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«Allah è grande» inneggia via twitter, Mohammed Noura sotto la foto della cattedrale di Notre-Dame in fiamme. Ovviamente tutti i nomi sono musulmani, anche se il disastro di Parigi sembra non essere stato un atto terroristico. I più sofisticati ironizzano sull'incendio ricordando che gli ultimi giorni sono uscite battute e scherzi sulla Mecca messa a fuoco senza che nessuno si scandalizzasse più di tanto per il sito sacro degli islamici. Se la gente comune si scatena inneggiando al rogo d Notre-Dame figuriamoci cosa verrà fuori nelle prossime ore dai siti jihadisti, che vengono monitorizzati da strutture specializzate come il gruppo americano Site. Non è escluso, come è capitato in passato, che i resti dello Stato islamico rivendichi l'incendio pur non avendo alcuna responsabilità. Nei video montati ad arte per seminare il terrore più volte si raffigurava il crollo della Torre Eiffel o roghi a chiese e cattedrali come Notre-Dame, che rappresentano il simbolo della cristianità.

La procura di Parigi indagherà sui motivi dell'incendio anche se nessuno indica, per ora, una matrice terroristica. Però non si esclude del tutto il dolo ricordando che negli ultimi mesi le chiese di Francia sono state travolte da un'ondata di vandalismi e incendi. La cappella dove è stato girato il famoso film Codice Da Vinci è stata data alle fiamme. In febbraio i vandali hanno fatto a pezzi statue della Vergine Maria e di Gesù.

Sembra un'incredibile coincidenza, ma proprio ieri è stata condannata ad otto anni di carcere, Ines Madani, una giovane aspirante kamikaze francese, che ha cercato di dare fuoco ad un'automobile zeppa di bombole di gas vicino alla cattedrale di Notre-Dame per farla divorare dalle fiamme.

L'incendio che ha devastato Notre-Dame è stato domato ma la volta della navata centrale è crollata in alcune sezioni e sul transetto, dove poggiava la guglia: è quanto si vede nelle prime immagini riprese dall'interno della cattedrale. Quello che preoccupa, ora, è soprattutto la tenuta strutturale dell'edificio, indebolita dalle fiamme. Il restauro della cattedrale «durerà mesi e anni»: lo ha detto il ministro francese della Cultura, Franck Riester, spiegando che è ancora «troppo presto» per valutare la durata precisa della ristrutturazione. «In ogni caso - ha detto ai microfoni di France Info - ci vorrà tanto tempo e bilanci molto importanti». Riester ha precisato che «i due terzi del tetto sono andati in fumo» e che la «guglia è crollata all'interno della cattedrale, creando un buco nella volta», anche «una parte delle vetrate» è andata «distrutta».

La struttura complessiva della cattedrale di Notre-Dame è «salva», ma per dire l'ultima parola sulla sua effettiva stabilità bisogna attendere il verdetto degli esperti, riuniti stamani. Le fiamme, dopo una lunga notte di lavoro accanito di almeno 400 vigili del fuoco con 18 autobotti, è stato quasi del tutto spento e i pompieri stanno ora lavorando per estinguere gli ultimi focolai, all'interno.

Questa la situazione quando a Parigi è tornata la luce del sole, che prima di tramontare ha impresso al mondo intero le drammatiche immagini del crollo prima della guglia centrale, poi del tetto. Che, stando a quanto affermato dai pompieri, è sprofondato per almeno due terzi.

L'incendio sarebbe partito dall'impalcatura che cinge la cattedrale per i lavori di restauro, diffondendosi sulla guglia e sul tetto che sono stati pesantemente compromessi. A formulare l'ipotesi è Pier Paolo Duce, responsabile della sede di Sassari del Cnr-Ibimet (Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche). «È impossibile entrare nel merito dell'accaduto in dettaglio - afferma - ma dai dati disponibili e dalle immagini diffuse dai media la dinamica pare abbastanza chiara».

