Nate come difesa dall’esterno e poi inglobate nel tessuto cittadino, le Mura Aureliane accompagnano con la loro imponenza strade, scorci e orizzonti della città. Con gli oltre 12 km lungo i quali ancora si sviluppano, sono il più grande monumento della Roma imperiale e la cinta muraria urbana più lunga, antica e meglio conservata della storia. Eppure, nonostante tutti questi primati, spesso rimangono inosservate. Come primo passo di un percorso di valorizzazione, per documentare e tradurre in suggestive immagini un monumento troppo spesso invisibile, la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, a distanza di oltre un secolo dalle storiche campagne fotografiche otto-novecentesche, ha commissionato la prima campagna fotografica integrale sull’intero percorso delle mura, anche nei punti non accessibili al pubblico.
Tra settembre e dicembre del 2017, il fotografo romano Andrea Jemolo, maestro noto e apprezzato per la sua esperienza trentennale nel campo della fotografia di arte e di architettura, ha documentato la cinta muraria scegliendo di scattare con una macchina Sinar a lastre 10x12 cm. Grazie alla possibilità di decentramento, in grado di correggere le linee prospettiche che si restringono verso l'alto, e grazie a lunghi tempi di posa, Jemolo ha ottenuto immagini ad altissima definizione che raccontano e documentano le Mura Aureliane e il loro palinsesto di storie e di trasformazioni.
Al Museo dell’Ara Pacis dal 20 giugno al 9 settembre 2018 è esposta una selezione di 77 fotografie a colori in grande formato nella mostra “Walls. Le mura di Roma. Fotografie di Andrea Jemolo” promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, ideata da Claudio Parisi Presicce e curata da Federica Pirani e Orietta Rossini. L'organizzazione della mostra è di Zètema Progetto Cultura. Il catalogo è a cura dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani.
Partendo da Porta del Popolo, passando per Villa Dominici e dalle porte Metronia, Latina, San Sebastiano, il percorso per immagini arriva fino all’ultimo tratto visibile dal Ponte dell’Industria. In ogni foto Jemolo racconta l’unicità di un pezzo di storia e di vita quotidiana. Alcuni tratti di mura si stagliano ancora solenni e solitari, altri sono stati inglobati dalla vita cittadina fatta di palazzi, cimiteri, cantieri, officine e grandi direttrici viarie, di altri tratti tenta continuamente di reimpossessarsi la natura, con arbusti, piante e rampicanti. In alcune foto, scattate all’esterno dei bastioni, si colgono le diverse tecniche utilizzate nel corso dei secoli: dai mattoni in laterizio, al tufo, ai materiali di reimpiego in marmo, mentre altre raccontano il “dentro” le mura, con scorci di camminamenti, porte, torri. In una delle torri, la numero XXXIX in via Campania, è ancora possibile ammirare lo Studio Randone, uno dei tanti luoghi di lavoro e incontro di artisti ospitato all’interno delle mura tra fine ‘800 e inizi ‘900.
Volevo che le mura, nella loro dimensione, articolazioni e materia, si imponessero con la loro propria forza. Perché ciò potesse avvenire – spiega Andrea Jemolo - avevo però
bisogno di un contesto cromaticamente neutro, di qui la scelta di fotografare nelle giornate nuvolose. Raccontare un monumento lungo 13 chilometri è stato un processo arduo giocato sul controllo assoluto del rapporto tra manufatto e luce.
In un ideale confronto con le immagini realizzate da Jemolo, in mostra si possono ammirare anche circa 50 fotografie storiche selezionate dal fondo Parker, custodito presso il Museo di Roma, e 17 fotografie storiche anch’esse provenienti dall’Archivio Fotografico del Museo di Roma. Le prime sono stampe all’albumina realizzate da Carlo Baldassarre Simelli (1811 - post 1877), uno degli abili fotografi selezionati dall'archeologo inglese John Henry Parker per realizzare la sua raccolta di immagini sulla città. Durante i suoi soggiorni a Roma, tra il 1864 e il 1877, Parker arrivò a raccogliere un preziosissimo patrimonio di oltre 3.300 immagini, di cui gran parte dei negativi sono andati distrutti in un incendio, tranne alcuni oggi conservati presso l'Accademia Americana e il Gabinetto Fotografico Nazionale-ICCD. I positivi originali, invece, si conservano, oltre che nell’Archivio Fotografico del Museo di Roma, alla Scuola Britannica di Roma e all'Istituto Archeologico Germanico. Gli scatti raffigurano importanti costruzioni del mondo romano: si passa dalla Porta Ostiense all’Arco di Dolabella, da Porta Metronia alle Mura del Castro Pretorio, da Porta Maggiore alla Porta Asinara, dall’Anfiteatro Castrense all’acquedotto Claudio.
