L'Associazione Manisco World, presieduta da Virginia Melissa Adamo, vittima diretta delle dinamiche settarie, è impegnata da tempo nella sensibilizzazione e nel contrasto di questo fenomeno sociale emergente e preoccupante. L'associazione, attiva in Italia, Spagna, Svizzera e America Latina, offre sostegno concreto alle vittime e alle loro famiglie e promuove iniziative legislative per colmare significativi vuoti normativi. L'impegno di Virginia Melissa Adamo nasce da una drammatica esperienza personale, avendo vissuto direttamente il coinvolgimento della figlia in una setta; una vicenda che ha avuto un ampio eco mediatico, arrivando a essere raccontata anche nel programma televisivo "Le Iene”. La manipolazione emotiva e psicologica rappresenta una minaccia crescente, che agisce attraverso tecniche subdole e spesso devastanti, inducendo le vittime a modificare radicalmente la propria percezione della realtà e ad isolarsi dalle loro famiglie e dagli affetti più cari. In passato, il reato di "plagio" previsto dal Codice Penale italiano puniva proprio chi sottoponeva una persona al proprio potere, riducendola in uno stato di soggezione totale. Tuttavia, nel 1981 la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale questa norma a causa della sua formulazione vaga e indeterminata, lasciando di fatto un vuoto normativo che non ha ancora trovato una soluzione adeguata. Nei giorni scorsi, l'associazione ha incontrato la senatrice Tilde Minasi per discutere di una nuova proposta di legge mirata a colmare questo vuoto, introducendo specificamente il reato di "manipolazione emotiva e/o psicologica" nel Codice Penale. La senatrice Leghista si è fatta personalmente carico della proposta e si è impegnata a portarla all'attenzione della Commissione Giustizia del Senato, presieduta dall'avvocato Giulia Bongiorno, per seguire direttamente l'iter legislativo. All'incontro erano presenti l'avvocato Vincenzo Dionisi, penalista esperto in dinamiche settarie, Virginia Melissa Adamo e il dott. Sergio Caruso, psicologo e criminologo, i quali hanno espresso gratitudine alla senatrice per la sensibilità dimostrata e il supporto dato all'iniziativa legislativa. La proposta di legge prevede pene severe per chiunque, individualmente o in forma associativa, utilizzi tecniche manipolatorie per alterare la volontà di una persona, distorcendone la percezione della realtà, inducendola a vivere isolata o all’interno di gruppi, con finalità di profitto. Le pene sono aggravate in casi che coinvolgano minori, persone con capacità ridotte o in condizioni di particolare vulnerabilità, o se gli autori esercitano abusivamente professioni sanitarie o psicologiche. Questo incontro rappresenta un passo cruciale per la definizione di strumenti giuridici adeguati a combattere un fenomeno che, secondo dati recenti, riguarda circa 1500 organizzazioni attive in Italia nel 2024, molte delle quali operano anche attraverso piattaforme digitali. L'Associazione Manisco World rinnova il proprio impegno nella tutela dei cittadini e desidera esprimere profonda gratitudine alla senatrice Minasi per la sensibilità e l'attenzione dimostrate verso questa importante battaglia di giustizia e legalità. L'incontro con la senatrice ha permesso di trovare una figura istituzionale capace di comprendere pienamente il significato e l'urgenza dell'iniziativa, dando voce con determinazione e impegno ad una proposta legislativa che si auspica possa presto concretizzarsi, fornendo strumenti efficaci per la prevenzione e il contrasto alle sette e alle psico-sette.
Sono ventimila gli agricoltori della Coldiretti arrivati a Parma da tutta Italia con un folta delegazione della Coldiretti Calabria capitanata dal presidente Franco Aceto. per difendere la salute di tutti i cittadini. Un grande corteo pacifico non di protesta, ma a difesa soprattutto delle nuove generazioni, che raggiungerà la sede dell’Efsa, l’Agenzia europea per la Sicurezza Alimentare. E’ l’ente incaricato di valutare l’immissione al consumo dei nuovi alimenti che ha sede proprio nella città ducale, simbolo della Food Valley nazionale dove vengono prodotte tante eccellenze della Dieta mediterranea messe oggi a rischio dagli alimenti che l’Agenzia è chiamata a valutare.
