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Cosa-sono-i-Disturbi-SpecificidellApprendimentoUnosguardodinsieme-300x178

Il CCDU - Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani - organizza un convegno a Modena sul controverso tema delle diagnosi psichiatriche in età scolastica. Nel corso del 2015 le diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono aumentate di oltre il 70% in Emilia Romagna - una vera e propria epidemia di cui, stranamente, nessuno si era mai accorto.


Alcuni ragazzi esibiscono difficoltà di lettura, scrittura ecc. - questo è innegabile - ma oggi queste difficoltà non vengono più affrontate con i metodi della didattica, ma inviando il malcapitato dal neuropsichiatra. Questa scorciatoia viene addolcita con la pretesa di aiutare, attuando il diritto allo studio; mentre il dispensare un ragazzo dal dover leggere (o scrivere o far di conto) significa l’esatto contrario: negargli quel diritto allo studio, etichettarlo come “malato mentale” e avviarlo a una vita di sconfitte.

Sebbene questa diagnosi non preveda un trattamento farmacologico, essa comporta una visita presso un “esperto” di salute mentale che potrebbe diagnosticare altri disturbi in “co-morbilità", mettere mano al ricettario e attivare il distributore di pillole. Oggi vanno di moda il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività, il Disturbo Bipolare e il Disturbo Oppositivo Provocatorio - disturbi mentali per il cui trattamento è prevista la somministrazione di potenti stimolanti anfetaminici o farmaci neurolettici (detti anche antipsicotici - le cosiddette “camicie di forza chimiche”). Sedicenti esperti sostengono il legame tra questi cosiddetti disturbi e presunte cause genetiche, biologiche o nervose, ma questo legame appare tutt’altro che dimostrato (infatti, le diagnosi non sono eseguite tramite analisi del sangue, come sarebbe logico aspettarsi se le cause biologiche fossero reali, ma tramite test in stile “Settimana Enigmistica”).

Molti genitori non approvano l’abdicazione della didattica nei confronti della psichiatria e, preoccupati da questa intrusione psico-sanitaria nelle scuole, contattano il CCDU chiedendo quali alternative ci siano e, soprattutto, se sia possibile evitare queste trappole.

Ne parleremo in un convegno il giorno 8 aprile 2016, nella sala convegni M.B. Center, in viale Virgilio 58/C, a Modena.

Parleranno:

Silvio De Fanti                             Vicepresidente CCDU

Dott. Davide Vanni                      Psicologo, specializzato in Psicologia Forense, Consulente Tecnico del Tribunale di Bolzano

Dott.ssa Marica Malagutti            Psicologa, psicoterapeuta, consulente tecnico del tribunale di Ferrara

Antonella Marzaroli                     Insegnante

 

Durante il convegno sarà anche proiettato uno spezzone del documentario "Macabri Profitti", prodotto dal CCHR (organizzazione americana affine al CCDU). Il video, vincitore di due Premi Telly (sezioni responsabilità sociale e documentari) e di un Premio Aurora, smaschera con prove inoppugnabili l'operazione di marketing farmaceutico alla base di questa epidemia.

Al termine delle presentazioni gli oratori saranno disponibili per una sessione di domande & risposte col pubblico in sala.

8 aprile 2016, ore 20:00 - ingresso gratuito  -  Sarà rilasciato attestato di partecipazione.

001

Ho incontrato l’ing. Mario Campagnuolo, che oltre a presentare il suo libro di racconti “E si confonde il mio col tuo respiro” (Antonio Stango Editore), svela un animo sensibile ed attento alle tematiche sociali, dimostrando inoltre una spiccata attitudine verso le arti letterarie. Ha esercitato per una vita la professione di ingegnere edile, coltivando in parallelo l’amore per la poesia; giornalista pubblicista, ha scritto un romanzo storico ed ancora il libro di racconti, oggetto della nostra intervista, all’interno del quale emergono personaggi e storie assolutamente coinvolgenti. Interessanti i riferimenti alla Calabria, una terra dove ha soggiornato a lungo per motivi di lavoro e che ha imparato ad apprezzare ed amare incondizionatamente.

