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Domenica, 28 Aprile 2024

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Un’unica voce, un piano d’azione comune per ridisegnare il Sistema Salute alla luce delle due grandi rivoluzioni in atto: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e digital health.   Alcune delle azioni presentate i giorni scorsi a Roma alla presenza di esperti e Istituzioni per promuovere un Sistema Salute efficiente che risponda ai bisogni dei pazienti: • Definizione a livello nazionale dei requisiti e delle condizioni minime di partecipazione delle Associazioni nelle fasi di programmazione e di verifica di attuazione delle politiche sanitarie • Istituzione di un comitato delle Associazioni di Pazienti e di un Gruppo di Lavoro "Buone Pratiche" nell’ambito di Agenas • Programmi formativi di telemedicina per gli operatori sanitari • Registri di patologia più ampi e Implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico • Valutazione di efficienza e qualità dei servizi di telemedicina a garanzia dei LEA   Le Associazioni di Pazienti devono essere inserite fra gli autori delle politiche sanitarie e coinvolte nella definizione degli obiettivi, dei percorsi di presa in carico, degli strumenti con cui realizzarli e degli indicatori con cui valutarli. È quanto sottolineano 50 sigle di realtà associative nel documento programmatico "Azioni e proposte per una sanità a misura di paziente", presentato oggi a Roma nel corso dell’evento PATH – Join our future. Il dialogo aperto con le Istituzioni nazionali e locali e con gli esperti di digital health è alimentato dalla volontà delle Associazioni di collaborare - quali interlocutori fondamentali, competenti e concreti - con i diversi attori del Sistema Salute per plasmare una sanità realmente partecipata, a misura di paziente. Con questo spirito di collaborazione e con l'obiettivo di delineare politiche sanitarie condivise, pianificate a partire dall’ascolto delle istanze dei pazienti, le Associazioni di Pazienti hanno redatto una serie di proposte attuative, contenute nel Documento Programmatico.   Le Associazioni di Pazienti auspicano che il ridisegno del Sistema sia efficace nel rispondere ai bisogni di salute e garantisca una maggiore accessibilità a cure e servizi in maniera omogenea sul territorio. Nato lo scorso giugno nell’ambito della due giorni di lavori PATH – Join our future, che ha visto confrontarsi oltre 60 delegati di Associazioni di Pazienti di diverse aree di impegno sui temi di co-creazione, territorio, efficacia dei servizi, telemedicina, evidence generation e data privacy, questo testo è il risultato di un lavoro corale, realizzato con spirito di partecipazione attiva e con l’obiettivo di portare a compimento le proposte operative delineate.   “Abbiamo iniziato questo percorso  negli anni della pandemia, convinti del valore di una piena partecipazione di tutti gli interlocutori del Sistema Salute e sostenitori della partnership con le Associazioni di Pazienti - ha sottolineato Maurizio de Cicco, Presidente e Amministratore delegato di Roche Italia - Ci impegniamo per una sanità costruita a partire dai bisogni dei pazienti, che risponda alle loro istanze e se ne faccia carico in maniera efficace e sostenibile, per un impatto concreto e positivo sulla vita di ogni persona. Il confronto stimolante e sentito con le Istituzioni è il segnale che siamo in una fase matura per procedere lungo questo percorso, verso un cambiamento culturale mosso dalla volontà di co-creazione, ascolto e collaborazione. Noi vogliamo essere facilitatori di questo cambiamento per una corretta implementazione delle tematiche oggetto del dibattito: medicina di prossimità, telemedicina, evidence generation e digital health. Insieme, guardando sempre al futuro della salute”. Proposte e azioni per una sanità a misura di pazienti in cinque tematiche: 1. CO-CREAZIONE: insieme per migliorare la vita dei pazienti Consolidare i processi di partecipazione attiva delle Associazioni di Pazienti alle politiche socio-sanitarie. Formazione È auspicabile l’implementazione di programmi di formazione, qualora necessari, definiti tramite un tavolo di co-creazione tra Associazioni di Pazienti, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali (Agenas), e altri stakeholder del Sistema Salute responsabili delle attività oggetto della formazione. Rappresentatività Si propone: • L’istituzione di un comitato delle Associazioni di Pazienti nell’ambito di Agenas, o, in alternativa - laddove quanto proposto non fosse praticamente realizzabile – l’apertura di procedure per l’audizione delle Associazioni di Pazienti nell’ambito di Agenas. • L’istituzione nelle Regioni di Gruppi di lavoro - composti da Istituzioni, Operatori e Associazioni di Pazienti - preposti all'ascolto dei pazienti e al monitoraggio sia nella fase di redazione dei piani di programmazione sia nella fase di attuazione. • La definizione a livello nazionale dei requisiti e delle condizioni minime di partecipazione delle Associazioni nelle fasi di programmazione e di verifica di attuazione delle politiche sanitarie nazionali. • L’apertura di una consultazione presso Agenas/Governo con le Associazioni di Pazienti e le Società Scientifiche per lo sviluppo di un modello innovativo di URP (Uffici Relazioni con il Pubblico), anche integrato con i flussi informatici, per la raccolta sistematica dei dati e delle istanze degli utenti e delle Associazioni. • L’istituzione, in seno agli Assessorati regionali competenti, di Sportelli informativi sull'attuazione della Riforma rivolti a pazienti e Associazioni.   2. TERRITORIO: vicino alle esigenze dei pazienti Favorire la partecipazione delle Associazioni di Pazienti nell’ambito della riorganizzazione dell’assistenza territoriale che si delinea grazie al PNRR, per garantire equità di accesso e aderenza ai percorsi di cura sull’intero territorio nazionale. Monitoraggio Si propone di richiedere al Ministero della Salute l'istituzione presso Agenas di un Gruppo di Lavoro "Buone Pratiche", che preveda il coinvolgimento delle Associazioni nel monitoraggio nazionale: un osservatorio/piattaforma nazionale delle migliori pratiche, che possono essere messe in relazione ai dati che provengono dalle banche dati istituite presso l'ISS (ad es. osservatori epidemiologici), e a quelli regionali e territoriali/URP.   Progettazione Si propone la costituzione di una conferenza delle Associazioni di Pazienti con le società scientifiche di riferimento, i farmacisti ospedalieri e i rappresentanti degli organi regionali di riferimento (direzioni sanitarie degli ospedali, delle ASL o USLL ecc.) per la definizione di PDTA di patologie di nuova generazione (ospedale – territorio – domicilio), che favoriscano l’adozione di soluzioni omogenee su tutto il territorio nazionale e la modifica dei piani nazionali (ad esempio Piano Cronicità) coerenti con i bisogni dei pazienti e le necessità di cura.   3. EFFICACIA: indicatori a misura di paziente Stabilire indicatori condivisi di efficacia ed efficienza dei servizi per una programmazione socio-sanitaria sempre più rispondente ai bisogni dei pazienti. Definizione obiettivi case manager Il DM 77/2022 prevede l’Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM), in cui è inserita la figura del case manager. Si propone di definire in tale sede quale integrazione e con quali funzioni il case manager potrà divenire “punto di riferimento” per i pazienti anche sotto il profilo della valutazione dell’efficacia dei servizi. La definizione dei processi indicati in precedenza potrà e dovrà considerare e favorire l’individuazione di modelli e di indicatori di valutazione di efficacia, nonché di efficienza, di appropriatezza e di qualità di processo, anche rispetto ai bisogni rilevati ed emergenti dei pazienti.   4. TELEMEDICINA: strumenti al servizio della qualità di vita Stabilire criteri per la definizione dei servizi che tengano conto dei bisogni dei pazienti e dell’efficacia clinica, potenziando l’accessibilità alle tecnologie digitali, in modo equo sul territorio. Formazione Si propone di richiedere al Governo la definizione di un modello e di un programma formativo per gli operatori sanitari certificato e accreditato da Agenas e dal Centro Nazionale per la Telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità. Rilevatori di Efficacia ed Efficienza Si propone di realizzare, tramite incontri definiti tra Associazioni di Pazienti e Società scientifiche, un documento da indirizzare al Governo, ad Agenas e a tutti i componenti del Comitato Lea per l'inserimento di indicatori che valutino l’efficienza e la qualità dei servizi di telemedicina a garanzia dei LEA.   5. EVIDENCE GENERATION E DATA PRIVACY: la vita entra nella ricerca Raccogliere, analizzare e interpretare i dati nel modo più efficace possibile per incidere positivamente sui percorsi di cura e sulla sostenibilità del Sistema, tenendo conto delle esigenze di tutela della privacy. Registri di patologia Si propone di sottoporre una richiesta specifica e puntuale per la loro istituzione a Governo, Conferenza Stato - Regioni, Agenas ed Istituto Superiore di Sanità da parte di Associazioni di Pazienti e Società Scientifiche. Implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) Si propone di richiedere al Governo, da parte di Associazioni di Pazienti e Società Scientifiche, di integrare le Associazioni di Pazienti nell’ambito del monitoraggio di attuazione e implementazione del FSE secondo le recenti Linee Guida.      