Non a caso assieme alle bandiere gialle dell’organizzazione con il tricolore italiano sventolano quelle blu dell’Unione Europea a sottolineare il sostegno all’Europa, ma con una richiesta forte di avere un’Europa diversa, a cui oggi si chiede più coraggio. Sulle centinaia di cartelli esposti dai manifestanti, si leggono alcuni slogan come “Cibo dalle campagne non dai laboratori”, “Più ricerca medica”, “I cittadini europei non sono cavie”, ma anche “Coltiviamo un futuro di pace”, “Stop alle guerre militari e commerciali” e “L’Europa ci serve come il pane”. Ma all’Europa si chiede ora un deciso cambio di passo su temi cruciali come quello della burocrazia che soffoca i nostri agricoltori. C’è bisogno di un’Europa che ascolti davvero i bisogni della gente e non le lobby o le multinazionali, di un’Europa attenta alla difesa dell’identità di ogni Stato.
Coldiretti, come richiesto da illustri scienziati, è scesa in piazza per chiedere che vengano fatti studi medici clinici e preclinici, prima di dare il via libera ai cibi cellulari e di fermentazione di precisione, per tutti i prodotti compresi quelli già presentati prima del 1 febbraio 2025. Un tema importante per l’intera popolazione e secondo un'indagine Noto Sondaggi 2024, sette italiani su 10 si dichiarano contrari al consumo di carne, latte e altri cibi fatti in laboratorio, l'8% in più rispetto al 2023.
In piazza a sostenere l'iniziativa, oltre 1000 comuni rappresentati con molti gonfaloni provenienti da tutto il Paese. Numerose associazioni di categoria come quella dei consumatori del Codacons e dell’Adusbef, Federbio, Fipe (l’associazione italiani dei pubblici esercizi leader nel settore della ristorazione), rappresentanti di Natura Sì, oltre ad altre sigle che hanno manifestato il sostegno pur non potendo essere in piazza. Presenti anche i rappresentanti di due organizzazioni agricole europee.
A supportare la mobilitazione, anche la campagna digitale #facciamoluce, per informare i consumatori sui potenziali rischi di questi prodotti e promuovere un’alimentazione consapevole, radicata nella tradizione agricola italiana.
Un’Europa più forte e coraggiosa, che sappia dare risposte per la difesa del reddito degli agricoltori e per la tutela della salute dei cittadini e dei suoi popoli e che lavori per la pace.
“L’Europa è un valore irrinunciabile, è la nostra casa, ma lavoriamo per un’Europa migliore, più equa, più forte, più generosa.
Innanzitutto, servono risorse adeguate per sostenere il settore agricolo europeo, da destinare solo ai veri agricoltori, quelli che assicurano la sovranità alimentare al Continente. Investire in agricoltura, infatti, rappresenta uno strumento concreto di difesa e sicurezza strategica comune per l’Unione europea – ricorda Coldiretti. Le imprese agricole sono da tutelare con meno burocrazia e più semplificazione, partendo dalla riduzione dell’incomprensibile carico di impegni associato agli eco-schemi.
Indispensabile mettere regole sui cibi ultraformulati, anche sulla base delle evidenze scientifiche sui problemi per la salute legati al loro consumo, e su quelli fatti in laboratorio, che vanno trattati come farmaci, mentre è assolutamente sbagliata ogni ipotesi di mettere etichette allarmistiche o tasse sul vino, prodotto che si inserisce appieno nella Dieta Mediterranea e che negli anni è divenuta il simbolo del bere mangiare responsabile.
