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La facciata della scuola

 

Che oggi la libertà di educazione in Italia non sia tenuta complessivamente in gran conto non è una novità: persino il Papa in persona ne ha parlato e scritto in più occasioni lamentando la sua esclusione dal dibattito pubblico e dall’agone politico, considerato nel senso più alto del termine. Quello che invece è nuovo è che una scuola libera (che dovrebbe essere poi il nome comune, e più semplice, degli ‘istituti scolastici parificati non statali’, espressione burocratichese che fa paura solo a sentirla), e non proprio una qualunque, ma una antichissima, anzi la più antica – di quasi quattro secoli per la precisione, risalendo la sua fondazione alla prima metà del XVII – sul territorio ancora viva nella culla della Cristianità (il Collegio Nazareno, a Roma), fondata da un Santo del calibro di San Giuseppe Calasanzio (1557-1648), non esattamente l’ultimo arrivato nella grande storia della santità bi-millenaria della Chiesa, possa chiudere per sempre e lasciare il posto a alberghi, hotel, pensioni, fate vobis. Che cioè un patrimonio obiettivamente ineguagliato (per tradizione e prestigio) dell’educazione cristiana del nostro Paese possa chiudere i battenti semplicemente così, dall’oggi al domani, arrendendosi come nulla fosse alle logiche del mondo senza colpo ferire per problemi meramente economici. Cattiva gestione, operazioni finanziarie discutibili, scelte dirigenziali sciagurate all’interno di un Ordine e della fondazione ad esso legata potrebbero infatti decretare tra pochi mesi appena (a giugno, al termine del corrente anno scolastico) la fine ingloriosa di un’istituzione educativa pionieristica in Italia che all’alba della modernità ha insegnato letteralmente a tutti (senza nutrire complessid’inferiorità verso alcuno) come e con quale motivazione si educa, non generalmente al ‘sapere’ o al semplice ragionare e ‘far di conto’, ma all’avventura complessa e straordinariamente difficile della vita che trascende (mai verbo qui fu più adatto) i libri e le mere accumulazioni nozionistiche. Se la grande storia della carità nel nostro Paese vanta una fioritura di opere e iniziative fuori dal comune lo si deve anche a tutto quello – ed è tanto – che questa originalissima Scuola cristiana posta proprio nel centro storico della Capitale ha trasmesso ininterrottamente nei suoi quasi quattro secoli di vita. D’altronde, il Santo prete aragonese (fondatore degli Scolopi, nel 1621) aveva iniziato l’opera – tra indicibili difficoltà, organizzative, pratiche e pastorali – proprio ‘per vocazione’ cristiana: cioè, per salvare dalla strada, dalle malattie e dalla miseria tanti ragazzi poveri di Roma. Che altrimenti chissà dove sarebbero finiti. In poche parole: perché era uno che ci credeva e si sarebbe fatto ammazzare per la missione tra il popolo. Fondando quel Collegio qualche anno più tardi, nel 1630, il Calasanzio voleva anzitutto – evangelicamente– ‘salvare anime’ insomma, a partire da quelle dimenticate e abbandonate del popolo dell’urbe. Fu così che il Collegio Nazareno divenne la prima scuola popolare d’Europa: unica nel suo genere, aperta a tutti, gratuita (e l’illuminismo è ancora molto lontano), diretta alla persona nella sua totalità.

