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Volete ribellarvi al mondo del conformismo becero, del politicamente corretto, allora dovete dedicarvi allo studio. Lo scrive Paola Mastrocola, nel suo “La passione ribelle”, Editori Laterza (2017), un libro controcorrente e provocatoriamente scandaloso. Del resto la professoressa di Torino ci ha abituato a questo genere di scrittura.“Chi studia è sempre un ribelle”, è uno che sta dall'altra parte, rispetto al mondo che corre sempre e non si ferma mai.“Chi studia si ferma e sta: così si rende eversivo e contrario”. Lo studioso, forse è uno scontento di sé, ma anche del mondo. Ma chi studia non fugge dal mondo, “è solo una ribellione silenziosa e, oggi più che mai, invisibile”. “La Passione ribelle” è un libro dedicato “a tutti i ribelli invisibili”, che studiano libri. Pertanto è dedicato anche al sottoscritto che legge e che più o meno si sente ribelle contro questo “mondo” di oggi che non ci piace.

La tesi che percorre il libro è che lo studio è sparito dalle nostre vite. Nessuno studia più.“Lo studio sa di muffa, è passato, è vecchiume”, scrive la Mastrocola. Già la parola suscita, malessere, un'avversione. Appena sentiamo la parola “studio”, immaginiamo un anziano professore seduto a un tavolo di biblioteca, occhiali a metà naso, cordicella penzola. Oggi chi osa proporre di studiare per risolvere qualche problema che magari affligge la società di oggi, significa voler perdere in partenza, significa volersi male.

Per la Mastrocola, la parola “studio”, è sparita dai giornali, dalle tivù, dai governi, perfino dalle scuole.“Sentiamo mai l'ospite di un talk show pronunciare frasi del tipo: 'Aspetti mi lasci studiare bene l'argomento, poi le risponderò'? O lo speaker del telegiornale: 'Oggi il Ministro ha rifiutato le interviste perché doveva studiare'?

Addirittura anche a scuola non si parla di studio.“In trent'anni di pseudoriformismo scolastico, in cui più o meno ogni ministro che si è succeduto ci ha messo del suo per riformare una scuola che di fatto non è mai stata riformata, non ho mai sentito la parola 'studio'”. E' stata una parola tabù, per i vari saggi che presiedono le varie pseudo riforme.

Il testo di Mastrocola a tratti appare oltre che provocante anche per certi versi irriguardoso. Studiare significa incrinare oscurare la nostra gioia di vivere. “Lo studio ci sottrae a tutto quel che ci affascina. E' mettersi i tappi nelle orecchie davanti alle Sirene”. Lo studio, “è Leopardi che perde la giovinezza, si rovina la salute e rimane come un cane”. Del resto non abbiamo mai sentito qualcuno che, alla domanda: “Cosa ti piace fare nella vita?” risponda: “Studiare”?

Capita spesso sentire persone importanti, affermate, che hanno conquistato un posto di riguardo, proprio perchè hanno studiato tanto, intervistate amino parlare soltanto dei loro insuccessi. Raccontano che andavano malissimo a scuola, magari non aggiungono che hanno rifiutato la scuola perché li incasellava, in un'arida routine, ma non era lo studio che rifiutavano in quanto tale. Sembra che oggi a noi ci piace sentire che i grandi hanno odiato lo studio, questo ci conforta.

La Mastrocola emette a getto continuo frasi provocatorie:“Chi studia è uno sfigato”. Studiare può provocare malattie come la depressione e soprattutto la scoliosi.“Già, chi studia sta seduto, chino, contratto, rannicchiato, fermo”. E soprattutto, “è solo in una stanza”. La professoressa accenna alla figura del secchione, sempre odiato a scuola. Se poi prende nove, deve far finta che sia capitato per caso, che non l'ha preso perchè ha studiato. E' capitato. Esibire la cultura, mostrare quanto sai, non va mai bene. Non bisogna mai passare per studiosi.

Fino a pochi anni fa si ammiravano le persone i professori, gli studiosi. Esisteva la figura dello studioso che passava le giornate in biblioteca a leggere e a scrivere, pensare, consultare enciclopedie, riviste. Trovavi gente che aveva letto per intero opere letterarie. Oggi mostrare la cultura non va più, non si fa. Se a una cena tra amici, viene fuori“che stai leggendo il Filostrato di Boccaccio o le rime del Chiabrera, tutti penserebbero: 'Poveretto, che vita grigia!”.

Oggi secondo Mastrocola, rende di più esibire l'ignoranza. E' un vantaggio sociale. Il non sapere e il non studiare ci dà un fascino aggiunto,“una certa patina di rozzezza che sa subito di istinti primordiale, naturalezza ferina, autenticità”.

Concludendo il I capitolo, Mastrocola sentenzia: “Studiare nel nostro immaginario, vuol dire non vivere”. Qualche anno fa lo scrittore veneto Ferdinando Camon scriveva che “chi non legge non vive”, anche lui tendenzialmente criticava chi aveva ormai accettato la tesi del non studio. Praticamente, Mastrocola continuando con frasi sarcastiche, scrive:“studia chi non ha una vita. Chi non sa vivere, chi vive in un mondo suo, astratto e lontano”. Addirittura: “C'è qualcosa di malato in chi studia”. Anzi se continui a studiare, rimani solo, nessuno ti cerca, nessuno ti ama. Infatti Leopardi non andava alle feste. La stessa Mastrocola si confessa che da quando frequentava le scuole Medie, si era messa in testa che sarebbe diventata come Leopardi, gobba.

I sacrifici per lo studio non ci piacciono, quelli per lo sport si. Infatti,“nello sport non solo tolleriamo, ma anche ammiriamo, la fatica, lo sforzo, l'impegno. Troviamo naturale e bellissimo che un atleta passi le sue giornate ad allenarsi e che i suoi allenamenti siano sfinenti al limite dell'umano”. Ci sono ragazzi che amano perdutamente i loro allenatori, i loro mister, che li fanno lavorare con una disciplina ferrea, con severità e inflessibilità. “Invece se un insegnante oggi è severo, intransigente e direttivo, se osa assegnare molti compiti magari difficili e dà voti troppo bassi, fa orrore, e viene osteggiato”.

