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Il nuovo Ambasciatore Russo in Italia fa l’elenco degli aiuti militari dell’Italia all’Ucraina

Aleksej Vladimirovich Paramonov, la cui nomina è stata ufficializzata nel decreto firmato dal presidente russo Vladimir Putin . E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso il suo gradimento.

Così al posto di Razov arriverà un altro diplomatico di lungo corso e con un’ottima conoscenza dell’Italia e della lingua. Il 61enne Paramonov ha stretto buoni rapporti con il tessuto economico italiano da console a Milano dal 2008 al 2013 e ha ricevuto due onorificenze: prima Cavaliere dell'ordine al merito della Repubblica italiana (2018), poi Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia (2020). Titoli che riconoscono «particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione tra l’Italia e gli altri Paesi e nella promozione dei legami con l’Italia».

Con un'intervista alla Tass, ripresa da “La Repubblica”, l’ambasciatore Alexey Paramonov lancia un monito durissimo al governo Meloni: “”Con l’inizio della sua presidenza del G7, sta attivamente rivendicando il ruolo di “capo coordinatore” di questo quartier generale antirusso dell’Occidente”. E ha aggiunto: “La posizione delle autorità ufficiali nei confronti della Russia è prevalentemente sgarbata, di natura essenzialmente ostile”. Paramonov nell’estate scorsa ha sostituito a Roma Sergey Razov

«Sono già stati approvati otto pacchetti di aiuti militari, comprendenti un’ampia gamma di armi letali» ha rammentato l’ambasciatore di Mosca elencando l’appoggio italiano all’Ucraina. «L’altro giorno il ministro della Difesa ha dichiarato che il Paese è tra i primi cinque fornitori di sistemi bellici al regime di Kiev. Eccoli i ‘bravi’ italiani”. Paramonov, comunque evidenzia che in Italia c’è un «numero crescente di associazioni e movimenti politici che spingono per normalizzare le relazioni con Mosca e fermare l’escalation tra l’Occidente e la Russia».

Classe 1962, già console russo a Milano e finora direttore del dipartimento Europa del ministero degli Esteri russo, il nuovo ambasciatore a Roma era salito agli onori delle cronache un anno fa, per aver rilasciato all’agenzia di stampa Ria Novosti, a neanche un mese dall’inizio della guerra, un’intervista nella quale aveva parlato di «conseguenze irreversibili» nei rapporti tra Roma e Mosca se l’Italia avesse adottato altre sanzioni contro la Russia. Definendo tra l’altro l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini un «falco» e "l'ispiratore" della campagna anti russa in Italia.

Le relazioni tra Russia e Italia oggi «non sono di molto» migliori rispetto «al periodo dell’invasione nazifascista dell’Unione Sovietica nel 1941-1943». Nella intervista rilasciata alla Tass e ripresa da Repubblica, l’ambasciatore russo Alexey Paramonov lancia un avvertimento minaccioso a Giorgia Meloni e al suo esecutivo. Paramonov che non è nuovo a minacce all’Italia, nell’estate scorsa ha sostituito a Roma Sergey Razov.

«Con l’inizio della sua presidenza del G7 – attacca Paramonov – sta attivamente rivendicando il ruolo di “capo coordinatore” di questo quartier generale antirusso dell’Occidente», aggiungendo che «la posizione delle autorità ufficiali nei confronti della Russia è prevalentemente sgarbata, di natura essenzialmente ostile».  L’ambasciatore russo ricorda inoltre che l'Italia «ha aderito pienamente alle misure di pressione esercitate dall’Occidente sulla Russia, tanto che in Italia si parla ormai apertamente di guerra ibrida contro il nostro Paese».

Intanto il giornalista americano Tucker Carlson ha messo a segno lo scoop bramato da quasi tutti i giornalisti occidentali: intervistare Vladimir Putin. A prescindere dal giudizio sulla guerra in Ucraina, ottenere il punto di vista del presidente russo senza il filtro – si fa per dire – della propaganda del Cremlino, è il desiderio di molti. Mosca ha confermato quella che diventerà la prima chiacchierata con un giornalista occidentale dall’inizio del conflitto, febbraio 2022. L’americano, licenziato l’anno scorso dalla rete conservatrice Fox News, ha confermato che l’intervista sarà trasmessa “presto”, in un unico blocco e senza censura, ma non in diretta. Il cronista vicino a Donald Trump potrebbe renderla pubblica giovedì 8 febbraio e il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha negato che Carlson abbia una posizione “filo-russa” assicurando che Putin ha accettato di parlare con lui perché la sua posizione è lontana da quella degli altri giornalisti anglosassoni: “La sua posizione è diversa dalle altre. Non è né filorussa né filo ucraina, ma piuttosto filoamericana, ma almeno contrasta con la posizione dei media anglosassoni tradizionali”.

Ma ora, a causa di questa intervista, il giornalista pro-Trump è finito nel mirino dell’Unione europea. Secondo quanto rivelato dall’ex primo ministro belga e attuale membro del Parlamento europeo Guy Verhofstadt ai microfoni di Newsweek, è stata inoltrata richiesta per un “travel ban” nei confronti di Carlson, definito un “portavoce” di Trump e di Putin: “Poiché Putin è un criminale di guerra e l’Ue sanziona tutti coloro che lo fiancheggiano, sembra logico che il servizio per l’azione esterna esamini anche il suo caso”.

Probabilmente la vicenda si chiuderà con un nulla di fatto, ma è il principio a spaventare: realizzare un’intervista - seppur a Vladimir Putin – potrebbe fare finire chiunque nella blacklist di Bruxelles.  Una stortura che deve fare riflettere, perché mina la libertà e l’indipendenza dei professionisti a prescindere dall’orientamento politico. Anche perché lo stesso discorso potrebbe valere per chi ha intervistato Lavrov, Peskov e gli altri collaboratori di Putin.

Trump non è solo per la prossimità tra il cronista e il Tycoon. L’intervista allo zar indica che ormai nell’Impero si gioca a carte scoperte. Non per nulla, poco prima dell’intervista di Carlson, Trump ha lanciato un appello ai repubblicani del Congresso affinché non approvino la legge sugli aiuti all’Ucraina (sul punto rimandiamo alla nota a piè di pagina).

Ormai si combatte senza infingimenti: Trump si pone come l’unico argine ai neoconservatori e alle loro guerre infinite – missione che si era riproposto Biden, ma alla quale ha mancato per debolezza, ricatti e tragico deficit di lucidità – e come freno alla prospettiva di una guerra globale.

Quest’ultima possibilità è più reale che mai perché il Progetto per un Nuovo secolo americano, nel quale furono delineate le guerre infinite come mezzo per prolungare l’egemonia Usa nel mondo, è ormai obsoleto, essendo stato varato nel 2000.

Da allora il mondo è cambiato: le guerre regionali sono diventate molto più impegnative – vedi lo scontro con gli Houti – e i rivali globali non possono più essere costretti a un ruolo secondario nell’agone globale.

Fonte Atlantico quotidiano / piccole note / il secolo d Italia / e varie agenzie

 

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