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Lega e Rn sono i pilastri dell'Enf, l'Europa delle Nazioni e delle Libertà, il più a destra del Parlamento europeo. Secondo il politologo Cas Mudde, Matteo Salvini e Marine Le Pen avranno "difficoltà" a formare un grande gruppo nella prossima legislatura, che sulla carta peserebbe molto sulla composizione dell'Emiciclo, perché l'estrema destra europea resta "divisa" su molti temi. Dipenderà dai risultati, naturalmente, ma molti restano convinti che per Salvini l'unico modo per contare veramente a livello Ue sia quello di lasciare l'Enf, dove siedono sia il Rassemblement National della Le Pen che il Fpoe di Heinz-Christian Strache

Il Consiglio d'Europa non fa parte delle istituzioni dell'Unione europea, ma è considerata la più importante organizzazione di difesa dei diritti umani nel continente. Di esso fanno parte 47 Paesi, dei quali 28 aderiscono all'Unione europea. La decisione dell'assemblea è stata presa ieri, e riferita in un tweet. Per il momento non sono ancora state rese note le motivazioni che hanno portato a questa decisione.

Il gruppo parlamentare - al quale aderiscono anche i tedeschi dell’Afd - si inserisce nell'ala euroscettica insieme ai Conservatori e riformisti europei (Ecr, di cui fa parte Fratelli d’Italia) e al gruppo, ancora senza nome, che potrebbe rinascere dalle ceneri dell’Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd, a cui appartiene il Movimento 5 Stelle).

il voto del 12 settembre 2018 con il quale il Parlamento Ue a maggioranza ha invitato il Consiglio Europeo l'organo che riunisce gli stati dell'Unione, non la Commissione ad attivare l'articolo 7 dei Trattati Europei, che prevede una procedura punitiva, nei confronti dell'Ungheria del premier Orban, il cui governo ha deciso di controllare la magistratura e l'informazione. Un voto politicamente di enorme spessore perché ha ribadito che l'Ue non è solo un'area di libero scambio commerciale ma innanzitutto un progetto politico di democrazia liberale.

Non a caso anche sui migranti il Parlamento di Strasburgo ha spinto per una gestione la più collegiale possibile del tema. Ma è sicuramente sull'ambiente e sui diritti dei consumatori che l'assise Ue ha svolto un ruolo chiave. È stato un voto di Starsburgo a dare il la alla riduzione e poi all'eliminazione dei sacchetti di plastica. Moltissimi europei devono ai deputati eletti nella scorsa legislatura il fatto che quando si recano per lavoro o turismo in un altro stato dell'Unione non sono più sottoposti alle tagliole del roaming telefonico e possono telefonare a tariffe che conoscono.  

L'ultima decisione di spessore forse è anche quella più popolare: dal 2021 nei 28 Paesi dell'Unione Europea sarà vietato produrre e vendere piccoli prodotti di plastica usa e getta. Si tratta dell'ennesima legge votata dal Parlamento Europeo poco prima della fine della legislatura destinata a cambiare vite e abitudini di 500 milioni di europei anche se non si tratta di una vera e propria norma giuridica. Già perché il Parlamento Ue è una strana creatura, ha un potere immenso - non c'è dubbio - perché condiziona e indica la strada alla Commissione Europea le cui direttive vengono recepite dai parlamenti nazionali e tuttavia non ha un potere legislativo diretto.
Le sue decisioni ad eccezione di quelle che riguardano la Commissione e le altre istituzioni europee devono essere formalmente votate dai parlamenti nazionali.
Il risultato piuttosto bizzarro è che gli elettori di ogni singolo Paese seguono poco l'attività di questo Parlamento concentrandosi su quello nazionale che però spessissimo in realtà fa da cassa di risonanza alle decisioni prese a Bruxelles o a Strasburgo il Parlamento Ue si gode il lusso di due sedi.