Allora che cosa non va nello studio? “Chi studia - scrive Mastrocola - ci sembra uno che rinuncia a vivere, che si astiene. Qualcosa tra il monaco buddista, l'asceta che si ciba di radici in cima a un monte, il fachiro che si stende sul suo tappetino irto di chiodi puntuti, la suora di clausura che, prendendo i voti, chiude definitivamente con i piaceri goderecci della vita”. Chi pratica sport o fa musica ottengono risultati concreti, oggettivi, che si tradurranno in qualcosa di pubblico che lo gratificherà: salirà sul podio, sarà intervistato dai giornali, in tivù. Chi studia invece, cosa studia a fare? Dove vuole arrivare? Chi studia non ottiene visibilità, tranne alcune eccezioni.“Chi studia non appare da nessuna parte, non acquista notorietà, non fa audience”.

Poi,“l'insegnante severo invece è un nemico, è uno che non ci porta da nessuna parte[...]”.

La prof torinese dedica un capitolo del libro al suo percorso scolastico. Racconta come studiava e che cosa studiava. C'era la Gerusalemme liberata, la Divina Commedia, i poemi omerici, si leggeva opere antiche e “nessun insegnante aveva paura che non li capissimo”. E poi L'Iliade, che bisognava “tradurla” per capirla, riscriverla parola per parola. Noi oggi pensiamo che i ragazzi di tredici anni non ce la fanno a leggere i classici. Inoltre, da studentessa, riassumeva i libri, li leggeva e li sunteggiava per punti su fogli. Tutto annotato, circolettato, sottolineato, con freccette e diversi segnetti. Del resto è quello che faccio anch'io leggendo i libri. Addirittura a volte ha riscritto i libri;“noi riscrivevamo i libri”. Era il nostro metodo, allora non esisteva il concetto di “metodo di studio”: “ce lo siamo inventato noi adesso che nessuno studia più”. In pratica confessa la Mastrocola: “riscrivendo parti corpose di un libro, quel libro mi si sarebbe incollato alla mente”.

Paola Mastrocola è convinta di avere le prove della sparizione dello studio dalle nostre vite. Anche se non sembra, perchè pare che mai come oggi ci sia tanto interessamento perché cresca la percentuale dei diplomati e laureati, migliorare i risultati dei test internazionali. Ci occupiamo di scegliere la scuola migliore per i nostri figli, li supportiamo con lezioni private, andiamo a parlare con gli insegnanti, facciamo ricorsi infiniti al TAR e tanto altro. Tutto questo per la nostra professoressa è solo scena, a nessuno interessa veramente studiare.

A questo punto la prof torinese riporta sei prove a sostegno della sua tesi.

Gli adulti sono i primi a non studiare più. E parte dalla critica letteraria che non c'è più. Altra prova sono gli insegnanti che non studiano, ed è un vero paradosso. Proprio loro che dovrebbero nutrirsi dello studio. Anche se lo volessero non possono farlo, invece di rintanarsi a studiare in biblioteca devono fare riunioni e commissioni e occuparsi di offerte formative. Devono preparare griglie di valutazione, test, giudizi, verbali e poi l'Invalsi e tante altre centomila faccende. Si smette di lavorare per riunirsi. Gli insegnanti oggi hanno a che fare moltissimo con macchine fotocopiatrici, lavagne interattive e burocrazia, pochissimo con i libri. “Infatti non è raro trovare, tra di noi, gente che non legge neanche un libro. E un insegnante che non legge libri mi sembra, come posso dire?, un pesce a cui non piace nuotare. Che tristezza”.

Sostanzialmente agli insegnanti non viene chiesto di leggere e studiare.“Non viene in mente proprio a nessuno di chieder loro una cosa simile, per il semplice fatto che a nessuno importa che un insegnante studi o non studi, legga o non legga, scriva o non scriva”. Ai preside interessa solo che la macchina organizzativa (non certo quella culturale!) funzioni. Ma non importa neanche alle famiglie; a loro interessa che i loro figli siano promossi e non vengano disturbati con compiti eccessivi, con brutti voti e rimproveri. Infine non importa agli allievi, che hanno ben altro per la testa.

Piuttosto,“agli insegnanti si chiede solo di esserci, il maggior numero di ore possibili; di non creare problemi all'utenza e quindi alla direzione”.

La terza prova riguarda i politici, definiti spettacolanti e qui si sfonda una porta aperta. I politici non studiano. Si fa fatica trovarne qualcuno che studi. Le varie riforme della scuola ne sono un esempio.“Il tutto affidato perlopiù ai burocrati dei ministeri, che traducono i voleri dei politici in proposte o norme di legge incomprensibili e indecifrabili”. Certamente“lo studio non abita nei Palazzi del Potere”. Il loro preziosissimo tempo lo passano andando in tivù. Per sciorinare le loro formule rituali a vuoto. Nel mondo politico, tutti sottostanno ad una legge universale: “se non ti esibisci non esisti”. Qui, “tutto è essenzialmente spettacolo”, difficilmente c'è posto per gli studiosi. I giornalisti sui giornali, fanno il riassunto, si pubblica soltanto uno stralcio, quello che c'è scritto nel retro-copertina, non fanno come le mie presentazioni, dove si vede che ho letto il libro.

Poi ci sono i ricercatori universitari, che dovrebbero essere quelli che di mestiere ricercano, cioè studiano. Non è più così, perché adesso sono impiegati a insegnare, a tenere sempre più corsi, diventa una specie di assistente. Oggi devono cercare di pubblicare il maggior numero di articoli sulle riviste, per fare carriera. Servono punteggi, firme, articoli sulle riviste giuste, essere citati più volte possibile. Quindi più amici hai nel mondo accademico meglio è. Così per il critico letterario inglese, Terry Eagleton, siamo alla fine dell'università, alla sua lenta morte.

La quinta prova. La biblioteca. Non è più quella di una volta. In mancanza di aule-studio, centinaia di studenti affollano i tavoli delle biblioteche. E' un bell'impatto visivo, verrebbe da pensare che non si è mai studiato così tanto. Invece gli studenti non fanno altro che andare in giro, a chiacchierare, a bere il caffè, sono studenti itineranti. Per la verità l'ho notato anch'io in quegli anni quando lavoravo nella biblioteca di architettura al Politecnico di Milano.