Il materiale ligneo, ricorda Duce, «è combustibile. L'altro elemento di propagazione degli incendi è il vento, o meglio l'ossigeno, e a giudicare dalla dinamica della nube che si eleva sopra la cattedrale pare che anche questo agente abbia fatto la sua parte, un pò come quando per alimentare il fuoco si soffia nel camino». Le strutture portanti in muratura di tanti edifici monumentali, come per esempio gli archi a sesto acuto di una cattedrale gotica spesso sorreggono coperture lignee non sempre a vista di dimensioni talvolta enormi.

Secondo i primi elementi dell'indagine, è proprio nel tetto che hanno inziato a divampare le fiamme che hanno poi divorato Notre-Dame. Eppure c'è ancora molto da chiarire perché il tetto è un punto difficile da raggiungere, dal momento che è circondato dalle impalcature. "Al momento dello scoppio delle fiamme - ha fatto sapere il portavoce del monumento - tutti gli operai avevano lasciato il sito". Ai lavori partecipano cinque società, che operano sotto la responsabilità della sovrintendenza architettonica dei monumenti storici e dello Stato, eppure nessuna di queste ha mai pensato alla sicurezza. Il cantiere è stato lasciato incustodito e non è mai stato impiantato un sistema antincendio valido. "Questa mattina - ha spiegato Heitz - sono iniziati gli interrogatori dei dipendenti di queste aziende".

"In un cantiere di questo tipo - spiega al Messaggero l'ingegnere Guido Parisi, direttore centrale emergenza dei nostri vigili del fuoco - un sistema anti incendio normalmente è previsto". Ma qualcosa non deve aver funzionato come si deve. E così le fiamme hanno avuto tutto il tempo per propagarsi e bruciare tutto il tetto. L'ubicazione della cattedrale, in pieno centro e a due passi dalla Senna, ha impedito ai mezzi pesanti di raggiungere il luogo dell'incendio. Al tempo stesso non è stato possibile far alzare in volo i Canadair perché, come spiega le Monde, lanciare "sei tonnellate di acqua ad alta velocità verso il suolo" avrebbe potuto ferire i passanti. "Il fumo verso l'alto riduce la visibilità - aggiunge Parisi - e complica un intervento aereo".

Simbolo della cristianità, della Francia e dell'Europa, la cattedrale di Notre Dame, colpita da un devastante incendio che ha distrutto gran parte dell'edificio, è considerata uno dei capolavori del gotico.

L'inizio della sua costruzione risale al 1163 ed è stata completata intorno al 1250 sull'area dove sorgeva la chiesa di Santo Stefano. Da subito i progettisti avevano pensato di creare un edificio monumentale ma le dimensioni superarono immediatamente quelle di tutte le chiese dell'epoca diventando sa subito unica nel suo genere anche per le peculiarità architettoniche come gli archi rampanti al suo interno, inseriti in un secondo momento per sorreggere i muri ritenuti troppo sottili.

Il suo interno è composto di cinque navate, con doppie navate laterali. Sotto la balaustra della facciata, 28 Statue della Galleria dei Re, distrutte nel corso della Rivoluzione francese, quando la chiesa venne trasformata in "Tempio della Ragione", e ripristinate nel XIX secolo. Al centro della facciata occidentale della cattedrale, il rosone con la Madonna che tiene fra le sue braccia Gesù Bambino con due angeli.

Da subito diventata il cuore pulsante della capitale della Francia, Notre Dame è stata protagonista in questi secoli della storia francese. E quindi del mondo. Dopo la rivoluzione francese, è tornata a essere di proprietà della Chiesa nel 1801 con il concordato tra Papa Pio VII e Napoleone Bonaparte. E qui, Napoleone Bonaparte venne incoronato imperatore dei francesi tre anni dopo, il 2 dicembre 1804. A quell'epoca, la cattedrale versava in condizioni pessime, e nel 1845 venne avviato il programma di restauro sotto la direzione di Viollet-le-Duc, che realizzò i famosi gargoyles. Il 31 maggio 1864, Notre Dame venne consacrata ufficialmente.