Si dirà che erano altri tempi, altri contesti storici e che certe visioni oggi ormai sono sorpassate. Al che verrebbe da rispondere di rimando: sarà per questo che il presente è un disastro, educativamente parlando. Ma finisce sempre così, a ben vedere: quando il lavoro diventa un intermezzo come un altro per passare il tempo a ‘fare qualcosa’ invece che una vocazione che contribuisce a dare senso alle giornate, i risultati non possono che essere al ribasso. E un progetto educativo al ribasso non funzionerà mai: i giovani (gli educatori veri lo sanno bene) hanno bisogno di verità e ne avranno bisogno sempre, rimuovere anzi la domanda sul senso stesso della verità – umanamente parlando – come affermava pure qualche osservatore informato della scuola italiana tempo fa,è un’operazione alla base ‘criminale’ perché rende il bene uguale al male, Dio un’opzione tra le altre, la battaglia per la giustizia una domanda oziosa. Un autentico genio dell’educazione di tutti i tempi, San Giovanni Bosco, l’aveva capito bene. A chi gli chiedeva se non esagerasse ogni tanto a essere severo con i suoi ragazzi così giovani, il fondatore dei Salesiani rispondeva semplicemente: “se hanno l’età per peccare, allora hanno anche l’età per santificarsi”. Sarà per questo che da una parte abbiamo avuto Santi di 14 anni (come San Domenico Savio (1842-1857)) e dall’altra, oggi, ‘bamboccioni’ a 40 anni. Ma allora non è un caso che lo stesso San Giovanni Bosco ai suoi tempi si sia recato proprio al Collegio Nazareno per studiare meglio quello straordinario esperimento di educazione integrale, come la definiremmo oggi, che allora faceva parlare di sé anche nel lontano Piemonte. Ecco, alla luce di tutto ciò (molto altro si potrebbe aggiungere) assistere alla chiusura di una Scuola come questa dovrebbe provocare un moto di reazione e di sdegno civilein chiunque abbia un po’ a cuore la libertà educativa, la qualità dell’istruzione e il senso della scuola pubblica nel nostro Paese, a partire dalla classe dirigente dei laici cattolici che – in teoria – dovrebbero essere i più sensibili a certe istanze. Affermare che la libertà di educazione è un fondamentale principio non negoziabile e pre-politico (come è con tutta evidenza)ma nel contempo permettere senza colpo ferire che le stesse istituzioni che la rappresentano si arrendano come nulla fosse alla logica del mondo e della secolarizzazione senza neanche gridare all’ingiustizia e allo scandalo in corso sotto i propri occhi é una contraddizione clamorosa che nessun Paese civile – meno che mai un cattolicesimo organizzato degno di un Paese civile – dovrebbe mai permettersi.

Antonio Donno, ordinario di storia delle Relazioni internazionali nell’Università del Salento, affronta un tema scarsamente trattato, almeno in Italia: i rapporti Stati Uniti-Israele. Il volume (Una relazione speciale. Stati Uniti e Israele dal 1948 al 2002, Le Lettere ed., pp. 310, € 32) analizza incontri e scontri tra lo Stato di Israele e i vari governi degli Stati Uniti dalla nascita dello Stato ebraico (1948) quasi fino a oggi, partendo però dalla fine della seconda guerra mondiale, quando il movimento sionista ricominciò a tessere la sua trama diplomatica, collegandosi all’allora nuovo presidente americano, Harry Truman.

L'analisi dei legami israelo-americani per il secondo dopoguerra tiene conto dell'ambiente medio-orientale, in cui Israele e, per diverse ragioni, gli Stati Uniti svolsero un'intensa attività politica. Lo Stato ebraico doveva creare le condizioni per la propria sopravvivenza. Gli Usa dovevano contrastare la crescente penetrazione sovietica nella regione.

Nello svolgere tale attività, i due Paesi trovarono talora comuni ragioni per sviluppare un'intesa politica, ma altrettanto spesso percorsero strade diverse, quando non contrapposte. Le oscillazioni di questa relazione sono oggetto della documentata analisi del volume.

Burtscheidt_Andreas_-_Edmund_Freiherr_Raitz_von_Frentz

 

Il ruolo di opposizione politica e spirituale e la resistenza svolta dalla Chiesa contro i totalitarismi della prima metà del Novecento, in particolare in rapporto al nazionalsocialismo tedesco, continuano ad essere oggetto di accese controversie e discussioni tra gli storici. Nonostante il successo di pamphlet polemici e mirati film 'a tesi' però, la ricerca storica lentamente continua a fare i suoi passi e a rimettere a posto le tante verità oscurate dall'ideologia. Ne è testimone da ultima una recente iniziativa tenutasi in Vaticano, presso l'aula del Pontificio Collegio Teutonico, all'interno del Campo Santo Teutonico (meglio noto come Friedhof der Deutschen und der Flamen in tedesco, si tratta della più antica fondazione nazionale tedesca presente nella Penisola), dove si è svolta la seconda del ciclo di Conferenze pubbliche (Öffentliche Vorträge) dell'anno accademico 2013/2014 organizzate dalla filiale romana della Görres-Gesellschaft, la società di studi nata nel 1876 in memoria dello scrittore e storico Johann Joseph von Görres (1776-1848) istituita per rispondere al duro Kulturkampf bismarckiano e in generale ai progetti di aggressiva laicizzazione della società portati avanti allora dal nascente Stato unitario tedesco guidato dalla Prussia. Ospite e relatore per l'occasione, introdotto dal direttore Stephan Heid, lo studioso Andreas Burtscheidt di Bonn che, prendendo spunto da una sua recente ricerca in materia – molto documentata e pubblicata in un volume tutto da leggere per i tipi della Kommission für Zeitgeschichte (cfr. A. BURTSCHEIDT, Edmund Freiherr Raitz von Frentz. Rom-Korrespondent der deutschsprachigen katholischen Presse 1924-1964, Ferdinand Schöningh Verlag, Paderborn 2008, Pp. 340, Euro 30,00) – ha trattato la singolare, quanto ai più purtroppo poco nota, vicenda umana e professionale di un giornalista cattolico tedesco, Edmund Raitz von Frentz (1887-1964), oggi sepolto proprio nell'omonimo Campo Santo, nella Roma degli anni Trenta e Quaranta (“Zwischen Mussolini, Hitler und dem Papst: Edmund Raitz von Frentz als katholischer Journalist im faschistischen und nationalsozialistichen Rom” [Tra Mussolini, Hitler e il Papa: Edmund Raitz von Frentz giornalista cattolico nella Roma fascista e nazista]).