La reumatologia pediatrica sconta una cronica carenza di professionisti ed è ancora circondata da una scarsa consapevolezza nella popolazione rispetto a quelli che sono gli impatti dell’artrite idiopatica giovanile. In occasione del World Young Rheumatic Diseases Day, la giornata mondiale dedicata alla sensibilizzazione sulle patologie reumatologiche pediatriche che si celebra ogni anno il 18 marzo, il rapporto ACR Workforce Study elaborato dall’American College of Rheumatology (ACR) e ripreso anche in un articolo su The Lancet, stima che negli USA, entro il 2030, la domanda di pediatri reumatologi sarà il doppio dell'offerta. Allargando ancora di più l’analisi, grazie ai dati forniti dall’Arthritis Foundation, emerge come negli Stati Uniti ci sia una carenza critica di reumatologi pediatrici, con solo 420 medici abilitati a livello nazionale in grado di curare bambini e ragazzi affetti da artrite idiopatica giovanile. La loro età media è compresa tra i 50 e i 55 anni, mentre sono solo 6 gli stati che hanno un unico specialista attivo per la reumatologia pediatrica e addirittura arrivano a quota 8 quelli che ne sono completamente sprovvisti. Questo comporta e continuerà a comportare un incremento esponenziale del fenomeno delle migrazioni sanitarie da uno stato all’altro. Sono circa 300mila i giovani americani affetti da una malattia reumatologica dell’età pediatrica che hanno un accesso limitato alle cure necessarie con solo un bambino su 4 (25%) in grado di rivolgersi a un pediatra reumatologo. Il problema è destinato a peggiorare, dato che i posti per le borse di studio in reumatologia pediatrica, ancora oggi, non vengono riempiti: nel 2024, ad esempio, 20 posti su 52 in tutti gli Stati Uniti non hanno trovato alcuna copertura professionale. In Italia, le malattie reumatologiche sono frequenti anche in età pediatrica: in media, ogni anno, sono circa 10mila i bambini e adolescenti italiani colpiti da queste patologie, la più comune delle quali è l'artrite idiopatica giovanile. Pur non avendo effettuato uno studio così dettagliato, in Italia, la Società Italiana di Reumatologia Pediatrica ha accreditato 19 centri di reumatologia pediatrica che sono distribuiti omogeneamente in tutte le regioni.
Diversi studi hanno dimostrato come una scarsa conoscenza dell’artrite idiopatica giovanile possa far sì che un bambino affetto riceva una diagnosi tardiva. Una diagnosi precoce è fondamentale per la gestione delle patologie reumatologiche pediatriche e può essere difficile per gli operatori sanitari non adeguatamente formati nell’ambio della reumatologia pediatrica diagnosticare l'artrite idiopatica giovanile. Ciò ritarda anche l'inizio del trattamento, che può avere esiti peggiori per il bambino, rispetto al dolore, alla mobilità e alla salute mentale. Ecco dunque come la possibilità di avere a disposizione un pediatra reumatologo aumenti l'accesso alle nuove terapie, compresi i trattamenti disponibili solo negli studi clinici. “Una diagnosi precoce è certamente la premessa per un trattamento precoce – dichiara il Prof. Fabrizio De Benedetti, Direttore della Reumatologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e presidente della Società Italiana di Reumatologia Pediatrica – Grazie alla disponibilità di farmaci biotecnologici, questa permette il raggiungimento della remissione clinica nella maggioranza dei pazienti in tempi brevi. Oggi, ancora di più, la diagnosi e il trattamento precoce sono un obiettivo importante per normalizzare rapidamente la qualità di vita di bambini e adolescenti e prevenire il decorso cronico che alcune malattie reumatologiche possono avere”.
Un altro importante tema riguarda la consapevolezza che la popolazione ha rispetto all’incidenza e agli effetti delle patologie reumatologiche pediatriche. Recentemente, è stato condotto un sondaggio nel Regno Unito dalla rivista ufficiale della British Society for Rheumatology, “Rheumatology Advances in Practice”, in collaborazione con l’istituto di ricerca Ipsos UK. Il sondaggio ha coinvolto un campione di 2.044 persone, di età compresa tra i 16 e i 75 anni, con l'obiettivo di misurare la consapevolezza della popolazione britannica riguardo alla possibilità che anche i bambini e i giovani possano sviluppare l'artrite. Dai risultati è emerso che meno di una persona su cinque (19%) fosse consapevole che i bambini sotto i 5 anni possano ammalarsi di artrite idiopatica giovanile. Gli indici erano ancora più bassi tra le persone appartenenti a minoranze etniche, le quali mostravano una maggiore propensione a credere in una serie di ipotesi errate riguardo alle patologie reumatologiche in età pediatrica. “Come dimostrano le ultime ricerche, la consapevolezza della popolazione che anche i bambini e i giovani possano ammalarsi di artrite è ancora molto bassa – dichiara Antonella Celano, presidente APMARR – Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APS ETS – Ecco perché è necessario fare di più per riuscire ad aumentare nelle comunità l’awareness sull’incidenza dell’artrite idiopatica giovanile e sugli effetti che può avere su bambini, ragazzi, famiglie e caregiver, aumentando lo sviluppo di interventi e risorse di sensibilizzazione da applicare in modo appropriato. Come APMARR siamo continuamente ispirati dalla resilienza e dal coraggio dei bambini e dei giovani affetti da patologie reumatologiche. Vivere con una patologia cronica può essere impegnativo, ma molte persone con artrite idiopatica giovanile, lupus e sclerodermia conducono una vita piena, attiva e gratificante”.
