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Tutto esaurito a Sanremo per il Festival della canzone italiana. Lo annuncia soddisfatto il sindaco Alberto Biancheri: le strutture d’accoglienza per i protagonisti e gli ospiti della kermesse musicale, in programma dal 7 all’11 febbraio, sono tutte prenotate. Per Sanremo, che dal 1951 ospita puntualmente ogni anno la manifestazione canora più amata e discussa del nostro Paese, il Festival genera un forte indotto economico, anche per il grande ritorno in termini di visibilità e di immagine.

“Dall’Europa dell’Est e in particolare dalla Russia”, fa sapere il sindaco “sono tantissimi i turisti che vengono a Sanremo perché hanno conosciuto la città attraverso il Festival”. 

"Stasera è una serata importante: c'è Roma-Fiorentina all'Olimpico". Scherza Carlo Conti nell'ultima conferenza stampa, prima del debutto tra poche ore del 67/o festival di Sanremo. "Casualmente abbiamo diviso il festival in due parti: sempre casualmente la prima parte è toccata a Maria, la seconda, a partita finita, tocca a me", ha scherzato il presentatore. "Oggi - ha poi detto - è il suo compleanno e allora voglio fare gli auguri a una persona speciale: Vasco Rossi".

Intanto Maria De Filippi - forse per l'ansia della vigilia o lo stress della full immersion nelle prove - si è svegliata stamattina con 38 di febbre. La conduttrice - che stasera sarà sul palco - è rimasta in hotel a Bordighera sperando nell'effetto benefico di un antipiretico. De Filippi è attesa comunque in tarda mattinata all'Ariston per le ultime prove.

Ecco l'ordine di uscita degli 11 Big che si esibiscono questa sera:  Giusy Ferreri, Fabrizio Moro, Elodie, Lodovica Comello, Fiorella Mannoia, Alessio Bernabei, Al Bano, Samuel, Ron, Clementino, Ermal Meta. Carlo Conti ha reso nota anche la divisione delle Nuove Proposte. Domani, si sfideranno in un torneo a quattro Marianne Mirage, Francesco Guasti, Braschi, Leonardo Lamacchia. Giovedì sarà la volta di Maldestro, Tommaso Pini, Valeria Farinacci, Lele. Due per ogni sera passeranno il turno.

Giorgia, Robbie Williams, i Biffy Clyro, Keanu Reeves, Francesco Totti saranno tra i superospiti della seconda serata del festival di Sanremo, in programma domani sera. Sul palco gli altri undici Big in gara, annunciati per il momento in ordine alfabetico dal direttore di Rai1 Andrea Fabiano: Bianca Atzei, Michele Bravi, Chiara, Gigi D'Alessio, Francesco Gabbani, Marco Masini, Nesli e Alice Paba, Raige e Giulia Luzi, Sergio Sylvestre, Paola Turci e Michele Zarrillo. Sul fronte comico, oltre alla seconda videocopertina di Maurizio Crozza, spaio al trio Insinna-Cirilli-Brignano. In apertura di serata, l'attrazione internazionale Hiroki Hara. Per la rubrica Tutti cantano Sanremo, all'Ariston arriverà Sveva Alviti, protagonista del film su Dalida che Rai1 proporrà mercoledì 15 febbraio, e "una delle storie che Carlo ha portato sul palco: Salvatore Nicotra, impiegato modello di Catania - ha spiegato Fabiano - che è da 40 anni in servizio senza mai un giorno di malattia".

In questi giorni Sanremo pullula di eventi collaterali al Festival e, se è impossibile alloggiare in città, è tuttavia piacevole perdersi tra la gente, i curiosi e le celebrities che affollano strade, locali e teatri.

Cosi dopo la ristrutturazione riapre al pubblico il forte di santa Tecla, struttura in pietra affacciata sul porto Vecchio, usato un tempo come carcere. Oggi il Forte ospita il quartier generale di Radio2 e una mostra su Claudio Villa a 30 anni dalla morte, realizzata insieme alla fondazione Erio Tripodi - Museo della Canzone di Valecrosia.

A Sanremo la musica si ascolta non solo nel celebre teatro-cinema Ariston, che dal 1977 ospita il Festival, ma anche nei tanti locali e in piazza. Durante i giorni del Festival tre palchi sono allestiti in piazza Colombo, piazza degli Eroi e piazza Bresca, dove si esibiscono i giovani di Area Sanremo, alternati a band locali.

E’ la zona più vecchia di Sanremo con le sue case arroccate piene di colori, gli stretti pertugi, i passaggi coperti, gli archi e le piccole piazze d’epoca medievale. Qui merita una visita il sagrato del santuario barocco della Madonna della Costa, in cima al colle, un belvedere da dove si gode una vista che abbraccia gran parte della costa ligure. Nella centrale piazza di santa Brigida sono previsti concerti.

