Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Giovedì, 02 Maggio 2024

In città l'ultima tappa d…

Apr 30, 2024 Hits:180 Crotone

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:394 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:843 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:885 Crotone

La serie evento internazi…

Mar 27, 2024 Hits:1098 Crotone

L'I.C. Papanice investe i…

Mar 01, 2024 Hits:1559 Crotone

Presentato il Premio Nazi…

Feb 21, 2024 Hits:1663 Crotone

Prosegue la formazione BL…

Feb 20, 2024 Hits:1482 Crotone

La decisione della toga agrigentina ha fatto parecchio discutere. La Vella ha infatti sostenuto la necessità da parte della capitana della Sea Watch di entrare nel porto di Lampedusa sottolineando i rischi che correvano i migranti a bordo della nave dell'ong tedesca. Adesso il Consiglio superiore della Magistratura ha deciso di aprire una pratica a tutela del gip. La richiesta è arrivata dal Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli. Mercoledì scorso era partita infatti l'istanza con la firma di tutti i consiglieri togati del Csm. Al centro della pratica gli attacchi e le critiche ricevute dal gip dopo la sua decisione da parte di diversi esponenti del mondo politico, tra questi il ministro degli Interni, Matteo Salvini.

Come riferisce il giornale adesso la prima commissione dovrà esaminare e discutere la pratica. Di fatto dunque il Csm si schiera dalla parte del gip e prova a metterla a riparo dagli attacchi di questi giorni. Intanto sul fronte delle indagini, il prcuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio e l'aggiunto Salvatore Vella, hanno convalidato il sequestro della Alex di Mediterranea che era stato predisposto dalla Guardia di Finanza nella notte tra sabato e domenica. Il sequestro comunque è passato da prventivo a probatorio. In questo senso c'è il rischio che, come già accaduto in passato, al termine dei riscontri di indagine la nave possa essere dissequestrata e quindi tronare in mare. Contestualmente alla convdalida del sequestro è stato iscritto nel registro degli indagati il capo missione ndi Mediterranea, il parlamentare Erasmo Palazzotto. Infine va ricordato che la Guardia di Finanza ha anche rilevato un ingresso accidentale nelle acque terriotirali italiane da parte di Alex nella giornata di venerdì. E questa infrazione potrebbe far scattare una sanzione da 65mila euro e il seuqestro amministrativo (con confisca) dell'imbarcazione.

I recenti casi che riguardano soprattutto la Sea Watch e la Mediterranea Saving Humans, fanno ritenere a Salvini imprescindibile intervenire quando ancora i barconi ed i gommoni si trovano in acque territoriali libiche o tunisine. Ma ovviamente non può essere, sia per ragioni di diritto che per opportunità logistiche, la nostra marina ad effettuare salvataggi a ridosso di Libia e Tunisia.

Per cui secondo Salvini l’importante è adesso dare manforte a Tripoli e Tunisi sia con un ulteriore potenziamento dei mezzi, che con l’utilizzo degli aerei della nostra aeronautica che potrebbero più facilmente intercettare i mezzi con i migranti a bordo appena partiti dalle coste nordafricane.

Come riferisce il giornale in questa maniera, secondo il piano del Viminale che a breve potrebbe diventare realtà, Roma può giocare d’anticipo rispetto alle Ong ed intercettare ancora prima di Alarm Phone i barconi. In tal modo, con i mezzi degli scafisti ancora in acque libiche o tunisine, possono essere le motovedette delle locali guardie costiere a farsi carico del salvataggio.

I migranti quindi, verrebbero ricondotti nei paesi da cui sono partiti e non invece traghettati verso l’Italia. Per attuare questo piano, occorre ovviamente una maggiore intesa con i governi di Tripoli e Tunisi. Non meno importante è l’accordo con il ministero della difesa per l’utilizzo dell’aeronautica, un’intesa non certo scontata visti i recenti pesanti screzi tra Salvini ed il ministro Elisabetta Trenta.

Così come scrive Francesco Grignetti su La Stampa, da parte sua però la titolare del dicastero della difesa avrebbe già dato il via libera per un uso coordinato ed organico dei mezzi navali ed aerei per il controllo delle rotte del Mediterraneo.