In pratica la Mastrocola ormai vede stravolto anche il ruolo della biblioteca. Non si ha più voglia di andare a recuperare il sapere affondato nei libri, e così diventano relitti inabissati per sempre. Forse un domani andremo nelle biblioteche come si va tra i ruderi romani e greci.

Infine ci sono gli studenti e qui è chiarissimo che lo studio è sparito. E' facile sostenerlo. Peraltro Mastrocola, ha già scritto un libro (“Togliamo il disturbo”, edizioni Guanda) per raccontare il non studio degli studenti. Manca il desiderio di studio, di sforzo, di impegno. Come sta capitando per il matrimonio, i giovani non hanno più questo desiderio di sposarsi.

Ormai la scuola non è più il luogo dove si va per studiare. Si va per altro. Piuttosto si va a scuola per stare insieme, fare amicizia, ormai per certi versi “è l'unico posto dove andare”. Gli studenti quando ritornano a casa non studiano, piuttosto sono perennemente connessi, hanno altro da fare.

Tuttavia un mondo dove non si studia più è peggiore di un mondo dove si studia. Chi sostiene queste tesi è un pessimista un nostalgico. E' uno che pensa che il mondo è in declino. Oggi ci sono tre parole aborrite: nostalgia, pessimismo, declino. La Mastrocola non ha paura di passare per nostalgica o per pessimista. Oggi tutti dobbiamo dire che le cose vanno bene. C'è una guerra contro il pessimismo. In verità i pessimisti guardano in faccia la realtà, sono realisti. Ma oggi non piace guardare in faccia la realtà. “Dobbiamo tutti dire che andiamo benissimo e viviamo in un mondo meraviglioso, perennemente in progresso, e avviato verso un futuro vincente”. Praticamente “c'è una massa di imbonitori di piazza, di fronte allo sfascio, inneggia a una speranza senza limiti, a una fiducia ad oltranza nelle nostre capacità di risorgere”. Intanto ci nutriamo di autolodi, autostimoli, autoiniezioni continue, di pozioni magiche rigeneranti ed energizzanti”, basta leggere i giornali o aprire la tivù.

La Mastrocola è fortemente critica nei confronti di quelli che dicono “si è vero stiamo perdendo qualcosa” con i nuovi mezzi tecnologici, con la rete, con internet, ma chissà quanto e cosa guadagneremo nel futuro.

Ci ripetono come un mantra,“questa rivoluzione antropologica non ci deve far paura, non è stato così con la scrittura e la stampa?”Pertanto se ,“Perdiamo A ma guadagniamo B. E se non avessimo perso A non avremmo guadagnato B. Quindi siamo comunque a cavallo. E' come dire: abbiamo perso le gambe, ma impareremo a camminare sulle braccia”. La Mastrocola rifiuta questi parallelismi, non possiamo ragionare come la mamma, che cerca sempre di giustificare i propri figli. Una società, un Paese non può sempre autoconsolare. Stiamo perdendo qualcosa di grande, non tutto nella vita ci viene sostituito, riparato.

Attenzione non denigriamo i pessimisti. Nessuno è più idealista speranzoso di loro, nessuno ama il mondo come loro. Lo amano talmente che ogni tanto si permettono di dire che lo vedono bruttino e che lo vorrebbero migliorare.

Invece mi guarderei bene dagli ottimisti a senso unico, questi possono farci del male. Quelli che dicono“basta tirarci su le maniche, dare un colpo di reni, fare uno scatto, credere in noi stessi, pensare positivo..e giù a valanga con questa tiritera di formule-pomate autolenitive”. Ci siamo stancati di tirarci su le maniche. Sono messaggi pericolosi.

Per quanto riguarda il declino, anche questo è evidente. Le civiltà nascono, si consolidano e poi muoiono. Anche se il mondo forse decade da quando è nato. Viviamo un periodo di decadenza, siamo in crisi, ma siamo stati sempre in crisi, basta leggere qualche poeta o pensatore di quarant'anni fa.

Ritornando allo studio, sono in troppi a pensare che si può fare a meno di studiare: ormai c'è internet.“Le informazioni e le conoscenze che ci occorrono stanno ormai fuori di noi (è l'esternalizzazione) e sono continuamente facilmente disponibili a tutti. Basta fare un clic”. Certo è molto comodo internet, è un progresso, soprattutto per chi ha studiato,“cioè per chi, come quelli della mia generazione, ha accumulato un discreto patrimonio personale di conoscenze su cui sempre fare affidamento e può tranquillamente abbandonarsi alle dolci navigazioni destrutturate internettiane”. Mentre per i nativi digitali, non conoscendo altro, pensano che può bastare la rete.

Nonostante la crisi è indubbio che viviamo un certo benessere edonistico.“Viviamo costantemente intrattenuti, interrelati e connessi. Comodi e beati”. Praticamente passiamo la gran parte del nostro tempo libero a intrattenerci, con i nostri gadget tecnologici, che adoriamo. E la crisi che stiamo vivendo, per certi versi favorisce questa società dell'intrattenimento.

Stiamo vivendo il tempo della finzione, per la Mastrocola. Si affermano solennemente certe cose, ma poi si trasgrediscono facilmente. C'è un rilassamento collettivo, è più evidente a scuola. A scuola, invece di fare scuola, abbiamo fatto altro. Niente ortografia, grammatica, tabelline, poesie a memoria, fiumi, capitali, niente nozionismo. Abbiamo ridotto i programmi e il numero delle pagine da leggere. All'università,“abbiamo deciso che per un esame non si debba portare più di un certo numero (molto basso!) di pagine da studiare”.

Nel periodo universitario non si dovrebbe leggere il più possibile? “E' una nefasta decisione al ribasso”. I nostri studenti non leggeranno i classici, non verranno mai a contatto con la bellezza dello stile dei grandi come Platone, Aristotele, Goethe, Galileo. Addirittura all'università con la moltiplicazione degli appelli, si sono introdotti gli “esoneri”, significa che un libro di 400 pagine, si può dividere in quattro parti. La generazione dei nostri padri portavano tutte le materie all'esame di maturità, e per ogni materia il programma di tutti gli anni di liceo. “La gioventù di allora possedeva forse menti più evolute?”.

Perché oggi non è più così? Perché siamo noi a non crederci più.