Sono stati come sempre numerosi i fedeli che, sabato sera, hanno animato la processione in onore dell’Immacolata, ultimo atto di una festa che, a Ragusa, affonda le radici nelle tradizioni dei secoli andati (è fatto risalire addirittura al 1743 la recita dell’atto di affidamento della città alla protezione della Vergine, lo stesso celebrato la sera della vigilia). All’uscita dalla chiesa di San Francesco in piazza Chiaramonte, nel quartiere di Ibla, l’incedere del simulacro della Santa Madre di Dio è stato salutato da grida di giubilo e da una pioggia di cartigli colorati con la scritta “Viva Maria”. Poi il tradizionale corteo, con la recita delle preghiere e la banda musicale “San Giorgio” che ha contrappuntato i momenti di vuoto attraverso l’esecuzione di alcune marce. Un richiamo insostituibile per i devoti. Ma anche per i turisti che, così come accade ormai da tempo, hanno fatto capolino tra i fedeli per ammirare lo straordinario passaggio del simulacro.

Con la processione è stata messa in evidenza la santità e la purezza di Maria. Lo ha ricordato anche il rettore della chiesa di San Francesco all’Immacolata, padre Pietro Floridia, parroco del Duomo di San Giorgio, durante l’omelia. La processione si è snodata per le principali vie del quartiere barocco. I fedeli hanno poi fatto ritorno in chiesa dove il simulacro è stato riposto. Non prima, però, di avere avuto l’opportunità di ammirare i fuochi pirotecnici. “Anche nel coro di questa edizione – dice Giorgio Mallemi, principale ispiratore del comitato dei festeggiamenti – abbiamo cercato di rendere dei significativi momenti di fede un appuntamento irrinunciabile per i credenti. E siamo contenti che la partecipazione continui ad essere consistente, un modo per condividere assieme a noi la devozione nei confronti della Madre di tutti. Significa che i messaggi lanciati nel corso di tutti questi anni hanno colto in qualche modo nel segno”.

"Sono trascorsi trentotto anni dalla tremenda Strage di Bologna - scrive il presidente - che straziò 85 vite innocenti, con indicibili sofferenze in tante famiglie, ferendo in profondità la coscienza del nostro popolo. Il tempo non offusca la memoria di quell'attentato, disumano ed eversivo, che rappresentò il culmine di una strategia terroristica volta a destabilizzare la convivenza civile e, con essa, l'ordinamento democratico fondato sulla Costituzione. L'orologio della stazione, fissato sulle 10 e 25, è divenuto simbolo di questa memoria viva, di un dovere morale di vigilanza che è parte del nostro essere cittadini, di una incessante ricerca della verità che non si fermerà davanti alle opacità rimaste. Fu un'esplosione devastante, per la città di Bologna e per l'intera Repubblica

Questa la mattinata a Bologna. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte scrive su Twitter: "Il pensiero va alle 85 vittime della strage di 38 anni fa e ai familiari che attendono ancora risposte. Saremo sempre al loro fianco nella ricerca della verità. Lo dobbiamo a loro e a noi tutti". 

"Lo Stato ora c'è. La promessa è di esserci fino in fondo": così il presidente della Camera Roberto Fico, dal piazzale Medaglie d'oro davanti alla stazione di Bologna, cerca di rincuorare i famigliari delle vittime e la città intera nel XXXVIII anniversario della strage del 2 agosto 1980: 85 le vittime, oltre 200 i feriti nell'esplosione di una bomba alle 10.25.