Un incontro per ripercorrere i tratti salienti del suo vissuto e per conoscere i suoi progetti futuri.

Il suo paese natale San Felice a Cancello evoca un evento storico lontano nel tempo, ma che tutti hanno letto almeno sui libri di scuola, quello del passaggio dei Romani sotto le Forche Caudine. Vorrebbe parlarmene?

Tito Livio racconta che nel 321 a.C. Roma era per la seconda volta in guerra con i Sanniti che assediavano Lucera. I Romani mandarono un esercito a liberare la città loro alleata. All’epoca la via Campana, nel tratto tra Capua e Nola, prevedeva una variante tra i monti che, quando il fiume Clanio esondava, evitava la zona paludosa. I Sanniti dall’alto delle colline controllavano quanto avveniva in pianura e, quando si accorsero che i Romani erano bloccati dalle acque, inviarono pastori incontro ai Romani, affinchè si offrissero come guide per raggiungere Nola, seguendo la via dei monti. I pastori li conducessero invece verso il valico di Arpaia. Il cammino si svolgeva tra le alte sponde del canale, che convogliava a valle le acque montane e Romani si trovarono chiusi tra le salmerie alle spalle e lo sbarramento eretto a monte dai Sanniti. Questi avrebbero potuto ucciderli tutti, ma preferirono farli passare disarmati sotto le loro lance incrociate, nell’illusione di poterli dissuadere dalla sete di vendetta e di conquista.

Sempre in questa splendida area geografica, così ricca di storia, tanti secoli fa è sorta la prima autostrada. Da ciò si evince la lungimiranza dei suoi antichi conterranei, che capirono l’importanza delle vie di comunicazione. Oggi questo concetto sembra sia stato accantonato, soprattutto nel meridione italiano, secondo scelte politiche da parte dei nostri amministratori, intorno alle quali potremmo aprire un lungo dibattito. Insomma, “Cristo si è fermato ad Eboli” parafrasando il grande C. Levi, oppure ancora prima?

Una strada di comunicazione è il primo segno di pace e convivenza civile tra popolazioni diverse. Quando le merci viaggiano sicure, con esse viaggiano cultura e informazione. I segni di antica civiltà sono evidenti nella parte meridionale dell’Italia. Il primo percorso in terra battuta della via Campana risale all’ottavo secolo a. C.. Lo dimostrano gli scavi archeologici dei primi chilometri, di cui ho diretto i lavori. Questa grande via congiungeva il porto di Pozzuoli con Capua e da qui portava a Paestum, l’ultima città della dodecapoli etrusca ai confini con il Brutium, l’antica Calabria. Le monete dello stesso periodo, esposte nel Museo di Crotone, portano in rilievo, oltre a mirabili figure, il segno della zecca a dimostrazione dell’esistenza di una federazione che batteva la stessa moneta. Del sesto secolo a.C. sono le prime “Matres Matutae” che si possono ammirare in gran numero e mirabilmente disposte nel Museo di Capua. Sono statue a grandezza naturale, che onorano le madri per la loro fertilità. Queste donne sedute in trono dimostrano l’importanza della donna nella società dell’epoca. Da allora troppi barbari e troppi ladri sono scesi tra noi. Il malgoverno agevola la malavita e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Nel corso della sua lunga professione di ingegnere edile, ha contribuito a creare opere ed infrastrutture nel sud Italia; in particolare a Crotone, dove ha diretto i cantieri di un famoso villaggio turistico a Crotone. Cosa ricorda particolarmente di questa esperienza?

La costruzione del villaggio turistico della Valtur di Isola Capo Rizzuto è stato il primo cantiere da me diretto in Calabria ed è stata un’ eccezionale esperienza di vita e di lavoro. Avevo trenta anni e le comunicazioni con Napoli, sede dell’impresa, erano molto difficili. Praticamente, solo avevo in cantiere più di cento operai, quasi tutti locali. Superate le comprensibili difficoltà iniziali, imparai a conoscere la Calabria e i calabresi e da allora considero quella regione la mia seconda patria. C’è ancora a Crotone, a Isola e a San Giovanni in Fiore chi ha condiviso la mia avventura e si ricorda di me. E’ risaputo: chi gode dell’amicizia di un calabrese la conserva per la vita.