“E' bizzarro che proprio a scuola non si chieda mai veramente, cioè sul serio, di studiare. Non abbiamo strumenti per chiederlo, né sanzioni: un ragazzo può impunemente venire a scuola e non studiare[...]”.

Nonostante tutta la tecnologia possibile, c'è sempre un momento in cui bisogna mettersi seduti, chiusi in una stanza e aprire “un benedettissimo libro e starci sopra parecchio”. La Mastrocola riesce a fornirci con esattezza e chiarezza che cosa significa studiare e soprattutto come bisogna farlo. Sono concetti ovvi, ma che nell'era di internet serve riproporre pazientemente. E si trattiene spiegando ogni passaggio: Stare, seduti, per ore, in un luogo appartato, indugiando. Naturalmente la solitudine è un ingrediente fondamentale, per lo studio. Altro dato fondamentale è che bisogna essere scollegati. Infine ultimo passaggio occorre memorizzare. E non è facile perchè studiare significa chequel che si legge resta”. Viene trasferito da un luogo (il libro) a un altro luogo ( la nostra testa), ove permane”. E qui la parola “trasferimento” è basilare. La pagina del libro diventa una sorta di secondo testo nella nostra mente, che, naturalmente non è del tutto uguale all'originale.

“Quel che noi studiamo va a finire in una sorta di magazzino, cui attingere ogni volta che vogliamo”, qualcosa di simile amo raccomandarlo ai miei ragazzini a scuola. Un'altra frase ricorrente nel libro e che “si studia per essere e non per diventare”.

Tuttavia la Mastrocola è quasi costretta a sostenere che è meglio andare via da questa scuola che non attrae e che non ti abitua a studiare.

Negli ultimi capitoli del libro, la professoressa riesce a proporre delle sublimi riflessioni che non si discostano molto da certe raccomandazioni che si possono ascoltare in certi ambienti religiosi o leggere in testi di alta spiritualità, dove prima di agire si raccomanda la necessaria contemplazione. Emerge qualcosa che mi ricorda gli esercizi spirituali ignaziani.“E' sparita l'interiorità. - scrive la Mastrocola - Il piacere di stare con se stessi, di intrattenere rapporti con la parte interna, più spirituale, di noi. Non abbiamo nessuna voglia di ripiegarci, guardarci dentro e riflettere, ricordare, almanaccare su concetti, astrazioni, sentimenti”.

L'uomo moderno di oggi ha paura di rimanere solo. Ha sempre bisogno di relazionarsi con altri, fisicamente o virtualmente. Invece per Mastrocola abbiamo bisogno di solitudine per leggere per stare con i libri, le parole, i pensieri, i ricordi. “E' la solitudine che ha reso possibili le grandi opere dell'ingegno umano, in ogni campo”. Abbiamo bisogno di alimentare la nostra interiorità, la nostra casa, che potrebbe essere la nostra anima.

Gli ultimi capitoli del libro, sono tutti da rileggere e farli propri, per le profonde e significative riflessioni. La Mastrocola ci indica i grandi pensatori antichi come Socrate, Platone, Aristotele, sant'Agostino, Cicerone, Seneca, che non hanno fatto altro che mostrarci la via della felicità attraverso lo studio. E' vero lo studio può trasformare il mondo e Paola Mastrocola ci crede.

A 70 anni dalla riscoperta degli studi vivaldiani nasce “Viva Vivaldi”. Un format artistico-culturale per raccontare il musicista conosciuto in tutto il mondo per le celebri “Quattro Stagioni”. Un invito a scoprire e/o riscoprire non solo il musicista, ma anche il "prete rosso", l’uomo Vivaldi, andando oltre l’opera che lo rese più famoso. Non si tratta di portare al grande pubblico Vivaldi con effetti speciali rischiandone la semplificazione. Non è questo lo scopo di “Viva Vivaldi”.

“Viva Vivaldi”, che apre al pubblico il 13 maggio e andrà avanti fino al 2018, nasce in primis per creare “bellezza, per donare bellezza all’uomo di oggi attraverso l’arte, come “via pulchritudinis”. E lo fa fondendo la poesia e la musica, lo fa attraverso una riscoperta dell’anima di Vivaldi che di fronte alla bellezza della natura prova stupore, meraviglia. A questo dunque servono gli effetti sonori, visivi e olfattivi di ultima generazione, a ricreare quello stupore che parla al cuore e agli occhi dell’uomo contemporaneo.

Ancora prima di essere “visto” e  “sentito” , “Viva Vivaldi” ha ottenuto il sostegno della Fondazione Giorgio Cini in particolare dell’Istituto Antonio Vivaldi ed il patrocinio di Mibact, Enit, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Sensi Contemporanei che di sicuro è uno dei programmi culturali ministeriali più ambiziosi degli ultimi anni in tema di progetto per lo sviluppo della cultura e dell’economia. Inoltre ultima news: è stato accreditato anche per il Bonus Cultura.

"Viva Vivaldi" nasce da un'idea di Gianpiero Perri e Francesco Bernardi, rispettivamente General Manager e Presidente di Emotional Experiences, la società che lo ha prodotto. A completare il quadro uno staff prestigioso a partire dal poeta Davide Rondoni che ne è anche il direttore artistico, Jean-Francois Touillaud direttore tecnico responsabile dell’allestimento, Gilles Ledos direttore artistico per la produzione di immagini e filmati, Cristian Carrara per la consulenza musicale e la realizzazione della colonna sonora, Gianni Canova per la consulenza cinematografica, Marco Pozzi per la regia di un’istallazione video, l’illustratore e designer Raffaele Gerardi, le due storiche dell’arte Beatrice Buscaroli e Elena Marchetti, la ricercatrice britannica Micky White nonché una delle massime esperte della biografia del “prete rosso”, e la direzione di produzione di Maria Gerardi. E per finire la collaborazione autorevole del Maestro Fanna.

Uno staff d’eccezione per un percorso di 40 minuti che si realizzerà logisticamente nel Museo Diocesano di Venezia grazie alla collaborazione con il Patriarcato di Venezia. Il percorso che inizia dal grazioso chiostro di Sant’Apollonia cercherà di raccontare l’avventura umana e artistica di Vivaldi, sviscerandone il dramma dell’artista che raggiunge l’apice del successo e poi vede sfumarlo nel giro di pochi anni, mettendone in luce il ruolo di educatore nei confronti di circa 120 fanciulle rimaste orfane e che grazie a lui non solo divennero musiciste ma ognuna di esse seguì esattamente la sua inclinazione artistica, o ancora facendo cogliere allo spettatore in quello stupore nei confronti del creato la ricerca di quella “scintilla" del sacro che farà da filo conduttore a gran parte del suo repertorio.