Non mancano però delle difficoltà, in primis riguardanti la Libia. Il paese è sempre più nel caos, il governo di Tripoli è impegnato nella guerra contro il generale Haftar, più volte nelle ultime settimane si fa riferimento all’insicurezza della regione tripolina. Ma, soprattutto, c’è perplessità per quel che riguarda la tenuta stessa della Guardia Costiera libica, formata spesso da milizie impegnate lungo il fronte contro Haftar.

Un accordo sotto il profilo diplomatico è alla portata, del resto gli attuali canoni che regolano i rapporti tra guardia costiera libica e governo italiano risalgono al periodo di Minniti nel 2017. Fin quando però ci sarà la guerra nel paese nordafricano, l’effettiva applicazione degli accordi ovviamente rimane un’incognita.

Discorso diverso invece per la Tunisia: qui delle istituzioni ci sono, peraltro a breve dovrebbe partire anche una missione militare italiana nel paese volta proprio a potenziare le forze armate di Tunisi. Per di più, dalla Tunisia oramai parte il 40% dei barconi destinati all’Italia: dunque, un’operatività del piano di Salvini in questo paese potrebbe dare i frutti sperati dal leader leghista già a breve termine. 

Pero mentre l Italia si prepara ad affrontare la immigrazione proveniente dalla Libia la Turchia vende, in particolare, droni alle milizie vicine al governo guidato da Al Serraj, gli Emirati invece donano blindati ed altri mezzi al generale Khalifa Haftar.  

Questo perché sia Turchia che Emirati hanno tutto l’interesse ad armare le rispettive parti appoggiate. A Tripoli nelle ultime settimane è un via vai di aerei cargo che da Istanbul od Ankara trasportano nuovo materiale per Al Sarraj. Stesso discorso si può dire lungo l’asse Abu Dhabi – Bengasi, lì dove gli Emirati hanno nelle vicinanze una base in cui si coordinano con l’esercito di Haftar.  

Più la battaglia per la presa di Tripoli va avanti, più la fisionomia dello scontro appare come una vera e propria guerra per procura tra le principali potenze regionali. A partire, da quelle che si contendono l’influenza del mondo sunnita: Turchia da una parte e blocco saudita dall’altra, all’interno del quale emergono gli Emirati Arabi Uniti.

Avere il predominio sulla Libia vuol dire anche mettere le mani su un paese molto ricco di risorse. Già ai tempi di Gheddafi, la Turchia vanta investimenti miliardari in infrastrutture e rapporti sotto il profilo economico con molte aziende libiche. Una circostanza che fa di Ankara un attore importante in Libia, oltre che ramificato e questo è un altro elemento che depone a favore di un’alleanza con Al Sarraj.  

Ed in queste settimane attorno alla capitale libica sembra avviarsi una vera e propria guerra nella guerra, quella cioè relativa alle forniture di armi: Ankara ed Abu Dhabi si contendono il primato per la vendita di armamenti di ogni genere alle rispettive fazioni di riferimento, ignorando del tutto l’embargo imposto dall’Onu nel 2011.

Lo stallo in cui versa il fronte a 25 km dal centro di Tripoli, invece che spingere le parti ad un cessate il fuoco sta generando un aumento dell’intensità del conflitto come dimostra anche il recente caso relativo al bombardamento del centro per i migranti di Tajoura.

Sul piatto non c’è soltanto la contesa sulla Libia ma, più ingenerale, l’influenza del mondo sunnita: la Turchia, assieme al Qatar, appoggia i Fratelli Musulmani mentre dall’altro lato il blocco saudita è acerrimo nemico della fratellanza. Se Al Sarraj ha nel suo governo diversi esponenti dei Fratelli Musulmani, Haftar viene invece visto come l’unico affidabile baluardo contro il terrorismo ed ogni genere di islamismo, anche politico. Per questo viene quindi appoggiato dall’Egitto, il cui presidente Al Sisi dichiara la fratellanza fuorilegge, e quindi da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Miliardi ed investimenti che fanno gola anche ad Abu Dhabi ed a Riad. Ma non solo: avere la Libia significa avere quei porti che si affacciano dritti sul Mediterraneo centrale. E se gli Emirati con gli scali libici vogliono certificare la propria presenza nel Mare Nostrum, i turchi invece guardano con molto interesse alla loro strategia nel Mediterraneo orientale, che vede Ankara sempre più propensa a sfruttare, anche con il controllo di Cipro del nord, le risorse energetiche scoperte di recente in questa macro area.

