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Se il presidente del Consiglio vuole che lasciamo, ci mettiamo un quarto d’ora». Sulla prescrizione, Matteo Renzi, continua a giocare d’azzardo. D’altronde, checché se ne dica, sulla spinosa questione giustizia, proprio l’ex premier, sa di avere il pallino in mano. E a sentire un politico navigato come Pier Ferdinando Casini, che da trentasette anni sta in parlamento, qualcosa vorrà pur significare. «Renzi ha ottenuto sulla prescrizione un risultato tutt’altro che insignificante. Non trascurerei di valorizzarlo», irrompe nel bel mezzo dello scontro nel governo, l’eterno democristiano eletto senatore nel Pd. Un risultato, quello di sfilarsi dall’accordo con Pd-M5s e LeU, e che ora gli permette di mettere qualche altro colpo in canna. «Per me - tuona Renzi - non ci sono i numeri in Parlamento per andare al muro contro muro. Se il Pd appoggia i Cinquestelle nella ricerca del muro contro muro, mi dispiace, facciano loro, mi auguro che abbiano fatto bene i calcoli».

Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole, ai microfoni di Radio24 ha avvertito: "Ci sono le condizioni per una mediazione più avanzata. Quella prodotta non è soddisfacente. Magistrati e avvocati dicono che quell proposta non solo non risolve i problemi, ma peggiora la situazione nel nostro paese". Dunque il capo delegazione di Italia Viva al governo ha ribadito un secco e forte no ai tavoli che "impongono soluzioni: quelli sono tavoli che non vanno avanti". Il presidente del Consiglio dovrebbe perciò "ragionare su un dl o un possibile emendamento al Milleproroghe, prendesse tempo".

Anche Renzi in prima persona, intervistato da Agorà su Rai 3, ha risposto alla domanda su una possibile crisi di governo sul tema della prescrizione: "Teresa Bellanova ha sempre ragione". Un suggerimento al premier è arrivato anche da parte di Ettore Rosato, presidente nazionale di Iv: "Gli suggerisco di fare il presidente del Consiglio, che deve essere un arbitro della coalizione salvo che poi non decida che c'è qualcuno di cui si può fare a meno". Il vicepresidente della Camera ha denunciato l'esistenza nell'esecutivo di un occhio critico verso Renzi: "Sì, ma in maniera ingiustificata".

Tre anni così sono troppi. Anche la cera migliore, che si plasma in sorrisi rassicuranti, può sciogliersi di fronte all’ennesima minaccia. Giuseppe Conte non è abituato a reagire con impeto. Anzi trasmette sempre ai suoi collaboratori la convinzione che bisogna mostrarsi al lavoro, impermeabile alla dialettica politica che batte feroce alle porte di Palazzo Chigi. E così anche ieri ha fatto trapelare uno stupore calibrato per non concedere a Matteo Renzi l’impressione di averlo spaventato. «Vediamo che fa, se fa sul serio».

L’escalation renziana arriva mentre il premier è impegnato in una riunione su welfare e lavoro. C’è anche la ministra Teresa Bellanova, di Italia Viva. Conte le fa una battuta riferita al suo leader, con il quale continua a non parlarsi né al telefono né dal vivo. Quello che invece finisce per rimbalzare dai ministri del Pd e del M5S è quanto il presidente del Consiglio sia stufo delle fibrillazioni di Renzi, dei suoi diktat «troppo destabilizzanti». Che «non si può lavorare per tre anni in questo clima». «Sfiduciare Bonafede significa sfiduciare il governo» è la frase confezionata per la controffensiva dai 5 Stelle e dai democratici, condivisa con Conte.

L'avvocato continua a interrogarsi: come si fa a governare con minacce quotidiane che mirano a destabilizzare l'esecutivo? Perciò preferirebbe vedere Renzi fuori dalla sua maggioranza piuttosto che vivere con costanti ansie e picconate. Proprio qui potrebbe giocare un ruolo fondamentale il famoso gruppo dei responsabili, composto da figure che sarebbero pronte a soccorrere i giallorossi per salvaguardare la stabilizzazione parlamentare e la durata della legislatura.

Uno scenario che filtra dagli entourage dei vari ministri. In tutto ciò però l'ex premier non ha accennato ad alcuna retromarcia: "Ho dato a Conte massima disponibilità su varie ipotesi di accordo sulla giustizia. Ma se pretende di farci mollare non mi conosce e se vuole buttare fuori evviva, così evito di mettere la faccia su questo governo. Io non morirò giustizialista come fa il Pd. E se insistono porto la sfiducia a Bonafede in Senato".Zingaretti tuona contro Renzi: "Diceva di essere moderato..."

Cosi la prescrizione continua ad agitare il governo. Mentre Italia Viva minaccia di sfiduciare il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti attacca: "Come volevasi dimostrare: dicevano di voler allargare il campo ai moderati per sconfiggere Salvini.

E ancora: "Della sconfitta della destra, del lavoro, della crescita non si parla più. Solo polemiche create ad arte per nascondere la loro crisi. Salvini, Meloni e Berlusconi brindano. Complimenti". Ettore Rosato, vice presidente della Camera e coordinatore nazionale del partito fondato da Matteo Renzi, invece, dai microfoni di Circo Massimo, la trasmissione condotta da Massimo Giannini e Jean Paul Belotto su Radio Capital, spiega che la riforma sulla prescrizione "è sbagliata" perché "lede i diritti dei cittadini".