Lunga venti chilometri, la pista ciclabile Area 24 si snoda sul tracciato costiero della vecchia ferrovia a binario unico che collegava Ospedaletti a san Lorenzo al Mare, lungo la linea Genova-Ventimiglia. La pista, che offre scorci panoramici bellissimi della Riviera dei fiori, costeggia il mare e attraversa piccoli borghi e tratti suggestivi, un tempo inaccessibili. La pista è asfaltata, con due ampie carreggiate, una per ogni senso di marcia, una buona segnaletica e aree di sosta con panchine e rifornimento di cibo e acqua. Ci sono anche negozi di noleggio e accessori per biciclette.

A 9 chilometri da Sanremo sorge Bordighera, borgo amato da Claude Monet, che qui dipinse 34 tele, ispirato dai paesaggi romantici di questo scorcio di Riviera. Passeggiando per i suoi viali si ha la sensazione di stare in Inghilterra tra giardini fioriti e villette curate: qui a fine Ottocento gli inglesi trasformarono il villaggio in un importante centro abitato. Il lungomare Argentina è la passeggiata a mare più lunga della Riviera, inaugurata da Evita Perón, che qui soggiornò nel luglio del 1947. Da non perdere è Villa Margherita, ex residenza privata della regina Margherita di Savoia, oggi sede di una pinacoteca. A 13 chilometri da Sanremo, invece, c’è Apricale, paesino medievale in Val Nervia, con case di pietra, tetti di ardesia e una piazza scenografica da scoprire. Amato da artisti e pittori, il borgo è ricoperto da numerosi murales, dipinti sulle facciate delle case.

 

 

 

Marine Le Pen lancia la campagna elettorale in vista delle presidenziali..."La Francia è un atto d'amore e questo amore ha un nome: patriottismo. Voi avete il diritto di amare il vostro paese, è tempo di far rivivere il sentimento nazionale". Parte da Lione la sfida della leader del Front National per conquistare l'Eliseo. Una sfida che, inevitabilmente, dovrà passare attraverso l'uscita dall'euro e dalla Nata. Nei primi sei mesi del suo mandato come presidente, intende infatti convocare un referendum sull'uscita della Francia dall'Unione europea affinché "la parentesi europea" non diventi altro che "un brutto ricordo".

Le elezioni presidenziali francesi del 2017 si terranno il 23 aprile primo turno e il 7 maggio secondo turno. La Le Pen è in testa ai sondaggi e, con ottime probabilità, arriverà ai ballottaggi. La conquista dell'Eliseo, però, risulta più ardua, almeno secondo quanto attestano i sondaggisti francesi. 

Al centro dell'agenda c'è l'uscita dall'Unione europea e la rottura del giogo della moneta unica. "La recente attualità - ha spiegato durante l'appuntamento di Lione - ha dato una dimostrazione eclatante contro la destra del denaro, la sinistra del denaro. Io sono la candidata della Francia del popolo"

Una prova di forza dai toni marcatamente nazionalistici - quasi "un copia incolla" del padre Jean-Marie, commentano in tv - in cui ha invocato il patriottismo come rimedio a una globalizzazione senza regole di cui si pone come unico baluardo. Arringando la folla di militanti in estasi - bandito il vessillo europeo tra le migliaia di tricolori bleu-blanc-rouge - Le Pen ha sfoderato tutto l'armamentario frontista. A cominciare dall'attacco, durissimo, a quella stessa Ue a cui appena pochi giorni fa si è rifiutata di rimborsare i 300 mila euro che avrebbe dovuto restituire all'Europarlamento per aver remunerato un'assistente che in realtà lavorava a Parigi, nonché, il suo bodyguard, "L'Ue è un fallimento", ha tuonato la leader d'estrema destra in corsa per la poltrona più importante di Francia. Se eletta, promette l'avvio di un negoziato di sei mesi con Bruxelles per recuperare quattro sovranità: monetaria - col ritorno a una "valuta nazionale" - legislativa, territoriale e di bilancio.

Ma se l'esito delle trattative non dovesse soddisfarla si schiererà risolutamente a favore del 'Frexit' dopo aver indetto un referendum sull'uscita del suo Paese dall'Ue. Dal palco del Palais des Congr+s, Le Pen ha anche promesso l'uscita dal comando integrato della Nato e di iscrivere nella costituzione una soglia minima del 2% per l'esercito."In cinque anni voglio rimettere la Francia in ordine", ha avvertito la capofila del patriottismo d'Oltralpe che propone "144 impegni presidenziali" per cambiare la République. Con lei all'Eliseo "leggi e valori saranno soltanto francesi".