La realizzazione di strutture difensive in antico aveva un ruolo identitario importante: le comunità si riconoscevano e si sentivano strettamente legate alla porzione di territorio cinto dalle mura; così, dal solco tracciato da Romolo alle Mura Serviane, fu certamente anche per Roma, che in più di una circostanza sentì il bisogno di dotarsi di un perimetro di cinta. Le Mura Aureliane rappresentano l’ultimo di questi progetti, che, proprio in quanto più recente, conserva la sua originale imponenza. A progettarle ed avviarne il cantiere fu l’imperatore Aureliano nel III secolo d.C., per rispondere all’esigenza di difendere Roma dagli attacchi dei barbari. Coprivano un tracciato di circa 19 km, raggiungevano un'altezza di circa 6,50 metri e uno spessore di 3,50 e ogni 30 metri massicce torri quadrate scandivano il tracciato. La tecnica edilizia utilizzata fu l’opera laterizia con materiali recuperati e tegole spezzate così come furono riutilizzati alcuni edifici presenti lungo il percorso, ad esempio i Castra Praetoria e le arcate dell'Acquedotto Claudio.
Da allora le Mura Aureliane sono state trasformate continuamente: nel V secolo con l’imperatore Onorio, che rinforzò e innalzò l’intera struttura; nel VI secolo per la guerra greco gotica e nel corso dei secoli successivi a opera di diversi papi con interventi di restauro testimoniati dai numerosi stemmi apposti lungo la cinta muraria, finché, nel 1847, papa Pio IX decise di consegnarle all’amministrazione capitolina. Le mura continuarono a funzionare come cinta daziaria fino agli inizi del XX secolo e subirono ulteriori trasformazioni dovute al riassetto urbano e alla costruzione di nuove strade. Pur trasformandosi continuamente, hanno mantenuto un loro ruolo all’interno della vita della città, ospitando, ad esempio, studi d’artista e giardini, ma la loro funzione si è andata via via perdendo nel corso degli ultimi 50 anni.
E oggi, come ha scritto Marco Lodoli nel suo testo per il catalogo della mostra: le mura stanno ancora lì, meravigliose, sconfitte, poetiche nella loro possente resa, e il romano quasi non ci fa più caso, come se quel serpentone fosse parte di un paesaggio eterno e indifferente, una ruga del tempo, una malinconia abituale (…). Poche opere al mondo sono altrettanto grandiose e malinconiche, altrettanto tragiche e belle, capaci di insegnare tante cose o forse una cosa sola, ma decisiva: che dalla vita non ci si difende.
In mostra sono presenti anche circa cinquanta antiche fotografie selezionate dal fondo Parker: si tratta di stampe all’albumina realizzate da Carlo Baldassarre Simelli (1811- post 1877), uno tra gli abili fotografi selezionati da Parker per realizzare la sua raccolta.
L'archeologo inglese John Henry Parker fece eseguire a più riprese tra il 1864 e il 1877, da fotografi professionisti, durante i suoi soggiorni a Roma, una raccolta fotografica di oltre 3.300 immagini sulla città e sui suoi dintorni che porta il suo nome. Gran parte degli antichi negativi è andata distrutta in un incendio, tranne alcuni, oggi presso l'Accademia Americana e al Gabinetto Fotografico Nazionale-ICCD, mentre i positivi originali si conservano, oltre che nell’Archivio Fotografico del Museo di Roma, alla Scuola Britannica di Roma e all'Istituto Archeologico Germanico.