Ma in realtà il Parlamento Europeo assieme alla Commissione o correggendo le decisioni della Commissione nella scorsa legislatura ha preso alcune decisioni epocali. Un esempio per tutti? L'accettazione del trattato di Parigi sul clima che comporterà la riduzione della produzione di C02 per il prossimo decennio. Un voto importantissimo che - tra mugugni - ha costretto tutti e 28 gli stati Ue ad adeguarsi  

Intanto la parola fascista! secondo il quotidiano il giornale l' aggettivo che ha subito una mutazione dei significati originari legati al partito creato da Benito Mussolini, riacclimatandosi come una lucertola in situazioni, ambienti, comportamenti che non hanno quasi mai a che fare con la storia e un elemento di arredo in ogni lingua, come se fosse nato per conto suo in tutte le lingue.

Pochi sanno che il Fascist Party of America fascio littorio bianco in campo azzurro sulla bandiera nell'area delle stelle fu fondato nel 1907 da oltranzisti democratici del Sud vicini al Ku Klux Klan, secondo il giornale quando Benito Mussolini in Italia era un sovversivo rosso, cosa che oggi agli americani come anche agli italiani sembra una provocazione. Come sarebbe a dire che Mussolini era «di sinistra»? E allora bisogna spiegare che il futuro dittatore «di destra» usava il termine «compagni», era ricercato da molte polizie, faceva sdraiare le operaie sui binari delle tradotte per sabotare la guerra di Libia del 1912 ma più che altro odiava a morte i borghesi, i ricchi capitalisti e per un po' la Chiesa e i preti. Il disordinatamente avido Mussolini smunto, gli occhi allucinati, i baffi e la barba di chi non ha tempo per il rasoio, occupava lo spazio immaginario dei ribelli di tipo guevarista, specie nel periodo austriaco trentino o quello ginevrino quando condivideva cibo e sale riunioni con Lenin, che lo teneva a distanza anche se poi Mussolini si vantò di un rapporto speciale con il leader russo, dicendo che i comunisti erano «tutti miei figli». Se oggi prevalesse l'intelligenza e si avesse l'orgoglio patriottico di appartenere a una fortissima democrazia, sarebbe utile dichiarare decadute le norme ideologiche di guerra contro il fascismo per assenza dell'oggetto e finalmente permettere che se ne parli al passato, visto che la guerra è finita.

La cronaca ci dice che avviene l'esatto contrario e che si seguita a far finta che ci sia un pericolo fascista, basandosi su quella manciata di carnevalanti runici con simboli nibelungici e attrezzeria di altri Walhalla che non ha mai fatto parte della storia e Dna italiani. Del fascismo com'è stato, con tutte le sue canagliaggini e ridicolaggini, enfasi e trasporti emotivi collettivi, nessuno sa più nulla. Ha fatto più Federico Fellini con Amarcord (1973) che la scuola italiana dove, per prudenza, è stata abolita la Storia come materia d'esame, mantenendo però in allerta emozionale Bella ciao a tutta birra - l'antifascismo militante che ha bisogno dei suoi demoni. 

«Fascista», l'aggettivo, prospera in proprio anche a causa delle mutilazioni inflitte alla storia che passa in televisione, che sta alla base dell'ignoranza comune. Una delle mutilazioni più indecenti è quella che riguarda l'alleanza non solo militare ma anche ideologica fra Hitler e Stalin uniti dal settembre 1939 al giugno 1941 nella spartizione dell'Europa, con parate militari nazi-comuniste, bevute e abbracci e baci a Brest Litovsk. Il tema è tuttora interdetto (si deve alludere vagamente a un certo «trattato di non aggressione», va poi a sapere cos'è) perché quella storia cancellerebbe l'accredito dei partiti comunisti come protagonisti primi e intransigenti della guerra contro il nazismo. 

Nella Francia occupata i comunisti francesi riempivano i muri di manifesti di benvenuto al Camrade allemand venuto a combattere la borghesia capitalista. E poi, l'altra questione spinosa: i «fascisti» erano davvero gli sgherri degli agrari assoldati per picchiare gli operai, o erano invece parte di una rivoluzione di sinistra? Come si fa a sistemare uomini come Indro Montanelli, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari ma anche Pietro Ingrao e tutti i futuri comunisti, che non erano fascisti per caso ma per convinzione? Eugenio Scalfari incontrato in una libreria del centro di Roma mi ha detto con cipiglio: «Io nel 1943 (l'anno della caduta del fascismo, del bombardamento di Roma e dell'otto settembre, ndr) non ero fascista: io ero fascistissimo».