"Questa è casa nostra", Trump e Brexit "hanno indicato la via": davanti a oltre 3.500 militanti riuniti a Lione Marine Le Pen lancia la sua scalata all'Eliseo, nel primo comizio elettorale in vista delle presidenziali del 23 aprile e del 7 maggio. Dalla 'capitale dei Galli' - fondata dai Romani nel 47 A.C - la leader del Front National - condanna l'Europa, l'ultraliberismo, il fondamentalismo islamico. "Il risveglio dei popoli contro le oligarchie può diventare realtà", grida riferendosi all'uscita della Gran Bretagna dall'Ue e alle politiche di Trump.

Poi l'affondo contro "l'ultraliberismo economico e il fondamentalismo islamico", i "due totalitarismi che minacciano il nostro Paese". Stop all'immigrazione di massa, agli aiuti medici di Stato, abrogazione dello ius soli, precedenza ai francesi nell'accesso al lavoro sono tra i punti del suo programma. Ma Le Pen promette anche un bonus per le fasce più deboli bacchettando gli esperti che si interrogano su come finanziarlo.

Intanto "E' stato un errore, me ne rammarico profondamente e rivolgo le mie scuse ai francesi" per aver assunto moglie e figli: lo ha detto in conferenza stampa a Parigi Francois Fillon. Il candidato della destra si è detto vittima di "attacchi di una violenza inaudita", una cosa a "mia conoscenza mai vista nella storia della Quinta repubblica Repubblica". "Tutti i fatti evocati sono legali e trasparenti, non ho mai violato la legge", ha detto il candidato dei Républicains, travolto dalle accuse sugli impieghi fittizi alla moglie, a tre mesi dalle elezioni presidenziali di primavera.
 "Il suo lavoro era indispensabile".

In seguito allo scandalo Penelopegate, due terzi dei francesi, il 68%, vuole il ritiro del candidato della Destra, Francois Fillon, dalla campagna presidenziale del 2017: è quanto emerge da un sondaggio realizzato dall'Istituto Ifop per Le Journal du Dimanche. Sempre secondo lo stesso studio, solo il 23% considera che Fillon sia "onesto", mentre il 77% dice il contrario. Il candidato dei Républicains aveva fatto della rettitudine e della trasparenza il suo marchio di fabbrica. Ma rispetto a novembre la sua credibilità in merito ha segnato un crollo di 27 punti. Fillon perde inoltre 16 punti sulla cosiddetta "statura presidenziale" e 15 punti sulla "capacità di riformare". "E' una vera catastrofe" commente Fréderic Dabi, vicedirettore generale dell'Ifop, citato dal Jdd.

Contro l' Europa a due velocita teorizzata da Angela Merkel   e contro l' idea di Marine Le Pen di far uscire la Francia dal UE e dal Euro, Draghi ha rivendicato la necessità di stare uniti. "Quando vi è la forte la tentazione di rivoltarsi conto i propri vicini o di cercare soluzioni nazionali bisogna stare uniti", ha detto all'Europarlamento ricordando che "il mercato unico non sopravviverebbe a continue svalutazioni". Sull'idea di spacchettare l'Ue, ventilata al vertice di Malta, invece, non è voluto entrare nel merito: "Il concetto non è ancora sviluppato, credo sia una visione appena abbozzata su cui a questo stadio non sono in grado di esprimere alcun commento". A chi ventilava un presunto trattamento di favore per il nostro paese nel programma di acquisti dei titoli di Stato, però, ha assicurato che, nella gestione del quantitative easing, la Banca cecntrale "non ha fatto nessuna disuguaglianza" nel trattamento dei singoli Paesi. Non solo. Nel suo intervento ha cercato di allontanare "misure protezionistiche" sulla falsa riga di quelle annunciate da Donald Trump negli Stati Uniti. Misure che la Bce guarda "con preoccupazione".

Nell'intervento al Comitato Affari economici e monetari del Parlamento Europeo, durante il quale ha confermato il programma del quantitative easing "fino a fine 2017 o oltre, se necessario", il presdiente della Bce Mario Draghi ha ricordato le tappe dell'integrazione europea, fra cui appunto la creazione dell'euro. Che, a suo dire, "ha rappresentato un notevole rafforzamento dell'impegno politico che ci ha tenuto insieme per sessant'anni". Anche se, ha ammesso, "oggi è facile sottovalutare questo impegno".