Più in generale, posso dire che per oltre quarant’anni ho trascorso la giornata quasi sempre in cantiere, spartendo pioggia e sole con gli operai. Per otto o dieci ore al giorno, per sei giorni la settimana, per dodici mesi l’anno. Nei rari momenti di sosta ho ascoltato le loro storie e le loro confidenze. Ho condiviso i loro affanni e le loro speranze. Mi sono serviti per conoscere ogni sfumatura dell’animo umano ed è questa la mia ricchezza.

Nel 2002 è andato in pensione dalla sua attività di una vita, per iniziare un’interessante esperienza letteraria, diventando quindi scrittore a tempo pieno. Il suo caso rappresenta un’eccezione, che conferma la regola; lei è una persona con una formazione accademica scientifica, che dimostra una spiccata predisposizione per le discipline umanistiche; infatti, a tredici anni circa ha scritto la sua prima poesia e si diletta a redigere articoli. Segue un lungo periodo di silenzio, nel corso del quale ogni tanto, comunque, scrive versi. Successivamente riemerge il suo interesse verso le arti letterarie e dopo aver scritto una quantità di articoli, diventa giornalista pubblicista. Forse, la consapevolezza della sua vena creativa l’ha sempre accompagnata nel suo percorso esistenziale?

Ogni essere umano ha una complessità d’interessi legati al suo vissuto. Ho frequentato il liceo classico e mi è sempre piaciuto scrivere. L’amore per la scrittura nasce da quello verso la lettura e non ho mai perduto un’occasione per leggere di tutto. Salgari è stato il mio primo amore, soppiantato a quindici anni dalla narrativa russa e poi da quella francese e inglese. La mia scoperta più formativa è stata quella di Prezzolini, da lui ho imparato sintesi e chiarezza. Chi scrive ha il dovere di farsi comprendere. Tra la mia esperienza lavorativa e quella, diciamo, letteraria c’è un sottile, ma solido legame. La mia professione mi ha spesso richiesto lunghe e dettagliate relazioni per esprimere pareri tecnici o legali. L’ho fatto con chiarezza e ho sempre ottenuto risultati positivi. L’altro legame tra le due attività è quello di non dare mai nulla per scontato e acquisito. Ogni variante nella conduzione dei lavori edili, prima di essere applicata, è stata da me ampiamente sperimentata. Allo stesso modo, ogni mio scritto è frutto di studio e riflessione. Di conseguenza, gli articoli scritti in anni lontani sono ancora attuali. Le mie storie non sono banali e i personaggi hanno un linguaggio e un modo d’agire che li distingue l’uno dall’altro.

In merito alla poesia entriamo in un altro campo. Come ogni altra espressione artistica, la poesia serve a trasmettere sentimenti. Non basta rispettare la rima e/o il metro per fare poesia, né mettere in fila parole astruse. Se chi legge o ascolta non vibra all’unisono con chi scrive, non c’è poesia.

Come nacque l’idea di scrivere il suo primo romanzo storico e quali difficoltà ha incontrato per pubblicarlo?

Ho scritto per 20 anni ogni mese un articolo per “La Valle di Suessola“, un mensile locale che mi consentiva piena libertà d’argomento. Ben presto i miei articoli assunsero fisionomia originale e spaziarono tra l’educazione civica, il costume e la convivenza civile. Decisi di raccoglierli e quando li ebbi sottomano mi accorsi che avevano un valore non legato al tempo. Li misi insieme e chiesi a un amico giornalista cosa avrei dovuto fare per farli pubblicare. Apprezzò la qualità degli articoli, ma ritenne che nessun editore li avrebbe stampati in quanto non ero conosciuto. Chiesi conferma a un caro amico libraio. La ebbi insieme al consiglio di scrivere un romanzo storico. Trovai stravagante l’idea. Ci ripensai, elaborai una storia e venne fuori la saga di una famiglia di Aversa, il paese di mia moglie. La saga si svolge lungo tutto il 1800, fino alle soglie della prima guerra mondiale. Un amico, finalmente, mi indirizzò a un editore disinteressato alla distribuzione dei suoi libri. Malgrado questo di “Come il mare” sono state vendute ben più di mille copie.