Il punto oggi è che questo aggettivo «fascista» come scrive il giornale è cresciuto divorando gli aggettivi contigui come «nazista». Chi dà più, oggi, del «nazista»? Nessuno. È fuori moda e imbarazza i tedeschi, mentre l'aggettivo «fascista» è una coperta leggera e arlecchinata che copre tutto, è multimediale, multinazionale, pratica ed elastica per tutti gli usi. Così, sono oggi bollati come fascisti gli antiabortisti afroamericani che parlano di un genocidio perpetrato dalla Planned Parenthood Federation of America, una creatura democratica che stermina l'ottanta per cento delle gravidanze nere, e sono chiamati fascisti i poliziotti in genere, ma in particolare quelli che pattugliano Chicago quando le comunità afroamericane cominciano a spararsi. 

Anche qui: non importa se i poliziotti sono neri. Fascisti anche loro, e non se ne parla più. Discutere con gli americani su che cosa sia fascista (specialmente se sono Democrats) è tempo perso perché i loro parametri sono indipendenti dalla Storia e dalla memoria. Gli adolescenti bianchi americani delle scuole superiori abbandonano le discussioni razziali, perché appena aprono bocca sono accusati di essere fascisti anche dai latinos e da molti asiatici pakistani.

In Europa oggi perfino i nativi di lingua tedesca hanno privilegiato l'aggettivo fascista, perché più leggero e planetario, sempre in grado di offrire l'effetto notte, quando tutti gli aggettivi, come i gatti, sono grigi e uno vale uno. In Italia, in occasione della vicenda al Salone del Libro di Torino, abbiamo sentito il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico decretare che dichiararsi fascisti è di per sé reato da punire, a prescindere dalle azioni e che - quanto ai libri - sarebbe il caso di adottare l'abitudine hitleriana del rogo. 

Si tratta di un atteggiamento paragonabile all'«aggravante mafiosa» che, da aggravante applicabile alle pene sui delitti commessi in ambito mafioso, si è trasformata in delitto in sé. In maniera analoga, chiunque cada nel delitto di banalità ricordando la bonifica delle paludi Pontine (Canale Mussolini di Antonio Pennacchi) o per i treni che «quando c'era lui» arrivavano in orario, secondo la dottrina Fico, è da punire. In Italia lo spettro del fascismo resta uno spettro, o meglio una giungla in cui devi sempre stare attento a dove metti i pedi e a quel che dici perché i confini sono scivolosi e i trabocchetti sono troppi per non farsi prima o poi male.

I repubblicani americani, paradossalmente, hanno preso la questione del fascismo con maggior serietà: ideologi come Denish D'Souza e molti contribuenti del Washington Times affermano che il fascismo italiano va considerato come socialismo di Stato poiché risponde a tutti i requisiti di un socialismo autoritario. In primo luogo, secondo il vero ideologo del fascismo Giovanni Gentile, tutto deve essere nello Stato e nulla al di fuori dello Stato. Secondo: un regime socialista statalista scoraggia la concorrenza scegliendo una o più aziende private da mantenere al proprio servizio come la Fiat. 

Terzo, i socialismi nazionali statali (italiano, tedesco, russo) produssero il primo vero welfare statale: tutti i figli del popolo alle colonie marine e montane, sport per tutti, pensioni sociali, l'Iri, l'Inps e tutte le sigle dello Stato provvidente messe in funzione con il massimo vigore. Si può dire che ogni «aspetto buono» del fascismo era un'applicazione del socialismo, dalle case popolari (che a Roma ancora chiamano «le case di Mussolini») ai treni per la neve e il mare per un Paese ancora rurale e in gran parte analfabeta: caratteristiche «di sinistra» e non di destra. E così furono percepite in tutto il mondo occidentale, specialmente di lingua inglese, perché due erano le rivoluzioni che avevano affascinato e scosso l'umanità, quella bolscevica e quella fascista. Vedere, leggere per credere.