I rischi per la zona euro "rimangono al ribasso" e sono dovuti soprattutto a "fattori globali". "Se le previsioni di inflazione diventeranno meno favorevoli" o se le condizioni finanziarie dovessero peggiorare, ha aggiunto Draghi, il consiglio dei governatori della Bce "è pronto ad aumentare" il programma di quantitative easing "in termini di dimensioni o durata". "Anche se la situazione economica migliora non dobbiamo fermare i nostri sforzi per rendere più resistente" monetaria, ma soprattutto "possiamo e dobbiamo affrontare le persistenti fragilità a livello nazionale ed europeo". Durante l'intervento all'Europarlamento, Draghi ha quindi spiegato come "la resilienza mostrata dall'Eurozona nel 2016 nonostante una serie di choc negativi dimostra che siamo sulla strada giusta e indica anche che le riforme a livello nazionale ed europeo stanno dando risultati in termini di crescita economica".

   

La lettera inviata il 17 gennaio a Roma conteneva la richiesta di risposte dettagliate e di un calendario preciso. Ma la risposta del governo italiano prevede impegni generici di riduzione del deficit.

Le misure - fanno sapere dal Tesoro - saranno prese all'interno dell'arco temporale del Def"

Questo lascerebbe spazio al governo di negoziare con Bruxelles fino a marzo. Ma l'ambiguità dei tempi ha già messo in allarme il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. A fine febbraio, come ventila anche Repubblica,potrebbe già avviare la procedura di infrazione pubblicando il rapporto sul debito italiano. Il primo passo verso il commissariamento

Non è, quindi, quanto si aspettavano negli uffici dell'esecutivo comunitario. "Abbiamo ricevuto la lettera, assieme al rapporto sui fattori rilevanti sull'andamento del debito - ha detto una portavoce della Commissione europea - ora valuteremo i due documenti". Adesso per gli italiani si prospetta una nuova pioggia di tasse e il rischio di un commissariamento

la manovra da 3,4 miliardi sarà fatta per 2,5 miliardi di nuove tasse. "La lettera specifica che l'Italia recupererà lo 0,2% di deficit extra fatto dal precedente governo con tagli della spesa per un quarto dell'importo. Poi con nuove entrate per i restanti tre quarti - si legge - c'è sicuramente la lotta all'evasione, ma anche interventi sulle accise e sull'Iva"

Una stangata che, però, non avrebbe accontentato i burocrati di Bruxelles adesso stanno seriamente pensando a una procedura d'infrazione per il mancato rispetto della regola del debito. Il ché porterebbe a un restringimento della sovranità in campo economico e a uno smottamento sui principali mercati finanziaria.

Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha indicato il ventaglio di misure che saranno adottate: tagli di spesa che incideranno sui consumi intermedi e sui bonus fiscali, interventi sulle imposte indirette, su una o più categorie di accise e rafforzamento delle politiche recentemente adottate che hanno portato risultati soddisfacenti, in particolare sull'Iva reverse charge e split payment

Il governo ribadisce che la politica di bilancio dell'Italia è "pienamente in linea con il Patto di stabilità" e che "i risultati raggiunti sul debito possono essere considerati più che soddisfacenti"

Il Tesoro sottolinea che il pil dell'Italia nel 2016 "probabilmente sarà superiore allo 0,8% stimato dal governo". L'entità dell'aggiustamento, che Bruxelles calcola nello 0,2% del pil non è ancora chiara e sarà probabilmente definita anche alla luce dei dati sul pil che l'Istat renderà noti a metà febbraio

Intanto "La Ue ha dimostrato di essere capace di chiudere le rotte di migrazioni irregolari, come ha fatto nella rotta del mediterraneo orientale. Ora è tempo di chiudere la rotta dalla Libia all'Italia. Ho parlato a lungo col premier Gentiloni ieri e posso assicurare che possiamo riuscirci. Quello che serve è la piena determinazione a farlo.

Lo dobbiamo prima di tutto a chi soffre e rischia la vita, ma lo dobbiamo anche agli italiani e a tutti gli europei". Così Donald Tusk dopo l'incontro col premier libico Fayez al Serraj.

Rafforzare la frontiera esterna per e". E' l'obiettivo "strategico" del Fondo per l'Africa, 200 milioni di euro stanziati dall'Italia per avviare una collaborazione su questo fronte soprattutto con Libia, Tunisia e Niger. Il progetto è stato presentato oggi dal ministro degli Esteri Angelino Alfano. Con questo decreto per la prima volta vengono destinate risorse ad hoc per la gestione della frontiera, che si aggiungono a 430 milioni di cui già dispone la Cooperazione, ha spiegato a una conferenza stampa Alfano.

"L'Ue non ha mantenuto gli impegni sui ricollocamenti, ma il lavoro di protezione delle frontiere esterne non merita la stessa sfiducia, anche perchè è più complicato", ha proseguito il ministro degli Esteri rispondendo ad una domanda sulla questione migranti durante la presentazione del fondo italiano per l'Africa. L'Ue ha previsto uno stanziamento "importante" di 500 milioni di euro, e l'Italia lavora perchè si sfruttino tali risorse con il principio della "collaborazione con i partner africani". 

