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E' morto Mandela

Nelson Mandela, la leggenda che ha sconfitto l'apartheid, è morto a 95 per entrare dritto nella storia. Il presidente sudafricano Jacob Zuma, vestito di nero, il volto tirato, ha annunciato in un discorso televisivo la scomparsa di 'Madiba' per il quale "il mondo intero avrà grande gratitudine per sempre". Il lutto nazionale, le bandiere a mezz'asta, i funerali di Stato, gli onori che i sudafricani si apprestano a tributare a Mandela, le parole addolorate dei leader del mondo vanno, una volta tanto, oltre i riti di circostanza per l'uomo che dopo ventisette anni passati nelle galere del regime segregazionista bianco non ha mai pronunciato la parola vendetta.
Zuma ha ordinato il lutto na­zionale. Mandela è morto serenamente nella sua ca­sa di Johannesburg e ha detto: «Voglio ricordare con semplici parole la sua umiltà, la sua grande umanitàper la quale il mondo intero avrà grande gratitudine per sempre». Nel suo annuncio Zuma si è rivolto ripe­tutamente a Mandela col suo popolare e affettuoso soprannome: Madiba. Zuma ha annunciato che Nel­son Mandela «avrà funerali di Stato». Le bandiere sa­ranno a mezz’asta in tutto il Paese da oggi al giorno delle esequie. I membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno osservato un minuto di silenzio.
«Se soltanto trovassimo una pozione magica per farlo tornare gio­vane… ». In un Sudafrica che, dopo la fine della sua presiden­za nel 1999, si è progressiva­mente avvitato in una specie di crisi esistenziale che rischia di compromettere la sua eredità, milioni di cittadini solevano in­vocare un suo impossibile ritor­no sulla scena politica anche dopo che aveva compiuto i no­vant’anni. E ora che si è spento, Nelson Mandela è destinato a diventare un personaggio leg­gendario, l’incarnazione di un sogno che, purtroppo, si è avve­rato solo in piccola parte: quel­lo della «nazione arcobaleno», in cui neri, bianchi, indiani e meticci avrebbero convissuto in armonia e prosperità. Se do­vessimo sti­lare una classifica tra i vincito­ri del No­bel per la pace del­l’u­ltima ge­nerazione, Mandela è sicuramen­te quello che lo ha meritato più di tutti, perché il passaggio senza spar­gimento di sangue e senza col­lassi economici dal vecchio re­gime di supremazia bianca a una democrazia dominata dal­la maggioranza nera è stato un capolavoro politico forse sen­za eguali nel mondo moderno. E ha fatto della riconciliazione, forse non riuscita fino in fondo ma caparbiamente voluta e cercata, il filo rosso della sua vita. Era da tempo che non si vedeva piu', che l'uomo stimato anche dai nemici non parlava nelle manifestazioni pubbliche e dagli schermi Tv. Ma per i molti nati dopo la fine del razzismo di stato e per quelli che ricordano i tempi dei ghetti, del massacro a Soweto nel 1976, delle lotte dell'African National Congress,l'immagine di Mandela è impossibile da cancellare. Con il peso della sua grandezza, ma anche con la sua ironia e quel filo di civetteria delle camicie disegnate per lui dallo stilista ivoriano Pathe' O. Icona di un intero popolo - che ha seguito con il fiato sospeso i suoi ultimi mesi, punteggiati da quattro ricoveri in ospedale dovuti a infezioni polmonari, conseguenze della turbercolosi contratta nei lunghi anni di prigione a Robben Island - Madiba ha subito raccolto stanotte l'omaggio della gente. Una folla - fra cui tanti giovani - di persone si e' radunata dopo l'annuncio di Zuma dinanzi alla sua casa: molti in lacrime, qualcuno sorridendo nel ricordo di un uomo venerato ormai nel continente africano quasi come un santo. Poco dopo l'annuncio della morte ha parlato Barack Obama, turbato anche lui, in Tv.

''Abbiamo perso uno degli uomini piu' coraggiosi e influenti dell'umanità'', ha detto il primo presidente nero degli Stati Uniti, forse pensando che la sua prima volta è stata resa possibile anche dalla lotta di Mandela. ''Oggi e' tornato a casa'', ha concluso. ''Una grande luce si é spenta nel mondo, é stato un eroe del nostro tempo'', sono state le parole del premier britannico David Cameron, tra i primi a inchinarsi di fronte alla morte del leader antiapartheid. Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon lo ha definito ''un gigante per la giustizia e fonte di ispirazione per l'umanità''. Il presidente francese Francois Hollande lo ha salutato come un ''magnifico combattente'' e un ''eccezionale protagonista della resistenza contro l'aprtheid''. ''Tutti noi viviamo in un mondo migliore grazie alla vita che Madiba ha vissuto'', ha riassunto Bill Clinton, che negli anni della sua presidenza gli fu amico e alleato.

E in Sudafrica ha parlato l'ultimo presidente bianco, Frederik De Klerk, che a Mandela restituì la libertà e che poi con lui ha diviso il Nobel per la Pace. ''Grazie a Mandela la riconciliazione in Sudafrica e' stata possibile'', gli ha reso onore in un'intervista telefonica alla Cnn. I vecchi compagni dell'African National Congress - il suo partito - lo hanno a loro volta ricordato così: ''Un colosso, un esempio di umilta', uguaglianza, giustizia, pace e speranza per milioni'' di uomini e donne.