Il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede  : “Per me è incredibile che dopo che lo Stato si è dimostrato negligente per 38 anni i famigliari dimostrino ancora di voler credere nello Stato, dando una lezione di civiltà che la politica non ha mai dato. Non saranno le mie parole di adesso a rassicurarvi, saranno i fatti a dirvi che vi siamo vicini nella ricerca della verità”.

"Questa non è la vostra battaglia personale - prosegue il Guardasigilli -  ma una sfida cruciale per lo Stato. Vi ringrazio per la vostra attività, nonostante le delusioni e i colpevoli ritardi. Vogliamo che possiate tornare a credere nello Stato. Il tempo per le parole è finito: abbiamo siglato protocollo per la digitalizzazione dei fascicoli, tutti gli atti sulle stragi saranno accessibili. Per farlo coinvolgeremo anche i detenuti”.

A proposito dei risarcimenti: “Porremo rimedio alle questioni applicative della legge rimaste in sospeso. Vi garantisco che l’impegno del governo è serio e concreto, tornerò a Bologna nei prossimi mesi a incontrarvi”
 

La verità non si "è  ancora affermata. I veri colpevoli non sono stati ancora condannati. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che i giudici a Bologna sono sempre stati prigionieri di logiche idelogiche-giudiziarie con lo scopo non di ricercare la verità  ma di riuscire, a tutti i costi, ad arrivare alla conclusione che la matrice fosse nera per ragione di Stato". Sono le parole delle deputata di Fdi Paola Frassinetti, che hanno provocato la protesta forte di una parte dell'aula della Camera. "Bisognerebbe avere lo stesso coraggio del presidente Cossiga  quando nel 1991 ebbe l'onestà di ammettere che si era sbagliato e che la strage non era addebitabile ad ambienti di estrema destra chiedendo anche scusa. Anche il nuovo processo iniziato a Bologna in corte di Assise a marzo è un'altra occasione perduta. Invece di approfondire la pista che porta a verificare l'ipotesi dell'esistenza di una ritorsione del terrorismo palestinese...".

Il 2 agosto 1980, alle 10.25, nella sala d'aspetto della seconda classe della Stazione di Bologna Centrale, esplode un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata. Le vittime sono ottantacinque, i feriti oltre duecento. Quello di Bologna e' uno degli atti terroristici piu' gravi del secondo dopoguerra per il quale si giunge a una sentenza definitiva solo il 23 novembre 1995: sono condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato, i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti, mentre l'ex capo della P2 Licio Gelli, l'ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vengono condannati per il depistaggio delle indagini. Il 9 giugno 2000 la Corte d'Assise di Bologna emette nuove condanne per depistaggio. I mandanti della strage non sono mai stati identificati.

Il 9 giugno 2000 la Corte d’Assise di Bologna ha emesso una nuova condanna per la stessa motivazione e nel 2007 e arrivata anche la condanna definitiva in Cassazione  per Luigi Ciavardini (diventeranno poi 26, prima di ottenere nel 2009 la semilibertà), esponente dei Nar, minorenne all’epoca dei fatti. Il suo coinvolgimento avvenne tramite le testimonianze di Angelo Izzo, arrestato nel 1975 per il Massacro del Circeo e della militante neofascista Raffaella Furiozzi, catturata il 24 marzo 1985 dopo un conflitto a fuoco, durante il quale perse la vita il suo ragazzo Diego Macciò. Eppure la verità su ciò che accadde quel 2 agosto del 1980 sembra essere ancora lontana. I mandanti dell’attentato non sono mai stati chiariti e nuove piste continuano a spuntare continuamente.