Il sistema tecnologico sofisticato ed innovativo di grandi proiezioni in HD, Multi-Directional Sound, effetti olfattivi si snoda in tre sale che avvolgeranno il visitatore in una sinfonia di note, colori, forme e segni. Per la prima volta in Italia verrà realizzato un video mapping di interni. Il mapping, che è una tecnologia multimediale, crea l’effetto di una realtà aumentata giocando sull’illusione ottica tra la superficie reale e la sua seconda “pelle”. Tutto questo produce dei giochi di destrutturazione che sorprenderanno il visitatore nella sala ad archi dove esploderà il gran finale.

Tutto questo e molto altro in “Viva Vivaldi” che intende offrire una modalità nuova per valorizzare i capolavori che appartengono alla storia di Venezia e a quella universale, e permetterne il godimento di tutti.

Nel libro “L'intelligenza in pericolo di morte”, il filosofo belga Marcel De Corte, descrive un dramma: la crisi della civiltà contemporanea, della civiltà occidentale. Si potrebbe definire una diagnosi clinica, dove si tocca il male profondo che ha colpito l'intelligenza umana e la minaccia di morte.

De Corte riesce a fare una coraggiosa sintesi dei vari passaggi, sotto la spinta delle “rivoluzioni” del XVIII secolo, che hanno portato l'uomo contemporaneo al disastro antropologico odierno. Principalmente De Corte si rivolge “a quel mostro affascinante che è l'utopia, che si presenta oggi sotto molti travestimenti, uno più nocivo dell'altro, dal romanticismo della scienza alla informazione deformante”.

Più volte il filosofo belga sostiene la tesi che il regime democratico nato dalla Rivoluzione francese, presuppone“l'allontanamento, o almeno, la sterilizzazione politica delle società naturali o seminaturali, in cui l'uomo si trova iscritto dal destino sin dalla nascita o dalla vocazione: famiglia, comunità professionale, comunità locale e regionale, patria piccola o grande eccetera”. Certo sussistono  ancora queste realtà, ma in maniera precaria, basta osservare, la famiglia, la società naturale per eccellenza.

De Corte, è severamente critico della democrazia moderna:“è essenzialmente il regime sprovvisto di ossatura e di muscolatura, dove lo Stato regna solitario per mezzo di un apparato artificiale le cui metastasi cancerose proliferano dentro le coscienze, e culmina, senza essere il risultato di una forza naturale sociale”. Praticamente la democrazia è costituita da uno Stato senza società, da una collettività composta da individui anonimi eguali, intercambiabili e che fra loro non hanno nulla da scambiare e da comunicare. Questa democrazia forma una società di massa, dove gli individui sono sradicati dalle strutture sociali viventi,“dove si addizionano gli uni agli altri in una comunità di somiglianza”. Avviene il contrario nelle società organiche, qui“i membri sono PRESENTI gli uni agli altri e partecipano, su piani diversi, a una medesima esperienza sensibile, intellettuale e morale degli esseri e delle cose che costituisce il fondamento solido e incrollabile delle loro certezze e della loro capacità di scambievole comunicazione[...]”.

Nella società di massa, l'individuo entra in rapporto con gli altri attraverso l'informazione. Si conoscono gli avvenimenti attraverso l'informazione, “per mezzo di informatori che registrano, radunano, scelgono, configurano, esprimono e diffondono i fatti, al posto loro”. In pratica nella democrazia, l'informazione ha una importanza fondamentale, entrambi vanno di pari passo. L'informazione dà “una parvenza di vita, essendo percettibile, udibile e visibile”. Diventa addirittura un bisogno, non si può fare “a meno delle 'notizie'; la lettura dei giornali è la preghiera mattutina dell'uomo moderno, diceva Hegel, e Montherlant evoca, non so dove, la faccia del passeggero nella metropolitana tuffata al crepuscolo nell'ultima edizione del suo quotidiano abituale, simile al muso del cavallo affondato nella profenda”.

De Corte descrive mirabilmente l'individuo della società di massa, che tagliato dal suo passato dalle tradizioni, dalle certezze oggettive, dalle evidenze della società naturale, ora vive isolato, immerso nella collettività, di cui ignora quasi tutto. Praticamente cerca nella informazione, “un rimedio contro l'individualismo e contro la società di massa di cui lentamente muore”.

De Corte nel libro tratta anche di una manipolazione delle diverse forme del linguaggio in particolare quello letterario o artistico, indirizzando così l'umanità verso una Babele. Oggi emergono per il professore belga“gli scaltri, i senza scrupoli, laici o chierici che governano gli altri con le parole. Si eliminano gli uni gli altri con tecniche che vanno dalla semplice frecciata, scritta o detta, sino alla rivolverata alla nuca”. E qui De Corte scrive che c'è una profonda riflessione da fare sulla storia degli ultimi due secoli:“la maggior parte dei dittatori e dei tiranni moderni sono scrittori o artisti che hanno sostituito al vano linguaggio dei segni estetici, un sistema di segni che diffonde il terrore e sostiene la prepotenza di chi lo usa: da Bonaparte a Hitler, da Mussolini a Stalin, passando per tanti altri che hanno avuto una temporanea fortuna, o sono falliti nel loro tentativo[...]”. A questo proposito diceva Napoleone: “ho attuato l'alleanza della filosofia con la sciabola”. Oggi i suoi emuli, direbbero di “aver attuato l'alleanza del linguaggio col lavaggio dei cervelli”.

Il professore De Corte chiude il cerchio:“società di massa, società legata da informazioni, società fondata sulle parole, sulle immagini, su riproduzioni e simulacri, si costruiscono, se così possiamo dire, automaticamente, si fondono in una specie di holding collettivo, gigantesco, di cui i 'furbi' detengono la direzione generale”.