L'ex premier, intervistato da Agorà, dal canto suo, risponde indirettamente a Giorgia Meloni: "Noi saremo conseguenti con il nostro impegno di non votare questa norma. Ed a chi dice Renzi farà l'accordo per due poltrone, dico le poltrone tenetevele, noi ci teniamo i principi e gli ideali". Insomma, Renzi è disposto ad andare fino in fondo:"Non si molla sulla prescrizione; non si fanno accordi di maggioranza sulla giustizia al ribasso e soprattutto senza una delle tre forze di maggioranza", avrebbe assicurato in una riunione del suo partito. Secondo Repubblica, i renziani confidano che non si arrivi allo scontro totale

Conte sa benissimo che, qualora la rissa sulla prescrizione dovesse risolversi, i conti con Renzi sarebbero tutt'altro che sanati. Il fondatore di Iv ormai ha messo nel mirino il capo del governo, il cui consenso personale resta alto sopra il 40%. Ma davvero sarebbe pronto a mollare e scaricare la maggioranza? Considerando soprattutto che siamo a poche settimane dalle nomine delle grandi aziende pubbliche, dove Italia Viva vuole avere un ruolo importante.

Anche il premier Giuseppe Conte, sebbene dia sempre l'impressione di essere cauto e immune agli attacchi, non si è sottratto ad alcuni sfoghi. Come riportato dall'edizione odierna de La Stampa, il presidente del Consiglio vuole attendere: "Vediamo che fa, se fa sul serio". Ma si sarebbe detto stufo dei diktat "troppo destabilizzanti" e che potrebbe rendere molto difficile (se non impossibile) continuare a "lavorare per tre anni in questo clima". Un clima incandescente in cui Pd e Movimento 5 Stelle sembrano convergere in un mantra: "Sfiduciare Bonafede significa sfiduciare il governo".

A Palazzo Chigi sono convinti che l’ex premier abbia fame di visibilità. Le elezioni in Emilia-Romagna sono andate bene, il Pd è in crescita, il M5S galleggia su percentuali che restano stabili ben oltre il 10 per cento, il consenso personale del premier resta ancora alto, sopra il 40%, Forza Italia resiste nonostante tutto. Uno scenario in cui sono inciampate le ambizioni dell’ex rottamatore che invece si aspettava di gonfiare le sue percentuali ancora troppo anemiche. Ma allora, si chiedono nel governo, come si fa ad andare avanti con la minaccia costante di essere tutti a un passo dallo strapiombo?

Piuttosto che vivere nell’ansia quotidiana dell’alleato picconatore,secondo la stampa Conte preferirebbe vederlo fuori dalla sua maggioranza. La tentazione si sa è quella di aprire le braccia a un gruppo dei responsabili di Fi, pronti a soccorrere i giallorossi in nome della stabilizzazione parlamentare e della durata della legislatura. Il premier non lo ammetterà mai, ma è questo che filtra dagli entourage dei ministri.

È lo stesso timore che hanno dentro Italia Viva, consapevole di poter essere sostituita in Senato, lì dove i 17 uomini possono condizionare ogni cosa. Da parte sua Renzi non accenna a una retromarcia: «Ho dato a Conte massima disponibilità su varie ipotesi di accordo sulla giustizia. Ma se pretende di farci mollare non mi conosce e se vuole buttare fuori evviva, così evito di mettere la faccia su questo governo. Io non morirò giustizialista come fa il Pd. E se insistono porto la sfiducia a Bonafede in Senato».

Certo, a Palazzo Chigi, come anche ai vertici di Pd e M5s, sanno che è complicato tirare a sé i forzisti su un tema come la giustizia che è identitario per il partito di Silvio Berlusconi, soprattutto se declinato secondo la cultura grillina. Ma nulla è impossibile. E dunque l’alternativa può restare sul tavolo se il faticoso negoziato con Renzi dovesse essere impossibile. Lasciar fare al Parlamento, scrive la stampa con un emendamento, senza la fiducia, perché comprometterebbe l’azione del governo, è l’ultimo passo nella direzione di Iv.

Detto questo, Conte sa che la battaglia di Renzi non finirà con la prescrizione e che è lui a essere finito nel mirino. Dalle parti del premier però sono pronti a scommettere che una seria riflessione se gli convenga rompere o meno ora, il leader di Iv lo sta facendo. Soprattutto se dal Quirinale filtra tutta la contrarietà del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a poche settimane dalle nomine delle grandi aziende pubbliche, dove Iv vuole tenere un piede, risulterebbe controproducente far saltare tutto. Crisi o non crisi, i vertici delle società vanno rinnovati. E forse Renzi non avrebbe il tempo i di diventare essenziale a un altro governo.

Matteo Salvini, dopo la riunione del Consiglio federale della Lega si esercita ancora sull'epidemia di coronavirus e parte nuovamente all'attacco Palazzo Chigi  sulla gestione dell'epidemia  "Qualcuno nel governo ha perso tempo e ha sottovalutato quanto stava avvenendo", dice il leader della Lega.

"Chi ci accusava di speculazione e sciacallaggio ignorava o non aveva le informazioni che abbiamo ora. Seguiamo con attenzione la diffusione del coronavirus. Il governo verifichi ogni singolo ingresso via aerea, via terra e via mare. Altri paesi hanno fatto in fretta, in italia s'è dovuto aspettare le 10.30 di ieri per avere le sospensione dei collegamenti aerei", attacca l'ex ministro dell'Interno. Nel frattempo il presidente leghista del Comitato bicamerale su Schengen, Eugenio Zoffili chiede di sospendere la libera circolazione delle persone e l'anticipo dell'audizione in Comitato del ministro della Salute Roberto Speranza

La decisione dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di dichiarare l'epidemia una "emergenza sanitaria globale" cresce l'isolamento internazionale nei confronti della Cina. E adesso qualche dirigente comincia ad ammettere che i ritardi di fronte allo scoppio della crisi hanno peggiorato lo stato dell'epidemia. "In questo momento mi sento in colpa, con rimorso e rimprovero", ha detto Ma Guoqiang, segretario del Partito comunista cinese (Pcc) di Wuhan, la massima carica politica locale. "Se fossero state adottate prima le misure di controllo rigorose, il risultato sarebbe stato migliore di quello attuale". L'Italia finora resta al momento l'unico Paese ad aver bloccato completamente il traffico aereo da e per il Dragone, ma gli Stati Uniti ora sconsigliano viaggi verso la Repubblica popolare e il Giappone ha annunciato che non lascerà più entrare individui contagiati.