Intanto nell'intervista su Canale 5, Berlusconi racconta di aver cercato, in tutti questi anni, un successore. "Ma - rivela - i miei azzurri non li hanno ritenuti all'altezza di sostituirmi". "Chi c'è che può paragonarsi a me per le cose fatte? - si chiede il Cavaliere - passeremo a Berlusconi che resterà da parte e ad un gruppo collettivo che porterà avanti Forza Italia, un partito attivo che si è sempre rinnovato e sul territorio abbiamo bravissimi sindaci e assessori oltre a ministri capaci". Il progetto è dunque quello di far emergere, subito dopo le elezioni europee, "un gruppo capace di portare avanti Forza Italia". L'obiettivo è operativo e punta a mettere la nuova classe dirigente subito al lavoro. "Abbiamo esigenza di creare nuovi posti di lavoro, migliaia di giovani sono scappai all'estero perché qui non trovavano lavoro", spiega l'ex premier. "Faremo provvedimenti che aumenteranno i posti di lavoro aprendo i cantieri delle opere ferme e rendendo più conveniente alle imprese di assumere giovani - continua - aiuteremo anche ad alzare i salari, che dal 2011 non sono mai aumentati".

Ora, però, gli occhi di Berlusconi sono puntati sul voto di domenica prossima che riscriverà la conformazione del Parlamento europeo. "Gli italiani prima di tutto devono andare a votare, l'ultima volta ci sono state troppe astensioni - spiega a Mattino Cinque - bisogna sentire il dovere e l'interesse di andare a votare". Il Cavaliere non capisce l'indecisione di una buona fetta dell'elettorato italiano. "Ma come si fa ad esserlo? - si chiede - forse non sono informati o non ci pensano". E invita tutti a fare una riflessione su quanto proposto da Forza Italia. "In Italia - prosegue - vogliamo mandare via questo governo di litigiosi, che ha reso il Paese la maglia nera in Europa, gli stranieri hanno paura di investire in Italia, sviluppo fermo, non ci muoviamo. Se queste cose sono chiare, votare per noi significa promuovere un governo in cui Forza Italia sarà anima e spina dorsale, che farà subito ciò che è scritto nel programma

Una busta con un proiettile calibro 9  è stata spedita al titolare del viminale. La busta è stata intercettata al Centro di Smistamento Postale di Roma, nella zona di piazzale Ostiense. Il pacco con il proiettile è stato immediatamente sequestrato dagli artificieri della polizia di Stato.

Il pacco di fatto ha insospettito subito gli investigatori perché sulla busta non era presente l'annullo postale e un mittente. Di fatto nella busta non era presenti, nè all'esterno ne all'interno, messaggi di rivendicazione. Il ministro ha commentato così quanto accaduto: "Non mi fanno paura e non mi fermo. Più che da una politica spesso ipocrita, confido nella solidarietà di milioni di italiani perbene che si esprimeranno con il voto di domenica".

In questi mesi di permanenza al governo, la Lega è stata bersagliata da diverse minacce e da diversi episodi intimidatori. Diverse sedi del carroccio sono state prese d'assalto con molotov e con messaggi minatori. A questo vanno aggiunti tutti i cartelli nelle manifestazioni in cui è stato paragonato il ministro Salvini al Duce in piazzale Loreto.

La tensione su questo fronte continua a salire anche tenendo conto dei toni sempre più aspri della campagna elettorale. L'odio anti-Lega dunque adesso alza il tiro e si manifesta anche con una busta con un proiettile. Il ministro comunque tira dritto e non si lascia intimidire da queste minacce: "Io vado avanti", ha affermato. Ora la polizia cerceherà di capire quale possa essere il mittente della busta.

Intanto sono stati arrestati tre anarchici per l'invio di alcune buste esplosive a pm torinesi. I carabinieri del Ros stanno eseguendo una misura cautelare nei confronti dei tre anarco-insurrezionalisti, autori di attentati esplosivi inseriti nella campagna di lotta contro la repressione del giugno 2017. Le indagini, coordinate dalla procura della Repubblica di Milano, hanno accertato come gli autori si fossero riuniti a Genova per la spedizione di tre pacchi esplosivi recapitati al Palazzo di Giustizia di Torino e indirizzati a due pm della Procura subalpina. Sono in corso anche perquisizioni in Italia e all'estero.