''Abbiamo imparato a vivere insieme e a credere in noi stessi'', ha fatto eco un altro Nobel per la pace sudafricano, il vescovo anglicano nero Desmond Tutu. Si è spento "serenamente" nella sua casa di Johannesburg, ha raccontato Zuma in Tv. Si dice spesso di chi se ne va, ma per Madiba, oggi, appare vero sul serio.
Quando nacque nel villaggio di Mvezo, nel cuore del Tran­skei, il 18 luglio 1918, terzo fi­glio di un capotribù Xhosa, il fu­turo Nelson Mandela venne chiamato Rolihlahla Dalibhun­ga. Furono i missionari metodi­sti a dargli il nome con cui è di­ventato famoso, a curare la sua istruzione e infine a mandarlo al College di Fort Hare, la prima università per neri del Sudafri­ca. Una volta laureato, aprì uno studio legale in società con Oli­ver Tambo, un altro futuro pro­tagonista della resistenza con­tro l'apartheid, ma si buttò qua­si subito in politica, in difesa dei diritti dei neri che, con la vit­toria del partito nazionalista nelle elezioni del 1948 e le suc­cessive leggi razziali, erano sta­ti ridotti a non-cittadini.

Tra i fondatori dell’African National Congress, l'attuale partito di governo, fu arrestato una prima volta nel 1956 (e pro­sciolto dall'accusa di volere co­stituire un regime comunista), nominato nel 1961 comandan­te della «Lancia della nazione», il movimento di liberazione del partito, spedito all'estero a cer­care appogg­i nel 1962 e arresta­to nuovamente al suo rientro in patria nel 1963. Stavolta, il tri­bunale lo condannò all'ergasto­lo, ma il discorso di denuncia che pronunciò davanti alla Cor­te prima di sparire per un quar­todi secolo nelle carceri dell' apartheid destò una enorme eco in tutta l'Africa e rimane, per molti, il punto più alto della sua militanza.

Anche durante la segregazione a Robben Island, Mandela riuscì a rima­nere la guida suprema dell' ANC, il principale punto di rife­rimento per i compagni sfuggi­ti all'arresto che, in clandestini­tà o in esilio, continuavano la lotta.

I suoi stessi carcerieri erano in qualche modo intimiditi dal­la sua personalità e - in realtà ­non infierirono mai contro di lui.

Infatti, quando il regime del­l’apartheid cominciò a vacilla­re, fu a lui che si rivolse per cer­care una soluzione. Già nel 1985, il presidente Botha gli of­frì in segreto la libertà un cam­bio di un ripudio della lotta ar­mata, ma Mandela rifiutò. Il go­ve­rno decise egualmente di tra­sferirlo da Robben island al car­cere di Pollsmoor, nel tentativo di costruire, attraverso di lui, un ponte verso la comunità ne­ra, e il 4 luglio 1989 lo stesso Botha si decise a incontrarlo. Il colloquio mise le basi per gli svi­luppi successivi, che in quattro anni hanno radicalmente cam­biato il volto del Paese: la libera­zione del Madiba (il patriarca) il 2 febbraio 1990, la legalizza­zione dell'ANC, la nomina di Mandela a suo presidente, il conferimento del premio No­bel per la pace (insieme a F.W. De Klerck, successore di Botha e ultimo presidente bianco), la proclamazione di una nuova Costituzione che sanciva l'eguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dal lorocolore e la elezione di Nelson Mandela a nuovo capo dello Stato, con lo stesso De Klerck come vice per rassicurare la mi­noranza bianca.

Non si può dire che Mandela sia stato un buon presidente: un po' per l'età ormai avanzata, un po' per la totale mancanza di esperienza amministrativa, il suo governo ha lasciato mol­to a desiderare: non ha garanti­to alle masse delle township i progressi che si aspettavano, ha tollerato la corruzione della nuova classe dirigente, non ha combattuto con sufficiente de­terminazione la diffusione dell' AIDS. Ma il suo carisma era tale che tutto gli è stato perdonato. Il suo vero capolavoro è stato il superamento della frattura tra le varie comunità fino a quel momento divise dall'apar­theid, all'insegna del motto «Chi ha coraggio non deve ave­re paura di perdonare » . Così, si è in­ventato la fa­mosa «Com­missione per la verità e la ri­conciliazio­ne », davanti alla quale so­no sfilati tutti coloro, bian­chi e neri, che avevano com­messo dei cri­mini nel cor­so del conflit­to razziale e che- salvo nei casi più gravi­in cambio del­la piena con­fessione si so­no guadagna­ti l'impunità.

Famosi so­no rimasti an­chealcuni suoi gesti, co­me quello di sostenere la squa­dra di rugby degli Springbock, autentici simboli del potere bianco che erano stati esclusi per anni dalle competizioni in­te­rnazionali proprio su pressio­ne dell'ANC, e di festeggiare con loro la vittoria nei campio­nati del mondo del ' 95; oppure, come quello di invitare a palaz­zo per il the le vedove dei suoi predecessori bianchi che lo avevano incarcerato.

Il suo passato di rivoluziona­rio lo ha anche spinto a com­mettere degli errori, come l'ap­poggio dato fino alla fine a Cu­ba e alla Libia; e, quando, or­mai ritirato a vita privata, si è piegato troppo spesso ai voleri del suo ambiguo successore Mbeki. Con tutti suoi difetti, Mandela passerà comunque al­la storia come il personaggio di maggiore statura espresso dall' Africa postcoloniale: un uomo leale e generoso in un mondo di intrinseca ferocia, uno dei pochi visionari che siano riusci­ti a trasformare la loro visione in realtà. In un certo senso, è sta­ta p­er lui una fortuna la gradua­le perdita di contatto con la real­tà del Paese che ha contrasse­gnato i suoi ultimi anni: la cre­scente corruzione nell'ANC, gli affari sporchi di vari suoi fa­miliari, il crescente malconten­to delle masse tradottosi di re­cente in scioperi e violenze non lo hanno più toccato; ed è mor­to sereno, come meritava

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