A questo punto il professore fa l'esempio di come allora si è mistificata la realtà della guerra contro il Comunismo nel Vietnam. Si sono associate slogan come “la sporca guerra del Vietnam”, con immagini di terrore convenientemente scelte, alla fine si finisce col non vedere più la realtà e si fa di tutto per liberarsi a qualsiasi costo della guerra. Pertanto “la sola rappresentazione mentale degli Stati Uniti suscita un riflesso di animosità non tanto per la loro condotta nei confronti di un popolo che vuole 'liberarsi', ma per il loro comportamento nei confronti del soggetto in cui è suscitato il riflesso, colpito nel suo inconscio e modellato dalla in-formazione”. Identico meccanismo per tutte le guerre più o meno giuste degli americani. Qualcosa di simile oggi che è stato eletto a presidente degli Usa Donald Trump. Anche qui l'informazione diventa deformante.

Il De Corte insiste sulle tecniche che usa l'informatore per informare l'in-formato. L'informazione“diviene una macchina per agire sopra un gran numero di uomini e in-formarli in serie [...]le tecniche della informazione presuppongono la capacità di devitalizzare l'essere umano e degradarlo alla condizione di materia plastica”.Ma l'informazione è inseparabile dalla propaganda, spesso l'obiettività dei mass media passa in secondo piano. I mass media in mano a gruppi particolari o allo Stato, comunicano, all'”uomo medio” della società di massa, che non ha la capacità, né la possibilità di verificare le informazioni che riceve o di criticarle. Sostanzialmente per De Corte, “è l''uomo massa' che affronta, nelle notizie donde trapelano, problemi che per l'ampiezza, il numero e il significato lo superano infinitamente. Aggredito da informazioni di cui non può calcolare l'importanza né tantomeno stabilire la gerarchia della loro portata e del loro valore, informato è completamente alla mercè dell'informatore”.

L'informatore ha la tentazione irresistibile di imporre la propria visione su tutto. Del resto l'uomo della società di massa,“desidera che l'informazione gli comunichi direttive di pensiero e d'azione, una ortodossia e una ortoprassia”. Peraltro l'informatore sa di avere davanti un essere debole, estremamente mistificabile, anche perchè l'uomo della società di massa è incapace di agire e di capire se stesso. L'informatore così accresce definitivamente la sua volontà di potenza e plasma e deforma a suo piacimento tutti gli in-formati. L'informato, individuo isolato nella società di massa, partecipa,“quasi chiamato , per opera della informazione che lo deforma, al consolidamento della società di massa e della democrazia, alla socializzazione, alla meccanizzazione della sua condotta a opera del potere, e col suo proprio consenso”.

De Corte spiega chiaramente la tecnica di come un “piccolo numero di agenzie di stampa”, a livello internazionale e nazionale a mettersi al servizio degli Stati e dei suoi governi, senza venire mai in conflitto con loro.“Non v'è nemmeno un solo esempio di governo che, informando il pubblico della sua opera, non presenti l'informazione nella luce più favorevole o meno sfavorevole per lui”. In pratica quello che è successo con i tre governi del dopo Berlusconi in Italia.

De Corte sostiene che a partire dal 1914, la guerra psicologica delle informazioni deformate e deformanti non si è mai interrotta, dal momento in cui gli Stati si sono accorti dell'importanza vitale che avevano per loro. Il filosofo fiammingo è categorico,“in una società democratica di massa, il governo che si limitasse a informare il cittadino senza piegarlo, senza influire su di lui, né formarlo e deformarlo, sarebbe rapidamente spazzato via, anche e soprattutto nella Russia sovietica, nella Cina comunista e nei paesi situati nella loro orbita”.

I regimi democratici devono sempre ingannare l'opinione e persuaderla che la segue, mentre invece la guida. Un capo socialista poteva dire: “sono il loro capo, dunque li seguo”. Tuttavia, però, “il governo non può isolarsi dalla massa, ma può tendere fra sé e la massa una cortina impalpabile dove la massa vedrà proiettarsi un'apparenza di politica, mentre la politica vera si svolgerà dietro”. Allora, De Corte può scrivere che, “tutta l'arte di governare, si riduce in fin dei conti a cogliere l'avvenimento che permetterà al governo di ingannare l'opinione pubblica a suo favore”. Per fare questo “il prezzo da pagare è la deformazione permanente dell'informazione, la menzogna che si insinua nell'avvenimento e lo traveste”.

E' semplice governare nella società di massa, sia per la democrazia formale, reale o comunista, basta far proclamare dalla massa quel che si è decretato di fare. La formula è sempre la stessa: “Il popolo lo vuole”, ripetuto più volte, acquista una valenza magica. L'informazione che governa, in mano ai pochi, ogni tanto danno qualche oggetto reale, ma rivestito di ideologia e di immaginazione, così c'è l'illusione di governare. Infatti per De Corte sia “le elezioni a 99,95% a favore del partito unico sono autentiche quanto quelle che si svolgono nelle democrazie liberali. Nei due casi, tutto è deciso dal popolo, vale a dire, da alcuni, in apparenza democratica che la informazione fornisce la dose di realtà indispensabile ad accendere nello spirito la immaginazione mitica”.

Allora una informazione penetrata di propaganda, può INVERTIRE il senso di qualsiasi fatto. Addirittura all'uomo si può far accettare anche la sua schiavitù. Nella democrazia e nella società di massa, appare“impossibile discernere l'informazione dalla propaganda, l'avvenimento dall'influsso di cui viene caricato, la verità dalla menzogna, il reale dall'immaginario, il dato dal costruito”.

A questo punto De Corte procede a descrivere come si snatura l'avvenimento. Mi fermo, alla prossima.

La possibilità di gestire un'ampia interazione tra l’utente ed un’altra realtà, sia essa virtuale, aumentata o anche una combinazione di queste, rende qualunque esperienza di utilizzo estremamente realistica, funzionale e fortemente esperienziale: è questa la filosofia del progetto realizzato da Protom per Corporea, il museo interattivo dedicato al corpo umano, la cui inaugurazione sabato 4 marzo segna la riapertura dei battenti di Città della Scienza.

Protom ha vinto nella primavera del 2016 la gara internazionale per progettare i contenuti e realizzare l’intero progetto museologico di Corporea, in partnership con realtà internazionali come Archimedes Exhibitions, il Muse - Museo delle Scienze di Trento e Studio Gris Dainese.