In Italia, la capacità di diagnosi precoce e di presa in carico specialistica varia enormemente da regione a regione, con differenze che incidono in modo drammatico sul percorso di cura dei piccoli pazienti. “L’accesso alle cure per i bambini affetti da malattie reumatologiche non può dipendere dal codice postale – spiega Gabriele Bona, presidente AMRI - Associazione per le Malattie Reumatiche Infantili – Lo verifichiamo ogni giorno incontrando famiglie che trovano una corretta terapia per i loro figli dopo anni di tentativi. È fondamentale garantire una rete di specialisti su tutto il territorio nazionale e rafforzare il collegamento tra medici di famiglia e reumatologi pediatrici, affinché nessun bambino debba subire ritardi diagnostici o limitazioni nell’accesso alle cure più adeguate.” La transizione dalla pediatria all’età adulta, poi, resta un tema critico: troppi giovani pazienti rischiano di essere lasciati senza un riferimento chiaro nel passaggio alla reumatologia per adulti, con una perdita di continuità assistenziale che può compromettere il loro benessere. “La carenza di specialisti e il sottofinanziamento della medicina territoriale – conclude Bona – rendono ancora più urgente un’azione concreta per superare le disuguaglianze regionali e garantire a ogni bambino le stesse opportunità di cura, indipendentemente dal luogo in cui risieda.”
In Italia, per celebrare al meglio l’edizione 2025 del World Young Rheumatic Diseases Day, la rete composta da ben 10 associazioni pazienti attive nell’ambito della reumatologia pediatrica ha organizzato il webinar "Ruolo e consapevolezza del giovane paziente nel percorso di cura". Un appuntamento nel corso del quale, oltre ad alcune testimonianze di due giovani pazienti (Giulia e Matilde) che hanno raccontato in prima persona la loro esperienza con una patologia reumatologica pediatrica, sono intervenuti anche, per portare i saluti istituzionali, la Dott.ssa Luciana Breda e la Dott.ssa Clara Malattia, in qualità di membri del consiglio direttivo della Società Italiana di Reumatologia Pediatrica REUMAPED delegate ai rapporti con le associazioni pazienti. La Dott.ssa Elena Pescio, psicologa psicoterapeuta presso l’IRCCS Gaslini di Genova ha parlato dell’importanza, per il giovane paziente, dell’approccio psicologico nella malattia mentre il Dott. Francesco La Torre dell’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari, ha illustrato l’inquadramento delle malattie reumatiche e il ruolo del giovane paziente nel percorso di cura.
La rete di 10 associazioni pazienti italiane attive nell’ambito della reumatologia pediatrica che ha promosso il webinar è composta da: AILS - Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia ODV,AMRI - Associazione per le Malattie Reumatiche Infantili, APMARR Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APS ETS, ARARA Onlus Associazione Ragazzi con Affezioni Reumatiche d’Abruzzo, Gruppo LES Italiano ODV, Leoncini Coraggiosi, Malattia di Kawasaki Rari ma Speciali odv, MARIS Associazione Malattie Reumatiche Infantili Sicilia, Remare Onlus Associazione per le Malattie Reumatiche e Autoinfiammatorie Pediatriche Sicilia e RE.MA.RE Associazione Malati Reumatici pediatrici Reggio Emilia.