Questa e la giornata più nera per la Cina dall'inizio dell'epidemia di coronavirus. Secondo gli ultimi dati, pubblicati nella notte tra giovedì e venerdì, i nuovi decessi per problemi respiratori legati al virus sono stati 43, il numero più alto registrato finora, portando il totale a 213. Circa 2 mila i nuovi contagi accertati, in questo caso il totale sfiora le 10mila persone, oltre il numero complessivo raggiunto dalla Sars tra il 2002 e il 2003


In Italia resta l'allarme dopo la verifica di due casi certificati di coronavirus in Italia. Una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan, che erano atterrati a Milano il 23 gennaio prima di arrivare 4 giorni fa in un hotel della capitale. La coppia, ricoverata allo Spallanzani, aveva fatto una tappa a Parma prima di Roma. In giornata si cercherà di definire meglio l'itinerario dei due, marito e moglie di 67 e 66 anni, anche per adottare eventuali precauzioni. Intanto c'è un caso sospetto anche in Veneto: un minore del Trevigiano rientrato da un viaggio in territorio cinese. E' in corso a Palazzo Chigi il Consiglio dei ministri per la dichiarazione dello stato di emergenza sull'epidemia. Intanto l'aereo che dovrà rimpatriare i cittadini italiani bloccati a Wuhan è atteso domenica mattina 2 febbraio. Lo prevede l'ultima bozza del piano concordato con le autorità cinesi, secondo cui la ripartenza avverrà dopo due ore. Ieri il premier Giuseppe Conte ha annunciato la chiusura dei voli da e per la Cina.

In mattinata gli ultimi voli previsti in arrivo e in 'schedule' prima della chiusura del traffico sono atterrati agli aeroporti di Malpensa e Fiumicino. Lo sbarco dei passeggeri è avvenuto con la consueta procedura prevista dal Ministero della Salute, con i medici della Sanità aerea muniti di protezioni, tuta, guanti e maschere i quali hanno misurato la temperatura, consegnato l'apposito vademecum e richiesto a tutti di compilare una scheda con i dati sulla residenza ed eventuali spostamenti per poter tracciare i passeggeri in caso di eventuale contagio. Anche il Pakistan, la Corea del Nord e la Kenya Airways hanno chiuso i collegamenti con la Cina. Stanno sbarcando nel frattempo dalla Costa Smeralda ormeggiata al porto di Civitavecchia i 1143 passeggeri che avrebbero dovuto sbarcare ieri e che sono rimasti bloccati a bordo per il sospetto caso di Coronavirus, poi rientrato. 

"A bordo c'è stata la massima tranquillità e hanno gestito le cose bene", racconta Filippo Rossi, un uomo di Monterotondo, in provincia di Roma, che è stato tra i primi a lasciare la nave.avirus a Wuhan è atteso domenica mattina 2 febbraio.

In mattinata gli ultimi voli previsti in arrivo e in 'schedule' prima della chiusura del traffico sono atterrati agli aeroporti di Malpensa e Fiumicino. Lo sbarco dei passeggeri è avvenuto con la consueta procedura prevista dal Ministero della Salute, con i medici della Sanità aerea muniti di protezioni, tuta, guanti e maschere i quali hanno misurato la temperatura, consegnato l'apposito vademecum e richiesto a tutti di compilare una scheda con i dati sulla residenza ed eventuali spostamenti per poter tracciare i passeggeri in caso di eventuale contagio. Anche il Pakistan, la Corea del Nord e la Kenya Airways hanno chiuso i collegamenti con la Cina. Stanno sbarcando nel frattempo dalla Costa Smeralda ormeggiata al porto di Civitavecchia i 1143 passeggeri che avrebbero dovuto sbarcare ieri e che sono rimasti bloccati a bordo per il sospetto caso di Coronavirus, trato. "A bordo c'è stata la massima tranquillità e hanno gestito le cose bene", racconta Filippo Rossi, un uomo di Monterotondo, in provincia di Roma, che è stato tra i primi a lasciare la nave.avirus a Wuhan è atteso domenica mattina 2 febbraio. Lo prevede l'ultima bozza del piano concordato con le autorità cinesi, secondo cui la ripartenza avverrStato di emergenza per monitorare il coronavirus in Italia. “Il Consiglio dei ministri – si legge in un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi – ha deliberato lo stanziamento dei fondi necessari all’attuazione delle misure precauzionali conseguenti alla dichiarazione di ‘Emergenza internazionale di salute pubblica’ da parte della Organizzazione mondiale della sanità (Oms). È stato conseguentemente deliberato lo stato d’emergenza, per la durata di sei mesi, come previsto dalla normativa vigente, al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione Civile”. Chiuso il traffico aereo da e per la Cina. Atterrati all’aeroporto di Malpensa due voli di Air China in arrivo da Pechino e Shangai e uno della Cathay Pacific, programmati prima del blocco. Due nuovi casi accertati in Gran Bretagna. Gli italiani a Wuhan potrebbero rientrare lunedì. L’Unione europea ha deciso di sta

Lo stato di emergenza è uno strumento che consente di velocizzare l’organizzazione per affrontare gli eventuali casi di diffusione del coronavirus, spiegano dal ministero della Salute. I contenuti della delibera saranno stilati sia dalla Protezione civile che dal ministero. La somma messa a disposizione dal Consiglio dei ministri consente, cinque milioni di euro, anche di affrontare possibili spese: dal reclutamento di un numero maggiore di medici, all’affitto di un edificio per la sorveglianza sanitaria, ai mezzi per il trasporto di casi sospetti di virus polmonare.