Le due buste, che contenevano fili elettrici, polvere da sparo e una batteria ed erano in grado di esplodere, avevano un timbro postale da Genova. Come mittente riportavano, evidentemente in maniera fittizia per tentare di eludere i controlli, i nomi di avvocati. L'area interna del Palazzo di Giustizia venne chiusa per permettere agli artificieri di neutralizzare gli ordini in sicurezza.

Oltre a quelli inviati ai due pm torinesi Antonio Rinaudo e Roberto Maria Sparagna e fortunatamente non esplosi, i tre anarchici arrestati dai carabinieri del Ros hanno inviato, secondo l'accusa, anche un plico esplosivo non esploso, il 12 giugno 2017 «al dott. Santi Consolo, all'epoca direttore del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria di Roma». Le indagini svolte, spiegano i carabinieri del Ros, hanno evidenziato anche «uno stretto collegamento» di uno dei tre arrestati, Robert Firozpoor, «con l'anarchico di origine nigeriana Divine Umoru, arrestato nell'agosto 2016 a Bologna per possesso di materiale esplosivo e documentazione propedeutica al compimento di attentati».

Un arresto che «assumeva particolare rilievo in quanto potrebbe rappresentare uno dei moventi dell'attentato esplosivo alla Stazione dei Carabinieri di Bologna Corticella del 27 novembre 2016 (unitamente alla allora recente esecuzione dell'operazione 'Scripta Manent' del 06 settembre 2016)». Gli ordigni, chiariscono gli investigatori, «composti da un meccanismo di attivazione a strappo, per le loro potenzialità costruttive potevano ledere anche la vita dei destinatari».

Intanto si prepara l exit strategy ? che succederà dunque il 27 mattina, a urne chiuse e conti fatti? Dal piano B, quello con la Lega sopra il 30% che rompe i ponti con i grillini, magari precipitati sotto il 20%, si tornerebbe al piano A, che poi è lo scenario dato come più probabile: continuare con il governo gialloverde. Se la forchetta tra i due non sarà enorme mancheranno le condizioni per far saltare il banco, Salvini e Di Maio dovranno fare buon viso a cattivo gioco e portare avanti il matrimonio (metafora usata dal leader leghista che si è scelto il ruolo di «marito»). 

Fonti parlamentari leghiste derubricano le risse degli ultimi giorni come l'ultima coda della campagna elettorale, sicuri che i toni rientreranno dopo il voto. Il riavvicinamento delle ultime ore, con Salvini che smorza le accuse rivolte a Conte da Giorgetti, conferma l'intenzione di non rompere l'asse. Il mantenimento dello status quo verrà giustificato con la retorica della responsabilità, dell'unico governo compatibile con i numeri in Parlamento, del patto sottoscritto con un contratto e onorato fino in fondo (Di Maio ieri: «Questo governo andrà avanti per altri quattro anni. 

La Lega tornerà a essere meno scontrosa dopo il 26 maggio»). In ambienti M5s si accredita anche un'altra versione sulla volontà di pace di Salvini. E cioè il timore che in un altro esecutivo con la Lega in ruolo trainante, il premier designato potrebbe non essere lui, ma un uomo più di collegamento come appunto Giorgetti, figura più tecnica e più tranquillizzante per i mercati con la finanziaria di fine anno da affrontare. Mentre i leghisti scommettono sul fatto che i grillini vogliano tenersi strette le poltrone di governo che, senza alleanze, difficilmente potrebbero rivedere. 

I numeri che usciranno dalle urne però cambieranno, se non la maggioranza di governo, certamente i rapporti di forza in quella attuale. Spiegano fonti vicine al leader leghiste che se Salvini uscisse con un margine ampio rispetto al M5s, l'agenda del governo si adeguerebbe di conseguenza. Le priorità leghiste già nero su bianco nel contratto di governo - dalla flat tax all'autonomia alla gestione degli sbarchi -, non potrebbero più essere messe in discussione dai grillini nel tentativo di sabotarle, con una Lega nuovo azionista di maggioranza dell'esecutivo. Salvini a quel punto avrebbe la forza di porre un aut aut, per esempio sul taglio delle tasse: o mantenete gli accordi o si va a elezioni.