Un’alimentazione sana è importante tutto l’anno, ma lo è ancora di più quando si abbassano le temperature. Durante la stagione invernale infatti il nostro fisico ha bisogno di nutrirsi in modo adeguato per
• Contrastare il freddo
• Prevenire i malanni stagionali
Vediamo quali sono gli alimenti più adatti per una dieta sana in inverno e qualche consiglio sugli integratori da assumere.

I cibi anti freddo

Quando la colonnina del termometro scende, il nostro corpo ha necessità di produrre calorie per contrastare il freddo, evitando però i grassi. Gli alimenti più indicato in questo senso sono:

  •  Zuppe, vellutate e minestroni, che sono caldi e nutrienti. L’ideale è prepararli abbinando cereali e legumi
  •  Verdura di stagione: zucca, radicchio, spinaci, broccoli. Tutte queste varietà di ortaggi sono ottime per rafforzare il sistema immunitario
  •  Frutta secca: noci, nocciole e mandorle sono ricche di grassi polinsaturi, vitamina E e zinco, che fanno bene alla pelle secca e screpolata per il freddo

Integratori a base di CBD

Durante l’inverno è utile assumere anche degli integratori specifici per il sistema cardiovascolare. A questo proposito la formula Omega 3 e CBD unisce le proprietà benefiche dell’olio di cannabidiolo con dei grassi buoni per la salute.

Gli Omega 3 sono infatti degli acidi grassi contenuti nel pesce, che hanno numerosi benefici:

  •  Proteggono cuore e vasi sanguigni
  •  Rafforzano le ossa
  •  Fortificano le membrane cellulare

L’olio di CBD è invece noto per la sua azione anti-stress ed equilibrante, in grado di dare un benessere a 360° per corpo e mente.

Gli integratori che combinano l’azione delle due sostanze sono dunque ottimi, perché danno quel boost di protezione di cui ha bisogno l’organismo durante la stagione invernale.