"Siamo molto orgogliosi - dichiara il fondatore di Protom Fabio De Felice - che Città della Scienza abbia scelto il nostro progetto. Siamo ancor di più felici di aver lavorato assieme per Corporea, un simbolo importante della rinascita di Città della Scienza dopo il rogo di quattro anni fa e al contempo uno dei musei interattivi più innovativi al mondo."

Protom e una realtà leader a livello europeo nel project management e nell’impiego di tecniche di totalquality applicate a processi complessi. Fondata dall’imprenditore napoletano Fabio De Felice nel 1995 attualmente l’azienda opera su numerosi mercati, attraverso macro aree che si interconnettono: IT, Advanced Engineering, PA Consulting e Training. L’integrazione delle diverse divisioni permette di progettare soluzioni altamente innovative, senza perdere mai l’approccio tailor-made per una realizzazione personalizzata e ottimale di ciascun progetto.

Training e PA Consulting hanno oggi acquisito una posizione di leadership riconosciuta a livello nazionale. La prima si è imposta sia sul mercato corporate che su quello delle scuole, specializzandosi nella formazione legata ai settori It e Aerospace, potendo sfruttare il know-how maturato all’interno del Gruppo. La seconda si è dedicata allo sviluppo di programmi fortemente innovativi, nell’ambito della gestione dei fondi europei erogati alle pubbliche amministrazioni.

L’Advanced Engineering, potenziata nel 2013 in seguito all’acquisizione di un ramo d’azienda della Piaggio Aero Industries, opera nei settori Aerospace, Railway ed Automotive con approccio Integrated&Makeit work, che punta sulla capacità di team-working di tecnici e ingegneri con know-how ed esperienze differenti e che porta l’azienda a lavorare con big player del comparto metalmeccanico nell' aeronautica, nel ferroviario e nell'automotive, come Leonardo, Fca, Superjet, Piaggio Aerospace, Atr, Hitachi e Airbus. Punto di forza riconosciuto a livello internazionale alla Business Unit è la capacità di coprire l’intero ciclo di progettazione di un aereo.

L'area It, cresciuta nel 2012 grazie all' ingresso di un gruppo di manager di Olivetti Ricerca, ha ottenuto in pochi anni riconoscimenti a livello internazionale nei mercati della PA, delle imprese e delle TLC, connotandosi per lo sviluppo di soluzioni ad alto grado di innovazione in ambito di sistemi di realtà virtuale e immersiva, sia con ambiziosi progetti in partnership con player mondiali del settore, sia con il rilascio di innovativi prodotti elaborati internamente, che hanno portato l'azienda anche a entrare con soluzioni innovative nel mondo della cultura.

L’organico conta circa 120 unità, a cui si aggiunge un altro centinaio di collaboratori presenti nel mondo, per l’80% sotto i 40 anni, per il 90% laureati; numerosa la presenza femminile, con picchi del 70% in alcune divisioni.

Protom ha il suo quartier generale a Napoli, uffici operativi in Italia (Lombardia, Lazio, Puglia) e in Francia (Tolosa), uffici commerciali in Inghilterra (Londra) e in Brasile.La sede direzionale a Napoli è un valore aggiunto: la città si candida a diventare una delle capitali italiane dell’ICT, grazie alla presenza di competenze di alta qualità formate dagli atenei del Mezzogiorno, che oggi attraggono anche colossi come IBM, Microsoft, Cisco e, ultima in ordine di tempo, Apple.

Dopo mesi di lavoro, nella data simbolica del 4 Marzo, anniversario dell’incendio, i primi visitatori potranno provare i circa 100 exhibit, le macroinstallazioni e le postazioni interattive, immergendosi nel più affascinante viaggio che l’uomo abbia mai compiuto: quello dentro sé stesso.
Tra  video immersivi, giochi, multimedia, laboratori e sperimentazioni dirette i visitatori si immergeranno in un viaggio virtuale attraverso la macchina umana, scorrendo per vie circolatorie e dotti biliari, perdendosi in cavità e riaffiorando su superfici. Un’esperienza totale capace di coinvolgere persone di ogni età, guidandole alla scoperta del corpo umano lungo un percorso che si snoda attraverso  14 isole tematiche dedicate ai diversi sistemi del corpo che – interagendo tra loro – ne garantiscono il corretto funzionamento.L’intera esposizione è attraversata trasversalmente dal tema de “Il Valore della Prevenzione” che pone un’attenzione particolare ai nostri comportamenti e a come influenzano la nostra salute.

Il percorso inizia con il sistema muscolo scheletrico, la struttura portante del nostro corpo, passa attraverso l’area dedicata all’equilibrio termodinamico e quindi imbocca l’autostrada del corpo: l’apparato cardiovascolare, un viaggio in 4d a scorrimento veloce all’interno del sistema cardio-circolatorio, dove, una volta miniaturizzati, si può osservare cosa succede nel sangue a livello microscopico. La visita continua con il sistema digerente ed il sistema endocrino, per poi passare al grande ‘database’ del corpo umano: il DNA. Quindi è la volta del sistema immunitario, del sistema sensoriale ed infine della visita dell’area dedicata al sistema riproduttivo ed alla sessualità. Un’ulteriore sezione espositiva parla della Storia della Medicina, mentre spostandosi di livello si giunge alla centrale di controllo, il sistema nervoso. Il viaggio nel corpo umano attraverso Corporea si conclude con il Cervello.

Si tratta, dunque di un progetto complesso, che ha visto Protom distinguersi sin dalla fase di proposizione dell’offerta per  la sua capacità di aggregare team di professionisti altamente qualificati in tutti gli ambiti di competenza e di interagire con le componenti scientifiche, tecniche e di allestimento dell’intera esibizione museale.
L’azienda ha progettato componenti multimediali e di allestimento che connotano fortemente il progetto, realizzando alcuni degli spazi tematici e funzionali, dallo sviluppo di concept creativi fino alla fase di installazione, garantendo anche il supporto e la manutenzione del Museo nei mesi a venire.

"Le soluzioni realizzate per Corporea - dichiara il Direttore della Business Unit Information Technology di Protom Giuseppe Santoro - declinano il nostro modello di interfaccia nel modo più ampio e differenziato per i vari exhibit, sfruttando tutti gli elementi possibili del modello interattivo avanzato e molte sono le istanze tecnologiche presenti che abiliteranno ancora nuove opportunità di interazione con i sistemi IT.”