Conflitto per l’influenza del mondo sunnita dunque, ma anche interessi relativi alle risorse petrolifere libiche ed alla posizione geografica del paese nordafricano: difficilmente vedremo, nel breve termine, turchi ed emiratini provare a lavorare per una diminuzione almeno delle rispettive forniture di armi. E questo significa dunque vedere quasi come un miraggio il cessate il fuoco.
 
Intanto noi litighiamo su immigrazione e non immigrazione ... ma chi crea il problema : Missili francesi tra le forze di Haftar ora Macron non può più mentire...Parigi lo ammette: i missili Javelin trovati nella base dei combattenti di Haftar a Gharian, in Libia, erano effettivamente francesi. Confermando la rivelazione del New York Times, il ministero della Difesa francese non ha potuto negare quanto sostenuto dai reporter americani: “I missili Javelin trovati a Gharian appartengono effettivamente ai militari francesi, che li hanno acquistati negli Stati Uniti”. Queste le scarne dichiarazioni con cui Parigi ha fatto un’ammissione che potrebbe scatenare un nuovo scontro sulla Libia e in cui l’Italia potrebbe essere molto interessata. Perché è chiaro che la presenza di quei missili che hanno caratterizzato per 26 anni i conflitti mediorientali (dalla prima Guerra del Golfo all’invasione dell’Iraq nel 2003) non possono non provocare imbarazzo nella cancelliera francese, che da sempre continua a ribadire di non essere coinvolta in alcun modo nel conflitto tra la parte orientale e quella occidentale del Paese nordafricano.

La domanda dei reporter del Nyt è una sola: perché quattro missili anticarro made in Usa, acquistati dalla Francia nel 2010, sono stati trovati nel Comando generale del maresciallo della Cirenaica. Secondo le fonti francesi, i missili facevano parte di un lotto di 260 razzi venduti da Washington a Parigi. Le stesse fonti hanno poi confermato che queste armi sarebbero state usate per proteggere “le forze francesi schierate in Libia per operazioni di intelligence e di terrorismo”. Una conferma che dimostra due cose: la prima, che i francesi sono presenti con le forze speciali in territorio libico già dal 2010; la seconda, che esse fossero presenti proprio a Gharian, nodo cruciale dell’assedio di Tripoli da parte delle truppe del generale Haftar.
 

Bufera per un'intervista nella quale il sottosegretario M5s alle pari opportunità Vincenzo Spadafora attacca il vicepremier Matteo Salvini. La replica del leader leghista è durissima: 'Lasci'.

"Cosa sta a fare Spadafora al governo con un pericoloso maschilista? Se pensa che io sia così brutto e cattivo, fossi in lui mi dimetterei e farei altro, ci sono delle Ong che lo aspettano", dice Salvini in conferenza stampa al Cara di Mimeo. "Per me - dice ancora Salvini - il governo dura altri 4 anni, spero, certo se ogni giorno c'è un sottosegretario del Movimento 5 stelle che si alza la 'spara', diventa impegnativo... Lavorassero, se invece hanno voglia di fare polemica io son qua a fare il mio lavoro e vado a fare un giro nel centro liberato".  
 
Le parole del sottosegretario hanno scatenato un putiferio. Dal fronte leghista il coro è unanime: “Si scusi o si dimetta”. "Si può anche dissentire dal pensiero di un membro del Governo di cui si fa parte, ma c'è modo e modo e a tutto, comunque, c'è sempre un limite”, tuona il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari. E a chiedere un passo indietro del sottosegretario è lo stesso titolare del Viminale: "Cosa sta a fare al governo con un pericoloso razzista e maschilista? Se pensa che sono così brutto e cattivo, fossi in lui mi dimetterei e farei altro, ci sono delle Ong che lo aspettano".  