Bologna - In riferimento a quanto recentemente pubblicato su alcuni organi di stampa in merito ad un allargamento degli Screening neonatali in alcune regioni, la Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e Screening Neonatale - SIMMESN ritiene necessarie alcune puntualizzazioni basate su concetti acquisiti e condivisi dalla comunità scientifica internazionale sul concetto di screening neonatale. Il tutto al fine di evitare fraintendimenti o non corrette interpretazioni da parte dell’opinione pubblica.
ATTUALMENTE - Lo Screening neonatale (oggi definito esteso) in Italia regolamentato da una Legge nazionale (Legge 19 agosto 2016, n. 167), è un programma multidisciplinare di medicina preventiva che prevede l’applicazione di un test a tutti i soggetti di una definita popolazione con lo scopo di identificare, come per tutte le altre malattie per cui è possibile, una malattia in fase pre-sintomatica, con notevoli vantaggi sia per il paziente, in termini di salute, che per la società in termini di risparmio di risorse.
CRITERI - Esistono dei criteri universalmente riconosciuti perché una patologia venga inserita in un pannello di screening; i principali fra questi sono:
la condizione patologica deve essere un problema importante di salute;
deve esistere una terapia per la malattia;
deve esistere un test o esame rapido, efficiente e di basso costo per accertare la patologia;
deve esserci evidenza scientifica dell’efficacia del programma di screening;
deve esserci controllo di qualità per i test effettuati, con meccanismi che minimizzano i potenziali rischi dello screening;
il programma deve promuovere accesso allo screening ed equità all’intera popolazione obiettivo;
i benefici globali dello screening devono controbilanciare i danni sia legati alla comunicazione di notizie inattese (incidental findings) sia legati ai risultati (falsi negativi).
AZIONI - Nel nostro Paese il programma di Screening neonatale esteso per legge prevede il test di Screening (1st tier test + laddove disponibile 2nd tier test) e se questo è positivo, un test di conferma diagnostica biochimica e/o genetica. Il neonato confermato positivo al programma di screening deve essere tempestivamente avviato al centro clinico di riferimento (per la malattia) perché venga preso in carico e inizi tempestivamente il trattamento terapeutico disponibile.
A ragione del fatto che nell’elenco delle patologie sottoposte a Screening neonatale esteso sono presenti diverse patologie con potenziale scompenso metabolico acuto con rischio di exitus (acidurie organiche, difetti della beta ossidazione degli acidi grassi, difetti del ciclo dell’urea, aminoacidopatie), la Legge 167 definisce in dettaglio i tempi di prelievo del campione biologico, di trasporto al laboratorio di screening, di ricezione del campione e di esecuzione dei test. La esecuzione del test di screening e di conferma nei primissimi giorni di vita è la chiave fondamentale per l’inizio tempestivo del trattamento terapeutico in molti casi salvavita.
CRITICITA’ - Visti i presupposti sin qui indicati, nonostante l’impressionante evoluzione tecnologica delle tecniche di biologia molecolare dell’ultimo decennio, SIMMESN sottolinea che ad oggi non sussistono i presupposti perché l’utilizzo della sola tecnica di sequenziamento genico massivo possa essere utilizzato per lo Screening neonatale esteso.
Come mai questa affermazione? Per questi motivi:
L’analisi e la interpretazione dei risultati non ha una rapidità tale da permettere una comunicazione tempestiva al centro clinico di riferimento per le patologie a scompenso acuto;
Il costo dell’analisi risulta ancora molto alto (3.000 test/3.000.000 euro circa);
L’efficienza diagnostica (alte sensibilità e specificità) non è sufficiente: che valore attribuire alle varianti di significato incerto (VUS)? come considerare lo stato di portatore della malattia? Senza dimenticare che le tecniche adottate per lo screening non consentono di evidenziare le grandi delezioni e le varianti introniche.
Manca una evidenza scientifica del programma di screening;
Non esistono programmi di QC e VEQ per il sequenziamento genico massivo;
Non ci sono Kit con marcatura CE-IVD;
In alcune situazioni regionali comunicate recentemente ci si riferisce a “programma di screening neonatale”, ma il test è effettuato solo su una percentuale molto bassa di popolazione;
Lo screening neonatale ha come obiettivo primario quello di identificare precocemente una malattia con lo scopo di un trattamento tempestivo. L’identificazione dello stato di portatore sano non risponde al criterio principale dei test di screening.