Nativo di Bonn da una famiglia dell’antica nobiltà germanica, dopo gli studi e la formazione giuridica a Berlino, Kiel, Münster e ancora Bonn, Reitz von Frentz si trasferisce a Breslavia dove più tardi incontrerà anche il filosofo Max Scheler (1874-1928), neoconvertito al cattolicesimo, che anima diversi circoli culturali esplicitamente in senso apostolico. Quindi, messa da parte l’attività di giurista, inizia a scrivere per la Kölnische Volkszeitung, il più importante quotidiano d’ispirazione cattolica dell’epoca, che lascerà solamente nel 1925 quando diventerà inviato da Roma per diverse testate d’informazione legate al Zentrumspartei, l’aggregazione politica più grande e rappresentativa dei laici cattolici tedeschi, fondata nel 1870. A Roma trascorrerà praticamente quarant’anni, il resto della sua vita (dal 1924 al 1964), diventando anche cameriere pontificio (Päpstlicher Kammerherr) e quindi membro a tutti gli effetti della Famiglia Pontificia, con la possibilità d’interloquire settimanalmente con il Pontefice in persona: sarà in questa veste che il suo ruolo di vero e proprio mediatore politico-diplomatico tra la Santa Sede e la Germania assumerà notevole rilievo, particolarmente per quanto riguarda l’opportuno orientamento politico e culturale che i cattolici tedeschi afferenti al Zentrum dovevano seguire proprio quando la morsa del regime iniziava a farsi sentire in modo più stringente. In effetti, oltre ai suoi reportage giornalistici e alle sue numerose lettere, l‘intera sua vicenda personale – in questi anni stringe amicizia anche con personalità di primo piano del cattolicesimo e della politica nazionale tedesca come il teologo Ludwig Kaas (1881-1952) e l’ex cancelliere della Repubblica di Weimar Franz von Papen (1879-1969) – ci permette di comprendere meglio numerosi aspetti spesso superficialmente criticati della politica diplomatica della Santa Sede (su tutti, il Concordato con il regime hitleriano appena insediatosi, il cosiddetto ‘Reichskonkordat’, siglato il 20 luglio 1933, né aupicato, né desiderato – ha spiegato Burtscheidt – ma un passo obbligato nel quadro di quelle condizioni storiche e geopolitiche per cercare di tutelare nel modo più efficace la già vessata comunità cattolica) e apprezzare più in profondità la portata dei reali equilibri in campo. Il Concordato, infatti, fu steso proprio sotto la direzione del cardinale segretario di Stato Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII, che a sua volta conosceva bene la situazione tedesca (oltre a parlarne fluentemente la lingua) e che Raitz von Frentz aveva conosciuto già negli anni Venti quando quest’ultimo era Nunzio apostolico (in quella veste il Nunzio non a caso aveva portato già a conclusione due importanti concordati con due Länder: la Baviera nel 1925 e la Prussia, nel 1929). E, ancora, la sua opera di mediazione culturale vedrà da vicino anche la nascita della famosa Mit Brennender Sorge, l’enciclica di condanna del nazionalsocialismo scritta direttamente in tedesco (unica nella storia della Chiesa) da Papa Pio XI e pubblicata il 10 marzo del 1937.

. Per chi è interessato a saperne di più, oltre che in consultazione presso il cospicuo fondo della Biblioteca della società di studi tedesca (oltre 35.000 volumi), aperta quotidianamente al pubblico, il volume si può richiedere per l’acquisto direttamente qui: http://www.kfzg.de/Publikationen/Reihe_B__Forschungen/Reihe_B__Band_101-120/Burtscheidt__Andreas__Edmund_F/burtscheidt__andreas__edmund_f.html.

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