Le immagini raffigurano importanti costruzioni del mondo romano: dalla Porta Ostiense, all’Arco di Dolabella, da Porta Metronia alle Mura del Castro Pretorio, da Porta Maggiore a Porta Asinaria, dall’Anfiteatro Castrense all’acquedotto Claudio, per stabilire un ideale confronto con le immagini di oggi realizzate da Andrea Jemolo.
Le mura di una città costituiscono una preziosa testimonianza della sua storia. In particolare le Mura Aureliane, variamente restaurate nel corso dei secoli, sono ancora oggi uno dei più imponenti monumenti di Roma e costituiscono la più estesa e meglio conservata fortificazione del mondo classico.
La realizzazione di strutture difensive è legata alla storia di Roma fin dalle sue origini; le fonti antiche ricordano infatti in varie occasioni l’esistenza di mura intorno alla città, a cominciare dal muro di Romolo, il cui percorso intorno al Palatino era stato definito dal famoso solco, e dai successivi ampliamenti realizzati già in età regia, soprattutto con Servio Tullio.
Tito Livio narra poi che nel 378 a.C., a seguito dell'occupazione gallica del 390 a.C., un nuovo muro venne costruito a protezione della città, realizzato saxo quadrato (cioè in blocchi squadrati). Queste mura di IV secolo (di cui si conservano vari tratti nella città moderna, comunemente definiti “Mura Serviane”) erano lunghe in totale 11 km e comprendevano una superficie di 426 ettari, la più ampia fra quelle della stessa epoca conservate in Italia.
Nel III sec. d.C., di fronte alla minaccia di invasioni delle popolazioni barbare provenienti dal nord Europa, anche se ancora lontane da Roma, l’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) decise di promuovere la costruzione di una nuova più ampia cinta di fortificazioni, che sostituisse le vecchie mura repubblicane ormai fuori uso, sommerse e sorpassate dalla grande espansione della città imperiale.
Lungo il tracciato della fortificazione, che si sviluppava per circa 19 km, vennero realizzate porte in corrispondenza degli assi stradali preesistenti. Nella scelta del percorso da seguire si tenne conto di fattori topografici e strategici, in considerazione della morfologia dei luoghi e della presenza di edifici più antichi.
Le mura di Aureliano raggiungevano un'altezza di circa 6,50 metri e uno spessore di 3,50 metri con un cammino di ronda scoperto alla sommità riparato da un muro con merli alti 0,60 metri, posti ogni 3 metri. Massicce torri quadrate, fornite di una camera coperta utilizzata per la postazione delle macchine belliche e di una terrazza scoperta raggiungibile per mezzo di scale, scandivano il tracciato ogni 30 metri. La tecnica edilizia utilizzata fu l’opera laterizia con materiali recuperati e tegole spezzate.
Questa nuova cinta difensiva riutilizzò molti edifici che si trovavano lungo il percorso, alcuni dei quali di grandi dimensioni quali i Castra Praetoria, le arcate dell'Acquedotto Claudio, l'Anfiteatro Castrense, il muro di sostruzione degli Horti degli Acilii sul Pincio e la Piramide di Caio Cestio.
Tra il 401 e il 403 d.C. l’imperatore Onorio avviò un generale rifacimento delle mura. L’intera struttura difensiva fu rinforzata, innalzando di un piano sia i camminamenti sia le torri. Il precedente cammino di ronda fu trasformato in una galleria a volta, sopra la quale fu creato un altro camminamento scoperto e protetto da un muro merlato. Nelle torri fu realizzata, al posto della terrazza della fase precedente, una seconda camera di manovra per le macchine belliche, coperta da un tetto a quattro falde.
Ulteriori interventi vennero realizzati nel corso del VI secolo, al tempo della guerra greco gotica.
Numerosi stemmi apposti sul circuito, che continuava a segnare fortemente il paesaggio di Roma, costituendone il limite difensivo e amministrativo, ricordano i vari e successivi restauri effettuati dai papi, che costruirono anche nuovi tratti di mura a difesa del Vaticano. Nel 1847 il Papa Pio IX con motu proprio le consegnò all’amministrazione del Comune di Roma; dopo l’unità d’Italia e la proclamazione di Roma capitale nel 1870 le Mura continuarono a funzionare come cinta daziaria fino agli inizi del XX secolo.