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La forza delle radici contro “il pensiero debole" della “società liquida”

chiesa nordest

 

Papa Francesco fa sentire la sua voce contro il “pensiero debole”, l’articolazione filosofica del relativismo, che sta corrodendo l’uomo occidentale e cristiano. Lo ha fatto recentemente in due omelie a Santa Marta, evidenziando che le persecuzioni dei cristiani sono violente e aggressive non solo in Africa e in Asia, ma anche in Occidente, in Europa, dove la libertà religiosa è minacciata da un “relativismo aggressivo, che vuole ridurre la religione a un fatto privato, negandole e vietandole ogni espressione pubblica”.

Il relativismo non si contenta più di proporre la sua ‘tremenda superficialità in ordine alle questioni morali’: la vuole imporre, vietando ai credenti di uscire dalle sagrestie e di esprimersi nei dibattiti sociali e politici”. In pratica si tende a chiudere i cristiani nel recinto delle chiese”, imporre “una privatizzazione delle religioni”, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità”.

Oggi il pensiero debole diventa pensiero unico, in mano ai poteri forti, simile a quel “Padrone del mondo”, ben definito dallo scrittore sacerdote cattolico inglese, convertito dall’anglicanesimo, Robert Hugh Benson. Papa Francesco nelle omelie, fa riferimento al libro di Daniele (9,27), quando l’Anticristo va al potere e viene proclamato il divieto di adorare Dio. Un tempo che assomiglia al nostro: “’non si poteva parlare di religione: era una cosa privata’ i segni religiosi andavano tolti e bisognava obbedire agli ordini che venivano ‘dai poteri mondani’. Si potevano ‘fare tante cose, cose belle ma non adorare Dio’, era vietato”. Pertanto Papa Francesco puntualizza:“Attenzione questo non riguarda solo chi vive in pochi Paesi totalitari, riguarda tutti noi. I cristiani che soffrono tempi di persecuzioni, tempi di divieto di adorazione, sono una profezia di quello che accadrà a tutti”.

Di fronte a questo mondo che ha perso l’abitudine di adorare Dio è opportuno ricordare il tempo quando il Cristianesimo era ben presente nella vita quotidiana della Chiesa e della società. Per farlo utilizzo alcuni discorsi del Papa emerito Benedetto XVI, pronunciati in un viaggio ad Aquileia e a Venezia, nel maggio del 2011, che riprendo dall’ottima sintesi fatta dal sociologo delle religioni Massimo Introvigne nel libro “L’Eredità di Benedetto XVI. Quello che Papa Ratzinger lascia al suo successore Francesco”, pubblicato da Sugarcoedizioni (Milano 2013)

Il papa qui ricorda la memoria delle radici cristiane nelle città di Aquileia, fecondata dal sangue dei martiri, che diventa, “la nona città dell’Impero e la quarta dell’Italia”, e poi l’epopea di Venezia, dove la fede cattolica, “si è radicata sempre più profondamente nel tessuto sociale, fino a diventarne parte essenziale”. Visibile testimonianza le numerose chiese e le “tante edicole devozionali disseminate tra calli, canali e ponti”. Naturalmente la più grande splendida testimonianza di arte e fede è la Basilica di San Marco, chiaro esempio di “catechesi per immagini”, bellezza unica e irripetibile.

Inoltre Benedetto XVI mette in evidenza il tessuto sociale delle popolazioni del Nord-Est, frutto delle secolari radici cristiane, che si pure tra luci ed ombre, rimangono ancora radicate e ben visibili, nonostante l’odierna società secolarizzata. “L’esperienza cristiana ha forgiato un popolo affabile, laborioso, tenace, solidale. Esso è segnato in profondità dal Vangelo di Cristo, pur nella pluralità delle sue identità culturali”. Pertanto per Benedetto XVI “le motivazioni cristiane hanno dato e continuano ad offrire nuovo impulso alla vita sociale”.

Il papa emerito rammenta però che la difesa delle radici e dell’identità cristiana oggi non è facile, perché l’uomo moderno è in crisi e non conosce più neanche “i fondamenti stessi del suo essere e del suo agire”. L’eredità cristiana, “rischia di svuotarsi della sua verità e dei suoi contenuti più profondi”. L’uomo d’oggi dopo aver visto esaurirsi la forza delle utopie ideologiche, sta esaurendo l’ottimismo, ma anche la speranza.

E visto che il papa parlava a Venezia, “città d’acqua”, ha fatto riferimento al sociologo inglese Zygmunt Bauman, che ha definito “liquida”, la nostra società europea e la sua cultura. Una cultura “fluida” che rifiuta qualsiasi stabilità. Nella storia – ha detto il papa a Venezia – bisogna scegliere; si tratta di scegliere tra una città ‘liquida’, patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli”. Tuttavia, dunque, la scelta sarà fra una “città della vita e della bellezza”, che riscopre le radici cristiane e se ne alimenta, e una “città liquida”, dove nulla è stabile e tutto continuamente muta sommerso dai gorghi del relativismo”.

Il quarto passaggio dei discorsi di Benedetto XVI nel Veneto riguarda la necessità e l’urgenza perché le radici cristiane tornino ad essere il vivo fondamento di una società più rispettosa dei diritti della persona e della legge di Dio. E parlando nella Basilica di Aquileia, il papa raccomandava a tutte le chiese italiane di “(…)suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico. Esso ha più che mai bisogno di vedere persone soprattutto giovani, capaci di edificare una ‘vita buona’ a favore e al servizio di tutti”.

Benedetto XVI ritorna a parlare come aveva fatto a Cagliari nel 2008 della necessità di una nuova classe dirigente per governare il Paese, un compito a cui i cristiani non possono sottrarsi. Una classe dirigente però che deve essere affascinata dall’ideale della “santità, che non significa fare cose straordinarie. Certamente, non basta la preparazione tecnica.

Benedetto XVI nella vecchia “Repubblica di Venezia”, chiamata la “Serenissima”ha l’occasione di riprendere il tema della politica come sforzo per elevare la città dell’uomo verso la Città di Dio.“Serenissima, è un titolo veramente stupendo – ha detto il papa – si direbbe utopico, rispetto alla realtà terrena, e tuttavia capace di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani, in questa grande regione”.

La sintesi di Introvigne sul viaggio di Benedetto XVI, conclude con un forte richiamo alla speranza che può essere riassunto nel termine “salute”, che va dallo “star bene” che ci permette di vivere serenamente una giornata di studio, di lavoro, o di vacanza, fino alla salus animae, da cui dipende il nostro destino eterno”. Ma l’autentica salute è Gesù Cristo, che “scioglie l’uomo dalle sue ‘paralisi’ fisiche, psichiche e spirituali(…)”, questo lo sapevano i veneziani del secolo XVII, che sulla Basilica della Salute incisero il motto Unde origo, inde salus, “ Dov’è l’origine, lì è la salute”, l’origine è Maria, che salvò i veneziani dalla peste del 1630, una invocazione che potrà esserci utile ancora oggi secondo Introvigne, perché ci salvi dalle tante nuove pesti sociali e spirituali della cosiddetta “società liquida”.

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