Nel frattempo, comunque, "noi facciamo i nostri accordi bilaterali per fare diminuire le partenze, sperando che questa azione possa camminare insieme con quella europea". Per Alfano "non dobbiamo costruire muri, ma rendere ancora più forte il matrimonio tra solidarietà e sicurezza", e tra l'altro frenando le partenze dei migranti irregolari si colpisce il business dei trafficanti di esseri umani, ha rilevato il ministro.

Ue e Libia, ha osservato Tusk, hanno "interesse comune a ridurre i numeri di migranti irregolari che rischiano le loro vite nel Mediterraneo centrale", un flusso che "non è sostenibile né per la Ue né per la Libia" dove "i trafficanti minano l'autorità dello stato libico per il loro profitto". 

Nel summit di domani sul tavolo ci saranno "misure aggiuntive" per "combattere più efficacemente le reti di trafficanti e gestire meglio i flussi migratori". La Ue, ha aggiunto il presidente del Consiglio europeo, "sostiene pienamente gli sforzi dei libici per trovare un accordo politico e gli sforzi delle Naioni Unite per la distensione".

Tusk ha anche "ribadito il pieno supporto" della Ue per il governo di accordo nazionale di Serraj, ma ha anche lanciato un appello agli avversari di Serraj sottolineando che servono "ulteriori risultati, in senso costruttivo" per coinvolgere "coloro che in Libia non si sono uniti alle nuove istituzioni". 

Dopo aver osservato che "la situazione umanitaria e della sicurezza ha devastato le prospettive della popolazione civile" e "la Ue continuerà a fornire assistenza al popolo libico", ma ha anche "sollecitato tutti i libici a mettere da parte i disaccordi in modo che la Ue si possa impegnare di più".

"Domani a Malta - annuncia Tusk - proporremo misure operative per rafforzare il nostro lavoro e gestire meglio le rotte migratorie. L'Europa ha dimostrato di essere in grado di chiudere le rotte di migrazione illegale, come ha fatto nel Mediterraneo Orientale. Abbiamo discusso di questo esempio: ora è tempo di chiudere la rotta dalla Libia all'Italia. Ne ho parlato a lungo con il primo ministro italiano Paolo Gentiloni ed è alla nostra portata. Quello di cui abbiamo bisogno è la piena determinazione a farlo".

Dichiarazioni andranno però conciliate con quelle dell'Alto Commissario Ue per la Politica Estera, Federica Mogherini, che appena pochi giorni fa aveva avvertito che in "libia" non ci sono le condizioni" per riproporre in Libia un accordo simile a quello stretto l'anno scorso con la Turchia per frenare i flussi migratori.

L'Italia fornirà "equipaggiamento, strumenti tecnici, formazione delle forze di sicurezza locali" sulla base delle richieste dei partner nordafricani e ci saranno verifiche sulla realizzazione effettiva dei progetti. Il principio e' che ''l'Italia salva vite umane e mette soldi sul tavolo, quindi e' leale e chiede la stessa lealta' ai partner'', ha sottolineato Alfano.

 

L'Ue è determinata ad agire in materia di immigrazione "nel pieno rispetto dei diritti umani, delle leggi internazioni e dei valori europei". Lo si legge nella dichiarazione congiunta sull'immigrazione stilata dai leader europei. I leader hanno intenzione di rafforzare "le capacità della Ue per i rimpatri, nel rispetto della legge internazionale".

 "L'Unione europea accoglie con favore ed è pronta a sostenere lo sviluppo dell accordo firmato tra Italia e Libia il 2 Febbraio" dalle autorità italiane e il premier libico al-Serraj. Lo si legge nella dichiarazione congiunta sull'immigrazione stilata dai leader europei al termine della prima sessione dei lavori del summit, dedicata appunto all'immigrazione. "L'accordo con la Libia apre un capitolo nuovo", l'Italia "ha fatto la sua parte, ora ci aspettiamo risorse e impegno da parte dell'Unione europea", aveva detto il premier Paolo Gentiloni al suo arrivo a La Valletta per il vertice informale europeo sull'immigrazione.

"Una giornata di svolta che autorizza speranza per il futuro della Libia". E' questa la definizione utilizzata dal premier Paolo Gentiloni dopo la firma con il collega libico Fayez al Serraj di un memorandum sul contrasto al traffico di esseri umani e all'immigrazione illegale e al rafforzamento delle frontiere, oggi a Roma, con il pieno plauso dell'Ue, che punta adesso a chiudere la rotta libica per ridurre drasticamente i flussi dal Nordafrica. 

