Ursula von der Leyen e la sua Commissione fanno la loro mossa e scendono in campo con l’opzione di un Recovery Fund a poche ore dall’inizio del Consiglio Europeo che dovrà definire politiche e percorsi di risposta alla crisi economica dell’emergenza coronavirus.
La von der Leyen, poco prima di collegarsi con i leader del Vecchio Continente per proseguire il confronto inaugurato dal recente Eurogruppo, ha messo nero su bianco l’idea di un fondo comunitario per la ripresa che dovrà mobilitare 320 miliardi di euro di risorse comunitarie destinate grossomodo a raddoppiare sui mercati dei capitali attraverso l’emissione di bond, titoli e obbligazioni. La cifra raccolta sarà suddivisa a metà: il 50% servirà per erogare prestiti, l’altro 50% andrà a finanziare a fondo perduto programmi ad hoc. Il tutto rispettando quanto previsto dall’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che vincola a necessità emergenziale gli scostamenti.
Attraverso questa scelta la Commissione mira a creare sintonia e accordo tra i partner europei e, al contempo, a ampliare la rosa di risorse messe a disposizione per opporre alla crisi una risposta politica energica. Stando a quanto riporta il Corriere della Sera, facendo leva su tale dotazione messa a disposizione la Commissione mira a portare a 2 mila miliardi di euro il totale di fondi mobilitati nel piano complessivo di risposta alla crisi grazie all’effetto moltiplicatore e alla convergenza con altre misure quali l’indennità anti-disoccupazione Sure.
Alla Camera Giorgia Meloni replica all'informativa di Conte e lancia le proposte di FdI che il Governo dovrebbe portare in Ue: "Emissione da parte dell’Italia dei “Bot patriottici” proposti da Giulio Tremonti, cioè titoli di Stato a lunghissima scadenza, 50 anni o più, a basso rendimento ma non tassati e non tassabili neppure in futuro, circolabili, che possono divenire un interessante bene rifugio per gli italiani. Ecco noi proponiamo che i Bot patriottici non collocati sul mercato siano acquistati dalla BCE, automaticamente, per tutto il tempo necessario a superare la crisi sociale e alla ricostruzione economica. Chiediamo che sia questa la linea del Piave dell'Italia al Consiglio europeo".
«Questa storia del Mes light è un imbroglio. Ho letto l’intervista di Klaus Regling, direttore del MES, che conferma quello che abbiamo denunciato in queste settimane. Dice che “la condizionalità concordata all’inizio non cambierà durante il periodo nel quale la linea di credito è disponibile”. Poi aggiunge che sarà disponibile per un anno. Significa che dopo un anno, mentre saremo impegnati a restituire i soldi, scatteranno le rigide condizionalità. Dopo un anno scatterà la tagliola per i topi».
Oggi Conte e Gualtieri sono a Bruxelles e torneranno a casa con un bel po’ di promesse , che permetteranno loro di cantare vittoria, ma zero soldi nel breve termine. Invece quello di cui abbiamo bisogno sono soldi e subito. Ordini per le aziende, capacità di consumo restituita ai privati, e quindi un ciclo produttivo e dei pagamenti che riparte nel modo più rapido possibile, proprio, almeno in parte dal prossimo quattro maggio. Risulta necessario definire una politica Nazionale e Specifica, perchè la condizione del nostro Paese è, evidentemente, molto diversa da quella della Germania che, praticamente , ha solo leggermente rallentato. Pensare di riproporre solo “Politiche comuni” fatte con altri paesi che si trovano in condizioni completamente diverse, che non hanno subito i nostri danni, è sbagliato. Non capiranno mai la gravità della nostra situazione, non la possono comprendere, quindi non possono offrire soluzioni che siano adatte anche per noi. Una semplice, banale, realtà che Conte e Gualtieri non capiscono, o meglio non vogliono capire. Loro pensano solo al bene del Europa.
Le conclusioni del primo Consiglio europeo chiedendo azioni più incisive e definendo insoddisfacente il compromesso che dava spazio unicamente al Meccanismo europeo di stabilità (Mes). A ciò, purtroppo, non ha fatto seguito un’azione politica efficace: il governo Conte ha brancolato nel buio, mancando della necessaria incisività per proporre soluzioni concrete. Come certificato dalla capitolazione di Roberto Gualtieri su quasi tutte le proposte dei falchi all’ultimo Eurogruppo.