Per prevenire i malanni

Alcuni cibi possono infine dare una mano a prevenire raffreddori e influenze, poiché rafforzano il sistema immunitario. Tra questi abbiamo innanzitutto la frutta fresca come agrumi e kiwi, che sono fonte di vitamina C.

Parmigiano, yogurt e latticini in genere invece forniscono probiotici. Questi proteggono la flora batterica intestinale, spesso messa a dura prova dal freddo. Non dimenticare poi di aggiungere alla tua dieta un cucchiaino di miele a colazione, che è un antibiotico naturale ed è perfetto in caso di mal di gola.

Un altro prezioso alleato è infine il cioccolato fondente, che fornisce energia e contiene magnesio. Questo è utile per ridurre la sensazione di stanchezza e affrontare le temperature rigide con vitalità.

Iniziati a Roma i 3 giorni (21-23/10/2022) del 123° congresso della Società Italiana di Medicina Interna SIMI nella bellissima cornice del Cavalieri Hotel immerso nel verde di Monte Mario. L’obesità e le malattie correlate (in particolare il diabete di tipo 2), sono al centro di una vera e propria pandemia, che ha risvolti umani, clinici e socio-economici enormi. È dunque imperativo trovare soluzioni terapeutiche. E i primi importanti risultati concreti di questo sforzo di ricerca planetario si stanno cominciando a vedere, con le terapie già approdate alla pratica clinica e quelle di prossimo arrivo. Ma il futuro è ancora più roseo e forse siamo ad un passo dal poter affrontare ad armi pari questo nemico così pervasivo e difficile da sconfiggere. Il congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (Simi) dedica a questo argomento una sessione dal titolo ‘Obesità: una ‘nuova malattia internistica’.   “La Commissione Europea – ricorda il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) – ha recentemente riconosciuto che l’obesità è una malattia cronica, recidivante eprogressiva e come tale non è più soltanto un fattore di rischio per malattie cardio-metaboliche, epatiche orespiratorie. Le strategie terapeutiche basate sul cambiamento di stile vita sono state negli ultimi affiancateda farmaci efficaci e sicuri basati sugli agonisti del recettore del GLP-1 che si stanno arricchendo di nuovipoli-agonisti, che utilizzano due o tre molecole ormonali. Lo sviluppo di questi nuovi farmaci per la curadell’obesità apre nuovi scenari non solo per il trattamento del sovrappeso, ma anche per i possibili beneficiin termini di prevenzione cardiovascolare”.   La carica dei nuovi farmaci contro l’obesità: ecco i farmaci di oggi e di domani che potrebbero relegare la chirurgia ai soli casi gravi. La farmacoterapia è un pilastro nella lotta all’obesità e alle sue complicanze. “Gli agonisti recettoriali del GLP-1 e i poliagonisti recettoriali, o l'associazione di alcuni di essi – spiega Paolo Sbraccia, professore ordinario di Medicina Interna nel Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’ e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Centro Medico dell’Obesità del Policlinico Tor Vergata – rappresentano al momento soluzioni farmacoterapiche molto efficaci e sicure per la perdita di peso ed il suo mantenimento.Queste nuove classi di farmaci nei soggetti con diabete riducono inoltre il rischio cardiovascolare sia indirettamente, attraverso il calo ponderale, che direttamente, attraverso effetti anti-aterogeni. I risultati dei trial in corso, disegnati per verificare se tali farmaci riducano il rischio di eventi cardiovascolari anche nei pazienti con obesità non diabetici, ci diranno se l'obesità dovrà essere inquadrata come un equivalente di malattia cardiovascolare”.   Quello che stiamo vivendo è un momento magico e molto particolare nella storia del trattamento dell’obesità perché finalmente sono a disposizione farmaci molto efficaci, con un profilo di sicurezza ottimo e in grado di proteggere contro gli eventi cardiovascolari, dalla steatosi epatica, dall’infertilità, e altri ancora.“L’obesità – prosegue il professor Sbraccia – è una malattia cronica, recidivante e progressiva (come stabilito anche dalla Commissione Europea) e questa accezione la colloca nel novero delle malattie curabili con i nuovi farmaci, che hanno un profilo di efficacia e sicurezza sempre maggiore. Questo naturalmente non vuol dire che l’approccio multidisciplinare, la terapia cognitivo-comportamentale e nei casi più gravi la chirurgia bariatrica, verranno spazzati via. Ma certamente il pilastro terapeutico della farmacoterapia è destinato a rinforzarsi sempre di più, mentre lo spazio della chirurgia si andrà assottigliando”. Attualmente sono a disposizione farmaci già molto validi come la liraglutide a somministrazione quotidiana, che ha però un’efficacia limitata sul calo ponderale (la perdita attesa è inferiore al 10% del basale). “A breve però – anticipa il professor Sbraccia – è atteso l’arrivo della semaglutide 2,4 mg, un GLP-1 agonista a somministrazione iniettiva settimanale, che consente di perdere oltre il 15% del peso corporeo (nei trial clinici, oltre un terzo dei soggetti trattati hanno superato il 20% di perdita del peso iniziale). Sono inoltre in corso trial clinici sull’associazione semaglutide-cagrilintide (un analogo a lunga emivita dell’amilina) che consentirebbe di superare anche la soglia 20% di perdita di peso iniziale”.   Si tratta insomma di risultati che cominciano a rosicchiare il campo della chirurgia bariatrica. “Su un altro fronte – prosegue il professor Sbraccia – il trial SURMOUNT-1 sulla tirzepatide (un doppio analogo GLP-1/GIP o dual agonist) a somministrazione settimanale ha mostrato dati di estremo interesse, con una metà dei pazienti trattati che superano il 25% di calo ponderale”. Insomma, abbiamo di fronte prospettive notevoli nel campo della terapia dell’obesità. Questi farmaci sono tutti ‘costruiti’ intorno all’azione di una serie di ormoni gastrointestinali che agiscono sia sull’apparato gastro-intestinale, che a livello centrale, nella regolazione del bilancio energetico.   “Più in là – anticipa il professor Sbraccia – avremo anche i poli-agonisti e i tripli-agonisti (attivi sui recettori di GLP-1, GIP e glucagone). E comunque già oggi la terapia dell’obesità ha rotto il muro del suono, consentendo di superare soglie ritenute impensabili un tempo”. E quindi per i pazienti con obesità il futuro sarà migliore. Ma non mancano i problemi. Questi farmaci hanno un costo non indifferente e attualmente sono a carico del paziente. “Questo – sostiene il professor Sbraccia – nel nostro sistema universalistico, introduce un problema di equità. Se poi i trial di outcome cardiovascolare, dimostrassero un’efficacia di queste terapie nelle popolazioni a rischio (chi ha già avuto un infarto o un ictus, ad esempio) certamente questo sarebbe un’altra freccia all’arco del trattamento con questi farmaci. Certo la rimborsabilità, in un sistema che deve essere sostenibile, potrebbe non essere semplice da ottenere, ma magari a fronte di questi risultati una fetta di popolazione potrebbe ottenerla”.   In pipeline inoltre è in sviluppo per l’obesità la semaglutide orale, attualmente disponibile per i soggetti con diabete. “Ritengo però che queste terapie orali – prosegue Sbraccia – andrebbero riservate ad una nicchia di pazienti, gli adolescenti quelli con il terrore dell’ago (anche se questi che si usano sono sottili come capelli). Fare una piccola iniezione a settimana, certi della biodisponibilità del farmaco somministrato per questa via, sembra ancora la via migliore”.La pipeline dei farmaci di next generation è ricchissima e sono 25-30 quelli in sperimentazione, dai triple agonist, alle small molecule. Un florilegio di nuovi farmaci, insomma, alla stessa stregua di quanto sta succedendo nel diabete (e quasi tutte queste terapie hanno la doppia indicazione diabete/obesità). “Se l’obesità si attesterà come vera e propria malattia – conclude Sbraccia – se avrà la dignità del ‘bollino’ di malattia cronica, perdendo al contempo lo stigma non solo sociale (il bullismo), ma clinico (quello che durante il Covid ha portato a chiudere gli ambulatori dell’obesità, salvo poi scoprire che gli obesi sono fragili e da vaccinare prioritariamente) e istituzionale (che finora non l’ha considerato un problema prioritario da affrontare), si spera che, anche grazie allo sviluppo farmacologico, questi pazienti avranno finalmente risposte ai loro problemi”.     L’obesità parte (anche) dalla testa: dal ‘bernoccolo del goloso’, ai circuiti della ‘dipendenza da cibo’, cosa ci sta insegnando la fisiologia. E l’Italia primeggia in queste ricerche. La ‘radice’ cerebrale del sovrappeso non è la stessa in tutte le persone e la comprensione della sua diversità e complessità rappresenta l’obiettivo fondamentale della ricerca futura verso la personalizzazione della prevenzione e cura dell’obesità. “Tutta la ricerca sull’obesità – riflette la dottoressa Patricia Iozzo, dirigente di Ricerca, Istituto di Fisiologia Clinica, CNR di Pisa e adjunct professor presso l’Università di Turku (Finlandia) – in linea di massima finora si è concentrata sull’aspetto, che ha portato a considerare come un insieme omogeneo tutti i pazienti obesi, in contrapposizione ai normopeso, come se questi pazienti fossero tutti ‘uguali’ dal punto di vista della causa. Questo ha portato a risultati confondenti perché all’interno della popolazione degli ‘obesi’ ci sono tante fattispecie e purtroppo finora abbiamo risultati più derivanti da questo tipo di ricerche, che da quelle che tengono in considerazione la diversità”. Nell’ultimo periodo, invece, si stanno cominciando a prendere in esame sottogruppi di pazienti con obesità e si sta cominciando a capire che i meccanismi, le cause, ma anche quello che sollecita l’appetito, variano molto da un individuo all’altro. “Un filone di ricerca – rivela la dottoressa Iozzo – sta prendendo in esame l’associazione tra struttura e funzioni del cervello delle persone con obesità e l’influenza della genetica. Uno studio ha dimostrato che i portatori di varianti del gene FTO, spesso associate all’obesità, presentano una struttura cerebrale particolare, cioè una riduzione di volume di alcune parti di cervello che esercitano un controllo di inibizione, di freno delle ‘tentazioni’ e sono legate anche alla memoria; siamo dunque nella parte ‘superiore’ del cervello, quella del controllo e della memoria, non quella istintiva ipotalamica o mesolimbica”. Uno studio condotto al CNR di Pisa in collaborazione con la Fondazione G. Monasterio di Pisa e con l’Università di Bologna (professor Uberto Pagotto) ha invece esplorato la funzione del cervello (attraverso la tomografia a emissione di positroni PET con glucosio marcato) delle persone con obesità, andando a valutare quanto glucosio consumano alcune regioni quando le persone vengono sollecitate con la vista, l’odore e il gusto di un particolare cibo ‘appetibile’ (come la cioccolata) rispetto ad uno neutrale.   “Abbiamo esaminato alcune donne in sovrappeso – ricorda la dottoressa Iozzo – diverse tra loro per i risultati ottenuti in una scala di ‘dipendenza’ dal cibo (che significa la consapevolezza della negatività di un’azione – ad esempio mangiare un cibo che fa male – ma compierla ugualmente), ma senza veri e propri disturbi del comportamento alimentare. Nelle donne con atteggiamento di dipendenza abbiamo osservato un netto sbilanciamento tra le varie regioni cerebrali (quelle che portano a desiderare il cibo erano molto attivate alla visione del cibo appetibile, mentre le regioni che portano a controllare questo impulso erano poco attivate). Questo non accadeva invece nelle persone con lo stesso sovrappeso ma senza un atteggiamento di dipendenza nei confronti del cibo. In questo modo abbiamo dimostrato l’esistenza di uno sbilanciamento funzionale nella risposta metabolica del cervello che favorisce il desiderio a dispetto del controllo. Questo sbilanciamento è risultato presente nel 61% dei casi.   