Per Salvini il 30% è la soglia oltre la quale si apre il piano B, l'alternativa all'estenuante alleanza di governo con i grillini, ovvero una maggioranza di centrodestra con Fdi. È uno scenario che è stato messo in conto dal quartier generale del ministro dell'Interno, ma che è condizionato non solo all'eventualità di un boom leghista il 26 maggio ma pure a quella di un exploit elettorale della Meloni (oltre che al via libera del Quirinale per elezioni anticipate ad ottobre). 

Per il M5s, invece, il punto cruciale è non scendere sotto il 20%, livello sotto il quale si aprirebbe inevitabilmente la crisi non solo della leadership di Di Maio ma del governo di Giuseppe Conte, già nel mirino dai falchi leghisti (vedi Giorgetti). A sei giorni dall'apertura delle urne i sondaggi sono banditi, ma questo non significa che i partiti non li stiano commissionando. 

E l'ultimo in mano alla Lega, prodotto da un noto istituto di rilevazioni, ha fatto accendere la spia rossa sul cruscotto leghista. Infatti Salvini si mostra molto prudente: «Se l'anno scorso ho preso il 17%, ora, a queste elezioni tutto quello che c'è sopra è già un successo, dal 18, al 19... . Ma andremo oltre e posso solo ringraziare gli italiani» dice intervistato da Quarta Repubblica. Sotto il 30% sarebbe un insuccesso? Risposta: «No». Il modulo all'attacco seguito dal M5s nelle ultime settimane, sparare senza pietà contro la Lega, sembra invece stia funzionando nell'arginare l'emorragia di consensi registrata negli ultimi mesi, anche se il 32% delle politiche 2018 è lontanissimo.

 

 

L’incontro di Papa Francesco con la stampa estera, ricevuta in Vaticano, non è stato un semplice scambio di cortesia ma una vera e propria lezione di giornalismo. Che il pontefice sia un attento e arguto comunicatore non è una novità. Ma con le sue parole Bergoglio, ancora una volta, ha toccato tutti i temi fondamentali del giornalismo: l’abc delle sue regole deontologiche e fondative, troppo spesso dimenticate nella pratica di una professione sempre più povera e tirata via, ma anche richiami alla trasformazione digitale, più subita che guidata dalla categoria.

Non è un caso che il Papa sia partito dai concetti di verità e giustizia, senza i quali viene meno, o dovrebbe venire meno, lo stesso ruolo sociale della professione:  “Vi esorto a operare secondo verità e giustizia, affinché la comunicazione sia davvero strumento per costruire, non per distruggere; per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialogare, non per monologare; per orientare, non per disorientare; per capirsi, non per fraintendersi; per camminare in pace, non per seminare odio; per dare voce a chi non ha voce, non per fare da megafono a chi urla più forte”.

In un tempo in cui molti diffondono fake news, l’umiltà ti impedisce di smerciare il cibo avariato della disinformazione e ti invita ad offrire il pane buono della verità». È l’analisi, evidentemente amara, della comunicazione odierna che Papa Francesco condivide con i 400 membri dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, ricevuti sabato mattina in Sala Clementina

il Papa ha accolto i giornalisti della Stampa Estera in Italia, ricevuti in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico grazie all' ex Presidente della stampa Estera Esma Cakir corrispondente Turca, che ha seguito e ha realizzato questa visita che viene dopo piu di 35 anni dal primo incontro con i corrispondenti e del Santo Padre Giovanni Paolo II. "La Chiesa vi stima, anche quando mettete il dito sulla piaga, e magari la piaga è nella comunità ecclesiale. Il vostro è un lavoro prezioso perché contribuisce alla ricerca della verità, e solo la verità ci rende liberi", ha sottolineato in uno dei primi passaggi del discorso. "Le dittature, infatti, - ha sottolineato aggiungendo un pensiero a braccio - la prima cosa che fanno è di togliere o limitare la libertà di stampa".