Strage di Stato. È la definizione-shock che fu coniata, in origine, per piazza Fontana: la prima bomba nera, quella del 12 dicembre 1969 a Milano (17 morti). Significa che pezzi dello Stato sono stati complici degli stragisti. È la più tragica anomalia italiana. Il terrorismo colpisce in tutto il mondo, ma nei Paesi civili è contro lo Stato, che unisce le sue forze per combatterlo. In alcune nazioni, invece, è dentro lo Stato. Per anni la tesi della strage di Stato fu liquidata come “un’invenzione della sinistra”. Oggi è il marchio ufficiale del terrorismo di destra italiano, confermato già da quattro sentenze definitive. Ignorate o dimenticate. Anche se raccontano gli anni più neri della nostra democrazia. E offrono una chiave che potrebbe aprire l’armadio dei misteri anche delle stragi mafiose. Strategia della tensione. Dal passato al presente. Da Milano a Bologna. Da Palermo a Roma

Un afoso sabato di esodo, con le foto e le immagini delle code in autostrada pronte, come da 'copione' del periodo, per diventare l'argomento del giorno di quotidiani e tg. Alle 10.25 del 2 agosto 1980, invece, un'esplosione alla stazione centrale di Bologna spezza nel sangue la tranquilla routine del rito delle vacanze: 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage più sanguinaria nella storia italiana.
Il boato squarcia l'ala sinistra dell'edificio su piazza Medaglie d'Oro: la sala d'aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano vengono disintegrati.

Anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario e in ritardo di un'ora sulla tabella di marcia, è colpito dalla valanga di macerie e detriti che in pochi istanti schiacciano e soffocano inermi viaggiatori di ogni età e provenienza. Nel ristorante-bar-self service perdono la vita sei lavoratrici, tra le vittime anche due tassisti in attesa di clienti. Ovunque lacrime, urla straziate, polvere che entra in gola e soffoca il piano disperato di passeggeri sotto choc che cercano di individuare amici e parenti. La vittima più piccola è Angela Fresu, appena 3 anni, e poi Luca Mauri, di 6, Sonia Burri, di 7, fino a Maria Idria Avati, ottantenne, e ad Antonio Montanari, 86 anni.

In pochi minuti arrivano decine di mezzi dei vigili del fuoco, polizia, carabinieri, vigili urbani, ambulanze, l'Esercito. Saltano le linee telefoniche e i primi cronisti giunti sul posto, per poter raccontare l'inferno di quei momenti, 'espropriano' la cabina dei controllori degli autobus sul piazzale, dove il telefono invece funziona. Cellulari e internet non esistono ancora. Anche il contributo degli autisti si fa determinante, quando di lì a poco un bus giallo e rosso della linea 37, la vettura 4030, nell'emergenza si trasforma in un improvvisato carro funebre per trasportare le salme alla Medicina legale, nella vicina via Irnerio. Alla guida si mette l'imolese Agide Melloni, autista trentunenne: "Mi chiesero di portare via i cadaveri con il bus. Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi appesi ai finestrini. In ogni viaggio c'era con me qualche soccorritore, per sostenermi". Le ambulanze servono invece per i vivi, distribuiti in tutti gli ospedali, dove rientrano in servizio medici e infermieri.

Le prime ipotesi investigative prendono in considerazione lo scoppio di una caldaia, ma nel punto dell'esplosione non ce ne sono. Lo si capisce presto, mentre i lavori di scavo procedono a rilento perché si continuano a cercare persone vive tra le macerie. In poco tempo, accantonata l'improbabile fuga di gas, la causa della strage si fa drammaticamente chiara: una bomba ad alto potenziale. In stazione arriva, commosso e angosciato, il presidente della Repubblica Sandro Pertini, mentre tutt'intorno una catena umana continua a spostare detriti e il silenzio irreale del centro città è squarciato dalle sirene.