Il Team IT è uno dei fiori all’occhiello di  Protom, che negli anni ha saputo  sfruttare la sua vocazione alla multidisciplinarietà per capitalizzare il know-how sviluppato nell’ambito della System Integration e della realtà virtuale ed immersiva, lavorando con le aziende del panorama internazionale.

“Le soluzioni applicative basate su realtà virtuale ed aumentata sono dotate di una interfaccia coinvolgente, interattiva e totalmente guidata - prosegue Santoro- e ci hanno permesso di realizzare non solo applicazioni per il settore museale, come con Città della Scienza, ma anche per l’industria 4.0, la sicurezza sul lavoro e la sanità.”

Il prossimo obiettivo di Protom, infatti, è proporre soluzioni nell’ambito dell’Industrial Internet e dello Smart Manufacturing, affermandosi come punto di riferimento nel settore.

“Tutte le attività di progettazione, di lavorazione, manutenzione ed addestramento - conclude Santoro - possono trarre enormi vantaggi, se condotte in maniera innovativa, sfruttando l’enorme potenziale offerto da queste nuove tecnologie, aumentando così l'efficacia, minimizzando i rischi di errore, migliorando la sicurezza e riducendo i costi."

Ripercorrere, seppur per sommi capi, le tappe della scristianizzazione della cultura europea, attraverso l’analisi delle sue radici, ha l’indubbio merito di farci capire, da dove dovremmo ripartire, per impostare correttamente quella  “nuova evangelizzazione”, anche della cultura, auspicata dagli insegnamenti di san Giovanni Paolo II (1978-2005). In questo percorso è d’obbligo incontrare, ora, due “protagonisti assoluti” della crisi dell’identità europea: Marsilio da Padova (1275-1342)  e Guglielmo da Occam (1285-1347). Il primo fu un filosofo e uno scrittore politico di grande rilievo; alcuni lo considerano addirittura come un precursore della modernità. Indubbiamente, con la sua opera complessiva e, soprattutto, col celebre Defensor Pacis (1324), assestò un duro colpo alla concezione politica medievale. Secondo lo storico Carlo Dolcini il pensiero di Marsilio sarebbe, addirittura, il più sistematico attacco alla Chiesa visibile, condotto in quegli anni. A ragion veduta, è considerato uno dei “padri” dello Stato Moderno. Vediamo il perché. Teorizzò la separazione, non la sacrosanta distinzione, tra la sfera politica e quella religiosa, identificando, di fatto, l’azione dello Stato con il fine verso cui deve tendere. Iniziò,così, a subordinare la sfera religiosa a quella temporale, perché il fine primo di ciò che esiste all’interno dello Stato deve essere subordinato ad esso, Chiesa compresa, nella sua interezza, dall’ultimo dei fedeli laici, fino al Papa stesso. Chiesa e papato sono ridotti,dunque, a semplici strumenti al servizio dello Stato. Marsilio pose una novità assoluta: capovolgendo l’insegnamento paolino ‒ che fondava in Dio l’origine dell’Autorità e del potere  temporale, poi esercitato,concretamente, dall’uomo nelle varie epoche storiche ‒ asserì, che l’unica fonte di legittimità del potere è il popolo, universitas civium, o , meglio, la sua parte migliore, valentior pars, che, successivamente, può affidarla al Principe per farla rispettare. In questo modo, Marsilio tratteggiò alcuni degli elementi portanti dello Stato Moderno: 1) da autonomo, divenne ontonomo, cioè trovava in se stesso la propria legittimità, non avendo più un limite superiore, la legge Eterna di Dio, né uno in basso, costituito dalla morale sociale naturale. 2) conseguentemente, il bene e il vero non dovevano più diventare,automaticamente, legge positiva. Tutto dipendeva dalla volontà del legislatore umano. A tale concezione, non era estranea la filosofia dell’altro “pilastro” dello Stato Moderno, scristianizzato: il nominalismo di Guglielmo da Occam. Così ha sintetizzato la sua filosofia il gesuita  e storico della Chiesa  Joseph Lortz: «Per l’atteggiamento di fondo nominalista, i concetti e le realtà sono talmente staccati, che una metafisica dell’essere diviene impossibile. Di conseguenza non ci può essere alcuna conoscenza naturale di Dio». In pratica, Occam pose, a partire dal principio dell’Onnipotenza divina, la volontà e non la razionalità con la non-contraddittorietà, alla base dell’essenza e dell’agire di Dio. Questo porre come libero atto dell’arbitrio di Dio (Lortz) anche la Rivelazione, comportava che, ad esempio, lo stesso decalogo avrebbe potuto essere diverso, anzi, completamente opposto: potendo comandare, dunque, all’uomo, anche di rubare, uccidere, essere falso etc, per salvarsi l’anima! Marsilio, influenzato dal nominalismo, attribuì allo Stato, le stesse caratteristiche che Occam applicava a Dio; pertanto, poiché Dio non ha ostacoli che possano limitarne, concretamente, l’esercizio della volontà, sia in alto, sia in basso e “volendolo”, potrebbe cambiare continuamente i suoi giudizi e le sue valutazioni, parimenti, lo Stato, equiparato a Dio, è svincolato da qualsiasi condizionamento al di sopra di esso. Le conseguenze per la cultura europea furono devastanti. Occam, in questo modo, aveva “costruito”un pont, che fece transitare la rigorosa filosofia tomista nella sfumata ed incerta filosofia nominalista, la quale negava ogni valore ai concetti universali, Papato ed Impero compresi. L’impatto che le opere di questi due pensatori ebbero sulla cultura europea, fu decisamente rivoluzionario; preparò il terreno di coltura, sul quale, di lì a poco, si svilupparono fenomeni di natura storica universale come l’Umanesimo e il Rinascimento. Il primo “piegò” l’attenzione da Dio all’uomo e dalla conquista del Paradiso a quella dei piaceri terreni; fu soprattutto un movimento letterario, che ebbe in Francesco Petrarca (1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375) i suoi massimi esponenti. Il secondo, invece, molto più ampio ed esteso, saltando a piè pari l’esperienza medievale, voleva connettersi direttamente col mondo pagano. Lo vedremo la prossima volta.

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