Non ci sono dati di misurazione/valutazione dell’impatto sociale/sanitario/economico della comunicazione dello stato di portatore a pochi giorni di vita del neonato.
PER CONCLUDERE – La SIMMESN riconosce la potenziale utilità delle tecniche di sequenziamento massivo su DBS per tutte quelle patologie trattabili prima della manifestazione clinica dei sintomi per cui non esistono marcatori biochimici/genetici rapidamente misurabili dopo la nascita e per le patologie ad esordio tardivo.
Ma occorre porre attenzione ai fattori “critici” appena descritti ponendo anche in luce la considerazione che l’identificazione e la comunicazione della presenza di una patologia che potrebbe manifestarsi clinicamente anche a distanza di anni dal momento del test di screening è un criterio considerato di non eticità da molte nazioni e dunque una ragione per non comprendere questa malattie tra quelle eleggibili allo screening neonatale anche in presenza di marcatori biochimici/genetici di basso costo, rapidi ed efficienti.
Nell'incantevole scenario dell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, si sta svolgendo fino a domani, 25 ottobre, la prima edizione del Convegno "SLA: Metabolismo e Nutrizione". Nuove frontiere nella presa in carico". L’evento, promosso dall'alleanza tra Centri Clinici NeMO, AISLA e SLOW food, sotto l'egida di Slow Food, si pone l’obiettivo di ridefinire il ruolo fondamentale di un intervento nutrizionale mirato nella presa in carico delle persone con Sla, al fine di agire concretamente sul decorso di malattia e migliorare la qualità di vita.
In questi due giorni di formazione immersiva per operatori, studenti e caregiver, i Centri Clinici NeMO si confermano come punto di riferimento nella presa in carico della persona con Sla e nella conoscenza scientifica sulla patologia, grazie ad una visione lungimirante e al modello di cura multidisciplinare. Approccio che viene messo a fattor comune per continuare a rispondere sempre di più e meglio ai bisogni complessi della malattia. Un parterre di oltre 20 esperti, tra cui clinici, ricercatori, terapisti e psicologi, infatti, si sta confrontando sull'importanza della nutrizione nel percorso di malattia. Spiega la dott.ssa Federica Cerri, neurologia, referente Area Sla del Centro NeMO di Milano e coordinatore scientifico del Convegno: “I nuovi obiettivi scientifici si rivolgono sempre più all’interazione tra metabolismo e nutrizione, sia per approfondire le cause della malattia, che per migliorare la pratica clinica. L’attenzione è verso gli standard di cura per la gestione della disfagia, i metodi di valutazione e di predizione dello stato nutrizionale, al fine di consentire lo sviluppo di piani nutrizionali “cuciti” sulla storia di malattia di ogni persona”.
Proprio la disfagia, tema centrale del Convegno, rappresenta una delle sfide più importanti da affrontare nella presa in carico, come afferma il prof. Giorgio Calabrese, noto nutrizionista ed esperto della Commissione medico-scientifica di AISLA: “La disfagia è un ostacolo molto importante per la nutrizione, ma anche per l'idratazione. Per questo il lavoro multidisciplinare deve produrre ricette a consistenze modificate bilanciando tutti i nutrienti necessari al fabbisogno richiesto dalla malattia, senza però dimenticare l’importante funzione sociale e di appagamento emotivo e psicologico del cibo”.
Qualità della vita e difesa della cultura della buona tavola, oltre la malattia, a poche settimane dalla ventesima edizione di "Terra Madre, Salone del Gusto 2024", che ha visto il Piemonte fulcro dell'incontro tra eccellenze e culture del gusto. Sul territorio piemontese si stima che siano 450 circa le persone affette da SLA con problemi di disfagia. Diventano 65.000 tenendo conto di altre patologie come Alzheimer, demenza, stroke, Parkinson e sclerosi multipla. L’Assessore alla Sanità della Regione Piemonte Federico Riboldi, intervenuto al convegno, commenta: “Quando parliamo di nutrizione clinica per patologie invalidanti come la Sla, dobbiamo imparare a cambiare il paradigma, facendo riferimento ad un sistema di continuità assistenziale in cui condivisione, dialogo, multiprofessionalità e responsabilità diventino le parole chiave per l’ampliamento dell’accesso ai servizi al maggior numero di persone ma, al tempo stesso siano calibrati sul singolo soggetto. Lo spirito di queste giornate di Pollenzo e degli enti promotori recepisce in pieno questi valori.”