La sera piazza Maggiore si riempie: Bologna, attonita e sgomenta, non chiede vendetta ma giustizia, mentre il ricordo torna a un'altra strage, quella dell'Italicus, la notte del 4 agosto di sei anni prima a San Benedetto Val di Sambro, sull'Appennino, con 12 morti e 44 feriti. "La stessa città, lo stesso nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze, forse lo stesso proposito - commenterà il giorno dei funerali il sindaco Renato Zangheri - di recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e governi la debolezza della nostra democrazia". Intanto in quelle stesse ore, all'obitorio, un maresciallo continua a tentare di dare un nome alle vittime: un'identità più volte affidata a brandelli di indumenti, un anello, i resti di una catenina o un documento. Trentotto anni dopo i familiari delle vittime e Bologna chiedono ancora di conoscere tutta la verità sulla strage e sui suoi mandanti.

 

 

 

È tornata l'emergenza migranti a Udine. Da quando si è riaperta la rotta balcanica, il flusso migratorio in Friuli Venezia Giulia e nel capoluogo friulano è ripreso con vigore Migranti, Udine chiama Salvini: "Sono troppi, intervieni"

Come riporta il Messaggero Veneto, il numero degli ospiti all'ex caserma Cavarzerani è aumentato all'improvviso da 200 a 318, sfiorando il limite delle 320 presenze stabilito dal nuovo bando per la gestione della struttura di accoglienza. "Nell'ultima settimana gli arrivi sono raddoppiati - ha sottolineato il presidente del comitato provinciale della Croce Rossa, Sergio Meinero -. Prima dieci, ieri quattordici e se andrà avanti così sicuramente sforeremo nelle prossime ore il numero consentito".

Secondo l'intesa Viminale-Anci, a Udine dovrebbero essere presenti non più di 250 migranti. Invece in città ci sono circa 700 rifugiati, la maggior parte collocati con il sistema Aura (Accoglienza Udine richiedenti asilo) che terminerà a dicembre sec ondo il volere della nuova giunta

Intanto una barca diretta in Europa con a bordo 158 migranti, tra cui 34 donne e nove bambini, è stata intercettata ieri dalla guardia costiera della Libia al largo della città di Khoms. Lo ha reso noto la stessa guardacoste libica. I migranti, hanno sottolineato, hanno ricevuto aiuti umanitari e assistenza medica e sono stati portati in un campo profughi a Khoms.

"Le badanti a causa dei restringimenti previsti per gli immigrati e dello stop dei flussi sono diminuite. Ho sollevato al presidente Conte la questione, proponendo di inserire nel decreto flussi non meno di 50 mila visti per motivi di lavoro. Le badanti non vengono più e questo comporta un problema per gli anziani. Senza di loro, senza l'assistenza domiciliare o senza la creazione di forme alternative di co-housing non possono piu stare a casa loro, c' é un tasso di mortalità in aumento". E' l'sos lanciato dal presidente della comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo.

Nonostante la linea dura dell'Italia, le Ong sfidano il governo e tornano a scandagliare il Mediterraneo alla ricerca dei barconi carichi di migranti che cercano di lasciare la Libia per arrivare in Europa

A denunciarlo questa mattina è Matteo Salvini che pubblica sulle sue pagine social  la mappa delle navi delle organizzazioni non governative. Se sei - dalla Aquarius alla Iuventa, dalla Lifeline alla Sea-Watch3, dalla Sea Eve alla Seefuchs - sono ferme in vari porti (tre a Malta, una in Italia, una in Tunisia e una in Francia), due hanno ripreso il largo. Sono le spagnole Open Arms e Astral che navigano in acque internazionali tra la Sicilia e la Libia.

"Due navi di Ong spagnole sono tornate nel Mediterraneo in attesa del loro carico di esseri umani", ricorda quindi Salvini. Che le avverte. "Risparmino tempo e denaro, i porti italiani li vedranno in cartolina".

"L'Europa che poteva essere un'opportunità in questo momento su tanti fronti è un problema, pensiamo a migranti, banche, politica agricola, sanzioni alla Russia". Lo ha detto il ministro dell'Interno Matteo Salvini a margine dell'inaugurazione della nuova Questura di Fermo. "A Bruxelles hanno capito che finalmente in Italia c'è un governo disposto a tutto pur di difendere l'interesse nazionale - ha aggiunto -, ci saranno i sì da dire e li diremo, se per il bene del Paese dovremo dire dei no, siamo pronti a farlo".