Questi studi per ora sono fisiologia pura, ma in quello che sta emergendo c’è già in embrione la possibilità di un trattamento basato su queste scoperte. “Già oggi – afferma la dottoressa Iozzo – possiamo proporre alcuni interventi, in grado di migliorare la funzione del cervello e in parte anche la sua struttura, e questi sono: la perdita di peso, il tipo di dieta e l’esercizio fisico. La somministrazione di insulina direttamente nel cervello è un’altra terapia al vaglio, essendo l’insulina un ormone che inibisce l’appetito. Ma l’approccio più promettente, anche perché più ‘naturale’ è lo studio del microbiota intestinale, che differisce da una persona all’altra. La manipolazione della dieta in maniera personalizzata e specifica per le caratteristiche di quella persona e del processo cerebrale che vogliamo modificare, potrebbe rappresentare in futuro una risorsa, anche perché rappresenta un approccio non invasivo, che non interferisce troppo pesantemente con la funzione cerebrale che è molto delicata. Ci sono molti studi in questo senso”.   Cosa succede quando si ammala l’organo adiposo endocrino e quali terapie ‘convinceranno’ il grasso a ‘bruciare’ sé stesso. L’obesità può essere considerata una malattia anche secondo la definizione di uno dei padri della medicina moderna, Gian Battista Morgagni (Padova 1682-1771) che parlava di “malattia quando si accerta che sia presente un organo con evidenti segni di patologia”. “Nell’uomo – ricorda il professor Saverio Cinti, direttore Centro dell’Obesità, Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), Ancona – i tessuti adiposi (sia il cosiddetto grasso ‘bianco’, che quello ‘bruno’) formano un vero e proprio organo: il cosiddetto ‘organo adiposo endocrino’. E quest’organo negli obesi è patologico perché l’ipertrofia (aumento di volume) delle cellule adipose, che cercano in questo modo di immagazzinare quanta più energia possibile, induce la comparsa di un’infiammazione cronica di basso grado. Questa infiammazione è causata dalla morte di questi adipociti ipertrofici, che in questo modo lasciano tanti ‘detriti’ che devono essere riassorbiti dall’organismo. Deputati a questa sorta di ‘waste management’ sono i macrofagi, cellule infiammatorie specializzate nella ‘rimozione dei detriti’, che però nello svolgimento del loro lavoro, producono anche sostanze che vanno ad interferire con il recettore dell’insulina. E questo porta ad una ridotta funzionalità dell’insulina stessa (‘resistenza’ insulinica). In un primo tempo il pancreas cerca di compensare producendo più insulina, ma poi esaurisce la sua funzione; e il crollo dei livelli di insulina conseguente è alla base della comparsa del diabete di tipo 2”. Ma c’è dell’altro. “Le cellule del grasso viscerale (quella della ‘pancia’) – afferma il professor Cinti – muoiono prima di quelle del sottocutaneo; ecco perché l’accumulo di grasso a livello viscerale, più tipico dei maschi (le donne tendono ad accumulare grasso soprattutto a livello sottocutaneo) risulta più pericoloso da un punto di vista metabolico e può facilitare la comparsa di diabete di tipo 2”.   Il tessuto adiposo bianco (WAT) e quello bruno (BAT) hanno compiti molto diversi; il primo, immagazzina energia (sotto forma di trigliceridi) da ridistribuire poi all'organismo (come acidi grassi liberi) negli intervalli tra i pasti; il grasso bruno invece immagazzina i trigliceridi in un modo particolare, così da poterli rilasciare in maniera rapida e massiva per una particolare funzione dei mitocondri, che è quella di utilizzare l’energia per generare calore (termogenesi). Le due tipologie di tessuto adiposo hanno una buona capacità di adattamento e, a seconda delle esigenze, possono ‘trasformarsi’ uno nell’altro; così ad esempio, in seguito all’esposizione cronica al freddo, il tessuto adiposo bianco si converte in bruno (‘browning’), mentre in risposta ad un apporto eccessivo e cronico di energia (obesità), il tessuto bruno si trasforma in bianco (‘whitening’). “Diversi studi su modello animale (il topo) – conclude il professor Cinti – hanno dimostrato che la dispersione dell’energia, operata dal tessuto adiposo bruno, può essere sfruttata per trattare obesità e diabete 2 nel topo. Cominciano ad accumularsi evidenze che l’imbrunimento del tessuto adiposo bianco potrebbe avere effetti favorevoli anche nell’uomo e dunque rappresentare un futuro target terapeutico per il trattamento dell’obesità”.   Un recente lavoro del gruppo del professor Cinti ha evidenziato come l’importanza dell’infiammazione del grasso viscerale negli obesi possa giocare un ruolo patogenetico nel COVID-19. “Lo studio, condotto su 19 pazienti con Covid-19 e 23 controlli – spiega il professor Cinti – ha dimostrato che il 100% dei pazienti COVID erano affetti da embolia polmonare lipidica, verisimilmente dovuta all’iper-infiammazione del loro grasso viscerale (doppia rispetto ai controlli). Inoltre, abbiamo dimostrato che le membrane jaline (presenti nel 100% dei pazienti COVID), responsabili del distress respiratorio, sono di natura lipidica con aspetti di transizione tra l’embolia grassosa e le membrane jaline. Questi dati offrono una possibile spiegazione sia al fatto che la polmonite da COVID sia spesso bilaterale, che alla prognosi peggiore nei soggetti con obesità viscerale”.    Julia-