Il leader del governo di unità nazionale libico è atterrato a sorpresa nel pomeriggio a Roma, dopo una due giorni a Bruxelles per chiedere il sostegno e "più soldi" alle istituzioni europee. Nella Capitale è stato fatto un passo concreto in questa direzione. Il memorandum, siglato con il collega Gentiloni a Palazzo Chigi, prevede una cooperazione più organica tra i due Paesi, soprattutto per rafforzare quella frontiera da cui ogni giorno partono tantissimi disperati. E l'impegno italiano per "rafforzare le istituzioni libiche", a partire dalla "polizia di frontiera", perché bisogna fermare "una piaga che colpisce la Libia, l'Italia, l'Europa e chi ne è vittima", ha spiegato il premier italiano. 

Tale intesa rappresenta un ulteriore tassello dello storico coinvolgimento in Libia dell'Italia, unico Paese occidentale ad aver riaperto finora la propria sede diplomatica a Tripoli, ha ricordato Gentiloni, sottolineando tuttavia che si tratta soltanto di "un pezzo del progetto che dobbiamo sviluppare". Adesso "serve un impegno economico dell'Unione Europea", ha avvertito il premier, che domani volerà a Malta per il vertice europeo informale dedicato proprio alla crisi migratoria. Per fare "l'ambasciatore di questo memorandum" e promuovere "ulteriori passi in avanti". Serraj, dal canto suo, ha riconosciuto il carattere "strategico" delle relazioni bilaterali, aggiungendo che sono in corso anche "trattative per accordi economici che rappresenteranno una soluzione quotidiana ai problemi dei nostri cittadini". Il punto fermo, però, è che la Libia "non farà intese che intacchino la propria sovranità", ha puntualizzato Serraj, chiudendo tra le altre cose all'ipotesi - emersa negli ultimi giorni - che l'operazione navale Ue possa entrare in acque libiche. Tripoli punta invece ad un "comando unico congiunto per ammodernare la flotta libica".

Il piano approvato dai leader nel vertice della Valletta per frenare il flusso dalla Libia si articola su 10 priorità. Per coprire le "necessità più urgenti" accoglie la proposta della Commissione di "mobilitare come primo passo 200 milioni di euro aggiuntivi per la finestra Nordafrica" del Trust Fund per l'Africa lanciato nell'autunno 2015 con 1,8 miliardi dal budget Ue e 152 milioni dagli stati membri. Al primo posto "l'addestramento, l'equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica" con programmi europei già avviati in autunno dall'operazione Sofia che "dovranno essere rapidamente aumentati, in intensità e numero". Negli altri punti: ulteriori sforzi nella lotta contro i trafficanti "con un approccio integrato che coinvolga la Libia, altri paesi sulla rotta, partner internazionali, le missioni europee Csdp, Europol e la Guardia di frontiera europea"; il supporto alle comunità locali libiche; "assicurare adeguate capacità di ricezione e le condizioni per i migranti in Libia con Unhcr e Iom" assistendo quest'ultima nelle "attività per i rimpatri volontari".

i punti chiave del memorandum d'intesa firmato a palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni e dal primo ministro libico, Fayez al Serraj. Un accordo che vede l'Italia impegnata ad aiutare la Libia a controllare le frontiere meridionali del éaese, da cui arrivano la maggior parte dei migranti provenienti dall'Africa subsahariana. Lo stesso al Serraj ha detto che l'intesa "traccia le modalità per la lotta all'immigrazione illegale che è un crimine contro l'umanità".

Un sostegno sarà dato anche sul piano del controllo delle coste, in particolare attraverso l'addestramento di personale libico. Il memorandum assicura "il sostegno alla Guardia costiera libica per contrastare il fenomeno e garantire il soccorso e i rimpatri umanitari" dei migranti. Serraj ha invece categoricamente escluso che la missione navale europea Sophia possa entrare nelle acque territoriali libiche.

La firma arriva alla vigilia del Consiglio europeo che si terrà a Malta, in cui il controllo della rotta dalla Libia all'Italia sarà uno dei temi all'ordine del giorno. L'accordo firmato oggi a palazzo Chigi ricalca le linee d'intesa raggiunte a Tripoli lo scorso 9 gennaio, quando il ministro dell'Interno, Marco Minniti impostò il patto tra Italia e Libia contro l'immigrazione clandestina.