La Spagna ha superato l'Italia per numero di arrivi di migranti dall'inizio dell'anno al 15 luglio: 18.016 quelli sbarcati sulle coste spagnole, lungo la rotta del Mediterraneo occidentale, rispetto ai 17.827 arrivati attraverso la rotta centrale dalla Libia all'Italia. Sono i dati diffusi oggi dall'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim). 

In Spagna non si ferma intanto l'emergenza, con oltre 892 persone tratte in salvo nel solo fine settimana al largo delle coste andaluse. 

"L'Europa che poteva essere un'opportunità in questo momento su tanti fronti è un problema, pensiamo a migranti, banche, politica agricola, sanzioni alla Russia". Lo ha detto il ministro dell'Interno Matteo Salvini a margine dell'inaugurazione della nuova Questura di Fermo. "A Bruxelles hanno capito che finalmente in Italia c'è un governo disposto a tutto pur di difendere l'interesse nazionale - ha aggiunto -, se per il bene del Paese dovremo dire dei no, siamo pronti a farlo". Il ministro che ha definito "una buona notizia" il disgelo tra usa e Russia, vorrebbe ospitare il prossimo vertice Trump-PUtin "in Italia" e spera che riprendano le vendite delle eccellenze italiane, e marchigiane, in Russia, dopo le "sanzioni senza senso" che hanno portato "un danno economico non indifferente. Una follia chiudere mercati che amano il Made in Italy. Anche perché per assurdo l'Italia è quella che ci ha smenato di più mentre Usa, Germania e Francia hanno aumentato il loro business. C'è qualcosa che non torna".

Intanto come riferisce il quotidiano Il Giornale Il procuratore capo, Armando Spataro, ha inviato oggi il terzo sollecito - i primi due vennero mandati all'ex Guardasigilli Andrea Orlando, ma non avevano ottenuto risposta - ad Alfonso Bonafede, dal momento che il fascicolo di indagine è stato aperto per vilipendio all'organo giudiziario e per questo deve essere vagliato dal ministro competente, che può autorizzare o meno i pm a procedere.

Il caso risale al 2016, quando il leader della Lega, oggi vicepremier e ministro dell'Interno, parlò di "magistratura schifezza" durante un comizio. Allora Salvini si difese sostenendo che "ci sono tanti giudici che fanno benissimo il loro lavoro", ma che "purtroppo è anche vero che ci sono giudici che lavorano molto di meno, che fanno politica, che indagano a senso unico e che rilasciano in 24 ore pericolosi delinquenti". "Finché la magistratura italiana non farà pulizia e chiarezza al suo interno, l’Italia non sarà mai un Paese normale", aveva sottolineato.

Dal ministero assicurano che, come su altri fascicoli inerenti fatti analoghi, "è in corso un'istruttoria e il Guardasigilli - che conosce la situazione, il quadro legislativo a cui fa riferimento la procedura con tutte le relative tempistiche - è pienamente consapevole delle prerogative connesse al suo ruolo".

La Boldrini torna in cattedra: "Salvini cinico e disumano : "Questo governo dà indirettamente la libertà di sparare al grido "Salvini Salvini", di pestare un dipendente di colore "perché adesso c'è Salvinì; è composto da oltre 60 membri di cui solo 11 sono donne. Stiamo andando indietro di decenni: siamo diventati i Sauditi d'Europa", ha tuonato l'ex presidente della Camera. Che poi ha aggiunto: "Questo governo non ha più pudore, né remore, né tabù: quello che pensavamo che non si potesse mai dire o sentire, invece viene detto e noi siamo ad ascoltarlo. C'è una vera e propria caccia al migrante che rimette in discussione il principio più antico del soccorso in mare. Questo governo vuole mirare a scoraggiare il soccorso. 'Fate finta di non vedere, perché poi sono affari vostri'".