Intanto, sono stati confermati due casi di coronavirus in Italia. Si tratterebbe di una coppia di turisti cinesi provenienti da Wuhan, che erano atterrati a Milano il 23 gennaio prima di arrivare quattro giorni fa in un hotel della capitale. La coppia, ricoverata allo Spallanzani, aveva fatto una tappa a Parma prima di Roma. In giornata si cercherà di definire meglio l’itinerario dei due, marito e moglie di 67 e 66 anni, anche per adottare eventuali precauzioni. Intanto, c’è un caso sospetto anche in Veneto: un minore del Trevigiano rientrato da un viaggio in territorio cinese.

Frattanto, l’aereo che dovrà rimpatriare i cittadini italiani bloccati a Wuhan è atteso domenica mattina 2 febbraio. Lo prevede l’ultima bozza del piano concordato con le autorità cinesi, secondo cui la ripartenza avverrà dopo due ore. Ieri il premier Giuseppe Conte ha annunciato la chiusura dei voli da e per la Cina. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha detto che “l’Italia è tra i Paesi europei che si sono mossi prima e meglio, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria che consentirà di utilizzare le risorse per la prevenzione e il contrasto”.

In mattinata gli ultimi voli previsti in arrivo e in ‘schedule’ prima della chiusura del traffico sono atterrati agli aeroporti di Malpensa e Fiumicino. Lo sbarco dei passeggeri è avvenuto con la consueta procedura prevista dal ministero della Salute, con i medici della Sanità aerea muniti di protezioni, tuta, guanti e maschere i quali hanno misurato la temperatura, consegnato l’apposito vademecum e richiesto a tutti di compilare una scheda con i dati sulla residenza ed eventuali spostamenti per poter tracciare i passeggeri in caso di eventuale contagio.

Anche il Pakistan, la Corea del Nord e la Kenya Airways hanno chiuso i collegamenti con la Cina. Stanno sbarcando nel frattempo dalla Costa Smeralda ormeggiata al porto di Civitavecchia i 1.143 passeggeri che avrebbero dovuto sbarcare ieri e che sono rimasti bloccati a bordo per il sospetto caso di Coronavirus, poi rientrato. “A bordo c’è stata la massima tranquillità e hanno gestito le cose bene”, racconta Filippo Rossi, un uomo di Monterotondo, in provincia di Roma, che è stato tra i primi a lasciare la nave.

Il Coronavirus fa tremare i mercati, e così la Borsa crolla, non solo in Cina ma anche in Italia. Questo è quello che sta succedendo negli ultimi giorni, a seguito dell’allarme epidemia che ha fatto registrare una forte battuta d’arresto a diversi titoli azionari.

Le ultime cinque sedute si sono chiuse male per la Borsa di Milano che, dopo che la notizia relativa alla diffusione del virus cinese aveva fatto il giro del mondo, ha registrato un -0,71% sul mercato.

Periodo nero anche per la Borsa cinese, che hanno messo il paese nelle condizioni di dover affrontare le conseguenze di un mercato al ribasso proprio nel bel mezzo di un allarme sanitario. In questo periodo, tuttavia, tiene ancora testa Francoforte, l’unica borsa a registrare non solo un bilancio positivo ma anche un rialzo pari allo 0,36% e una performance del 2,46%, tutto questo nonostante il ritocco al ribasso del Fondo Monetario Internazionale avvenuto negli scorsi giorni.

In negativo anche la Gran Bretagna che, nella settimana in cui il Primo Ministro Boris Johnson ha firmato l’accordo per la Brexit, ha perso l’1,15% (pur mantenendo un rialzo dall’inizio del 2020 pari allo 0,58%). Parigi e Madrid, invece, hanno lasciato rispettivamente l’1,34% (+0,68% da inizio anno) e l’1,23% (+0,13%) nello stesso periodo.

Per quanto riguarda i titoli italiani, invece, non tutti hanno registrato una battuta d’arresto dopo che l’allarme Coronavirus che ha fatto tremare gli azionisti in Asia. Tra quelli che hanno chiuso in positivo ci sono le azioni azioni di Hera (+6%) e St, che nelle ultime cinque giornate ha chiuso con un +10,3%.

La decisione del Governo cinese di annullare i festeggiamenti del Capodanno cinese ha però avuto effetti sulle borse italiane. Il minor flusso di turisti e gente pronta a raggiungere il Vecchio Continente per i festeggiamenti per il nuovo anno sono riusciti ad indebolire il greggio, facendo registrare così un calo del 6,9% alla Saipem (società per azioni operante nel settore petrolifero). Per lo stesso motivo è andata male anche per Pirelli, che ha chiuso con un -5,5% penalizzata dall’incertezza che si è estesa sul mercato delle auto. Le banche invece si sono mosse in maniera diversa, ma quella che ha riportato il calo più significante è stata Ubi xon il suo -5,6%.

Bene, infine, per Poste Italiane. Il nuovo piano strategico incentrato sull’innovazione, presentato recentemente a Londra, ha fatto salire le azioni del 3,17%. E buoni i risultati anche per Atlantia. I mercati hanno infatti deciso di dare maggior fiducia ai suoi titoli a seguito dell’annuncio delle dimissioni di Luigi Di Maio. Si pensa nello specifico che, con un nuovo leader al comando, il dialogo con il Governo possa riaprirsi e portare a nuove soluzioni. Per questo motivo la società è emersa tra quelle a maggiore capitalizzazione (+3,5%) e le sue azioni sono state messe in evidenza registrando un aumento del 3,19%.

Luigi Di Maio rassegna le dimissioni da capo politico del Movimento cinque stelle. Il ministro lo ha annunciato, commosso, al termine di un lungo discorso nel quale ha sottolineato la necessità di rifondare M5s. "Io mi fido di voi - ha detto - mi fido di noi e di chi verrà dopo di me. Per arrivare fin qui abbiamo fatto salti mortali. Hanno iniziato Beppe e Gianroberto e a loro va tutto il mio grazie di cuore". "Tanti - ha assicurato - mi hanno scritto non mollare. Ma io non mollerò mai il M5S, il Movimento è la mia famiglia".