È stata presentata oggi a Roma la XVII edizione del Rapporto Meridiano Sanità, in occasione del Forum annuale patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome.
Tra i temi discussi: i determinanti della salute, l’evoluzione del contesto demografico ed epidemiologico, la sostenibilità della spesa sanitaria e del sistema sanitario, l’attuazione della Missione 6 del PNRR
Nel corso della giornata di confronto e dibattito, esperti e responsabili del governo della sanità regionale e nazionale si sono confrontati sulle principali sfide di salute che attendono il nostro Paese. Sullo sfondo lo scenario di estrema incertezza che contraddistingue questo periodo storico, con l’inasprimento delle tensioni geopolitiche, le conseguenze del conflitto russo-ucraino e gli effetti della pandemia sull’economia, che si stima avranno un impatto significativo sullo stato di salute della popolazione, quantificabile, a livello globale, in 2,1 anni di vita persi.
Emerge prima di tutto come la salute sia il risultato di una combinazione di una molteplicità di elementi sociali, politici ed economici (ad esempio luogo in cui si vive, qualità dell’ambiente circostante, genetica, stile di vita, reddito e livello di istruzione).
Tra i determinanti, quelli ambientali stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore a cominciare dall’inquinamento e il cambiamento climatico. Ad esempio, nell’ambito dei SDGs del 2030, la cattiva qualità dell’aria rappresenta un punto particolarmente critico per il nostro Paese all’interno del contesto europeo: secondo le ultime stime della European Environmental Agency, infatti, il 17% dei decessi per inquinamento in Europa si verifica in Italia (1 su 6).
Nell’analisi di Meridiano Sanità sul posizionamento del nostro Paese nel percorso verso il progresso sostenibile rispetto agli Obiettivi delle Nazioni Unite dell’Agenda 2030, emerge tuttavia come rispetto all’Obiettivo 3 (“Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”), si registra un andamento medio nazionale positivo nella maggior parte degli indicatori analizzati, frutto anche delle diverse iniziative intraprese dal Ministero della Salute nell’ultimo anno e della centralità data al tema della salute durante l’emergenza pandemica. È tuttavia necessario segnalare come, per alcune dimensioni, siano ancora presenti forti disomogeneità territoriali, con alcune Regioni in progressione rispetto ai target e altre in maggiore difficoltà.
Per quanto riguarda gli altri Obiettivi dell’Agenda 2030 correlati al miglioramento della buona salute, il quadro che emerge è di una situazione parzialmente stabile, con alcuni indicatori in miglioramento e al tempo stesso la persistenza di diverse criticità. A titolo di esempio: l’Italia, rispetto agli altri paesi europei, registra il più alto divario tra gli impatti negativi di potenziali eventi avversi, quali terremoti, alluvioni, incendi, e gli investimenti necessari a prevenirli.
La spesa in Ricerca e Sviluppo, leva fondamentale per la crescita nel lungo periodo, si attesta all’1,53% del PIL nel 2020 rispetto al 2,31% della media europea.
Guardando alle persone a rischio povertà ed esclusione sociale, nel 2021 l’Italia si posiziona tra i primi 6 Paesi per popolazione a rischio, con 1 cittadino su 4 che vive al di sotto del 60% del “reddito mediano”, preceduta solo da Romania, Bulgaria, Grecia, Spagna e Lettonia.
La rilevanza dei fattori di contesto ha portato a una revisione del Meridiano Sanità Index (con una valutazione multidimensionale della performance del sistema sanitario italiano nel confronto europeo e dei sistemi sanitari regionali nel contesto nazionale). Inoltre all’Indice dello Stato di Salute (che si pone l’obiettivo di valutare i risultati in termini di salute che i diversi Paesi hanno fino ad oggi garantito ai propri cittadini) e all’Indice del Mantenimento dello stato di salute (il cui scopo è quello di fornire una valutazione di merito sulle capacità dei sistemi di mantenere o migliorare nel prossimo futuro i risultati di salute raggiunti finora), è stato affiancato l’Indice dei Determinanti di salute che si pone l’obiettivo di valutare gli impatti dei fattori individuali, socio-economici e ambientali sullo stato di salute della popolazione e da cui emerge una fotografia dell’Italia in chiaroscuro, con aspetti critici in tutte le aree analizzate che si traducono in un posizionamento molto negativo rispetto alla media europea in 8 ambiti su 11. Gli aspetti più critici riguardano l’invecchiamento demografico, i fattori di rischio per la salute di bambini e adolescenti (in primis sedentarietà e obesità), le disuguaglianze di reddito e il livello di istruzione della popolazione.
Per quanto riguarda l’Indice dello Stato di Salute della popolazione, l’Italia ottiene risultati migliori della media europea per tutti gli indicatori analizzati, eccezion fatta per la prevalenza standardizzata delle patologie croniche ad alto impatto, strettamente legate all’invecchiamento demografico e ai fattori di rischio per la salute.
Con riferimento all’Indice di Mantenimento dello Stato di Salute, l’Italia ottiene un risultato complessivo in linea con la media europea: va meglio della media nell’ambito dell’efficacia, efficienza e appropriatezza dell’offerta sanitaria (ricoveri evitabili, efficacia delle cure, qualità delle cure); è in linea con la media per quanto riguarda la capacità di risposta dei sistemi ai bisogni di salute (coperture vaccinali e screening); continua ad essere critico il tema delle risorse economiche per il comparto sanità.
Mettendo in relazione i 3 Indici, i Paesi del Mediterraneo, tra cui l’Italia, presentano valori per gli Indici dei Determinanti di salute e di Mantenimento dello stato di salute più bassi della media con potenziali impatti negativi nel medio-lungo periodo sullo stato di salute dei cittadini. Tale scenario dovrebbe stimolare, già nell’immediato, azioni di politica sanitaria e non solo, secondo l’approccio “Health in all policies”, per cercare di invertire questa tendenza. A livello regionale, invece, il quadro generale restituisce un forte divario tra Nord-Centro e Sud del Paese.