Poi è seguito un secondo romanzo e nel frattempo ha continuato a scrivere liriche. Ogni tanto pensa ai suoi progetti d’ingegneria edile?

Ogni occasione è buona per tornare al primo amore. Trovo ancora piacere nello studiare la funzionalità di un appartamento o di un edificio. Tra i miei sogni c’è lo studio di un edificio e/o di un quartiere completa-mente autonomo in cui l’energia sia prodotta dal sole e dal vento, le acque raccolte e riciclate, non si disperda il calore e ci sia un giardino in copertura dove si coltivino ortaggi e fiori …

L’ultimo libro che ha pubblicato lo scorso anno ha un titolo significativo, che a me suona come un verso carico di afflato poetico: “E si confonde il mio col tuo respiro”. Si tratta di alcuni racconti molto interessanti, ottimi spunti di riflessione, che lei ha raccolto in questa pubblicazione. Vorrebbe illustrare ai nostri lettori la sua opera?

Nella mia lunga vita ho conosciuto successi e sconfitte. Il mio successo più grande, quello che ha fatto la mia fortuna è stato il matrimonio. Tra quotidiani contrasti d’opinione, siamo insieme da oltre cinquanta anni. La nostra felice unione ci ha fatto comprendere il principio della complementarietà. Uomo e donna sono fisicamente complementari quello che manca all’uno lo deve avere l’altro. Così deve essere nella vita di ogni giorno e in ogni rapporto: quello che manca all’uno lo deve dare l’altro. Le dodici storie di questo libro esaminano situazioni nel sempiterno rapporto uomo-donna, sempre diverso e sempre attuale.

Lei è un vulcano di idee; non mi meraviglierei di scoprire che, andando oltre al settore editoriale, non stia già pensando a qualcos’altro. Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Nella vita l’unica certezza è quella che un giorno dovremo morire e la nostra fortuna è quella di non sapere quando e dove. Detto senza mezzi termini: alla mia età vivere è prepararsi a morire. Per questo ogni istante diventa prezioso. Ho ancora nel cassetto gli articoli, la fine della trilogia della saga, un altro romanzo, tre o quattro favole e il progetto abbozzato di un’altra opera: non vorrei rimanessero inediti o, peggio, invenduti.

Al tempo stesso la casa di campagna, in cui abbiamo cresciuto i nostri quattro figli e che i sei nipoti adorano, ha bisogno di sostanziali restauri e vorrei portarli a termine.

Mi piacerebbe, poi, viaggiare con i miei nipoti come ho fatto con i miei figli tra le rive dell’Atlantico e il centro dell’Europa, per far loro comprendere che tutti gli uomini sono eguali e hanno gli stessi diritti. Infine … grazie a Lui, non sarò io a decidere quando togliere il disturbo e devo essere pronto per quest’ultimo viaggio così denso di mistero e di speranza …

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Recentemente, in occasione di una presentazione della sua opera prima “Acuto” (Gilgamesh Editore) ho incontrato la scrittrice Carla Magnani, ex docente, con la quale ho intrattenuto una piacevole intervista.

Il suo spiccato interesse verso la letteratura e la poesia l’ha portata a comporre versi già in giovane età. Sempre presente in iniziative di carattere letterario, ha poi in tempi più recenti messo in atto la stesura del suo primo romanzo dal titolo estremamente simbolico, che racchiude in se la sintesi della vita della protagonista, una mancata concertista .

Una serie di accadimenti la porteranno ad abbandonare una vita agiata, che le ha certamente garantito una certa tranquillità, al riparo da forti coinvolgimenti emotivi, pur privandola delle vibrazioni emotive capaci, come null’altro, di conferire quell’acuto che da un vero senso all’esistenza.

Una storia ambientata a Pisa, con incisivi rimandi al passato della protagonista, che si intercala tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, periodo storico di grandi cambiamenti socio-culturali non solo in Italia, ma a livello planetario.

Un libro di intense ed opportune riflessioni, grazie ad una galleria di personaggi, in buona parte femminili, nei quali potersi riconoscere nel loro aspetto più vulnerabile e intimistico.