L''Italia - denuncia Spadafora in un colloquio con Repubblica - 'vive una pericolosa deriva sessista' e gli insulti alle donne 'arrivano proprio dagli esponenti più importanti della politica'. L'esponente M5s prende ad esempio di insulti contro le donne 'gli attacchi verbali' di Salvini a Carola Rackete, definita 'criminale, sbruffoncella, pirata'. 'Parole che - dice Spadafora - hanno aperto la scia dell'odio maschilista contro Carola, con insulti dilagati per giorni e giorni sui social'. Durissima la replica della ministra leghista Stefani. 'E' vile usare il dramma delle donne per attaccare Salvini. Andrebbe ripensato l'incarico di Spadafora.

Dagli insulti a Carola Rackete, alla condizione delle donne migranti, fino alle carte d’identità con scritto padre e madre che discriminano gli omosessuali, è un continuo j’accuse contro il vicepremier leghista e gli alleati di governo.

Dopo lo scontro con la ministra della Difesa in quota penta stellata, gli attacchi sul Blog delle Stelle e i paragoni calcistici del sottosegretario Manlio Di Stefano, non si placa l’offensiva grillina contro il leader della Lega. “L'Italia vive una pericolosa deriva sessista, come facciamo a contrastare la violenza sulle donne, se gli insulti alle donne arrivano proprio dalla politica, anzi dai suoi esponenti più importanti?”, provoca il fedelissimo di Luigi Di Maio con un chiaro riferimento. Quello agli “attacchi verbali" del vicepremier alla capitana della Sea Watch 3. “L'ha definita criminale, pirata, sbruffoncella”, continua Spadafora. “Parole, quelle di Salvini – prosegue il sottosegretario - che hanno aperto la scia dell'odio maschilista contro Carola, con insulti dilagati per giorni e giorni sui social”.

Poi c’è la “tragedia delle donne migranti” che secondo l’esponente grillino porta "la firma della Lega". “Il decreto sicurezza peggiorerà ancora di più la loro condizione di vulnerabilità, il ministero dell'Interno le sta lasciando senza più supporti", denuncia nel giorno della presentazione del primo censimento nazionale dei centri anti violenza. E tra le vittime del clima di ostilità, per il sottosegretario, non ci sarebbero solo le donne ma anche gli omosessuali. “Ero a Palermo, con una coppia di papà che stavano registrando all'anagrafe la loro bambina, l'ufficiale di stato civile ha allargato le braccia dicendo: 'Non ci possiamo fare niente, lo spazio è quello, uno di voi due verrà definito madre per legge'", racconta criticando una delle prime misure volute dal ministro dell’Interno.

“Vile” strumentalizzare “il dramma della violenza per attaccare Salvini” secondo la ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie, Erika Stefani. Dello stesso parere anche la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della commissione di inchiesta parlamentare per il Femminicidio, che chiede di non cercare visibilità “sulla pelle delle donne”. Di intervista “delirante” parla, infine, Giorgia Meloni, che ha espresso solidarietà al ministro Salvini per le "gravissime parole pronunciate dall’alleato di governo”.

Intanto, forse proprio per le nuove tensioni scatenate nella maggioranza dalle parole del sottosegretario grillino, è stata cancellata la cabina di regia per l’attuazione del piano sulla violenza contro le donne e la conferenza stampa di presentazione del primo censimento nazionale dei centri anti-violenza. L’incontro, al quale Spadafora avrebbe dovuto partecipare assieme al ministro per la Pubblica Amministrazione, Giulia Buongiorno, è stato annullato per “motivi personali” e sarà riconvocato a breve, ha chiarito in una nota proprio il sottosegretario.