L’attestazione dell’irrilevanza di Roma è la mancanza di qualsiasi riferimento all’emissione diretta di Eurobond nei tavoli di lavoro del Consiglio europeo. L’Italia ha portato avanti una battaglia “Eurobond sì, Mes no” tanto netta nei toni quanto incerta nella sua definizione concreta. Mai dal governo Conte è giunta chiarificazione su come si proponeva di vedere emessi i titoli di debito mutualizzato, sulle proposte di durata, tasso di rimborso, interesse e sule finalità degli stessi per l’Unione. Un’assenza di chiarezza che è attestato di irrilevanza: in un Consiglio europeo che già si prevede non decisivo Conte rischia di non toccar palla. E questo per le prossime settimane non è un buon segno.
La parola fine viene scritta al Tesoro all’una e mezza di notte. Al termine di un vertice economico di maggioranza in videoconferenza. Eccoli i numeri del Documento di economia e finanza, il documento che certifica quanto il virus sta facendo e farà male all’economia italiana. Il Pil, l’indicatore per eccellenza dello stato di salute del Paese, sarà fissato quest’anno a -8 per cento. Il deficit schizza a +10,4 per cento. Il rapporto debito/Pil sale fino al 155 per cento. Questi numeri dicono che l’Italia si guarda allo specchio e scopre un volto deturpato. Così sfigurato che servono cerotti consistenti - leggere il deficit oltre il 10%, quindi soldi - per provare a curarlo. Il primo cerotto è pronto: 55 miliardi. È questo l’importo dello scostamento del deficit che sarà contenuto nella relazione che sarà votata al prossimo Consiglio dei ministri insieme al Def.
Arriva dopo un confronto lunghissimo la quadra che è stata messa nero su bianco. Però i numeri vanno sottoposti al check delle forze parlamentari di maggioranza prima del Cdm e per questo sarà necessario una riunione, questa volta politica, con i capi delegazione dei partiti. Si lavora per portare i documenti al tavolo di palazzo Chigi stasera, ma il Cdm potrebbe slittare a venerdì o sabato. Intanto c’è la sintesi sui numeri del Def e sullo scostamento del deficit, cioè sui soldi che finanzieranno il decreto di fine aprile, quindi cassa integrazione, bonus, voucher, risorse per le imprese, reddito di emergenza e via dicendo. Perché per tutta la giornata di mercoledì, i 5 stelle hanno alzato la posta in gioco, chiedendo più soldi per i ristori alle imprese e per il reddito di emergenza. Poi, come si diceva, la maratona notturna con via XX settembre per chiudere la partita. Il tempo è poco, anzi già scaduto. Il decreto di fine aprile rischia di diventare il decreto di maggio. Sicuramente i soldi arriveranno il prossimo mese, ma il tentativo del governo è di salvare almeno l’etichetta del provvedimento, approvandolo appunto in Cdm a fine mese, dopo aver ricevuto il via libera del Parlamento allo scostamento.
E così si ritrovano a discutere il titolare del Tesoro Roberto Gualtieri, la sua vice in quota 5 stelle Laura Castelli, l’altro viceministro dell’Economia Antonio Misiani, in quota dem. Ci sono anche il Ragioniere generale dello Stato, il direttore generale del debito pubblico, il capo della segreteria tecnica, il direttore generale delle Finanze e una serie di consulenti. Ma dato che ci deve essere il via libera di tutta la maggioranza ci sono anche Luigi Marattin per Italia Viva e Cecilia Guerra per Leu.
Al centro della riunione ci sono i numeri del Def, che a loro volta impattano sullo scostamento e soprattutto sulla composizione del decreto di aprile. Alcune decisioni vengono rimandate. Se ne discuterà ancora perché la quadra dentro la maggioranza non c’è. Ma si decide comunque di gonfiare fino all’estremo massimo, cioè 55 miliardi, i soldi da inserire nel decreto. Un decreto che avrà 55 miliardi di risorse fresche, a cui si aggiungeranno quelli per le garanzie statali sui prestiti alle imprese, per il Fondo Cdp che servirà per proteggere e risollevare le aziende strategiche e per saldare circa 15-20 miliardi dei debiti che ha contratto la Pa.