Se l’avessi incontrata per caso, senza sapere nulla di lei, avrei comunque pensato che è un’insegnante. Forse, oggi è più corretto dire: è stata un’insegnante, poiché è appena andata in pensione. Avverte nostalgia per quella che è stata la sua attività di una vita?

Non parlerei di nostalgia, piuttosto di gratitudine verso una professione che ti chiede tanto, ti mette spesso a dura prova ma, allo stesso tempo, ti ricambia arricchendoti di esperienze uniche e, se hai lavorato al meglio delle tue possibilità, ti premia con l’affetto e il riconoscimento delle persone che hai incontrato sul tuo cammino: alunni, famiglie e colleghi.

Quella dell’insegnamento è stata una scelta?

Sì, ma al contrario della maggior parte dei docenti, io ho iniziato solo a quaranta anni, dopo aver esercitato a lungo la libera professione di arredatrice di interni. Questo ha fatto sì che mi considerassi, sotto certi aspetti, diversa dai colleghi che invece da sempre lavorano nella scuola, perché consapevole che, di sicuro , la minore esperienza in campo didattico veniva tuttavia compensata dalla maggiore facilità a relazionarsi con il prossimo.

Lei è laureata in Lettere Moderne. Ritiene sia importante lo studio della lingua Latina all’interno del    percorso formativo di uno studente?

Accade sempre più spesso che durante l’attività di Orientamento svolta nel corso dell’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado, mirata a consigliare all’alunno quale scelta di studi superiori intraprendere, anche nel caso di studenti che potrebbero affrontare brillantemente studi umanistici, questi preferiscano optare per altri indirizzi, ritenuti più attinenti al presente e utili per il futuro. A tal proposito, mi piace citare una recente frase del cantautore-scrittore Roberto Vecchioni che ha dichiarato: “Questi ragazzi molto probabilmente troveranno un’occupazione, magari anche redditizia, ma mai sapranno cosa è il “senso della vita”. Forse è un’affermazione esagerata, ma sicuramente faticheranno di più per arrivare a tale meta.

Sicuramente, lo studio del latino facilita la comprensione dell’analisi logica, della storia e delle nostre radici culturali, favorendo una formazione più completa.

I programmi scolastici di una volta oggi vengono giudicati eccessivamente nozionistici. Questi i motivi scatenanti sui quali hanno lavorato le istituzioni, fino ad arrivare a concepire riforme, che hanno portato l’insegnamento all’estremo opposto. Qual è la sua posizione nei confronti delle moderne metodologie didattiche?

Quando si mettono in atto delle riforme, così come succede un po’ per le rivoluzioni, ci si fa prendere spesso la mano e si tende a cancellare tutto ciò che ha preceduto tali eventi. Credo che questo sia avvenuto anche nel mondo della scuola, con l’avvicendarsi di più ministri in tempi brevi e il loro desiderio di riformare il vecchio ordinamento. A costo di sembrare banale, per me la giusta scelta è quella che sta a metà tra il metodo tradizionale e quello messo attualmente in atto. Come esempi, posso ritenere utile l’utilizzo sempre più capillare della LIM (Lavagna interattiva multimediale), ma a condizione che quest’ultima non sostituisca in forma massiccia il libro cartaceo; così come un insegnamento improntato solo sulle nozioni può risultare monotono e improduttivo. Gli studenti abbisognano di un coinvolgimento che vada al di là dell’apprendere come semplici spettatori; quindi, credo che la soluzione sia quella di non trascurare le nozioni e di utilizzare metodi che facciano sentire gli alunni interpreti della lezione in corso. Non è semplice, ma con la buona volontà delle due parti:

dell’insegnante e dello studente, ciò diventa fattibile.

Il suo primo approccio con la poesia risale all’adolescenza, come spesso accade?

Non ricordo esattamente quando ho iniziato a scrivere poesie, sicuramente lo facevo dai venti ai trenta - trentacinque anni quando ho partecipato anche a qualche concorso letterario; poi ho interrotto, senza un motivo ben preciso. La poesia è qualcosa di immediato che, se non avverti, non puoi scrivere, al contrario della prosa, che richiede riflessione e tempi più lunghi.