“Il cinismo di Spadafora è incredibile, su Repubblica attacca le regioni e i centri anti violenza negando di non aver dato i fondi per loro previsti e oggi che tutti attendevano la cabina di regia per discutere finalmente del piano anti-violenza Spadafora annulla tutto perché non solo non ha idee ma con la sua intervista ha fatto arrabbiare la Lega e Salvini”, ha commentato la presidente dei deputati di Forza Italia, Maria Stella Gelmini. “Siamo davvero allo sbando”, chiosa la parlamentare azzurra, che evidenzia come “a pagarne le spese siano i cittadini, in questo caso le donne vittime di violenza che meriterebbero una sensibilità diversa”.

A spegnere l'incendio nel primo pomeriggio arrivano le dichiarazioni del leader del M5S, Luigi Di Maio, che interviene sulla questione cercando di smorzare i toni. "Quanto casino per un'intervista, ma è possibile che ora debba diventare il problema di questo Paese?", minimizza il vicepremier grillino mettendo l'accento sui "risultati" raggiunti sinora dall'alleanza giallo-verde: "Sono già partiti quasi tutti gli appalti, il 96%, dei 400 milioni stanziati per i Comuni, questi sono temi di cui deve parlare il governo e che ci rendono orgogliosi". "Lavoriamo e andiamo avanti", è l'appello di Di Maio per ricompattare la maggioranza.

Già il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, aveva annunciato di voler intensificare la presenza della Marina nel Mediterraneo, con nuove misure, andando allo scontro con il collega del Viminale, accusato di aver voluto sospendere l'operazione Sophia. Oltre a questo si procederà con i controlli aerei e radar volti a capire quando i barconi partono in modo da intervenire in tempo con un vero e proprio blocco navale militare. Inoltre, saranno fornite altre dieci motovedette alla Guardia costiera libica e si punterà a una trattativa diplomatica con la Tunisia per assicurare controlli anche da parte di quel Paese.

Nella diatriba tra Salvini e Trenta entra a gamba tesa il premier Giuseppe Conte: «Da alcune settimane stiamo assistendo a un progressivo incremento del numero di imbarcazioni che trasportano migranti che si approssimano alle nostre coste e sollecitano un attracco nei nostri porti. Diventa pertanto ancora più urgente coordinare le iniziative dei ministeri competenti, anche al fine di evitare che possano ingenerarsi sovrapposizioni o malintesi che finirebbero per nuocere alla nostra azione». Il vertice si terrà domani.

Ma i numeri dell'operazione Sophia danno ragione a Salvini. Nel 2017 si fecero 126 interventi per 15.218 persone soccorse, nel 2018 29 interventi per 3.172 immigrati soccorsi, con un totale di 18.390 soggetti recuperati, tutti arrivati in Italia.Peraltro, la Trenta più volte ha fatto capire che vorrebbe i porti aperti, a differenza del collega vicepremier leghista.

«Lei - proseguono alcuni ufficiali - pensa che la soluzione sia accogliere chi arriva dalla Libia perché quel Paese è instabile. In realtà, ha ragione Salvini, in Italia non devono arrivare».

Se la nuova soluzione proposta da Salvini da una parte piace, i militari sono però preoccupati per un altro aspetto.

«Prima di tutto - chiarisce un ufficiale della Marina di servizio a Roma - dobbiamo ricordarci che già con Mare Nostrum, all'epoca in cui capo di stato maggiore della Forza armata era l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi - si ipotizzò di bloccare i flussi. Il risultato fu che avemmo un'invasione. È ovvio che se ci si trovasse come allora di fronte a un gommone carico di migranti e gli stessi fossero in difficoltà o si gettassero in mare, come è probabile che facciano, le nostre navi dovrebbero recuperarli e portarli in Italia.

Ok al blocco navale, ma no a eventuali recuperi dei barconi, perché se il piano non fosse supportato da accordi bilaterali tra il nostro Paese e altre nazioni sarebbe un fallimento e rischieremmo una nuova invasione». Come ammesso dalla stessa Trenta la situazione libica è instabile, quindi è ovvio che a Tripoli non potrebbero essere riportati. «Ed è improbabile - fanno sapere ancora alcuni dipendenti della Marina militare - che anche Stati come la Tunisia possano decidere di accoglierli. Gioco forza si dovrebbe portarli nei Paesi a sud dell'Europa, in primis il nostro».