Al centro, dunque, la persona con Sla ed il suo desiderio di vivere appieno la vita. Ecco perché le due giornate di Pollenzo vedono scienza e pratica clinica sulla malattia, insieme ai professionisti delle scienze del gusto, dell'alimentazione e della cultura della condivisione del cibo, per una formazione esperienziale e pratica: “La cucina è un atto di amore - aggiunge lo chef Roberto Carcangiu, presidente di APCI chef, l’Associazione Professionali dei Cuochi Italiani e vicepresidente SLAfood – Quando la ricerca e il talento in cucina sono al servizio dell’altro si esprime al meglio la nostra professionalità e la nostra passione. In questo percorso anche la ristorazione collettiva può e deve fare molto”.
Con lui, sono presenti gli chef Cristian Benvenuto, Elio Sironi, Roberto Valbuzzi e Fabio Zanetello anche loro chiamati da Davide Rafanelli, presidente di SLAfood e consigliere nazionale AISLA. Piemontese d’origine e brianzolo d’adozione, dopo la diagnosi di Sla, da paziente del NeMO di Milano, Rafanelli sceglie di mettere al servizio della comunità Sla le sue competenze nel mondo del food per sostenere i progetti di presa in carico nutrizionale. È sua l’intuizione della realizzazione delle giornate di Pollenzo: “Provo sulla mia pelle cosa significa essere costretti a rinunciare ad un buon pasto mangiato insieme ai propri cari, per questo è fondamentale che si faccia gioco di squadra per preservare il desiderio di ciascuno di godere delle gioie quotidiane della vita. È vero, la Sla è una “ladra del gusto”, ma non può privarci della bellezza e dell’emozione di vivere il presente. Insieme possiamo iniziare un nuovo racconto della malattia e queste giornate a Pollenzo ne sono un esempio concreto”.
Un nuovo racconto della malattia, dunque, per formare anche i futuri professionisti delle scienze gastronomiche a comprendere i bisogni della persona con Sla e della sua famiglia. Così racconta la prof.ssa Maria Giovanna Onorati, delegata del Rettore e Responsabile delle politiche di antidiscriminazione, disabilità e inclusione sociale dell'ateneo: “L'Ateneo pollentino, nella sua visione olistica dello studio del cibo, dedica grande attenzione alla relazione tra alimentazione e salute, sia nelle attività di ricerca nazionali e internazionali, che in quelle didattiche. A Pollenzo il cibo è studiato come motore di integrazione culturale e sociale e viene concepito come fattore importante di inclusione anche in ordine a bisogni nutrizionali diversi delle persone. È per noi importante, perciò, prendere parte ad una due giorni come questa, dove si mette in evidenza il diritto ad un cibo che dia gioia e piacere a tutti anche attraverso nuove pratiche di trasformazione degli alimenti e delle materie prime".
È il mettere a fattore comune le reciproche esperienze e competenze il messaggio potente che emerge dalle giornate di Pollenzo, con l’obiettivo di cambiare paradigmi culturali, di cura e assistenza.
"L'evento di oggi dimostra come sia possibile tracciare nuove strade lavorando insieme. Pensiero, innovazione, scienza e formazione, infatti, sono strumenti fondamentali per affrontare la Sla – conclude Fulvia Massimelli, presidente nazionale AISLA – Questa è la forza che unisce AISLA e i Centri NeMO, nati dalla volontà di chi vive ogni giorno la malattia e che oggi rappresentano un modello concreto replicabile sui territori italiani.”
Il Convegno è patrocinato da SIMeF, FNOMCeO, CNOP e FNO TSRMePSTRP e gode del contributo non condizionante di Zambon e Nutrise
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