Qual è lo scrittore o il poeta che ha in qualche modo influenzato la struttura del suo pensiero?

Credo di non poter ridurre a un solo scrittore o poeta la mia formazione; certo ho amato particolarmente Dante, Petrarca, Leopardi, Ungaretti, E.L. Masters, Merini, Pirandello, Pavese, Fallaci, Calvino, Zavattini e sicuramente devo anche a molti altri il mio avvicinamento al mondo letterario.

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Ho letto con vero interesse la sua opera prima, il romanzo “Acuto” (Gilgamesh Edizioni). Il motivo di questo titolo?

Ridurre a una sola parola il titolo è dovuto al mio amore per la sintesi e inoltre, in questo caso, ben si presta a collegarlo allo spartito musicale, essendo la protagonista una concertista mancata, che per una serie di eventi, riesce a lasciarsi alle spalle un vissuto agiato, ma totalmente piatto, privo di emozioni e di forti coinvolgimenti, per giungere ad una vita vissuta in pieno e con maggior consapevolezza.

Qualche cenno sulla storia, quasi tutta al femminile, del suo libro?

La storia è nata in me, in maniera pressoché completa, ma per diverso tempo ne ho rimandato la stesura. Finchè, al momento opportuno, ho iniziato a scriverla. Sì, è una storia dove, pur non mancando figure maschili, emergono i personaggi femminili, le due sorelle: Elisa ed Ester. Così diverse, eppure così profondamente unite, quasi due parti di uno stesso insieme, e sarà proprio quest’ultima a far sì che la vita di Elisa abbia finalmente quell’”acuto” che lei aveva sempre accuratamente evitato.

Senza voler svelare la trama del suo bellissimo libro, qual è il messaggio in esso racchiuso?

Non so se si possa parlare di messaggio, forse è un po’ troppo pretenzioso; sicuramente, alla base del romanzo, c’è la volontà di far capire come sia sempre possibile un cambiamento significativo nella vita di ognuno e anche il bisogno di ripercorrere, partendo dal presente e attraverso rimandi al passato,in questo caso un periodo storico che va dal 1968 al 1972 e che vede Pisa come luogo di ambientazione.

Nel suo lungo percorso di docente ha incontrato moltissimo giovani e saprà interpretarne il pensiero, le loro aspettative verso il futuro. Cosa vorrebbe dire a coloro i quali saranno interessati a leggere la nostra intervista?

In un periodo in cui fra molti giovani sta aumentando la sfiducia nel futuro, che si traduce in demotivazione e apatia, vorrei che emergesse quella forza vitale che è insita, comunque, nella gioventù. Un credere in se stessi, nelle proprie capacità che, insieme alla volontà di un cambiamento in positivo, faccia compiere alla società significativi passi nella direzione più giusta.

In questo periodo sta seguendo un fitto calendario di presentazioni del suo libro “Acuto” in diverse città italiane. Quali sono le sue impressioni?

Ogni presentazione, che avvenga in una città o in un paese di piccole dimensioni, ha in sé un fascino particolare che si rinnova ogni volta. Sia che mi trovi dinanzi ad un pubblico numeroso,che a poche persone, nasce naturalmente un’empatia, che coinvolge tutti noi e questo grazie ai personaggi del libro, alle loro storie che, sotto certi aspetti, ci accomunano. L’amicizia, l’amore, la morte, l’andare incontro a nuove esperienze sono elementi della vita che riguardano e coinvolgono ognuno di noi, facendoci sentire più vicini.

Per concludere, crede che la sua esperienza letteraria avrà un seguito nel prossimo futuro?

La scrittura, come del resto la lettura, una volta che si è impossessata di te non ti abbandona più. E’ una dipendenza a cui non puoi sottrarti,;quindi sì, sto già scrivendo il secondo romanzo anch’esso ambientato in Toscana ai nostri tempi e con una donna come protagonista. Sarà comunque tutta un’altra storia che spero verrà ben accolta da chi ha letto ed apprezzato “Acuto” e, perché no, anche da nuovi lettori.

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