Vero è, peraltro, che con Mare Sicuro finora si è garantita la sicurezza delle acque territoriali, ma in tutti questi mesi gli interventi che hanno riguardato il recupero dei migranti da parte della Marina si contano sulle dita di una mano.

Il Cara di Mineo, come da tempo annunciato, chiuderà i battenti e il ministro dell'Interno, Matteo Salvini oggi è andato nella struttura del Catanese parlando di «bellissima giornata». Al suo ingresso una delegazione di dipendenti ed ex lavoratori del Centro accoglienza richiedenti asilo più grande d'Europa ha protestato utilizzato fischietti ed esposto uno striscione con la scritta 'Lasciati in mutande' contro la perdita del posto di lavoro e per chiedere garanzie al riguardo.

«Sul Cara siamo passati dalle parole ai fatti. Pensiamo già a cosa verrà al suo posto. Si recupereranno al presidio del territorio uomini e donne, si risparmieranno un sacco di quattrini: lavoriamo per ricollocare lavoratori, ma la Sicilia, Catania e Mineo non possono fondare il loro futuro sull'immigrazione. Oggi è un bel giorno per legalità territorio che dedico ai due anziani massacrati».

Il caso a cui ha riferimento il ministro Salvini, nella sua 'dedicà, è quello del 18enne ivoriano Mamadou Kamara, ospite del Cara di Mineo, condannato, l'8 febbraio del 2019, all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Catania. I giudici, accogliendo la richiesta del Procuratore di Caltagirone, Giuseppe Verzera, lo hanno riconosciuto colpevole del duplice omicidio per rapina, commesso il 30 agosto 2015, nella loro villa di Palagonia di Vincenzo Solano, 68 anni, e di sua moglie Mercedes Ibanez, di 70. La donna, è la tesi dell'accusa, sarebbe stata anche violentata. 

L'ivoriano si è sempre proclamato innocente. Rientrato in bicicletta nel Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo in cui era ospite, il 18enne fu bloccato da militari dell'Esercito e da un Ispettore Capo in servizio nel Cara, insospettiti dai vestiti che indossava, quelli della vittima, troppo grandi per lui. Ad accusarlo ci sono anche le indagini e i filmati visionati dalla Squadra Mobile di Catania e del commissariato di Caltagirone che lo riprendono mentre esce dal Cara e mentre si avvicina alla villa. Ma soprattutto lo accusa una sua polo blu trovata sporca di sangue nell'abitazione dei coniugi, dove furono trovati anche parte di un braccialetto che aveva nello zainetto con la refurtiva, ed i suoi pantaloni sporchi di sangue, i vestiti che indossò per tornare al Cara, che erano di Vincenzo Solano, taglia 56, enormi per lui, e le ciabatte della vittima.

Kyriakos Mitsotakis, leader di Nea Dimokratia e vincitore delle elezioni in Grecia, giura da nuovo premier oggi nel primo pomeriggio e, fedele alla promessa di mettersi subito al lavoro fatta in nottata, già domani dovrebbe presentare la lista dei ministri. Con il 39,8% dei voti e 158 seggi in Parlamento su 300, il politico conservatore potrà governare senza mediazioni, affrontando i problemi che ancora affliggono la Grecia anche dopo la fine dei programmi di aiuti, con i numerosi e stringenti obiettivi di bilancio costantemente monitorati dai creditori. Oggi a Bruxelles, alla riunione dei ministri delle Finanze dell'Eurozona, la Grecia con il prossimo governo di centrodestra sarà tra gli argomenti all'ordine del giorno. Mitsotakis ha promesso agli elettori di rinegoziare l'avanzo primario richiesto dai creditori per alleggerirlo e usare i fondi in surplus per tagliare le tasse a partire dal 2020.