"È solo un pezzo del progetto che dobbiamo sviluppare", ha detto Gentiloni, "Ne parleremo a Malta. Sappiamo che se vogliamo dare forza e gambe a questo progetto serve un impegno economico dell'Unione Europea: l'Italia lo ha già fatto".

l'Alto Commissario Ue per la Politica Estera fa un giro d'orizzonte sulla situazione politica e diplomatica mondiale, a partire dal delicatissimo scacchiere mediterraneo. In attesa del vertice informale dei capi di Stato e di governo della Ue, in programma per oggi a Malta, l'ex ministro degli Esteri spiega che i flussi migratori in partenza dal Maghreb verso le coste italiane e maltesi si possono controllare sia con l'azione in mare - "l'addestramento della guardia costiera è iniziato a settembre, ma molte vite vanno perdute perché le nostre navi non hanno accesso alle acque libiche" - ma anche con il rafforzamento dei confini meridionali della Libia - "abbiamo lavorto in particolare con il Niger, creando posti di lavoro per aiutare i migranti a tornare al loro Paese" .

Chiudere i confini marittimi dell'Ue verso sud "metterebbe migliaia di rifugiati e migranti in partenza dalla Libia a rischio di detenzione e abusi". E' quanto sostiene in una nota Amnesty International alla vigilia del vertice europeo a Malta in cui si discuterà di misure per affrontare la crisi migratoria.

"La proposta di ritirare le operazioni navali europee dalle attività di soccorso per incoraggiare la guardia costiera libica a occuparsene è un piano velato per impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l'Europa - afferma Iverna McGowan, direttore dell'ufficio a Bruxelles di Amnesty International -.

Intrappolerà decine di migliaia di persone in un Paese devastato dal conflitto e li esporrà al rischio di tortura e sfruttamento. Questo piano è solo l'ultimo indizio della volontà dei leader europei di voltare le spalle ai rifugiati".

L’Economist, testata dell’establishment europeo, ha pubblicato il Democracy index 2016, il report annuale sullo stato della Democrazia nel mondo elaborato dalla Intelligence Unit del gruppo editoriale.

Secondo i risultati della ricerca, solo 19 nazioni sono “Democrazie Piene” e coprono appena il 4% della popolazione mondiale: guidano la classifica Norvegia, Islanda e Svezia; oltre a Nuova Zelanda (quarto posto) e Australia (decimo) gli unici paesi non europei sono le Mauritius (da sempre oasi di libertà in Africa) e l’Uruguay.

La risposta a questo collasso della democrazia sono stati la Brexit, Trump e l’emergere dei movimenti populisti (o meglio sovranisti) in tutta Europa, contro le élite.

Il 45% della popolazione mondiale vive invece in una “Democrazia imperfetta”; 57 nazioni in tutto, tra cui Italia e Francia. Quaranta nazioni sono invece “Regimi ibridi” (18% della popolazione mondiale) e 51 paesi sono considerati “Regimi autoritari” (33% della popolazione mondiale).

Lo studio riguarda 165 nazioni che coprono quasi l’intera popolazione mondiale. Il punteggio finale viene ricavato elaborando i valori di cinque criteri base: sistema elettorale e pluralismo, libertà civili, funzionamento del governo, livello di partecipazione politica, diversificazione delle culture politiche.

Eppure secondo gli analisti dell’Economist, anziché di cercare di capire le cause di questa “reazione popolare contro l’establishment politico” in molti “hanno cercato di delegittimare i risultati elettorali, denigrando valori di coloro che li hanno sostenuti”. E così Brexit e Trump sono diventati “scoppi di emozioni primordiali, espressioni viscerali di un nazionalismo gretto” e coloro che li hanno votati “analfabeti politici” o peggio ancora “bigotti e xenofobi in balia di demagoghi”; insomma i “miserabili” con cui la Clinton ha dato straordinaria prova del suo disprezzo antropologico.

Trump non rappresenta la crisi della democrazia, ma al contrario una risposta contro le élite che hanno diminuito gli spazi di democrazia in Occidente. Gli analisti dell’Economist sono chiari: “il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non è da biasimare per questo calo di fiducia democratica che ha preceduto la sua elezione; tutt’al più è stato il beneficiario”.

Intanto Donald Trump licenzia Sally Yates, il ministro della Giustizia reggente, che ha ordinato al Dipartimento di non difendere in tribunale il decreto sull'immigrazione del presidente. Yates ''ha tradito il Dipartimento di Giustizia rifiutando di attuare un ordine messo a punto per difendere i cittadini americani'' afferma la Casa Bianca. Donald Trump nomina ministro della Giustizia reggente Dana Boente, procuratore del distretto orientale della Virginia. Sara' in carica fino a quando Jeff Sessions, nominato da Trump ministro della Giustizia, non sara' confermato dal Senato. Il ministro reggente ha intenzione di ordinare al Dipartimento della Giustizia ''di fare il nostro dovere giurato'' e di difendere l'ordine esecutivo su immigrazione e rifugiati.