Si decide anche di fermare le clausole di salvaguardia sull’Iva, quel macigno che dal 2011 grava su ogni manovra. Sono impegni miliardari che finiscono per sottrarre risorse ingenti alle necessità del Paese reale. Solo l’anno prossimo valgono qualcosa come 20,1 miliardi. Basta ricordare cosa è successo con l’ultima legge di bilancio, dove quasi tutti i soldi sono stati prosciugati proprio per sterilizzare le clausole. Lo stop verrà indicato già nel Def. Ed è questo uno dei punti su cui si è discusso di più, con Gualtieri più scettico e invece i renziani convinti che il passo sia necessario. Alla fine si decide per lo stop. I numeri vengono inseriti nelle tabelle e si lavora per chiudere il testo. Verso il Consiglio dei ministri.
Nel suo editoriale Francesco Storace al Secolo, scrive : Se Conte cede, sono altre montagne di debiti su di noi e soprattutto su chi verrà dopo di lui (dettaglio da non sottovalutare, perché così si avvelenano i pozzi). Se il presidente del Consiglio dice no all’Europa che punta a strangolarci, saranno i signori di Bruxelles a capire che senza l’Italia non vanno da nessuna parte. E molleranno loro.
Non mollano? Finisce una storia di Unione finta e comincia quella della sovranità patriottica. Non ci sono altre strade. Chi non vuole l’Europa a pezzi ha convenienza a stare alle nostre condizioni, quelle di un’Italia che ritrova la sua dignità.
Invece siamo di fronte – rischiamo di esserlo a meno che Conte non ci sorprenda positivamente – ad una immonda sceneggiata. Si trova la parola “light” per ammorbidire l’effetto del Mes. Si dice che sarà solo per la sanità come se lo sviluppo economico del Paese non sia stato lesionato dal coronavirus. Si dice sempre “ho una sola parola” ogni volta a un interlocutore diverso.
Ma anche basta, viene da dire. Perché in tutta questa vicenda emerge solo la voglia di imbrogliare un popolo intero. L’Europa deve aiutare noi esattamente come tante volte noi abbiamo aiutato altri, non può esistere alcuna condizionalita’, né a breve né a lungo periodo.
Al Consiglio europeo dobbiamo rappresentare la sofferenza di un popolo che non chiede l’elemosina a nessuno. E che tantomeno è disponibile a farsi strozzare da chi si è già cimentato con successo con la Grecia. È ora di far capire di quanto orgoglio siamo capaci.
«Siamo in un momento drammatico della storia europea, c'è bisogno di risposte all'altezza della crisi, non sono nella cassetta degli attrezzi che conosciamo, servono risposte nuove. Può esserci una rottura drammatica e finale? Spero di no, le istituzioni europee hanno fatto molto in queste settimane, se non ci fosse la BCE e la solidarietà dell'UE saremmo già a gambe all'aria». Lo ha detto l'ex premier Enrico Letta, intervistato a Sky Tg24. «Credo che domani debba esserci una parola definitiva, non ho dubbi: se domani ci fosse un disaccordo di fondo sarebbe un disastro, venerdì mattina il nostro spread andrebbe al 400. Se non c'è un accordo domani, credo che venerdì la reazione sarebbe terribile e noi saremmo i primi», ha concluso.
L'attuale Mes «è qualcosa profondamente diverso da quello usato in Grecia», inoltre il Mes «non sarà la cosa più importante di cui si discuterà domani, è una parte che vale per il 20% di quello di cui si parla complessivamente, è solo finalizzato alle spese sanitarie». Certo «bisogna vedere cosa c'è nella nuova cassetta degli attrezzi» che sono le «risposte» che l'Ue deve dare. «Il Mes è una fiche piccola e non particolarmente importante» anche se «abbiamo bisogno di tutto, anche di 36 miliardi per rifare il nostro sistema sanitario pubblico non si vede perché non utilizzarlo solo per una questione nominalistica», ha concluso Letta.
Von der Leyen e Lagarde «hanno fatto qualche errore all'inizio ma chi non ha fatto errori all'inizio» e certo la nuova governance europea «ha avuto un battesimo di fuoco. Dare tutta la colpa a errori di von der Leyen e Lagarde non tiene conto di quello che hanno fatto» come risposta alla pandemia. Il Covid-19 comporterà «l'aumento del debito di tutti i paesi Europei, tutti soffriremo, bisogna porsi, non domani, ma da venerdì in poi, l'obiettivo di ragionare su strumenti per sterilizzare non i debiti ma gli aumenti di debito generati dal coronavirus. E' il maggior obiettivo, non c'è uno strumento esistente, servirà fantasia».