifugiati assistiti vi sia chi affermi di aver preso una decisione consapevole decidendo di ritornare volontariamente. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati incoraggia gli Stati ad assicurare che nessun rifugiato faccia ritorno in Burundi contro la propria volontà. Dal momento che è previsto che il numero di rifugiati che faranno ritorno volontariamente nel 2019 aumenti, l’appello prevede che una parte dei fondi sarà destinata alla reintegrazione dei rifugiati nel Paese d’origine.

 

Intanto, una media di 300 rifugiati continua a fuggire ogni mese dal Burundi: l’UNHCR lancia un appello ai governi della regione affinché non chiudano le frontiere e garantiscano l’accesso alle procedure di asilo a quanti ne facciano richiesta.

 

L’anno scorso, il piano di risposta regionale inter-agenzie per la crisi di rifugiati del Burundi ha ricevuto solo il 35% dei 391 milioni di dollari statunitensi richiesti. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati sollecita la comunità internazionale ad accelerare le procedure e destinare più fondi all’appello di quest’anno al fine di assicurare la disponibilità di aiuti umanitari, cruciali per rispondere ai bisogni basilari della popolazione.

 

 

Del terrorista che per trentasette anni è sfuggito alla giustizia italiana che lo ha condannato all'ergastolo per quattro omicidi, sembra essere rimasto poco. Chi lo ha visto nella saletta dell'aeroporto di Ciampino per le procedure di notifica degli atti racconta di averlo visto "quasi come liberato da d un peso", come racconta l'agenzia Agi. L'ex terrorista ha anche ringraziato la polizia per il trattamento avuto nelle fasi successive all'arresto e per essere stato fornito di abiti più pesanti di quelli che indossava.

In cella da solo e 6 mesi di isolamento diurno è il trattamento carcerario che sarà riservato al terrorista rosso. Nel carcere di Rebibbia Battisti sarà collocato nel circuito di alta sicurezza riservato ai terroristi. Non potendo però in questa fase condividere l'ambiente detentivo con altri soggetti, ci sarà per lui una sistemazione ad hoc. Inoltre, dovendo scontare la pena dell'ergastolo, sarà sottoposto per 6 mesi ad isolamento diurno.  
Trentasette anni. Oltre 13mila giorni. Tanto è durata la latitanza di Cesare Battisti. Dopo esser fuggito in Francia e in Messico, il terrorista si era nascosto in Brasile, dove pensava di vivere tranquillamente fino alla fine dei suoi giorni. Ma l’elezione di Jair Bolsonaro ha cambiato tutto. Il leader dell’ultradestra verde-oro ha preso subito la palla al balzo e, come segno di rottura rispetto all’epoca di Lula e Dilma Rousseff, ha deciso fin da subito di offrire il latitante all’Italia, dopo la richiesta del ministro dell’Interno Matteo Salvini.

La polizia, ieri, è stata chiara.L'arresto di Battisti è stato possibile grazie a una svolta politica, dovuta soprattutto all’ascesa di Bolsonaro, che ha rappresentato un vero e proprio punto di rottura nella storia del Brasile.

Il terrorista era fuggito in Bolivia, dove poteva contare su un’importante rete di covi e di contatti. Ma alla fine è stato scaricato perfino dagli stessi uomini politici che in questi anni lo avevano sostenuto, nascosto e finanziato. Ormai era inutile. Non serviva più.

C’è un altro Brasile, molto più duro, ideologico, anti-comunista e legato agli apparati della sicurezza. Bolsonaro punta su quel Brasile, quello che è contrario a tutto ciò che hanno rappresentato i suoi predecessori. C’è un senso di rivalsa senza precedenti, volontà di damnatio memoriae rispetto alle amministrazioni passate. E Battisti fa pare di quel mondo che la nuova presidenza vuole debellare il prima possibile, con la durezza tipica dei leader dell’ultradestra.

L’ultima fuga del membro dei Pac e autore di quattro omicidi è iniziata  a metà dicembre, quando il trionfo elettorale dell’ultradestra di Jair Bolsonaro fa capire a Battisti che il vento, in Brasile, è cambiato. Non è più lo stesso Paese che l’ha protetto per anni: Lula e Dilma Roussef non ci sono più e Bolsonaro non è Michel Temer.