La Casa Bianca respinge le critiche dei diplomatici che hanno manifestato il loro dissenso contro la decisione del presidente Donald Trump sul bando agli ingressi negli Usa da sette paesi a maggioranza musulmana. "Se non aderiscono al programma possono andare", ha detto il portavoce Sean Spicer interpellato a riguardo dai giornalisti. "Se qualcuno ha problemi con l'agenda si pone la questione se debbano rimanere in quel ruolo o meno - ha aggiunto -. Si tratta della sicurezza dell'America".

Ha superato il milione e mezzo di firme in meno di due giorni la petizione popolare lanciata in Gran Bretagna che chiede di declassare il prossimo viaggio di Donald Trump da visita di Stato a semplice visita di un presidente straniero.

Intanto tutti contro il «mostro» Trump, che chiude le porte a chi arriva da sette Paesi islamici a rischio terrorismo e vuole cacciare i poveri immigrati.

Per l'orchestra finto buonista, che vede Trump come il diavolo, i fatti contano ben poco. Niels W. Franzen, direttore dell'Immigration clinic della University della South Carolina aveva smontato in tempi non sospetti l'aureola della Casa Bianca democratica. «La presidenza Obama è stata una delle più severe - ha sostenuto in un'intervista alla Stampa dello scorso novembre- con oltre 2,5 milioni di deportati dal 2009 al 2015». Tutti immigrati considerati irregolari e sbattuti fuori dagli Usa o fermati all'arrivo. La maggioranza del 66,5% era composta da messicani. Dal 2009 al 2015, Obama, il buon Samaritano, ha espulso esattamente 2 milioni e 427 mila persone. Il repubblicano George W. Bush ne aveva rimandate a casa 400mila in meno. Il bello è che mancano i dati completi del 2015 e 2016, che farebbero veleggiare Obama oltre i 3 milioni di clandestini cacciati. Circa il 43% di quelli che vengono espulsi hanno precedenti penali, ma se Trump dice in campagna elettorale che vuole far sloggiare dagli Stati Uniti 2-3 milioni di irregolari, come il suo predecessore, tutti gridano al nuovo Hitler.

il predecessore di Trump alla Casa Bianca è stato il campione indiscusso di espulsioni di immigrati irregolari, quasi due milioni e mezzo, ancora più dell'era Bush. Ma nessuno ha fiatato. E come ospitalità ai siriani, oggi difesi a spada tratta per attaccare Trump, Obama ne ha accolti fino al 2015 una media di 376 all'anno. Numeri ridicoli se teniamo conto che in Italia, dove i siriani non arrivano più, negli ultimi dodici mesi hanno fatto domanda di asilo politico in 1581. Solo con l'arrivo in Germania di un milione di rifugiati lungo la rotta balcanica il premio Nobel per la pace, che sedeva alla Casa Bianca si è messo la mano sul cuore autorizzando l'ingresso di 13mila siriani.

Stessa musica per il bando all'ingresso negli Stati Uniti da sette Paesi islamici firmato dal nuovo presidente. Ieri si sono mobilitati l'Onu, l'Unione Europea, la Lega islamica, gli imam di mezzo mondo, compresi quelli di casa nostra, i social network, i giornaloni e la grancassa delle tv. Le schiene dritte in servizio permanente effettivo, che subito hanno sottolineato l'assenza dell'Arabia Saudita adombrando oscuri interessati privati di Trump, non si sono neppure chieste da dove fosse spuntata la lista nera. Ben 4 Paesi all'indice, Iran, Iraq, Siria e Sudan erano già stati inseriti da Obama nel Terrorist Travel Prevention Act del 2015. E riconfermati nella legge più importante degli Usa, il Consolidated Appropriations Act 2016. Chi voleva andare negli Stati Uniti da questi Paesi doveva sottoporsi ad una serie di controlli ulteriori per il visto, a cominciare da un colloquio-interrogatorio negli uffici diplomatici americani. In molti casi un modo per rifiutare l'ingresso negli Usa. Trump ne ha aggiunti altri tre, Somalia, Yemen e Libia dove neppure ci sono ambasciate e consolati Usa per farsi «intervistare». Questo significa che il «divieto» da questi Paesi era già in vigore di fatto. Trump si è spinto più in là chiudendo i cancelli, senza tenere conto delle eccezioni già previste per i Paesi a rischio.

L'altra beffa è sventolare, solo nelle ultime ore, le storie dei poveri siriani respinti o condannati al caos della guerra piuttosto che al rifugio sicuro sotto la bandiera a stella e strisce. Obama ne ha accolti dal 2011 al 2015 appena 1883, la bellezza di 376 all'anno. Solo nel 2016 ha alzato l'asticella dell'ingresso a 13mila rifugiati, dopo il fallimento degli Usa in Siria e 5 anni di guerra che hanno provocato oltre 4 milioni di profughi.

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