Francesco si è soffermato soprattutto sull'umiltà, come una delle caratteristiche fondamentali del lavoro giornalistico, precisando però che "giornalisti umili non vuol dire mediocri, ma piuttosto consapevoli che attraverso un articolo, un tweet, una diretta televisiva o radiofonica si può fare del bene ma anche, se non si è attenti e scrupolosi, del male al prossimo e a volte a intere comunità". "L’umiltà del non sapere tutto

Un monito ai giornalisti che raccontano le vicende italiane all'estero e quasi un anatema alle fake news. "Operare secondo verità e giustizia, affinché la comunicazione sia davvero strumento per costruire, non per distruggere", ha detto Papa Francesco rivolgendosi all'Associazione stampa estera in Italia ricevuta in udienza in Vaticano. Uno strumento "per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialogare, non per monologare; per orientare, non per disorientare; per capirsi, non per fraintendersi; per camminare in pace, non per seminare odio; per dare voce a chi non ha voce, non per fare da megafono a chi urla più forte". E poi l'invito alla stampa estera a non dimenticare il dramma dei migranti, con "Il Mediterraneo che si sta convertendo in cimitero".

La libertà di stampa e di espressione è un indice importante dello stato di salute di un Paese. Non dimentichiamo che le dittature, una delle prime misure che fanno, è togliere la libertà di stampa o ‘mascherarla’, non lasciare libera la stampa” ha detto Papa Francesco ai membri dell’Associazione della Stampa Estera in Italia, ricevuti in udienza stamani nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, riferendosi alle statistiche sui giornalisti uccisi mentre facevano il loro lavoro con “coraggio e dedizione in tanti Paesi, per informare su ciò che accade durante le guerre e le situazioni drammatiche che vivono tanti nostri fratelli e sorelle nel mondo”.

"Abbiamo bisogno di giornalisti che stiano dalla parte delle vittime, dalla parte di chi è perseguitato, dalla parte di chi è escluso, scartato, discriminato. C'è bisogno di voi e del vostro lavoro per essere aiutati a non dimenticare tante situazioni di sofferenza, che spesso non hanno la luce dei riflettori, oppure ce l'hanno per un momento e poi ritornano nel buio dell'indifferenza", ha detto Papa Francesco. "Le guerre dimenticate, ancora sono in corso - ha detto a braccio - ma la gente si dimentica" perchè "non sono all'ordine del giorno". Francesco ha quindi esortato i cronisti a scrivere un articolo sulle "guerre dimenticate dalla società ma ancora in corso". Poi ha domandato: "Chi parla dei rohingya, chi parla degli yazidi? Loro continuano a soffrire...". 

“Il giornalista umile e libero cerca di raccontare il bene, anche se più spesso è il male a fare notizia”, ha evidenziato Francesco. Di qui l’incoraggiamento a raccontare “la realtà di chi non si arrende all’indifferenza, di chi non fugge davanti all’ingiustizia, ma costruisce con pazienza nel silenzio”. “C’è un oceano sommerso di bene che merita di essere conosciuto e che dà forza alla nostra speranza”.

"Abbiamo bisogno di giornalisti che stiano dalla parte delle vittime, dalla parte di chi è perseguitato, dalla parte di chi è escluso, scartato, discriminato. C'è bisogno di voi e del vostro lavoro per essere aiutati a non dimenticare tante situazioni di sofferenza, che spesso non hanno la luce dei riflettori, oppure ce l'hanno per un momento e poi ritornano nel buio dell'indifferenza", ha detto Papa Francesco.

"Voglio ringraziarvi per quello che fate - ha detto ancora - perchè ci aiutate a non dimenticare le vite che vengono soffocate prima ancora di nascere; quelle appena nate che vengono spente dalla fame, dagli stenti, dalla mancanza di cure, dalle guerre; le vite dei bambini-soldato, le vite dei bambini violati. Ci aiutate a non dimenticare tante donne e uomini perseguitati per la loro fede o la loro etnia, discriminati, vittime di violenze e della tratta di esseri umani. Ci aiutate a non dimenticare che chi è costretto - da calamità, guerre, terrorismo, fame e sete - a lasciare la propria terra non è un numero, ma un volto, una storia, un desiderio di felicità".

Poi la Presidente dell' Associazione  P.Thomas ha invitato Papa Francesco alla nostra sede mentre li ha consegnato la nostra tessera professionale e cosi il Papa Francesco e diventato membro onorario della stampa estera con il num. 5313 grazie all' idea del collega Gustav Hofer.

 

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