"Noi dobbiamo pretendere il sacrosanto diritto di essere valutati almeno alla fine dei cinque anni di legislatura. Io penso che il governo debba andare avanti, perché alla fine" della legislatura "i risultati si vedranno ma dobbiamo avere il tempo di mettere a posto il disordine fatto da chi ha governato per trent'anni prima".

"Le mie funzioni - ha detto Di Maio - passano a Vito Crimi che è il rappresentate anziano del Comitato di garanzia, che ringrazio". Crimi ha fatto sapere che Di Maio non sarà capo delegazione a governo.

"Agli Stati generali - ha detto Di Maio - discuteremo sul cosa, subito dopo gli stati generali passeremo al chi". "Sono consapevole - ha detto il ministro - che parte del Movimento è rimasta delusa e si è allontanata". "Ho lavorato - ha detto Di Maio - per far crescere il Movimento e proteggerlo dagli approfittatori e dalle trappole lungo il percorso, anche prendendo scelte dure e a volte incomprensibili. La storia ci dice che alcuni la nostra fiducia l'hanno tradita ma per uno che ci ha tradito almeno dieci quella fiducia l'hanno ripagata".

"Abbiamo tanti nemici, qualcuno che resiste e che ci fa la guerra. Ma nessuna forza politica è mai stata sconfitta dall'esterno. I peggiori nemici sono quelli che al nostro interno lavorano non per il gruppo ma per la loro visibilità", ha accusato Di Maio. "C'è chi è stato nelle retrovie e, senza prendersi responsabilità è uscito allo scoperto solo per pugnalare alle spalle".

La logica suggerisce che la decisione non può essere totalmente scollegata dalle dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del Movimento 5 Stelle e dal terremoto interno ai grillini. Scrive il quotidiano il Giornale che la situazione è delicata e il capo del governo non è affatto tranquillo. Anche perché la maggioranza è praticamente a pezzi: altri due pentastellati Michele Nitti e Nadia Aprile hanno lasciato il gruppo per approdare al Misto. Sebbene al momento non vi sarebbe alcuna ripercussione immediata sulla tenuta dell'esecutivo, la tensione è alle stelle. Tuttavia Roberto Gualtieri, rispondendo da Davos alla Cnbc, ha precisato: "Non è una crisi politica. Non sta in alcun modo nuocendo al governo. Rimarrà ministro degli Esteri e non farà male nemmeno alla maggioranza, che è molto ampia in Parlamento. Non cambia nulla". A suo giudizio è da considerarsi semplicemente come "un cambiamento fisiologico nel partito".

Conte deve fare i conti anche con le imminenti elezioni Regionali in Emilia-Romagna: domenica 26 gennaio la roccaforte rossa potrebbe cadere e andare in mano al centrodestra. Il premier ha tranquillizzato: "Il voto in Emilia-Romagna è importante, ma rimane espressione di una comunità regionale e non decide il destino del governo nazionale". Eventualmente però ci sarà una vera e propria offensiva dell'opposizione. "Se dovessimo vincere in Emilia-Romagna e in Calabria, un minuto dopo chiederemo il voto", ha avvertito Giorgia Meloni. Il ministro dell'Economia anche su questo tema ha voluto placare gli animi e le voci: "Prima di tutto le elezioni sono elezioni locali, saranno eletti leader regionali e sono fiducioso che sarà eletto il migliore, ma chiunque sceglieranno non avrà niente a che vedere con il governo nazionale. Spero e sono fiducioso che il candidato progressista vincerà".

Il presidente del Consiglio era atteso continua il quotidiano nel primo pomeriggio: alle ore 16.00 avrebbe dovuto pronunciare il suo "special address" alla comunità di investitori e leader politici, ma ambienti della maggioranza hanno fatto sapere che l'avvocato non potrà partire a causa di urgenti impegni di governo che lo costringono a trattenersi a Roma. Stando a quanto riportato da Bloomberg, una fonte ufficiale ha fatto sapere che il presidente del Consiglio sarà alle prese con un'importante sessione governativa nella Capitale in serata, con dossier delicati sul tavolo. La notizia, al momento, non è stata smentita da Palazzo Chigi.

Luigi Di Maio ne ha impiegati dieci esatti dalla fondazione del meetup di Pomigliano all'elezione a capo politico del M5s nel 2017, mentre Craxi ne ha voluti ventiquattro anni i per arrivare dalla prima tessera del Psi a segretario del partito, come nota Fabio Martini nel suo Controvento. Ma, al di là delle cattiverie snobistiche sul salto dallo stadio San Carlo a Palazzo Chigi, colpisce che Craxi restò segretario del partito per diciassette anni. La stella di Di Maio potrebbe essere sorta e tramontata in tre anni.

L'uomo di Pomigliano resta pur sempre ministro degli Esteri, ma certo il futuro non pare roseo. E nonostante la rapidità del suo passaggio nel firmamento della politica, gli effetti deleteri sembrano tutt'altro che passeggeri o imponderabili. Se si dovesse presentare a Di Maio il conto dei provvedimenti che si è intestato, verrebbe fuori una fattura decisamente salata. Come sottolinea il Giornale a partire dai sette miliardi del reddito di cittadinanza. Della distanza siderale tra le intenzioni dichiarate sul balcone di Palazzo Chigi («abolire la povertà») e gli effetti reali (un pasticcio che al momento crea zero lavoro e alimenta il parassitismo, raramente risolvendo davvero i problemi di chi ha bisogno) si è già scritto tutto. Restano da valutare le ripercussioni future, a partire dalla diffidenza che il crollo inevitabile del reddito di cittadinanza creerà verso questo tipo di sistemi di welfare.