Per quanto riguarda le risorse economiche per la sanità, continuano a essere insufficienti. Anche nel 2021, l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL continua ad essere ampiamente inferiore ai principali Paesi europei (7,2% dell’Italia vs. l’11% della Germania e il 10,3% della Francia), così come la spesa sanitaria pubblica pro capite a parità di potere d’acquisto (2.580 euro dell’Italia vs. 5.370 euro della Germania e 3.916 euro della Francia). La spesa sanitaria pubblica, cresciuta significativamente durante la pandemia e pari a 127,8 miliardi di euro nel 2021, dovrebbe raggiungere il suo picco nel 2022 (134 miliardi di euro) secondo le ultime stime contenute della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza di novembre 2022 per poi diminuire a partire dal 2023. L’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul PIL al 2025 è data al 6%, con risorse in valore assoluto insufficienti per recuperare il gap di spesa nei confronti dei principali Paesi competitor.
Considerando l’evoluzione dei fattori economici (PIL pro capite e spesa pro capite per fascia d’età), dei fattori demografici (struttura e proiezione della popolazione per fascia d’età), del contesto epidemiologico (prevalenze delle patologie più impattanti per mortalità e disabilità) e dei fattori di rischio associati alle principali patologie (fumo, alcol, obesità, sedentarietà), il modello previsionale della spesa sanitaria di Meridiano Sanità ha stimato che l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul PIL al 2050 sarà pari al 9,5%, valore di gran lunga superiore all’incidenza attuale ma ancora inferiore rispetto a Paesi quali Germania e Francia.
Tale livello di spesa risulta al momento incompatibile con lo scenario di invecchiamento demografico e di calo della natalità che porta con sé la riduzione del numero di occupati che, con i loro redditi da lavoro, sono i principali contributori alla spesa sanitaria. Le simulazioni elaborate da Meridiano Sanità mettono in luce come l’azione congiunta su 5 leve quali la pressione fiscale, i flussi migratori, l’età pensionabile, la forza lavoro potenziale e il tasso di occupazione, permette di rendere sostenibile questo scenario.
Le risorse del PNRR, in particolare quelle assegnate al raggiungimento degli obiettivi della Missione 6 dedicata alla Salute, rappresentano una grande opportunità per “mettere in sicurezza” il sistema, dal momento che mirano non solo a rispondere alle vulnerabilità emerse durante l’emergenza pandemica ma anche a risolvere le criticità preesistenti attraverso il rafforzamento delle infrastrutture e la digitalizzazione dei servizi sanitari. Dei 18,51 miliardi di euro previsti dal PNRR e dal Fondo Complementare nella Missione 6, ben 16,53 miliardi di euro (89,3%) sono territorializzabili, a testimonianza del ruolo centrale delle Regioni nel processo di rafforzamento della prevenzione e dei servizi sanitari, della modernizzazione e della digitalizzazione degli stessi.
Le attività di promozione e prevenzione (primaria e secondaria) risultano fondamentali per aumentare gli anni vissuti in buona salute. Interventi sulla riduzione dei fattori di rischio e il miglioramento della diagnosi precoce permettono di ridurre il peso delle malattie non trasmissibili (in primis tumori e patologie cardiovascolari e cerebrovascolari), responsabili oggi del 93,3% dei decessi e del 90,2% dei DALY.
I vaccini, strumento di prevenzione che presenta il miglior rapporto costo-efficacia, consentono di prevenire molte malattie infettive che causano oggi il 2,6% dei decessi e il 3% dei DALY; per quanto riguarda i tassi di copertura vaccinale, per nessuna vaccinazione viene raggiunta la soglia del 95% (target fissato dall’OMS): per la vaccinazione anti-HPV, strumento chiave per contrastare anche i tumori HPV-correlati, non si raggiunge neanche il 35% del cluster dei dodicenni (32,2% nelle femmine e 26,8% nei maschi). Le azioni di antimicrobial e diagnostic stewardship permettono di contrastare efficacemente l’antimicrobico-resistenza che vede ancora oggi l’Italia primeggiare tra i Paesi OCSE per decessi, DALY e costi associati a questo fenomeno.
Secondo “l’equazione” di Meridiano Sanità, Prevenzione e Innovazione sono i 2 capisaldi in grado di generare Valore per i cittadini e per il sistema, oggi e in futuro. L’innovazione farmacologica e medicale ha contribuito in maniera significativa al miglioramento della qualità di vita dei cittadini: l’attività di ricerca delle oltre 5.400 aziende impegnate nello sviluppo di nuove molecole nel mondo conta nel 2022 oltre 20.000 terapie (valore quadruplicato rispetto al 2001), di cui 7.772 riguardano l’area oncologica, 3.301 quella neurologica e quasi 2.800 quella infettivologica. I settori farmaceutico e medicale si contraddistinguono per un elevato valore aggiunto, alte produttività e intensità di ricerca e sviluppo e know-how distintivo. A questo si aggiunge la presenza di un ecosistema della ricerca fortemente integrato, che oggi posiziona l’Italia 1° nel mondo per numero di pubblicazioni per ricercatore e 1° nell’Unione Europea per citazioni di pubblicazioni in ambito Life Sciences. In quest’ottica, l’Italia ha tutte le qualità per candidarsi a diventare un ecosistema delle Life Sciences attrattivo, orientato alla ricerca, all’innovazione e alla manifattura avanzata a livello europeo, ma deve risolvere alcuni limiti a partire dalla mancanza di una visione strategica di sviluppo dei settori e una governance complessa (ad esempio: meccanismi dei tetti di spesa farmaceutica e dei dispositivi medici e il payback) che penalizza l’innovazione.
Tutte le analisi e le riflessioni contenute nel XVII Rapporto Meridiano Sanità hanno delineato una strategia di intervento basata su 4 direzioni specifiche (le “Proposte” di Meridiano Sanità):
1. Continuare a investire nella Salute con un approccio intersettoriale e aumentare in maniera strutturale le risorse economiche per la Sanità portandole, nel breve periodo, almeno al 7% del PIL e arrivando a investire fino al 9% nel medio-lungo termine (pari all’incidenza media della spesa sanitaria su PIL di Germania, Francia e Spagna).
2. Dare piena attuazione ai progetti della Missione "Salute" del PNRR al fine di rendere il sistema sanitario più resiliente, accompagnando il rafforzamento infrastrutturale del sistema con il potenziamento dell’organico del SSN e con la transizione digitale.
3. Adottare programmi e strategie che permettano all’Italia di affrontare e vincere le sfide di salute che si prospettano puntando su Prevenzione - primaria e secondaria - e Innovazione in grado di creare valore per i cittadini e l’intero sistema
4. Promuovere il principio della “Salute in tutte le politiche”, considerando gli impatti diretti e indiretti che i determinanti socio-economici e ambientali hanno sulla salute degli individui, favorendo prima di tutto la convergenza tra la politica sanitaria e la politica industriale del Paese.


