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Stampa Estera: presentato il libro di Sorgi “Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi”

Amato e odiato con la stessa intensità, osannato e ferocemente detestato, fino al lancio delle monetine davanti all'hotel Raphael a Roma, Bettino Craxi viene ricordato e riscoperto a vent'anni dalla morte - avvenuta il 19 gennaio 2000 ad Hammamet, in Tunisia - attraverso documenti, testimonianze inedite e racconti di chi lo ha conosciuto. Mentre sul grande schermo esce  il film 'Hammamet' di Gianni Amelio con Pierfrancesco Favino , in libreria arrivano in questi giorni saggi, romanzi e memoir dedicati al leader socialista. Tra questi 'Presunto colpevole' (Einaudi Stile Libero) in cui Marcello Sorgi ripercorre il crepuscolo di Craxi, il destino di un uomo e di un politico con cui il Paese non ha ancora fatto i conti fino in fondo.

Il caso Craxi rappresenta l'ultimo scorcio del Novecento italiano, sospeso tra la caduta del Muro di Berlino, il crollo della Prima Repubblica e l'alba dei poteri forti che si impongono all'inizio del nuovo secolo.

«La morte di Craxi conclude gli anni Novanta e consegna alla storia del Novecento il principio del primato della politica, mettendoci una bella pietra sopra»

Perché alla fine del 1999 non fu possibile costruire un corridoio umanitario per far rientrare in Italia da Hammamet Bettino Craxi, gravemente malato, e farlo operare e curare in un centro specializzato senza che fosse arrestato? «La mia libertà equivale alla mia vita», dirà fino all'estremo il leader socialista per spiegare il rifiuto di accettare il carcere e la decisione di restare in Tunisia, dove muore il 19 gennaio 2000. Nel resoconto della trattativa, oltre ai familiari del leader socialista si affacciano il governo, il Quirinale, il Vaticano, l'America e la Cia, i magistrati di Mani pulite e i socialisti dispersi dall'inchiesta su Tangentopoli.

Perché una Repubblica che da sempre ha negoziato su tutto per due suoi uomini di punta, due grandi statisti, cioè Aldo Moro e Bettino Craxi, si è rifiutata di farlo, mostrandosi, quanto meno, intransigente e disumana? Se lo è chiesto Marcello Sorgi nel suo recente volume, dedicato agli ultimi giorni e alla scomparsa del leader socialista, giusto venti anni fa: “Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi” (Einaudi).

Sul banco degli imputati ieri sera, al Circolo della stampa estera a Roma, alla presentazione del libro, c’era Massimo d’Alema, che era allora presidente del Consiglio e che oggi almeno, a differenza dei suoi ex compagni di partito che hanno fatto pesare la loro assenza ad Hammamet la scorsa settimana nelle commemorazioni ufficiali, non si sottrae ai dibattiti. D’Alema parla di Craxi come di un uomo sconfitto, su due fronti: su quello giudiziario, ove si trovò ad essere il capro espiatorio di un’operazione di “purificazione” della politica italiana; su quello politico, ove le sue idee non trovarono sponda nel Pci.

Sorgi richiama alla memoria anche i rapporti mai chiariti fra Di Pietro e il consolato americano a Milano, che veniva addirittura informato in anticipo delle azioni del pool. L’ex leader comunista osserva poi di non dover fare autocritica politica, perché l’ha fatta anzi tempo e che, comunque, vicende tanto lontane vanno storicizzate perché è ridicolo chiamare in causa la lotta politica fra Berlinguer e Craxi per spiegare i problemi di oggi della nostra democrazia. Più che un apprezzabile richiamo alla storia, questa considerazione di D’Alema è sembrata però ai più un voler sottrarsi da responsabilità che, da una parte, furono di certo equamente distribuite fra i partiti politici, ma, dall’altra, appartenevano anche in modo rilevante all’ex Pci.

In stampa estera alla presentazione del libro c'è stato un dibattito molto acceso, ancora attuale, tra gli ospiti dell'evento, Massimo D'Alema e Stefania Craxi. Un confronto su un punto preciso: il mancato rientro in Italia da Hammamet del leader socialista per potersi curare, mentre D'Alema era premier a palazzo Chigi. ''C'è stata o no, una grande abdicazione della politica nel confronti di un altro potere? Ti ho sentito spesso rivendicare il primato della politica, dopo 20 anni si può dire che in quel caso non ci fu?'', ha detto Stefania Craxi, rivolgendosi a D'Alema in merito all'intervento che fece con la procura di Milano per il rientro di Craxi, ma che non andò a buon fine, almeno secondo il leader socialista. ''Craxi - ribatte D'Alema - era tecnicamente un latitante. Noi come governo prendemmo una posizione pubblica, dicendo che eravamo favorevoli a che Craxi potesse venire a curarsi in Italia. In quel momento oltre il 90 per cento degli italiani era contrario. Assumemmo una posizione molto impopolare. Parlai con la procura di Milano: Craxi non sarebbe stato arrestato, ovviamente, Borrelli però si impuntò sul fatto che loro lo avrebbero piantonato in ospedale. Ma Craxi disse 'io posso venire solo da uomo libero'. Io non so quale fantasia, Stefania, si sarebbe potuta inventare per impedire che i magistrati decidessero di piantonare Craxi, fare un decreto? Le condizioni erano quelle e Craxi rifiutò".