Ed è proprio sul versante del lavoro che «l'effetto Di Maio» scrive il quotidiano della famiglia Berlusconi, ha un bilancio più in rosso. Quanto dovrebbe sborsare l'ex capo politico se dovesse riparare alla gestione disastrosa del ministero del Lavoro e di quello dello Sviluppo, che guidava in epoca gialloverde. Come indicatore si può prendere la cassa integrazione: al suo insediamento a giugno 2018 erano state autorizzate 19,3 milioni di ore di Cigs. Un anno dopo, a giugno 2019, due mesi prima del crollo del governo M5s-Lega, la Cigs era salita del 42 per cento a 27,6 milioni di ore.

Stesso andamento per le crisi aziendali, la cui gestione è in capo al Mise. I tavoli con le aziende in difficoltà erano 144 a giugno 2018. Un anno dopo, a giugno 2019, erano aumentati a 158. I casi più lampanti, Alitalia e Ilva, sono diventati simboli di una incapacità di prendere decisioni e di essere efficaci. Fu proprio Di Maio a chiudere l'accordo con ArcelorMittal gloriandosi di aver «risolto in tre mesi» la crisi dell'Ilva che si trascinava da anni sotto il centrosinistra. La storia poi è andata come sappiamo: si è sfiorata la chiusura della principale acciaieria italiana. E che dire di Alitalia e della meravigliosa idea di affidarla a un partner pubblico? Il dossier ancora aperto costa due milioni di euro al mese. Nel solo periodo in cui Di Maio è stato ministro del Lavoro e dello Sviluppo, Alitalia ha perso circa 900 milioni, coperti dai cosiddetti prestiti ponte.

Ma il vero paradosso di questa parabola politica è che il leader del movimento anticasta si è fatto notare anche per le ingenti spese di gestione. Al Mise e al Lavoro ha piazzato un lungo elenco di amici del liceo, vicini di casa, ex grillini trombati alle elezioni. Uno staff gigante il cui costo è stato stimato in circa un milione di euro l'anno. Passato agli Esteri, ha messo su uno staff grande il doppio di quello di Alfano: costo 711mila euro l'anno.

In totale il «costo Di Maio» ammonta dunque a oltre 8 miliardi. Aggiungendo i 3,5 potenziali quantificati dal tribunale come costo se chiudesse Ilva, si può arrotondare a 12 miliardi totali. 

 

 

 

 

 

Si torna al bipolarismo. Il risultato di questa tornata elettorale di inizio anno ci riporta all'eterna sfida tra centrodestra e centrosinistra. Reduce dalle dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico, i Cinque Stelle, che agli ultimi appuntamenti non hanno fatto altro che logorare consensi su consensi, perdono ovunque. E lo fanno incassando un botto senza precedenti: in Emilia Romagna Simone Benini incassa appena il 3,6%, mentre in Calabria Francesco Aiello fa un po' meglio ma viene confinato al 6,7% e non entra nemmeno in consiglio regionale. Un vero e proprio tracollo che conferma il trend di un logorio che dalle elezioni politiche del 2018 in poi è diventato una costante e che ha, appunto, riportato al centro del confronto politico il braccio di ferro tra centrodestra e centrosinistra. Con un dato significativo: dopo la straordinaria vittoria dello scorso ottobre in Umbria, Forza Italia, la Lega e Fratelli d'Italia strappano un'altra Regione al mal governo della sinistra, la Calabria, che fino all'anno scorso era governata dal piddì Mario Oliverio finito indagato per abuso di ufficio in un'inchiesta della procura di Catanzaro. "Forza Italia ha una classe dirigente vincente - commenta il vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani - in tutta Italia c'è una classe dirigente in grado di condurre il centrodestra alla vittoria".

Sia in Calabria che in Emilia Romagna i risultati per i pentastellati sono stati imbarazzanti: solo il 3,47% nella storica Regione rossa e il 7,28% al Sud. "Il risultato dei 5 stelle sul voto di ieri produrrà molto nervosismo nel Governo", aveva commentato Giorgia Meloni. E sembra che la tensione nell'esecutivo sia già arrivata alle stelle. "Basta smarcamenti e bandierine" nel governo, ha tuonato Conte che ha poi cercato di tranquillizzare: "Non vedo nessuna instabilità. Il M5S a marzo arriverà agli stati generali per rilanciare entusiasmo. Si definirà questa fase di transizione e vedrete che avrò ancora di più gli amici del M5S pronti a dare un grande contributo alle riforme e a tutte le misure urgenti che i cittadini attendono".

Poi il premier ha cercato di giustificare il flop pentastellato. "Il M5S non ha conseguito risultati brillanti, ma bisogna considerare tre aspetti - ha detto Conte -. Di Maio si è dimesso; il Movimento si è strutturato sul territorio non come un patito; terzo proprio in Emilia Romagna c'è stata fino all'ultimo incertezza se presentarsi, quindi si è arrivati in una fase di transizione. Non dobbiamo essere ingenerosi quando valutiamo la prestazione".

L'Emilia Romagna resta rossa, mentre il centrodestra strappa alla sinistra la Calabria. Al termine di una campagna elettorale durissima e senza esclusione di colpi, che dal piano regionale ha sempre sconfinato su quello nazionale, il governatore uscente Stefano Bonaccini inacassa il 51,39% delle preferenze e vince sulla leghista Lucia Borgonzoni (43,68%).

In Calabria, la vittoria del centrodestra è una valanga che travolge tutto: Jole Santelli spazza via la sinistra con il 55,82% e confina Pippo Callipo al 30,33%. In questo braccio di ferro, che finisce sostanzialmente in parità, c'è un unico sconfitto: il Movimento 5 Stelle. Tanto che da Silvio Berlusconi e da Matteo Salvini già parte l'assalto al carrozzone del governo Conte.