Si chiama magneto-anastomosi. È l’innovativa tecnica utilizzata per la prima volta in Italia dai medici dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù per curare l’atresia dell’esofago, una malformazione congenita rara che comporta la mancanza di un tratto di esofago e impedisce nei neonati la normale alimentazione attraverso la bocca. Grazie all’azione di due magneti, posizionati alle estremità dei monconi esofagei, è possibile ristabilire la continuità dell’esofago senza ricorrere a interventi chirurgici. I primi 5 bambini trattati dall’Ospedale, tutti sotto i 4 mesi d’età, sono stati descritti sulla rivista scientifica Journal of Pediatric Surgery. Solo 25 i casi descritti ad oggi in letteratura a livello internazionale. L’ATRESIA DELL’ESOFAGO L'atresia esofagea è una malformazione caratterizzata da un’interruzione dell'esofago, il tratto del tubo digerente che permette il passaggio del cibo dalla bocca allo stomaco. Si tratta di una anomalia congenita rara, dalle cause sconosciute, la cui frequenza va da un massimo di 1 bambino su 2500 a un minimo di 1 bambino su 4000 nati vivi. In molti casi l’atresia dell’esofago è associata alla presenza di una comunicazione anomala (fistola tracheoesofagea) con la trachea. In una minoranza di casi, circa il 10-15% del totale, la comunicazione anomala con la trachea non è presente, ma la distanza tra i due monconi dell’esofago è maggiore. In questo caso si parla di atresia esofagea long-gap. Entrambe le varianti di atresia dell’esofago vengono trattate di norma nei primi mesi di vita con interventi chirurgici molto efficaci, ma che presentano anche i rischi noti e insiti nella tecnica specifica oltre a quelli generici di un intervento chirurgico sul torace di un neonato o di un lattante di pochi chili di peso. LA NUOVA TECNICA La magneto-anastomosi è una tecnica innovativa e non invasiva che consente di trattare, senza ricorrere a intervento chirurgico vero e proprio, l’atresia dell’esofago nella sua variante meno comune, quella senza fistola tracheo-esofagea, nota anche come “long-gap”. Si effettua posizionando i magneti, due calamite di 0,5 cm di diametro, nella parte finale dei due monconi non comunicanti dell’esofago. Uno viene posizionato nel moncone superiore, utilizzando un sondino morbido e passando attraverso la bocca, l’altro viene posizionato nel moncone inferiore facendo passare un altro sondino analogo attraverso una piccola apertura per l’alimentazione presente all’altezza dello stomaco. I bambini con atresia dell’esofago long-gap, infatti, devono essere nutriti temporaneamente in modo artificiale fino alla risoluzione del problema.

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