Il leader Kyriakos Mitsotakis, 51 anni, punta a riforme per diminuire le tasse per lasciare spazio a una maggiore apertura agli investimenti privati e meno burocrazia. Nea Dimokratia è lo stesso partito che era al governo quando esplose la catastrofica crisi finanziaria greca, diventata poi crisi sociale. Ma oggi si presenta come una forza nuova e diversa :  Mitsotakis ha condotto una campagna elettorale in cui ha visitato ogni angolo del Paese. Ed è riuscito pian piano a conquistare la fiducia delle classi medio-alte, forte del suo ruolo da economista con studi in università americane. Ma Mitsotakis è anche l'erede della famiglia politica conservatrice (ma fortemente europeista) dei Mitsotakis-Bakoyannis: suo padre, Konstantinos Mitsotakis, è stato premier greco dal 1990 al 1993. Mentre sua sorella, Dora Bakoyannis (nata Theodora Mitsotakis), è stata ministro della Cultura, per poi diventare sindaco di Atene e ministro degli Esteri.
Mitsotakis dovrà affrontare i problemi che il Paese continua a fronteggiare dopo la fine dei programmi di aiuti della troika con stringenti obiettivi di bilancio costantemente monitorati dai creditori.

La Grecia “rialzerà di nuovo la testa con orgoglio”, ha detto il neo premier secondo quanto riporta la Bbc online. L’ex analista di McKinsey, figlio dell’ex premier Konstantinos Mitsotakis, ha sottolineato che le elezioni gli hanno dato un forte mandato per il cambiamento, aggiungendo però che sarà il primo ministro di tutti perché i greci sono “troppo pochi per restare divisi”. E ha ribadito la sua promessa: meno tasse, salari più alti e più investimenti, anche attraverso la richiesta di maggiore flessibilità ai creditori internazionali. A cui il nuovo premier chiederà di rinegoziare l’avanzo primario richiesto per recuperare coperture con cui tagliare le tasse a partire dal 2020. E’ ora che la Grecia “si faccia sentire” in Europa, ha concluso Mitsotakis. “I cittadini hanno preso il destino nelle loro mani. Domani è l’alba di un nuovo giorno”.

I mercati hanno festeggiato la vittoria dei conservatori: il rendimento dei titoli di Stato greci decennali è sceso a un nuovo minimo storico, il 2,09%, con lo spread in calo a 246,1 punti. Nel 2015, all’apice della crisi e dei timori di una Grexit, il tasso pagato dai bund ellenici aveva toccato il 14%.

Il risultato di ieri consentirà a Nuova Democrazia di governare da sola. La legge elettorale greca assegna infatti un bonus di 50 seggi al partito vincitore, cosa che di fatto garantisce la maggioranza a chi ottiene una percentuale intorno al 40 per cento dei voti. Al momento si stima che nella prossima legislatura il partito di Mitsotakis controllerà 158 seggi sui 300 della camera unica del Parlamento greco, la Boulè.

L’opposizione sarà formata quasi solo da partiti di sinistra: oltre a Syriza ci saranno KINAL – una coalizione di centrosinistra che comprende il vecchio PASOK, arrivata terza con l’8,1 per cento dei voti – i comunisti del KKE e il piccolo partito dell’ex ministro dell’Economia Yanis Varoufakis, . È entrato in Parlamento anche Soluzione Greca, un nuovo partito di destra nazionalista. Non ha superato la soglia di sbarramento Alba Dorata, il partito neofascista che alle ultime quattro elezioni aveva sempre ottenuto percentuali intorno al 7 per cento.

Mitsotakis ha 51 anni ed è figlio di una delle famiglie più ricche e potenti della Grecia. I Mitsotakis-Venizelos sono infatti una dinastia di armatori greci che ha già espresso tre primi ministri, numerosi ministri, parlamentari e governatori regionali. Dopo la laurea in relazioni internazionali ottenuta a Stanford, Mitsotakis lavorò come consulente per alcune banche e altre società finanziarie internazionali, tra cui la discussa società di consulenza McKinsey. Nei primi anni Duemila abbandonò il settore privato per entrare in politica. Nel 2013 fu nominato ministro della Riforma della pubblica amministrazione nel governo Samaras, quello che aveva il difficile compito di implementare le più dure misure di austerità richieste dai creditori e che fu sconfitto da Syriza alle scorse elezioni politiche, tenute nel 2015.