Per rincarare la dose del suo attacco, la Boldrini si è accodata alla petizione lanciata dal leader di Possibile, Giuseppe Civati, per chiedere una mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. "Un’ottima iniziativa di partecipazione per raccogliere voci in disaccordo con le scelte ciniche, razziste, disumane, oltre che inconcludenti di Matteo #Salvini. Mi adopererò per dare seguito alla richiesta in Parlamento", ha motivato l'ex presidente della Camera.

“La Calabria ha una notevole e solida produzione culturale. È necessario però che non resti fine a se stessa. La cultura deve diventare uno strumento di crescita sociale, un’occasione di riscatto per l’intera regione. Per questo occorre avviare una nuova stagione di impegno civile, nella quale sarà fondamentale il contributo degli intellettuali della nostra terra. Viviamo una fase storica complessa, in cui è di vitale importanza uno sforzo straordinario da parte di tutti: la politica, le istituzioni, le parti sociali. La cultura deve essere un pezzo di questo processo. Dobbiamo lavorare tutti assieme per perseguire il bene comune”. È il messaggio lanciato dal Salone del libro di Torino dal presidente del Consiglio regionale della Calabria, Nicola Irto. Il rappresentante di palazzo Campanella (che ha anche fatto gli onori di casa, allo stand della Regione, al presidente della Fondazione del Libro  Massimo Bray) ha partecipato alla presentazione di diversi volumi: “Generazione don Milani”, “Dei confini, dell’identità e di altri demoni”, “L’ape furibonda”, “Territori per lo sviluppo” e “Le voci dall’eco”. Incontri nel corso dei quali Irto ha riproposto il filo conduttore della sua presidenza: “Occorre investire in cultura perché essa è uno degli asset in grado di produrre valore aggiunto e generare benessere sociale”. Intervenendo alla tavola rotonda “La regione degli scrittori per una nuova narrazione della Calabria”, Irto ha sostenuto: “In un’epoca nella quale la fanno da padrone i social network, gli insulti e il sensazionalismo, una grossa mano all’immagine e alla reputazione della nostra regione sta arrivando da testimonial come gli scrittori, che usano un supporto da alcuni considerato in via d’estinzione: la carta. Tuttavia – ha aggiunto – credo che a cambiare la narrazione della Calabria non debbano essere gli scrittori ma gli attori istituzionali, a cominciare dai politici”. Il presidente dell’Assemblea legislativa calabrese ha ricordato “quanto di positivo stiamo facendo in Consiglio regionale: le misure di trasparenza e sobrietà, i tagli ai vitalizi e ai costi della politica, gli investimenti sul diritto allo studio e sul polo culturale Mattia Preti. Non è sufficiente ma è un inizio”.

“L’importante – ha incalzato Nicola Irto - è che a cambiare la narrazione della Calabria siamo noi stessi, iniziando a usare un linguaggio sobrio, senza parlare ogni due giorni di ‘rivoluzioni’ e di ‘eventi epocali’ perché l’errore più grave che una classe dirigente possa commettere è quello di non rispettare l’intelligenza dei cittadini. Solo se cambieremo noi si trasformerà la Calabria e, a quel punto, muterà anche il modo stesso di raccontarne le vicende da parte degli altri".

Nel suo appello agli intellettuali calabresi, il presidente Irto ha concluso: “Abbiamo bisogno del contributo di critica costruttiva ed elaborazione intellettuale delle tante energie positive di cui dispone la nostra regione. Dobbiamo aprirci, non rinchiuderci; impegnarci e non essere indifferenti. Così ricostruiremo una cultura meridionalista forte, nel solco di figure di altissimo profilo, come Rosario Villari, che continuano a rappresentare dei punti di riferimento assoluti per l’intero Paese”.

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