Giuseppe Conte commentando i risultati delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria e chiedendo "una maggiore coesione" nel governo. Dopo il flop del Movimento 5 Stelle, Conte alza i torni e attacca la coalizione di centrodestra e Salvini.

Un attacco frontale al quale il leader della Lega non ha esitato a rispondere: "Leggo che anche oggi il signor Conte passa il tempo ad attaccarmi e a dire che deve lavorare per contrastare me e le destre. Gli ricordo che deve lavorare per il bene degli Italiani, non perché odia qualcuno. Chi vive di rabbia e rancore vive male poverino, camomilla per Giuseppi!".

Per il presidente del Consiglio i risultati delle Regionali non influenzeranno il governo. E non conta nulla se il Movimento 5 Stelle è sparito dal Paese. "È improprio attribuire un significato politico a livello nazionale a degli appuntamenti regionali. C'è una prospettiva di più ampio respiro: dobbiamo lavorare per contrastare queste destre e mi auguro si possa rafforzare un ampio fronte, chiamatelo come volete, progressista, riformista, alternativo alle destre dove possono trovare posto tutte le forze che però vogliono condurre una politica alternativa alle destre".

Un vero e proprio attacco che è stato poi diretto esplicitamente contro il leader della Lega. "C'è chi ha voluto fare di questo voto un referendum pro o contro il governo - ha affermato Conte -. Mi riferisco in particolare a Matteo Salvini, che ritengo esca come il grande sconfitto di questa competizione". Ma le parole del premier non sono finite qui.

Conte ha infatto definito "indegna" la campagna elettorale di Salvini: "Trovo veramente indegno andare di giorno con le troupe e con il clamore mediatico a citofonare additando privati cittadini - colpevoli o innocenti poco importa - per dei reati. Mi ricorda delle pratiche oscurantiste del passato, è un dare all'untore, lo ritengo inaccettabile. Queste sono scorciatoie mediatiche e spettacolari che non possiamo accettare".

La vittoria di Stefano Bonaccini in Emilia Romagna galvanizza il Partito democratico anche a livello nazionale al punto che il vicesegretario dem, Andrea Orlando, è pronto a batter cassa con i 5Stelle.

"Ad esempio il M5S, dopo questa severa sconfitta, dovrebbe rinunciare a un armamentario che non paga elettoralmente e che rende difficile l'attività di governo", spiega a Circo Massimo su Radio capital l'ex ministro della giustizia. Ed è proprio sui temi giudiziari - prescrizione in primis - che Orlando vuol far leva: "Dovrebbe esserci una disponibilità al confronto superiore a quella che c'è stata finora", incalza, "Crediamo che la rivisitazione debba essere fatta nella maggioranza senza coinvolgere altre forze, ma che quella norma debba essere modificata. È un fatto assodato e mi sembra che la trattativa vada in quella direzione. Ora questa spinta può contribuire a dare un esito positivo".

Orlando gongola anche per i dati del Partito democratico che è tornato il primo partito "dopo due tornate in cui in Emilia Romagna era molto distante dall'esserlo". Ma avverte: "Ora bisogna andare a un momento rifondativo" perché "c'è bisogno di aprire il partito e di rimettere in discussione gli organismi dirigenti". Anche perché il voto ha dimostrato - a suo dire - che non esiste una "subalternità" al M5S: "Se la subalternità fa sì che il Pd va oltre un terzo dei voti e il M5S passa al 4%, c'è da augurarsi una subalternità consolidata nel tempo", dice, "Non mi sembra che dagli elettori sia stata avvertita questa subalternità, altrimenti i risultati sarebbero stati rovesciati".

All'esponente dem replica, via Twitter, il pentastellato Michele Gubitosa: "Mi dispiace sentire le parole di Orlando sulla necessità di rivedere l'asse politico del governo. Il Pd e noi stessi abbiamo sempre detto che il voto alle regionali non avrebbe pregiudicato l'attività di governo", spiega, "Spero non si vogliano strumentalizzare le elezioni locali per fare passi indietro su temi decisivi quali la prescrizione o la revoca delle concessioni autostradali. Per il M5s al centro di qualsiasi accordo resteranno sempre i temi per i cittadini"

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio oggi pomeriggio annuncerà le sue dimissioni da capo politico del Movimento. Di Maio, a quanto si apprende, avrebbe anticipato la sua decisione questa mattina nella riunione con i ministri del Movimento. L'annuncio arriverà in occasione della presentazione dei facilitatori regionali, al Tempio di Adriano. Cresce, in queste ore, l'ipotesi di affidare la reggenza del M5S a Vito Crimi, in vista degli Stati generali previsti nella metà di marzo.

Il martedì dei fantasmi inizia prestissimo. Prima riunione ristretta alle 8.30 di mattina. C'è da scrivere il discorso di addio: un mix tra rabbia e orgoglio. Ma anche un messaggio di responsabilità nei confronti del governo visto che è il ministro degli Esteri. Ma sono pensieri che viaggiano come nuvole.

A un certo punto, chiuso nel bunker della Farnesina, Luigi Di Maio evoca chi è lontano migliaia di chilometri, in Iran: «Potrei fare una cosa con Dibba, un domani». E cioè Alessandro Di Battista, con il quale condivide una certa allergia nei confronti del Pd. Entrambi d'altronde erano contrari al governo giallorosso. Già ma cosa? L'unica certezza è che un Movimento organico nel centrosinistra non potrà mai andargli a genio

Di Maio - «che in queste ore si fida di pochissime persone» - nel pomeriggio avvisa il premier Conte della sua scelta. E poi chiama Beppe Grillo. Questa è la telefonata più complicata: «Non ce la faccio più: è impossibile andare avanti così», si sfoga il ministro degli Esteri con il Garante.