''Non fu una trattativa nascosta, il governo - continua D'Alema - prese una posizione pubblica, impopolare, e mandammo una delegazione ai funerali''. Una scelta che non piacque alla famiglia Craxi: ''Dici che era un latitante - osserva la figlia dell'ex leader socialista - e voi volevate fare i funerali di Stato. Questa è una vostra contraddizione''. Risponde D'Alema: ''Io ho ritenuto di proporre i funerali di Stato perché le condanne non cancellano il ruolo di Craxi nella storia della Repubblica. Nessuna abdicazione quindi del primato della politica ma anzi la politica si assunse una grande responsabilità. Quale decreto potevano fare per cancellare una sentenza passata in giudicato''. Ribatte Stefania Craxi: ''potevate fare un'amnistia e non lo avete fatto''.

Io non ho partecipato mai al linciaggio politico e giudiziario di Craxi". Lo dice Massimo D'Alema alla presentazione del libro di Marcello Sorgi 'Presunto colpevole, gli ultimi giorni di Craxi' alla stampa estera. "Nel corso di questi vent'anni sono tornato più volte sul rapporto tra comunisti e socialisti, su Craxi. Da tempo insomma siamo arrivati a un giudizio non demonizzante su Craxi".

D'Alema ricorda il ruolo che ebbe Craxi per l'ingresso del Pds nell'Internazionale socialista: "Veltroni ed io andammo a Rimini a incontrare Craxi, c'era anche Giuliano Amato. Noi ponemmo problemi importanti e Craxi ebbe un atteggiamento aperto sul cambiamento in corso nel nostro partito e facilitò adesione del nuovo partito all'Internazionale socialista".

Fatto sta, incalza Stefania Craxi, che, sul primo punto, il fronte giudiziario risparmiò o quasi i comunisti, che pure finanziavano anche loro illecitamente la politica, e costoro li ripagarono non contrastando il loro operato e non facendo valere il primato della politica; sul secondo, gli eredi di quella storia a tutt’oggi si rifiutano di fare fino in fondo i conti con il loro passato, ammettendo che Craxi aveva visto giusto e che la via riformista e anticomunista era per la sinistra quella da seguire. D’Alema non ci sta, dicendo che più che fare la scelta pubblica e impopolare di tentare di far ritornare in Italia Craxi a curarsi non poteva fare: non poteva imporre che tornasse da uomo libero, come il leader socialista giustamente pretendeva.

In uno Stato di diritto, dice, la politica deve garantire l’autonomia dei magistrati. Peccato, ha osservato Sorgi, che le sentenze con cui Craxi era stato condannato tutto erano fuorché imparziali: la Corte dei diritti europea avrebbe riconosciuto qualche anno dopo, in una sentenza storica, che le indagini erano state condotte senza garanzie per l’imputato.

Ma davvero D’Alema non poteva andare più a fondo, salvando la vita del leader socialista, casomai, chiede la figlia, patrocinando un’operazione attraverso i servizi di cui allora era capo? Incalzato anche dal moderatore, il direttore de Il Messaggero Virman Cusenza, D’Alema ha osservato poi che il clima era tale in Italia che quello che lui fece, tantissimo a suo dire, lo ha reso a vita “sgradito a Dio e a li nemici suoi”. E chiama in correità i media che, in quella occasione, presero acriticamente posizione facendo montare nel paese un pericoloso clima giustizialista. Rivendica poi il fatto di essere stato l’unico, con la Bicamerale, ad avere, nel 1997, proposto un sostanzioso riequilibrio dei poteri fra politica e magistratura.

Fu Berlusconi, che del clima giustizialista si era qualche anno prima avvantaggiato, a far saltare allora il tavolo: e così si perse, dice, una “occasione storica”. Aggiunge che non ha mai partecipato al linciaggio di un uomo che, messe da parte le vicende giudiziarie, ha considerato, su un altro piano, un importante uomo di Stato (arrivando a chiedere per lui i funerali istituzionali). Si spinge poi fino a parlare di Mani Pulite come una trama ordita da quel mondo finanziario che pure si era servito del potere politico.

Siamo sicuri che quelle vicende non c’entrino con l’oggi ? Non è forse vero che tante contraddizioni attuali della nostra politica hanno origine in certi nodi né allora né in seguito sciolti ? La storia, come suol dirsi, non fa salti. E, aggiungo, non fa nemmeno sconti.

 

poi, prosegue "all'indomani delle elezioni del '92, Craxi ci propose un accordo di governo e per noi non era proponibile quella strada, Occhetto spinse per questa direzione e credo avesse ragione: per noi non era possibile votare Forlani al Quirinale e Craxi premier. Era troppo tardi. Ma io ho riflettuto molto volte su questo mancato appuntamento e tanti anni fa al nostro congresso a Firenze, io ero leader e riconobbi il valore politico di Craxi. Ma ecco non è che a ogni anniversario si può fare autocritica".

 

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