Cosi a metà dicembre cambia il vento in Brasile e cambia anche la percezione dell’intelligence italiana e dei reparti della Pubblica sicurezza che da anni sono alle calcagna di Battisti. Sono due in particolare gli uomini che seguono le tracce del terrorista e che sono pronti a scattare non appena percepiscono che l’uomo è pronto alla fuga: Lamberto Giannini, capo dell’Antiterrorismo, e Nicolò D’Angelo, vicecapo della Polizia di Stato e direttore centrale della Polizia criminale e dei Servizi di cooperazione internazionale della Polizia. I due si sono ringraziati a vicenda: Giannini lo ha fatto pubblicamente in un’intervista al Huffington post in cui ha ricordato lo splendido lavoro dell’intelligence italiana.

I due hanno lavorato a stretto contatto per molto tempo. Vengono da una carriera dura fatta di inseguimenti e cacce senza tregua di super-latitanti. E per uno come Battisti, abituato a fuggire e soprattutto coperto per anni da una fitta rete di protezione internazionale, servivano due uomini d’esperienza capaci di leggere le mosse del membro dei Pac prima che queste diventassero realtà. Prevedere, arrivare un attimo prima, incrociare i dati. Una strategia costante che ha portato alla cattura in Bolivia dopo settimane in cui il telefono di Battisti si era attivato per poi sparire dai radar di nuovo. Ma è stato proprio quello a far scattare di nuovo i segugi della Polizia di Stato.

Ciondolava come un cittadino qualunque per le stradine di Santa Cruz de La Sierra, il terrorista dei Pac, Cesare Battisti. Anche se non era affatto tranquillo: questa volta era diverso, e lui lo sapeva. Il neo presidente brasiliano gliela aveva giurata, e la rete di protezione si era indebolita dopo la caduta di Lula. Sarà per questo che da qualche tempo aveva cercato rifugio in una altra via di fuga, quella dell'alcool.

Beveva molto, gli investigatori hanno accertato anche questo. Tanto che al momento dell'arresto gli uomini della polizia boliviana, quelli dell'Interpol, gli 007 dell'Aise e dell'Antiterrorismo che gli stavano addosso, si sono resi conto che era alticcio. A fregarlo, poi, è stata anche quella frenesia di cercare aiuto attraverso i social, soprattutto su Facebook, sintomo di confusione e di una grande debolezza. Si collegava abitualmente per comunicare con gli amici e i parenti. Tanto che è stato accertato che tra chi ha coperto la sua latitanza, ci sono alcuni italiani, brasiliani e boliviani: una decina di persone complessivamente.

"Se non c'era Bolsonaro poteva stare tranquillo in Brasile", ha detto il procuratore generale di Milano, Roberto Alfonso. "Decisiva è stata la collaborazione con la polizia brasiliana, che ha attivato dei canali propri, e il risultato è arrivato con la collaborazione di tutti. Il nostro intervento è stato fondamentale, è stato un gioco di squadra con un ruolo molto importante della Digos di Milano. Dal punto di vista del lavoro siamo soddisfatti".

Il più duro nei confronti del terrorista dei Pac è il Ministro Salvini. "Chi sbaglia paga - dice pochi istanti dopo lo sbarco a Ciampino - Finalmente finirà dove merita un assassino comunista, un delinquente, un vigliacco". Per il ministro dell'Interno si tratta di una "giornata storica per l'Italia". Definisce Battisti "un assassino, un delinquente, un infame, un vigliacco che non ha mai chiesto scusa". E esprime disprezzo per quel "balordo che mi sembrava sogghignante nonostante i morti che ha sulle spalle".

La procura milanese non esclude ora ulteriori indagini sulla rete che, in queste ore, avrebbe tentato di aiutare l'ex latitante a sfuggire alla cattura. "Questo non è un punto di arrivo ma un punto di partenza - promette Salvini - Sono sicuro che le nostre forze dell'ordine con la collaborazione dei servizi stranieri potranno ri-assicurare alla giustizia italiana e alle galere italiane altre decine di delinquenti e assassini che sono ancora a godersi la vita in giro per il mondo". Intanto, Salvini ci tiene "a nome di 60 milioni di italiani" a ringraziare "le forze dell'ordine per questo sole, questa speranza, questa certezza, questa ritrovata fiducia nella giustizia". Perché "il clima è cambiato, chi sbaglia paga". L'Italia oggi "è un Paese sovrano, libero, rispettato, rispettoso e rispettabile".

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