In tanti chiamano in serata Grillo, tutti con un moto d'apprensione. E lui prova a sfilarsi: «So che Luigi domani parlerà. Che dirà? Chiedete a lui, ragazzi». Anche il padre nobile è preoccupato: non sa come si muoverà il suo (ex) pupillo.

Nella testa di «Luigi» si affollano di continuo fantasmi e trincee.

Per esempio, all'ora di pranzo, i suoi collaboratori gli hanno raccontato che è partita la convocazione di un'assemblea congiunta dei parlamentari per la settimana prossima. «Deputati e senatori vogliono metterti alle strette».

In quell'occasione i ribelli che da 3 sono arrivati «a più di 30» saranno pronti a far diventare il documento di un mese fa partorito in Senato una vera e propria mozione. E soprattutto, vorranno discutere «le regole d'ingaggio» degli stati generali destinati a diventare un vero e proprio congresso. E ancora spingeranno per traghettare i pentastellati nel centrosinistra, a braccetto con il Pd.

Ecco perché Di Maio gioca d'anticipo e in un momento di sfogo ammette: «Del risultato dell'Emilia Romagna non mi importa nulla, io ero per non presentarmi: vada come vada. Non vado in tv a commentare un 5%». In cuor suo sa che la notizia del suo addio, potrebbe aiutare, e non poco la narrazione di Matteo Salvini sul voto utile. Il tutto a discapito della maggioranza: «Non è un problema mio».


Di Maio oscilla. Passa dal senso di responsabilità alla voglia di sfasciare tutto. Un ministro lo chiama, con affetto, «il nostro Sansone».
Tecnicamente gli sono rimasti pochissimi fedelissimi: da Stefano Buffagni a Vincenzo Spadafora, forse il duo Bonafede&Fraccaro. Ma forse. Di Maio è infuriato con Patuanelli: «L'ho fatto diventare capogruppo, poi ministro e adesso non fa altro che mettermi in difficoltà. Questa è la gratitudine».

In queste ore Di Maio non pensa di ricandidarsi agli Stati generali, ma immagina per sé un futuro politico molto, ma molto più defilato. L'idea di riprendersi con una mossa a sorpresa il Movimento in quello che sarà un vero e proprio congresso gli viene consigliata dai collaboratori più stretti. Ma poi, dati alla mano, subito pensa a una retromarcia: «Forse torno tra tre mesi». Forse no. Nel tardo pomeriggio gli fanno leggere l'agenzia stampa di nuovi addii verso Fioramonti. Lunedì ce ne saranno altrettanti. «Così non reggo».

"Parlerà" Luigi Di Maio, "la cosa importante è restare uniti, tenere tutti uniti nel movimento, nello scegliere insieme la strada per il futuro". Lo ha detto il ministro per lo sport, Vincenzo Spadafora, uscendo da Palazzo Chigi al termine dell'incontro tra il capo politico M5s e i ministri.

"Di Maio è stato tirato per la giacchetta, dunque aspettiamo che assuma lui un'iniziativa". Lo dice il premier Giuseppe Conte ai microfoni di Nonstopnews", su Rtl. "Se fosse una sua decisione lo rispetterò" anche se "mi dispiacerà sul piano personale", spiega.

Monta quindi la voce insistente di un possibile passo indietro, a breve, di Luigi Di Maio dalla guida del Movimento 5 Stelle. Rumors ricorrenti, non confermati dal suo staff di comunicazione, prevedono addirittura un possibile annuncio del capo politico prima della chiusura della campagna elettorale per le regionali di domenica. 

E mentre danno il loro addio al Movimento due nuovi deputati, oggi il leader M5s presenterà a Roma la nuova squadra di facilitatori regionali scelti dalla Rete per fare da raccordo tra il territorio e la direzione nazionale del Movimento: potrebbe quella essere l'occasione in cui il ministro degli esteri e leader del Movimento fornirà un chiarimento sulle sue intenzioni. Che appaiono legate strettamente alla stessa esistenza di questi nuovi organismi: la durata in carica dei facilitatori nazionali e regionali è infatti connessa alla permanenza di Di Maio al vertice.

Intanto il Movimento continua a perdere pezzi. I deputati M5s Michele Nitti e Nadia Aprile hanno lasciato il Movimento e formalmente fatto richiesta di aderire al gruppo Misto.

"Non posso nascondere che i fatti che mi hanno visto protagonista nell'ultimo periodo mi hanno seriamente scossa - ha detto in una nota Nadia Aprile, Parlamentare uscente del Gruppo M5S alla Camera -. La situazione in cui mi sono trovata è dipesa esclusivamente da un'inesorabile deriva autoritativa del MoVimento e dalla mancata considerazione in cui sono stata tenuta come Parlamentare e come persona". "Dopo aver riflettuto a fondo" e ritenendo "illegittimo ed infondato il procedimento a mio carico ho deciso di non continuare più a militare nel MoVimento".

"Basta andare sul sito tirendiconto.it per vedere che la deputata Nadia Aprile ha effettuato la sua ultima restituzione a dicembre 2018, mentre per Michele Nitti le restituzioni sono ferme ad Aprile 2019. Per tale motivo i due, che ieri hanno annunciato di lasciare il gruppo M5S alla Camera, andavano incontro ad un provvedimento disciplinare". Lo sottolineano fonti del M5S in merito all'addio al Movimento dei deputati Nitti e Aprile.

'La maggioranza alla Camera è solida, non abbiamo nessun timore. La nostra stretta sul termine delle rendicontazioni ha prodotto qualche movimento di persone verso il Misto. La maggioranza è solida sia alla Camera che al Senato, non vedo preoccupazioni". Lo dichiara il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà, interpellato dai cronisti fuori da Palazzo Chigi.

Con i due nuovi passaggi salgono a 14 i deputati ex M5s che siedono al Misto: per formare un nuovo gruppo ne servono 20. In totale in questa legislatura sono 31 i parlamentari eletti con il M5s e passati ad altri gruppi, per scelta personale.

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