Nel corso della campagna elettorale Mitsotakis ha puntato sui temi classici del centrodestra: ha proposto come sua principale misura per il futuro un massiccio taglio di tasse alle imprese e agli investitori. Si è poi opposto al accordo stretto dal governo di Tsipras col paese un tempo conosciuto come Repubblica Jugoslava di Macedonia. In seguito all’accordo, una disputa diplomatica e culturale che andava avanti da decenni, la Fyrom ha preso il nome di Macedonia del nord e la Grecia ha rimosso il veto che aveva posto fino ad allora al suo ingresso nella NATO. Secondo diversi osservatori uno degli errori di Tsipras è stato proprio quello di sottovalutare l’ostilità dei greci all’accordo con la Macedonia del nord, dare il nome di Macedoni del Nord ai slavi che non hanno nulla a che vedere con la Grecia, Tsipras con l accordo di Prespes ha creato un pericoloso precedente, che il Popolo Greco mai ha condiviso questa sua scelta .

Ma Mitsotakis ha anche cercato di guardare al centro: in campagna elettorale aveva promesso una nuova spinta alla crescita economica, e nel suo primo discorso dopo il voto si è rivolto ai moltissimi giovani greci – fra i 350mila e i 400mila, secondo alcune stime – che si sono trasferiti all’estero negli anni della crisi. «Non vi chiederò di tornare», ha detto Mitsotakis, «ma di rivolgere lo sguardo e il cuore alla Grecia. Da oggi lavoreremo per cambiare il paese che siete stati costretti a lasciare».

Le ultime elezioni politiche in Grecia si erano tenute nel 2015, e Syriza le aveva vinte con il 36 per cento dei voti. Tsipras aveva promesso ai greci la fine delle misure di austerità e la rinegoziazione delle durissime condizioni imposte al paese dai suoi creditori. Il suo linguaggio radicale e la presenza di numerosi esponenti della sinistra estrema nel partito fecero temere a molti che il governo stesse preparando il paese all’uscita dall’euro. Il no proposto da Tsipras si e trasformato in Si firmando accordi lacrime e sangue portando il Paese in enorme difficolta economica...

Durante il suo mandato però Tsipras aveva mostrato un certo pragmatismo cedendo alle pressioni dei creditori e finendo con l’accettare un prestito internazionale a condizioni dure peggio delle precedenti. In seguito Tsipras aveva allontanato dal suo governo gli elementi più radicali, come l’allora ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, e adottato quasi del tutto i nuovi tagli di spesa e gli aumenti di tasse richiesti dai creditori.

Nell’ultimo periodo il governo Tsipras aveva anche superato gli obiettivi dei creditori, sulla carta promettendo di raggiungere un surplus primario – cioè incassare più di quanto spende al di là degli interessi sul debito – pari al 3,5 per cento, un livello altissimo e praticamente senza precedenti nella storia del mondo industrializzato, con cui aveva avviato alcune misure di redistribuzione (tardivamente, secondo alcuni). Il tasso di disoccupazione era comunque rimasto al 18 per cento, di gran lunga il più alto in Europa.

Oggi Nea demokratia ha il 39,8%, Syriza il 31,6, i socialisti l’8 e i comunisti il 5. Entra in parlamento per il rotto della cuffia la formazione di Yanis Varoufakis (3,5) mentre resta fuori Alba Dorata (2,9). Anche questo scenario garantisce al candidato premier Mitsotakis la maggioranza assoluta dell’assemblea con 158 seggi. A Syriza ne andrebbero 88. Il premier uscente ha chiamato il rivale alle 20.45, ammettendo la sconfitta. «Abbiamo fatto scelte difficili per cambiare il paese abbiamo pagato un prezzo alto».

Oggi lunedì, è prevista una riunione dell’Eurogruppo che dovrà fare il punto sulla situazione economica, finanziaria e fiscale di Atene. Il quadro di sorveglianza rafforzata per la Grecia e’ stato attivato nel luglio 2018 ed e’ entrato in vigore dopo che il programma greco finanziato dal Meccanismo europeo di stabilita’ si e’ concluso, nell’agosto 2018.

 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI