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Lo scorso anno in occasione della Cerimonia di Premiazione del Premio letterario “Scriviamo Insieme” di Roma ho conosciuto Rosanna Cracco, scrittrice e poetessa nata a Valdagno (Vicenza) con una lunga esperienza d’insegnante di materie letterarie. La sua leggera ma inconfondibile cadenza veneta ha attirato immediatamente la mia attenzione. Le radici geografiche che ci accomunano hanno sicuramente favorito un approccio iniziale spontaneo, assolutamente naturale e all’insegna della simpatia.

Rosanna è una donna solare, difficile restare indifferenti al suo modo di porsi e direi impossibile non restare affascinati dal suo argomentare a tutto tondo, grazie ad un  notevole bagaglio culturale.  Di adozione sacilese, ha insegnato per 37 anni in provincia di Pordenone. “Un mestiere non mestiere, piuttosto una vocazione” – come ama lei stessa definire il lavoro che le ha dato i più bei momenti della sua vita.

Spesso ama ricordare i vari progetti scolastici che durante l’insegnamento ha ideato e promosso, sempre sostenuta dagli  attenti  e collaborativi genitori dei suoi alunni, affidandosi alla parte grafica di Vera Desiderio. 

Dal 1995 è responsabile del Bollettino Parrocchiale di San Giovanni del Tempio "La penna dei Templari" ed è cofondatrice presso la Biblioteca Civica di Sacile del gruppo culturale “Il Battito”, che tra le varie finalità, evidenzia la possibilità di confrontarsi in modo attivo e sinergico con la cultura poetica del territorio.

Con il gruppo ha pubblicato il quaderno di poesie “I fiori blu” nel 2012 e lo scorso anno, in occasione del 40° Anniversario del terremoto del Friuli, il libro “Pietra su pietra”.

                               

Fa parte del gruppo Pordenone Poesia Community, in stretto collegamento con pordenonescrive e pordenonelegge e da parecchi anni partecipa a Sacile al programma radiofonico “Forum Famiglia” a Radio Palazzo Carli, su temi concernenti la famiglia nel mondo contemporaneo..

Da un anno è membro del direttivo del Circolo della Cultura del bello di Sacile. Alcuni suoi scritti sono pubblicati in antologie e collane.

Ha all’attivo diverse pubblicazioni: “Semplice complesso” (Edizioni Samuele, 2012), “Equazione d’amore” (Edizioni Samuele, 2013) con tavole grafiche di Vera Desiderio, il libro di racconti “Occhio di bue faro sulle minuzie della vita” (Edizioni Vertigo Roma, 2015), “San Francesco. Le radici dell’amore” (Edizioni L’Azione, 2016) e la recente “L’intuffarsi del mare” (Edizioni Simple, 2017).

Operatrice culturale poliedrica e sempre attenta alle tematiche sociali, ora che è in pensione dalla scuola si dedica a tempo pieno e con sincera passione ad ogni attività afferente le arti letterarie. Spesso partecipa a premi letterari nazionali ed internazionali, ottenendo premi e riconoscimenti, che la incoraggiano a proseguire questo avvincente viaggio, convinta sostenitrice del valore delle parole.

 

Mi ha colpito il titolo della sua poesia “La rivoluzione del quotidiano” con la quale è stata premiata al “Premio Poetico Nazionale Amici di Ron”, un testo denso di contenuti sociali, che la Giuria del premio ha saputo cogliere ed apprezzare. Vorrebbe parlarmene?

 

Il tema proposto dagli Amici di Ron “Vivo sul Pianeta Terra”. mi ha coinvolto immediatamente: il creato, in senso lato, del quale fa parte in modo integrante l’umanità col suo intelligere, riporta alla coscienza cose che ho dentro da sempre e che hanno segnato i passaggi più profondi della mia esistenza. Natura, creato, cosmo, una sorta di miracolo dell’esistenza, un armonioso controcanto che mi riverbera dentro, un cammino di approfondimento di cui abbisogno, senza peraltro trovare una destinazione definitiva.   

Fin da piccola, passeggiando con mio padre a ridosso dei campi e dei monti di Valdagno in provincia di Vicenza, la mia terra natale, fiutavo le bellezze del selvatico tra i segreti dell’erba o delle file d’alberi scomposti pieni del loro mistero, o rimanevo stupefatta quando il furore della tempesta piegava le giunture dei rami, sotto un cielo corvino, quasi a portar via la terra. Oggi che si è acquietata la paura per l’accanirsi degli elementi antichi, la forza di un temporale estivo ha lasciato il posto a ben altre e gravi problematiche, legate a scelte economiche che coinvolgono tutto il pianeta, dentro una vita regolata da un sistema basato sulla finanza. Abbiamo costruito con le nostre stesse mani un sistema perverso che ci sta divorando, dove l’uomo risucchia indiscriminatamente le risorse offerte dalla terra. L’economia globalizzata e il nichilismo negatore di tutto sovrastano e spesso il nulla si accavalla al nulla, chiudendo a priori anche le strade percorribili. 

Io non ho in mano le sorti del mondo, non possiedo banche, non sono un leader politico, ma posso ugualmente agire: come? Dentro il mio quotidiano, attraverso gesti piccoli ma rivoluzionari. Io la chiamo la “rivoluzione del quotidiano”, accrescendo le conoscenze e compiendo gesti consapevoli come: rispettare l’acqua, spegnere una lampadina, raccogliere una carta da terra, fare la spesa con accortezza, conoscere la provenienza del cibo, fare il proprio lavoro con onestà, aprirsi di più agli altri!  E soprattutto posso insegnare l’amore per la natura alle giovani generazioni, perché il cammino del creato segna sempre una nuova partenza: E faccio mia l’unica rivoluzione/ che posso, quella del mio quotidiano/ nel balzo di fertilità di un piccolo trifoglio/… Mi piego a raccogliere lo scarto del giorno/ noncuranza di chi non comprende/ Guardo lo scroscio dell’acqua sulle mani/ come muovesse la placenta dell’universo/E insegno alle giovani promesse/ ad amare questo nostro mondo/dal vigore mosso dei campi/ alla fame che pigola dai rami/ Piccoli coscienti gesti di rinascita/.”

Sì, πάντα ῥεῖ, ma in questo scorrere posso incidere nel quotidiano!

 

Recentemente, in occasione della settimana della Cultura di Sacile, nella magnifica location di Palazzo Ragazzoni ha presentato con successo  la sua silloge “L’intuffarsi del mare” (Edizioni Simple, 2017). Perché nel titolo il mare?

 

Il titolo della silloge (L’intuffarsi del mare, ed. Simple febbraio 2017), che ha vinto il 1^ premio al “Concorso scriviamo Insieme” Roma Capitale il 15 ottobre 2016,  nasce da una domanda di mio figlio Sirio quando aveva 4 anni di fronte al mistero del mare: “Perché il mare si intuffa?”. Un neologismo perfetto mai dimenticato! Dopo tanti anni un tentativo di risposta: il mare quindi come contenitore di valori e di bellezza, come memoria, come presente affettivo, ma anche come richiamo alle dinamiche e problematiche sociali legate al divenire umano e come riscoperta del mito quale bisogno, da parte di  un gruppo, di un etnos, di spiegare la realtà. E come un’onda i versi assumono mille e mille sfumature e risonanze, da Trieste fino a Lampedusa… Tutta la vita metafora del mare! “La ricchezza assomiglia all'acqua di mare: quanto più se ne beve, tanto più si ha sete”, affermava uno dei filosofi che preferisco, Arthur Schopenhauer.

Nel testo così si profilano 5 tematiche: 1) il mare come fonte di bellezza; 2) il mare come eco del sé, 3) il mare come eco del mondo; 4) il mare come impegno sociale; 5) il mare come mito. 

 

A proposito della settimana della cultura che si svolge nella sua città, quali sono i temi sui quali vertono principalmente le iniziative?

 

La “Settimana della cultura di Sacile”, il “giardino della Serenissima, ormai non dura una settimana ma un mese intero e sempre maggiori sono le richieste di adesione che provengono da più parti.  Ora siamo al 7^ compleanno.  “Sacile è... la Settimana della Cultura 2017”, dal 9 al 25 aprile, si è consolidata come contenitore di spessore nel palinsesto delle iniziative culturali sviluppate in città, declinandosi con un ciclo di appuntamenti culturali: musica, classica, lirica, corale, sacra, cinema, libri, teatro, cabaret, mostre, convegni, seminari, visite guidate, incontri, appuntamenti con l'autore, poesia, insomma con le poliedriche manifestazioni del mondo artistico.  

Anche quest’anno si è confermato il riconoscimento del Ministero dei beni e attività culturali e del Turismo che rafforza ancora di più il valore di questo progetto. L’edizione 2017 presenta una novità: l’ approfondimento sul rapporto tra tecnologia innovativa e territorio, in particolare negli effetti e conseguenze positive che la tecnologia stessa è in grado di sviluppare. Tra le iniziative di maggior impegno ha trovato spazio la mostra denominata “Realtà e Innovazione Digitale” realizzata in collaborazione con gli istituti superiori del Sacilese: un percorso innovativo e coinvolgente alla scoperta del nostro territorio attraverso una prospettiva di tipo immateriale. Il nostro Sindaco Roberto Ceraolo e l’ Assessore alla Cultura Carlo Spagnol  hanno davvero cooperato per dare una connotazione culturale alla nostra città. Interessante: cultura ed economia possono integrarsi e dare ottimi risultati!

 

Lei fa parte del gruppo culturale “Il battito”, in seno al quale svolge, insieme ad altre persone, una proficua  e lodevole attività volta alla divulgazione della cultura. In occasione del 40° Anniversario del tragico sisma in  Friuli avete dato alle stampe un’interessante opera editoriale dal titolo “Pietra su pietra” dalla distruzione alla rinascita (Publimedia), un contributo pregno di contenuti didattici ed educativi, volto a tenere alta la memoria di quanto accadde al popolo friulano. Come è stato accolto fra i più giovani?

 

Il gruppo culturale “il battito” è stato da me cofondato con la dott.ssa Fiorella Vazzoler nel 2011. Luogo di incontro la Biblioteca Civica Romano Della Valentina di Sacile, divenuta anno dopo anno un punto di riferimento non solo per la lettura, ma anche per iniziative culturali che coinvolgono le scuole e le associazioni, grazie alla professionalità della bibliotecaria Nadia Albano. Tra le più belle iniziative del nostro gruppo segnalo proprio la pubblicazione del testo in oggetto. Con alcune semplici ma sentite pagine di riflessione (racconti, poesie, interviste, articoli giornalistici, riflessioni, ricordi), il nostro gruppo ha voluto rendere omaggio alla memoria, ricordando, insieme al dolore immenso della distruzione, anche la determinazione e la volontà ferrea della ricostruzione e della rinascita.  Così scrive nella prefazione l’Assessore alla cultura Carlo Spagnol: “Quel terremoto del ‘76 va ricordato tra i più violenti che colpirono l’Europa dei nostri tempi. Una vicenda che segnò profondamente i territori, cambiando la nostra gente. La cambiò nel modo di comportarsi, di pensare e di stare con gli altri. È una storia di persone che hanno vissuto la paura, la distruzione, lo sconforto e che hanno perduto tutto. Allo stesso tempo è una storia che racconta la grande capacità di recupero, la generosità, la solidarietà e la voglia di ricostruire quanto prima tutto, come prima e dov’era prima. Tutto questo va ricordato perché oggi è più che mai necessario recuperare le testimonianze e gli esempi in particolare per le giovani generazioni così che sappiano reagire ai momenti di difficoltà che la vita pone loro di fronte.” 

Francamente i più coinvolti non sono i giovani, quasi spettatori più stupiti che coinvolti, ma quanti portano dentro la memoria di quei momenti terribili. Ma i giovani che ho incontrato in Fiera per l’evento “CUCINARE per mestiere per piacere” a Pordenone (11-14 febbraio 2017), che provenivano da Amatrice per promuovere con la cucina i loro prodotti e la loro storia, altro che se erano interessati! Sono venuti allo stand in cui mi trovavo ed hanno richiesto il testo pieni di commozione e gratitudine. Ne hanno portato una copia anche al Sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi.

In ogni caso il nostro testo “Pietra su Pietra” ha contribuito sicuramente a rinsaldare la memoria di tutti.

 

Leggendo il suo interessante profilo professionale ho saputo della lunga carriera di docente che ha svolto fino a poco tempo fa. Avrei voglia di chiederle cosa pensa della scuola del Terzo Millennio, che per tanti versi si è staccata dall’istruzione “tradizionale”?

 

Ci vorrebbe un libro intero per rispondere. Cercherò di farlo in modo pragmatico e sintetico, sottolineando solo alcuni aspetti che mi stanno a cuore. Gli elementi fondanti che sempre rimarranno invariati nel mondo della scuola sono: la centralità dello studente, buon livello di proposte educative, professionalità degli insegnanti, contesto scolastico e territoriale sano, famiglie collaborative. Una sinergia di forze in grado di risolvere ogni problematica.  Purtroppo però non è sempre così.

La professionalità dei docenti non è sempre appurata e neppure evidenziata, anche se la maggior parte di essi sono straordinari esempi di volontà e intuito; il contesto scolastico non è sempre gratificante preso tra i lacci della burocrazia imperante e dagli accorpamenti davvero esagerati di diversi ordini scolastici; i genitori, tranne alcuni casi, sono attenti al percorso scolastico dei figli, ma sono anche disorientati e pressati da un correre continuo e tendono a delegare in toto alla scuola il compito formativo; le proposte educative, attente allo sviluppo globale della persona e al territorio, ci sono, ma si muovono in un tessuto scolastico sempre più ristretto rispetto alla disponibilità economica.

Come premessa, essendo stata io una docente per 37 anni, vorrei sottolineare il grande ruolo degli insegnanti, come mediatori di conoscenze: la prima persona che deve esserci con la sua umanità, ricerca e passione per quel che fa è l’insegnante, senza lamentarsi eccessivamente perché i ragazzi sono poco interessati e studiano poco. Personalmente ritengo l’insegnamento una delle più belle avventure: stare con i giovani è una grande occasione per rimanere giovani, nel cuore e nello spirito, per ripartire dalle domande e dall’entusiasmo sempre vivo nella gioventù. Per motivare davvero un giovane allo studio, come a qualsiasi altra attività, si deve destare in lui una passione, motivandolo ad un «interesse» presente. Il ragazzo deve poter verificare come quanto sta affrontando riguarda la sua persona: tutti siamo consapevoli dell’efficacia del rapporto affettivo nel fenomeno conoscitivo! Quando sei colpito da qualcuno, allora scopri una parte di realtà fino ad allora sconosciuta e il rapporto diventa metodo, strada, chiave di accesso.

Ovviamente non può essere solo una riforma della Scuola a garantirne il miglioramento, ma devono essere i docenti ad impegnarsi personalmente, per cui diventa inevitabile una maggiore preparazione, sia nell’ambito specifico delle loro materie d’insegnamento che in quello tendente ad una preparazione generale necessaria per sapersi muovere fuori dalla scuola. 

 

E veniamo allo studente, perno dell’asse educativo, che si trova a vivere un’era nuova, apparentemente più facile, nella sostanza più disorientante e priva di punti di riferimento, un mondo in cui i diritti prolificano ma i doveri scarseggiano, in cui i valori tendono a scomparire.

Lo studente ormai digitale si trova il mondo a portata di un dito, rompendo confini e distanze. Negli ultimi anni prima di andare in pensione erano i ragazzi a costruire con me un percorso digitale, per tutti i lavori che facevamo, ma non è mai mancata ai loro occhi la figura professionale forte e autorevole del docente a cui affidarsi sempre. L’onestà lavorativa ed intellettiva del docente diventa essa stessa educazione. Gli studenti comprendono molto di più di quello che crediamo e sanno anche valutare l’operato.

 

Concludendo, l’istruzione tradizionale, troppo fissa, statica, che rispondeva a scelte di pensiero piuttosto indeformabili, ora risulta inadeguata, sia per contenuti, che per modalità, finalità e scelte educative.

L’istruzione era tesa a recuperare contenuti, la scuola di oggi si pone come obiettivo la formazione della persona nella sua complessità. Il conoscere si deve tradurre in fare, il fare in essere. Una progressione chiara.  So per esperienza che a scuola si deve stare bene e che stare bene vuol dire apprendere. E si apprendono contenuti che hanno una ricaduta sui comportamenti: perciò la scelta deve essere ponderata e insieme flessibile e adattabile alle esigenze che via via si manifestano.

 

L’atto educativo, sempre delicato ma sostanziale, richiede insieme ascolto e pazienza e ciò non vuol dire rinuncia, ma capacità di costruire e di aspettare.

Non ho paura di affermare che bisogna dar valori per coprire i vuoti esistenziali e per valori non intendo valori religiosi, ma valori etici che coinvolgono la sfera spirituale o simbolica. La salute di un ragazzo non riguarda solo il ben-essere fisico, psichico, sociale, ambientale, ma anche la personalità umana che in sé ingloba ogni aspetto della vita. L’uomo insomma è corporeità, ma anche pensiero. I nostri figli possono essere belli, intelligenti e sani, ma, se non credono in determinati valori sono destinati a perdersi, perché non saranno in grado di riconoscere prima la loro identità e poi il mondo in cui vivono. Ribadisco che la personalità umana si snoda su sei dimensioni (fisica, biologica, emozionale, affettiva e intellettuale, professionale sociale e spirituale  o simbolico, che si incrociano con i suoi 4 livelli (l’organismo, la persona, il cittadino, l’essere). Quello che definisco il “ben-essere dell’essere”, non è un gioco di parole, ma perno sostanziale dell’esistere. Perciò diventa fondamentale la scelta dei contenuti, in grado di educare i ragazzi all’elaborazione del senso critico ed esistenziale.

 

L’atto educativo deve essere integrato dal miglioramento economico del paese e dalle autonomie locali, che devono concretamente aiutare il miglioramento del sistema scolastico, con un maggior investimento nella ricerca e nell’aggiornamento, attraverso un incremento dei livelli culturali e una maggiore interazione con il mondo lavorativo.

La scuola del Terzo Millennio deve sapersi rinnovare, recuperando al contempo la misura dei classici e delle tradizioni, delle linee portanti la nostra cultura, ma deve anche aprirsi all’innovazione per recuperare i valori fondanti della società, come deve assolutamente perdere la prevaricazione burocratica che allontana il docente e il mondo della scuola dall’atto educativo: l’istruzione legata soprattutto ai contenuti deve lasciare il posto all’educazione globale: e-duco conduco verso se stessi, la società, il lavoro, il mondo, la vita!

 

Nell’antica Grecia l’istruzione apparteneva ai figli dei ricchi, i quali dall’età di sette anni  venivano seguiti da un insegnante privato, secondo un programma che comprendeva la scrittura, la lettura, l’aritmetica e i poemi omerici; infine, l’attività fisica. Le bambine, invece, imparavano a leggere e scrivere a casa. L’ordinamento scolastico fra Atene e Sparta si differenziava, poiché nella seconda si prediligeva la formazione e l’addestramento militare, previsto in questo caso anche per le donne fino al compimento del 18° anno, quando superate diverse prove, si univano in matrimonio e rientravano in casa. Solo molti secoli dopo alla donna è stato riconosciuto il diritto allo studio, un concetto universalmente valido, ma tuttora  non ben assimilato fra alcune culture. Cosa vorrebbe dire a riguardo, in quanto ex insegnante?

 

Facile affermare che il diritto allo studio è per tutti uguale, per uomini e donne, per i ragazzi provenienti da ogni dove: nella nostra società è ormai pensiero radicato che l'istruzione sia il mezzo migliore per promuovere l'uguaglianza fra i sessi e che l'educazione delle bambine sia la leva del cambiamento delle sorti di un paese. Ma bisogna vedere come tutto questo viene attuato nel mondo o com’è possibile attuarlo. I dati reali ci fanno riflettere: sono circa 58 milioni in tutto il mondo le bambine e le ragazze che non hanno accesso all'istruzione, persone che potrebbero cambiare i loro paesi e che non hanno la possibilità di farlo. L’esclusione delle bambine e delle ragazze dal sistema educativo non è soltanto la negazione di un diritto umano, ma rappresenta una grave ipoteca sul futuro di una società: le ragazze analfabete sono meno protetta dalla violenza, dalle malattie e dallo sfruttamento e non possono trasmettere ai figli un modello di vita ! Gli ostacoli alla scolarizzazione femminile nascono da discriminazioni di genere e pregiudizi assai radicati in numerose culture, specialmente nelle regioni del pianeta segnate da estrema povertà ed è lì che bisogna agire.

Per risolvere il problema i paesi cercano di superare gli ostacoli con vaste e radicali riforme dei sistemi scolastici, ma c’è bisogno anche del coinvolgimento di organizzazioni internazionali, soprattutto nelle aree rurali, fino alla promozione di un sistema scolastico alternativo per le ragazzine colpite da Aids, guerre e disastri naturali. Ritengo dovere dei paesi ricchi sostenere di più i programmi di educazione globale, ma  penso anche che esista una progressione non una risoluzione definitiva, insomma un percorso per tappe che renda tutto più attuabile, specialmente nei paesi sottosviluppati.

 

Secondo lei, oggigiorno qual è il senso dell’istruzione ai fini della formazione, e non mi riferisco solo a quella professionale, della persona attraverso la scuola?

 

Il ruolo della formazione della persona è fondamentale e viene prima di quella professionale. Faccio il paragone con i file del computer: tanti file sparsi sul desktop non arrivano all’unità e alla completezza se non vengono raccolti in una unica cartella. E la cartella è il nostro pensiero. La formazione deve tendere alla globalità della persona, valorizzando l’individuo e la sua autonomia, in una crescita che preveda i diritti e i doveri. La scuola, insieme alla famiglia, diviene quindi la principale agenzia di formazione e di socializzazione dell’individuo, uno dei perni su cui far leva per promuovere il benessere integrale dei ragazzi in età evolutiva. Non più concepita come semplice luogo in cui avviene una trasmissione di nozioni, al contrario, la scuola è un luogo di vita, dove si sperimentano molteplici incontri tra coetanei, dove si impara la convivenza civile e a relazionarsi con gli adulti.

In un’ottica che pone al centro dell’azione educativo-didattica il benessere psicofisico del discente, la scuola deve aprirsi alle problematiche odierne, per una crescita tanto cognitiva quanto emozionale e sociale. La scuola deve puntare l’attenzione sulla dignità della persona e sulla crescita individuale e sociale, quanto mai necessaria in un mondo in cui il concetto di diritto non sembra più associato a quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, come se la persona umana fosse staccata da ogni contesto sociale e antropologico. Educare alla cittadinanza, secondo me, è una delle mete fondamentali della scuola: ha molteplici e trasversali finalità perché interviene non solo sulle discipline, ma anche sullo sviluppo globale della persona: modifica comportamenti, promuove consapevolezza e benessere personale, scolastico e sociale. Le attività curriculari, oltre che recuperare conoscenze, devono tendere allo sviluppo critico, al benessere personale, sociale e scolastico, tappe indispensabili per ulteriori argomentazioni e sviluppi, come il rinforzo della stima di sé, la consapevolezza del proprio ruolo, le malattie, le dipendenze, l`alimentazione e stili di vita sani e utili a mantenersi sani, il raffronto positivo con la famiglia, il gruppo, la scuola,  il concetto di autonomia, la partecipazione consapevole alla vita civica e sociale, le norme che regolano la vita del cittadino, i problemi d` oggi, l’organizzazione della nostra società etc.

 

Sempre restando in tema, mi viene in mente un famoso pensiero del Dalai Lama: Lo studio è come la luce che illumina la tenebra dell’ignoranza e la conoscenza che ne risulta è il supremo possesso, perché non potrà esserci tolto neanche dal più abile dei ladri. Lo studio è l’arma che elimina quel nemico che è l’ignoranza. È anche il miglior amico che ci guida attraverso tutti i nostri momenti difficili. Condivide questa affermazione?

 

Come non abbracciare in toto questa luminosa affermazione! Anzi più passa il tempo e più comprendo come lo studio sia indispensabile per tutti: non a caso oggi si parla di educazione permanente. È vero che al giorno d'oggi la televisione ha fatto perdere l'interesse della cultura ai ragazzi e i soldi sono diventati la cosa più importante, tanto che i ragazzi, quando si trovano di fronte alla letteratura, alla filosofia, alla storia si domandano: "a cosa serve?". L’ignoranza, che nasce anche dal non studiare, in fondo è piuttosto celebrata dalle nuove fonti della conoscenza: per la tv, il web, i social conta l’approssimazione dell’attimo, il presentismo, e conta una certa sottocultura dell’apparire che non riconosce valore all’essere.

Certamente non un computer o una televisione insegnano ai ragazzi a conoscere sentimenti quali l'amore, la gioia, il bene, il male, la noia, la speranza, il dolore: ciò si impara solo studiando, conoscendo i filosofi e i letterati del passato, le vicende della storia, toccando le pagine dei libri, leggendo e  riflettendo su forme elaborate dal pensiero della storia.

Un buon cittadino non necessita solo di competenze tecniche, ma ha assoluto bisogno di capacità critiche e di dibattito che gli permettano di far parte della società non solo in termini produttivi, ma anche critici e strategici. E lo studio per questo diventa fondamentale: metafora di un viaggio capace di aprire una finestra sulla realtà che ci riguarda, che è dentro di noi e intorno a noi.

L’etimo di ogni parola nasconde sempre una storia: “studio” (dal lat. studium) indica la passione, l’applicazione e la passione dovrebbe accompagnarsi all’interesse (dal lat.  intersum, ovvero «sono in mezzo», «partecipo»). Lo studio diventa interessante perché la nostra persona partecipa, interviene, con la sua umanità, le sue domande, la sua vita. 

Concludendo lo studio è un diritto di tutti (permette di avere una certa cultura per confrontarsi col mondo con elasticità mentale); lo studio è un dovere (per la formazione del sé, per proiettarsi nel mondo del lavoro e per conseguire gli obiettivi della vita; senza competenza, e quindi senza conoscenza, sarà sempre più difficile trovare lavoro); lo studio è anche un piacere che il tempo aiuta a scoprire e a valorizzare, come un tener per mano che introduce alla comprensione.

Lo studio insomma ci aiuta ad affrontare l’avventura affascinante della conoscenza. 

“I veri ribelli studiano”, così afferma la scrittrice-insegnate Paola Mastrocola in un suo libro: un tempo i contestatori respingevano lo studio, adesso che siamo nell’era dell’ignoranza di massa, il vero ribelle è il giovane che studia e si prepara con passione e con responsabilità. Il ribelle studia, opponendosi alla decadenza dell’ignoranza.

“Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, noi stessi diventiamo qualcosa di nuovo” dice Leo Buscaglia.  E non sono solo i ragazzi che devono dedicare tempo allo studio! Tutti siamo studenti, finché abbiamo ancora qualcosa da imparare: e questo processo può avvenire per tutta la vita.

 

Prima di salutare i nostri lettori, potrebbe fare un breve cenno al Giornalino di San Giovanni del Tempio “La penna dei Templari”?

 

Una domanda che mi rende felice. “LA PENNA DEI TEMPLARI”, il periodico della parrocchia di San Giovanni del Tempio (Sacile PN), con 3 numeri annuali (Natale, Pasqua e Festa  del Patrono San Giovanni ), di cui sono responsabile dal 2001, arriva a 700 famiglie, unendo in qualche modo le due metà del paese divise dalla Pontebbana, strada ad alta densità di circolazione sempre supertrafficata. Anche se le ore di lavoro sono tante, metto a disposizione della comunità parrocchiale quello che ho dentro, il mio pensiero e la mia penna, coadiuvata naturalmente da alcune valide figure e sempre sostenuta dal nostro parroco Don Antonio Muraro che tanto valorizza il nostro periodico.

Il periodico consta di quattro parti: Vita Parrocchiale, I ponti della Fede, Spazi aperti, L’angolo della serenità.  Dalla vita parrocchiale, ai grandi temi della Fede, alla condivisione di argomenti che interessano tutti, all’attenzione per i più piccoli. La direzione di questo periodico mi ha fatto un gran regalo: un “apparato radicale interiore” forte, legato alla terra in cui vivo dal 1975. Alla fine quello che si dà, ritorna sempre con forme più ricche.

Ho incontrato Francesco Gallina, docente, giornalista e saggista, per parlare della sua ultima opera editoriale SOTTO BELLA MENZOGNA Influenze eterodosse e catare nel Convivio e nella Commedia di Dante Alighieri (Helicon, 2017), con introduzione a cura di Carlo Varotti e Gualtiero Rota dell’Università di Parma e la copertina di Angela Malinconico. Egli è anche autore di opere di poesia e narrativa, con una certa propensione per il genere storico e giallo. Ha esordito qualche anno fa  nel mondo letterario con l’Opera Prima DE PERFECTIONE, ottenendo ottimi riscontri di pubblico e critica.

SOTTO BELLA MENZOGNA, un interessante volume, corredato da illustrazioni,  è la sua tesi magistrale, che nel 2016 ha vinto il prestigioso premio letterario fiorentino La Ginestra; il giovane e talentuoso scrittore affronta con disinvoltura la ricostruzione storica del catarismo, un fenomeno culturale del passato e si suddivide in tre capitoli: il primo è una breve storia del dualismo dallo Zoroastrismo fino al Catarismo, mentre il secondo e il terzo sono dedicati rispettivamente al Convivio e alla Commedia.

Un lavoro promettente nel quale Francesco, laureato il Filologia Moderna, non ambisce ad applicare etichette alla figura storica di Dante Alighieri, ma favorire la conoscenza di presenze e assenze che, in particolare nel Convivio e nella Divina Commedia, trasgrediscono più o meno palesemente l’ortodossia stabilita dalla Chiesta cristiana nel tempo in cui vive il Sommo Poeta fiorentino.

Egli svolge attività di docente, giornalista e critico letterario e teatrale. Relatore di conferenze e organizzatore di laboratori di scrittura nelle scuole, al momento è redattore presso alcuni giornali locali e curatore della rubrica Officina Parmigiana su Il Parmense, guida narrativa alla scoperta delle pievi romantiche del parmense. Inoltre, ha al suo attivo articoli e pubblicazioni su riviste specializzate.

Il saggio SOTTO BELLA MENZOGNA è uscito in questi giorni nelle librerie e il 5 giugno alle ore 18.00 presso la libreria Feltrinelli – Strada Farini, 17 Parma inizierà un booktour con una presentazione a cura di Giuseppe Marchetti ed  Isa Guastalla.

Nei prossimi mesi l’autore porterà nelle scuole e nelle università italiane un ciclo di conferenze dal titolo I vizi danteschi. Un viaggio illustrato lungo 700 anni sul rapporto fra Divina Commedia ed arte. Tale progetto è già stato presentato all’Associazione La Dante di Parma e presso diversi istituti scolastici, riscuotendo immediatamente un notevole interesse da parte del corpo docente. 

Nel tuo libro SOTTO BELLA MENZOGNA (Edizioni Helicon, 2017), che definisco assolutamente interessante, affronti un promettente lavoro di ricerca sul catarismo, fenomeno ereticale che si diffuse in Europa tra il XII e il XIV secolo e si sviluppò ampiamente nella Francia meridionale. Il catarismo professava un dualismo radicale, secondo il quale non esisteva un solo Dio, ma due principi contrapposti: il Bene e il Male. Quale fu la risposta della Chiesa?

Partiamo da un fatto: ai tempi di Dante, un terzo dei fiorentini aderisce al catarismo. Tra di essi, un tale Farinata degli Uberti è condannato post mortem per essere stato uno dei suoi massimi esponenti. Chi furono i catari? Buoni cristiani e amici di Dio, come erano soliti definirsi, i Catari furono cristiani sterminati dalla Chiesa di Roma. Come è possibile? Erano cristiani, è vero, ma del Cristianesimo offrivano una versione totalmente originale, che risentiva di una religione dualista di area balcanica, poco conosciuta, ma estremamente rilevante: il bogomilismo. Area balcanica che, ricordiamolo, fu attraversata più volte dai crociati cristiani diretti verso la Terra Santa. È così che si pensa vennero in contatto. Che cosa sostengono i Catari? Che l’uomo non deve aver alcuna pietà per la carne, in quanto frutto di corruzione satanica. In ogni uomo c’è una fiammella divina che giace dentro l’anima imprigionata nella materia. Solo pochi, grazie a un intervento divino esterno, possono averne coscienza e intraprendere un cammino verso la Verità, liberandosi dalle pastoie del corpo. L’anima si trova nel corpo, mentre lo spirito salvifico, che è custode dell’anima, è esterno al corpo; ciascuna anima creata dal Bene ha un proprio spirito a sua custodia, che il cataro desidera raggiungere. Questa è la purezza secondo i Catari: staccarsi dal Male della carne per fondersi con la perfezione del Bene divino. Ebbene, la Chiesa di Roma diede la caccia ai catari e intraprese una crociata contro gli albigesi (i catari provenzali), una carneficina che si protrasse per vent’anni, dal 1209 al 1229.

E quale è il ruolo ricoperto da Firenze? Possiamo definire Dante cataro?

Quelli furono anni che videro l’emigrazione di catari in tutta Europa, compresa l’Italia. Firenze fu una delle più importanti diocesi catare e, proprio a Firenze, nel 1939, il teologo Antoine Dondaine scoprì una delle fonti più preziose di matrice catara: il Liber de duobus principiis. Ora, il fine del mio lavoro non è quello di etichettare Dante o di fare rientrare la sua figura in schemi precostituiti. Quindi, no, non possiamo sostenere con certezza che Dante fosse cataro. Possiamo, invece, studiare quali influenze il catarismo e l’Islam abbiano eventualmente esercitato sul suo pensiero e comprendere quali sono le grandi innovazioni dantesche che esulano del tutto dalla teologia cristiana del tempo.

Papa Francesco, in occasione dell’apertura delle celebrazioni legate al settecentocinquantesimo anniversario dalla nascita di Dante Alighieri, ha speso per lui parole di elogio, unendosi al coro di chi riconosce in Dante un artista di aulico valore universale. Quindi, l’atteggiamento della Chiesa si è in qualche modo ridimensionato, da Paolo VI a Giovanni Paolo II, sino a Benedetto XVI, che riconosce all’interno della Comedìa, meglio conosciuta con il nome di Divina Commedia, messaggi simbolici in grado di descrivere la luce della fede, che con la sua forza illumina ed avvolge tutta l’esistenza umana. Vorresti parlarmi delle parole di Papa Bergoglio sul tema dantesco?

È sorprendente come la figura di Dante e la sua opera siano state immensamente rivalutate dalla Chiesa cristiana di Roma. Papa Francesco si colloca lungo questa linea interpretativa, che vede fra i massimi esponenti Papa Paolo VI, il quale disse: “Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire, della fede cattolica”. Non sta a noi valutare queste affermazioni, quanto semmai prenderne atto e metterle in relazione con quanto sostenuto dai rappresentanti della Chiesa di Roma nei secoli precedenti. Ne restiamo sorpresi. Fra i contemporanei di Dante, tra il 1327 e 1334, il domenicano riminese Guido Vernani rivolge una critica al vetriolo non solo contro il De Monarchia e la teoria dei due soli ivi espressa, ma anche contro la Commedia, definendo Dante un padre menzognero e un poeta infido, che può facilmente indurre il lettore in errore, come i vasi del diavolo. Più tardi sorprende altresì la sostituzione – decretata in età controriformistica – degli attributi mariani o dei sostantivi afferenti al divino associati da Dante a Beatrice nella Vita Nuova: il termine gloriosa divenne graziosa, beatitudine divenne felicità, salute si trasformò in quiete. Chi, ad esempio, coglie questo cambio nella ricezione della Commedia in ambito ecclesiastico è Foscolo, in pagine mirabili del suo Discorso sul testo della Divina Commedia.

La Divina Commedia, Poema Sacro, uno dei maggiori capolavori della letteratura internazionale, veicolo allegorico della salvezza umana, ha impresso un segno sulla cultura occidentale. Quali sono i passaggi all’interno del pensiero dantesco che hanno colpito maggiormente la tua attenzione?

Letti alla luce dell’eterodossia e, più in particolare, del dualismo gnostico e cataro, Convivio e Commedia serbano grandi sorprese, non solo in quanto testi letterari, ma in quanto testi impregnati di disciplina. Un esempio su tutti: Beatrice. Quando veniamo a sapere dal Boccaccio di Beatrice Portinari sono trascorsi ben cinquant’anni dalla morte di Dante. Ai tempi del Sommo non v’è alcuno che attesti l’esistenza di Beatrice: il cancelliere di Bologna Graziuolo de’Bambaglioli lascia una lacuna proprio laddove avrebbe dovuto dare informazioni sul padre di Beatrice, Jacopo della Lana (1328) non ne parla, e così anche l’autore dell’Ottimo Commento, che scrive di aver chiesto informazioni allo stesso Dante, senza mai aver ottenuto risposta. Ci interessa poi sapere se la Beatrice di Dante sia da identificarsi con Beatrice Portinari? Chi rappresenta veramente Beatrice? Di una cosa siamo sicuri: quello fra Dante e Beatrice è tutto fuorché un amore romantico.

Le accuse che Dante rivolge alla Chiesa simoniaca, corrotta e nicolaita – come affermi nel tuo libro – non sono certamente sufficienti per definire Dante un eretico, ma piuttosto un riformatore…

Certamente. Commetteremmo un errore se facessimo di Dante un eretico sulla base degli attacchi espliciti rivolti contro i pontefici romani. Sono altri gli aspetti potenzialmente eterodossi che rivestono passi della Commedia (e del Convivio) che passo in rassegna e analizzo uno ad uno lungo tutto il saggio.

Per concludere la nostra piacevole conversazione, vorresti parlarmi dei tuoi progetti futuri, con i quali sono certa tornerai di nuovo a sorprendere i tuoi lettori?

Il 5 giugno 2017 alle ore 18 inizia il booktour con la presentazione dell’opera SOTTO BELLA MENZOGNA alla Libreria Feltrinelli di Parma a cura di Giuseppe Marchetti e Isa Guastalla. Nei prossimi mesi porterò in giro per le scuole e le università italiane un ciclo di conferenze legate al rapporto fra Divina Commedia e arte. Si intitola I vizi danteschi. Un viaggio illustrato lungo 700 anni, progetto già presentato all’Associazione La Dante di Parma e ai ragazzi di diversi istituti scolastici, sia delle medie che delle superiori. Un’iniziativa didattica che è stata molto apprezzata dai docenti. La Commedia diventa fonte di ispirazione per illustratori e artisti che, lungo questi 700 anni, hanno onorato il capolavoro del Sommo Poeta attraverso espressioni e stili differenti: dalla miniatura al graphic novel, dall’affresco al fumetto, dall’acquerello all’incisione, dalla scultura alla litografia, dalla fotografia al cinema. Riavvicinare i giovani – e gli adulti – alla lettura della Divina Commedia si può, e porta grandi soddisfazioni.

 

Giusy Càfari Panìco è nata e vive a Piacenza, ma le sue origini sono distribuite un po’ in tutta Italia, fra Lazio, Emilia Romagna ed Abruzzo.

È direttrice artistica del Piccolo Museo della Poesia Incolmabili Fenditure di Piacenza, unico museo della Poesia presente in Europa, inaugurato nel maggio del 2014 e nato per iniziativa dell’omonima associazione culturale al fine di realizzare il sogno di veder nascere il primo museo dedicato alla nobile accezione delle Arti letterarie; è direttrice della collana di poesia Oltre per la Casa editrice Pegasus Edition.

La scrittrice, poetessa e critico letterario ha pubblicato tre libri di poesie: Come la luna di giorno come la luna di notte (Lir Edizioni,2008), Moto a luogo (Lir Edizioni,2010) e Dalle radici al cielo (Pegasus Edition,2015), con prefazione del candidato al Nobel per la Pace Hafez Haidar; è anche fondatrice dell’Associazione Volatori Rapidi, con la quale ha partecipato al Festivaletteratura di Mantova del 2008 ed ha pubblicato cinque libri: 1995 km. Da Santiago (Lir Edizioni 2007), Confini (Domino Edizioni,2009), L’ombrellone a tredici colori, Undici viaggi insoliti, Dodici spicchi di luna (Lir Edizioni, 2010).

Nel suo lungo percorso artistico, ha vinto decine di premi internazionali di poesia, fra cui Emozioni e Magie del Natale (Premio letterario della città di Piacenza) in diverse edizioni e il Premio della Giuria del Concorso Scrivere Donna 2012 di Pescara, presieduto da Maria Luisa Spaziani, pluricandidata al Nobel per la Letteratura.

Giusy Càfari Panìco è membro dell’Associazione culturale Pegasus di Cattolica, del Premio internazionale Montefiore e del World Literary Prize, premio itinerante nel mondo.

Recentemente ha scritto tre pièces teatrali a quattro mani con l’attore e regista Corrado Calda: Il Labirinto degli Uomini Libro (2013), Game Over (2014) e Il Tascapane (2015), ispirato all’esperienza al fronte maturata dal poeta Giuseppe Ungaretti e replicata per ben due anni con il TDA Teatro Varese. Le tre opere sono state rappresentate con notevole successo di pubblico e critica. Ha condotto una rubrica settimanale di poesia per l’emittente radiofonica  Radio Sound95, scrive per la testata giornalistica online Piacenza24 e collabora con il quotidiano Libertà di Piacenza.

Insieme a suo marito Corrado Calda tiene seminari di poesia e drammaturgia ispirati alla corrente poetica del Realismo Terminale, ideata dal celebre poeta milanese Guido Oldani; il quale  ha collaborato con entrambi  per un testo messo in scena durante Book City 2014 presso il teatro Franco Parenti di Milano.

Anche come scrittrice in prosa ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti ed è presente in diverse antologie. Il suo ultimo libro di racconti si intitola Maschile Singolare  (Lir Edizioni,2013) ed è imminente l’uscita del suo primo romanzo.

Sue poesie sono presenti nell’Antologia Novecento non più verso il Realismo terminale  (La Vita Felice,2016) e un’intera silloge di dieci poesie dal titolo La luna è una moneta è contenuta in Luci di Posizione – Poesie per il Nuovo Millennio (Antologia del Realismo Terminale) edita da Mursia nel 2017.

Il suo fiorente bagaglio culturale e di esperienze nell’ambito letterario e teatrale fa si che la conversazione con Giusy Càfari Panìco potrebbe essere interminabile, anche grazie alle forti affinità elettive che fatalmente ci hanno fatto incontrare. Di seguito l’intervista che l’artista ha rilasciato al Corriere del Sud.

Nella sua composita biografia leggo che riveste il ruolo di direttrice artistica del Piccolo Museo della Poesia Incolmabili Fenditure di Piacenza,  l’unico museo della Poesia esistente in Europa. Motivo di orgoglio per il nostro Bel Paese, anche se, in fondo, la Poesia non è poi così seguita. In questi ultimi anni  numerose case editrici di un certo rilievo hanno chiuso “storiche” collane ad essa dedicate. Cosa ne pensa?

Parlare di poesia nel 2000 può dare adito a diverse reazioni. Da un lato vi è un foltissimo numero di persone che la praticano, e parliamo di migliaia di persone, di appassionati che si dedicano al cimento quotidiano di mettere emozioni sulla carta e spesso pubblicano per piccole case editrici, prevalentemente autofinanziandosi. Sono persone di ogni età e anche molti giovani.  Non sempre essi  leggono poesie di altri autori, o dei grandi della tradizione italiana e mondiale. Insomma: siamo più un popolo di autori, o aspiranti tali, che di lettori. In questo, forse, c’è una tendenza  nel ritirarsi all’interno del proprio ego, tipica del nostro tempo. Tuttavia, negli ultimi tempi, anche grazie ai social network, è ritornato il piacere di trovare nelle parole dei grandi maestri, soprattutto del passato, il piacere di dar voce alle proprie emozioni: insomma di “usare” i grandi poeti per esprimersi. Penso, infatti, a tutte le citazioni su Facebook o Twitter di Alda Merini, di Pablo Neruda, di Kahil Gibran, tanto per citare forse i più gettonati. Se per certi versi questo può far pensare che la poesia si stia esageratamente  mercificando in questa sua entrata a sorpresa nel web, non si può negare che ci possa essere un volano di ritorno molto interessante. Negli ultimissimi anni le stesse grandi case editrici, che avevano decretato morta la poesia e ne avevano praticamente sospeso le pubblicazioni, stanno avendo inaspettati successi di pubblico, soprattutto con nuovi autori, spesso di paesi emergenti, che proprio attraverso l’utilizzo del web hanno iniziato a produrre poesia e poi a metterla su carta. Penso ad esempio a Rupi Kaur  che ha scritto il best seller mondiale Milk and Honey.

Nel nostro Piccolo Museo, unico in Europa,  stiamo cercando di dare voce sia ai nuovi autori che a quelli  del passato che molti giovani, come dicevo prima, conoscono solo attraverso piccole frasi sul web, dato che la poesia dell’ultimo secolo si studia poco anche a scuola, grave lacuna dei programmi scolastici.  Molti sono interessati ad approfondirne la conoscenza, in particolare dei nostri grandi italiani del Novecento, a cui il museo è dedicato.

Qual è il suo personale ricordo dell’indimenticabile Maria Luisa Spaziani, che nel 2012 la premiò nel Concorso Scrivere Donna di Pescara?

Maria Luisa Spaziani era una donna colta e di grande spirito, molto affascinante e determinata. La sua nota frequentazione con Eugenio Montale non le ha impedito di coltivare una sua personalità indipendente e di alta levatura. Non a caso, per tanti anni è stata candidata al Nobel per la letteratura.  Ho avuto occasione di leggerla tanto e di vederla in diverse manifestazioni pubbliche. Era ancora bella e piena di carisma anche nell’ultima parte della sua vita.  Non era presente alla mia premiazione in quanto già molto avanti con gli anni. Sapevo, però, che come presidentessa della giuria vagliava ogni scritto con rigore e severità; quindi, vado molto orgogliosa di quel premio, organizzato dalla Casa editrice Tracce di Pescara.

Recentemente ha scritto alcuni testi teatrali insieme all’attore e regista Corrado Calda. Cosa le ha lasciato questa esperienza maturata in un’accezione delle arti letterarie tanto diversa dalla poesia?

Incontrare Corrado Calda, che nella vita è mio marito, ma ancora di più compagno di vita, migliore amico e gemello di anima, mi ha cambiato la vita in tanti modi. Uno è stato quello di avvicinarmi al suo mondo: il teatro e il cinema. Ci siamo incontrati scrivendo a quattro mani uno spettacolo andato in scena  a  Piacenza: il “Labirinto degli uomini libro”, una piece itinerante in cui andavano in scena a diverso titolo Marcel Proust, Borges, Celine e Dostoevskji. Abbiamo poi scritto insieme “Game Over”, dedicato alla dipendenza dal gioco d’azzardo, diverse sceneggiature e poi la nostra opera più complessa: “Il Tascapane”, andata in tournée per due anni con il TDA Teatro Varese che aveva per protagonista un giovane Giuseppe Ungaretti al fronte della Prima Guerra Mondiale, il quale incontra la folgorazione della poesia nel dramma del conflitto mondiale.  Questa esperienza mi ha lasciato un’eredità stilistica, nel senso che ora per me è più facile scrivere dialoghi, che sono caratteristici della scrittura teatrale. E poi ho imparato a guardare i personaggi a 360°, pensando anche all’impatto che possono avere sul pubblico, sia esso in sala o al caldo, dentro le pagine di un libro. Vedere poi un attore che incarna una tua fantasia trasformata in parola è un’emozione fortissima, che dona la vertigine della Creazione divina.  Farò in modo di trasportare queste suggestioni nei due romanzi che sto cercando di portare a termine.

Vorrebbe spiegare ai nostri lettori cosa di intende per Realismo Terminale, corrente poetica ideata dal poeta milanese Guido Oldani, che lei segue con interesse?

Il realismo terminale è un’avanguardia poetica nata nel 2010. La riflessione di partenza di Guido Oldani è che in questi ultimi anni gli esseri umani stanno accelerando il processo di accatastamento nelle grandi città, nelle cosiddette megalopoli, circondandosi di oggetti, per loro sempre più indispensabili, e si assoggettano al loro potere. All’umanesimo si è sostituito l’oggettivismo. L’oggetto, trovandosi al centro dell’attenzione dell’uomo, è diventato soggetto, relegando a un ruolo secondario l’uomo stesso; la natura è sempre più vista come estranea e nemica, (ricordata quasi solo quando c’è un terremoto o un’alluvione). Realismo perché tratta di res: cose, oggetti. Terminale, perché i poeti che aderiscono alla corrente osservano la trasformazione in atto del mondo e del linguaggio (conseguente ad essa) che è nella fase del culmine, forse dell’ineluttabilità del non ritorno. In questo senso la nostra antologia “Luci di Posizione” edita da Mursia, la prima antologia del Realismo Terminale -  in cui, oltre a Guido Oldani e alla sottoscritta, sono presenti i poeti Giuseppe Langella (fondatore anch’esso del movimento e curatore dell’antologia), Franco Dionesalvi, Marco Pellegrini e Valentina Neri - è stata definita un evento nel campo letterario, poiché era da almeno vent’anni che non veniva dichiarata una nuova poetica e un nuovo manifesto culturale così di rottura, che non si limita solo alla letteratura ma si estende a tante altre arti.

Sempre a proposito di Oldani, mi colpisce la sua acuta osservazione circa il fenomeno sociale, in parte dettato dall’avvento sfrenato della tecnologia, secondo il quale oggi gli oggetti non sono più al nostro servizio, ma siamo noi ad essere forse un po’ schiavi di essi,  esasperando quindi  il concetto di consumismo. Quali sono le conseguenti metamorfosi nel costume e nel linguaggio, compreso quello poetico?

L’espressione più tipica del linguaggio del terzo millennio, e quindi della corrente del Realismo Terminale, è la “similitudine rovesciata” per cui si paragona un sentimento o un’azione non più alla natura, come accadeva un tempo, ma agli oggetti. Ad esempio invece di usare l’espressione “Sei veloce come il vento”, si preferisce: “Sei veloce come una Ferrari”, invece di “si sta caldi come sotto il sole”, “si sta caldi come sotto un piumone”. Persino Papa Francesco parla del cuore come “un ospedale da campo” o Jovanotti per spiegare quanto ama una ragazza canta “Sei come la mia moto”. È in corso una mutazione linguistica, oltre che antropologica.  Gli oggetti sono il nuovo termine di paragone. Questa constatazione, assieme a molte altre (ad esempio l’uso dell’elencazione confusionaria di oggetti a mo’ di catalogo), che non spiego per brevità, ha portato ad una nuova poetica, che utilizza uno stile moderno, tarato sul nuovo linguaggio, che non deifica  comunque l’oggetto in senso acritico, ma assiste alla mutazione genetica di questo nuovo mondo, senza allontanarsi da esso. Pone anzi il poeta come ultima sentinella di un umanesimo decadente, che si sta sempre più reificando, cogliendone con ironia la trasformazione e forse per arrivare in tempo ad un’auspicata inversione di tendenza.

I nostri ritmi di vita sono frenetici, tutto scorre e si consuma in fretta. Sulla base di questa considerazione, ritiene che sia giunto il momento di fermarsi un attimo a riconsiderare la qualità della nostra esistenza?

Ho avuto recentemente una disavventura che mi ha insegnato molto. Sono stata ricoverata per sedici giorni in ospedale per una brutta broncopolmonite doppia. Mi ero sovraccaricata di impegni lavorativi e familiari, nonostante fosse estate, il periodo del riposo. Sono stata costretta ad interrompere tutte le mie attività, a lasciare l’ufficio sguarnito, a disertare tanti appuntamenti anche piacevoli, ma impegnativi. Passato lo spavento e i postumi della malattia, nella convalescenza ho assaporato con sorpresa e gratitudine il dono del riposo, dell’ otium, che non a caso era sacro nell’Antica Roma, in quanto solo l’otium consentiva di creare, di raggiungere saggezza, consapevolezza, di potersi dedicare all’arte. In quei giorni, prima di ritornare nell’agone della vita moderna routinaria e spesso senza senso, ho riscoperto le mie passioni, ho letto tanti libri, mi sono ricordata di parti di me sepolte. E purtroppo ho dovuto ringraziare una malattia! Per questo credo che ogni tanto tutti dovremmo ritagliarci uno stop senza che il nostro corpo, più saggio talvolta del nostro cervello, chieda una pausa.  Ho visitato anni fa il Santuario dei Pensieri a Pennabilli, vicino a Rimini, una creazione di Tonino Guerra, che proprio lì scriveva: “Bisogna creare luoghi per fermare la nostra fretta e aspettare l'anima" e, nel silenzio, ho compreso il piacere di ritrovarsi con la persona più importante della nostra vita: noi stessi.

Ha pubblicato diverse opere in prosa e a breve sarà dato alle stampe il suo primo romanzo. Può anticipare qualche notizia a riguardo?

Questo mio primo romanzo nasce dalla mia esperienza ospedaliera. Non fornisco altre indicazioni per non togliere suspence. In realtà, ne ho anche un altro nel cassetto, ambientato nell’Italia degli anni venti, in Abruzzo. Entrambi necessitano di una revisione attenta ed accurata. Avendo come quasi tutti gli scrittori anche un’altra occupazione per potermi mantenere, spero di trovare il tempo per riuscire a portare a termine il mio progetto entro l’anno. La scrittura in prosa, tuttavia, è per me molto importante. Mi ci dedico a corrente alternata, ma in passato ho avuto diverse soddisfazione: con un racconto giallo, ad esempio, sono stata in finale al Mystfest di Cattolica.

Il suo libro di racconti Maschile Singolare ha attraversato l’Oceano, arrivando alla Public Library di New York. Un bel traguardo…

È stata una bella soddisfazione per me consultare il catalogo della Public Library e scoprire che era stato catalogato e pronto per essere dato in prestito. Che dire? E’ la Biblioteca che ammiro di più al mondo, dopo averla vista in tanti film famosi, per esempio Colazione da Tiffany. Ed è a New York, una città che amo moltissimo, crocevia di culture, ancora  - forse per poco - capitale del mondo. “Sapermi lì”, attraverso il mio libro, è un’emozione che non ha prezzo. Ringrazio anche la comunità italiana che mi ha sostenuto in questo senso. Il mio libro narra di uomini, di un maschile italiano sfaccettato, che penso possa interessare e incuriosire anche un pubblico straniero.

All’interno della dottrina platonica dell’arte vi è inserita un’aperta critica alla poesia. Prima di Platone, il suo maestro Socrate affermava che la poesia non è un autentico sapere, ma una forma di conoscenza instillata dalle divinità; in pratica, quando il poeta componeva era divinamente ispirato. Condivide la posizione del padre della filosofia nei riguardi della poíesis?

La poesia è certamente un dono. Una folgorazione, uno squarcio sull’infinito. Condivido il pensiero sull’origine divina dell’ispirazione. Divina in un senso non religioso, ma comunque portatrice di un mondo misterioso e sacro. Ungaretti parlava del “porto sepolto” come luogo dove attingere la poesia, che nasce dal nostro sé profondo.  Per essere più moderni, mi viene in mente Vasco Rossi : “Le mie canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole” A me succede spesso la stessa cosa: scrivo come se fossi in trance e mi ritrovo una bozza di poesia, quasi compiuta, come se non mi appartenesse, come se l’avessi sognata. Tuttavia, mi dissocio da Socrate quando non considera la poesia come un’arte, togliendo merito al poeta come “artigiano” delle lettere e anche come portatore di messaggio civico. Oggi in tanti scrivono, ma solamente è poeta, per me, chi disciplina l’ispirazione con tecnica, cultura, ricerca di musicalità e originalità. Con una sorta di mestiere. Altrimenti  ci si trova di fronte  solo a sfoghi emotivi, degni certo di attenzione… ma non è poesia!  E’ un arte complessa, che comunque non si può improvvisare. Io non mi ritengo legata a particolari binari, quali rime o canoni metrici (anche se a volte li utilizzo come omaggio alla nostra tradizione e per la musicalità), ma ritengo che, come Picasso si è distaccato dalle regole per dipingere in astratto - ma solo dopo averle studiate -, anche un poeta dovrebbe conoscere gli “strumenti del mestiere” per poi disfarsene, se vuole. Per questo, dopo aver ricevuto il dono della poesia, arriva il “labor limae”, fondamentale strumento di perfezionamento dell’opera poetica. Nel mio piccolo, per esempio, ho impiegato dieci giorni per decidere se utilizzare in una poesia un verbo oppure un altro.  Insomma, a mio avviso non ci si può improvvisare in nessun mestiere, tantomeno in quello del poeta. Anche alcuni autori del Novecento, che in tanti percepiscono come poco colti o improvvisati, se si analizzano le loro biografie,  si scopre che avevano vasta cultura e sapienza nell’uso della parola, come ad esempio Alda Merini. I doni vanno accettati e poi però rifiniti, levigati, sudati con il sangue, a volte, per poter rendere quella verità a cui a volte ci si può solo avvicinare.

Se l’antica filosofia greca parla di Muse ispiratrici della poesia, contestualizzando la domanda  alla nostra epoca, vorrei chiederle quali sono i poeti e gli scrittori che considera in un certo qual modo modelli di riferimento?

Premettendo che sono sempre stata una grande lettrice di classici della letteratura, devo confessare che la mia primissima ispirazione viene dai testi musicali. Sono nata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, avendo nelle orecchie, fin da neonata, i testi di Mogol musicati da Lucio Battisti: sono stati loro i miei primi maestri di poesia. Successivamente, da adolescente, ho amato molto i testi di Enrico Ruggeri degli anni Ottanta. La musica mi ha portato a leggere i testi di Jim Morrison, Paul Simon, Bob Dylan, John Lennon, Mark Knopfler. I miei primi componimenti, le prime suggestioni giovanili, provenivano principalmente da loro. A diciassette anni ho avuto una folgorante passione per Rimbaud e per i poeti maledetti. Gli antichi, in particolar modo, i lirici greci tradotti da Quasimodo e studiati al Liceo, mi hanno trasportato in mondi meravigliosi e arcani.  Più adulta mi sono innamorata delle grandi poetesse anglosassoni Emily Dickinson e Elizabeth Barrett Browning che ha in un certo qual modo ispirato il mio primo libro di poesie d’amore “Come la luna di giorno come la luna di notte”. Tra i poeti italiani i miei preferiti sono, in ordine cronologico, Foscolo, Leopardi e Ungaretti, ma amo tutto il Novecento italiano. Per quanto riguarda la prosa, non ho un autore di riferimento per quanto riguarda il mio stile. Sono un’appassionata di Proust e della Recherche, che ho letto due volte rimanendone sempre avvinta in modo irresistibile, e di Dostoevskij. Considerò entrambi gli inarrivabili maestri della letteratura mondiale. Per quanto riguarda i nostri giorni, divoro tutti i libri di Amelie Nothomb e vorrei rubarle l’ironica e istrionica fantasia.

Facendo un salto di diversi secoli, Martin Heidegger definisce, invece,  la poesia “arte della parola”, laddove il linguaggio rappresenti lo strumento essenziale per accedere al mondo; in altre parole, la poesia “mette in opera la verità”. Qual è la sua opinione nei riguardi di tale pensiero filosofico,  all’interno dell’esistenzialismo ontologico?

La parola è tutto ciò che ha l’essere umano per descrivere il mondo. La parola è essa stessa creazione, individuazione, scoperta; produzione, come suggerisce il significato etimologico della parola greca poíesis. È forma e sostanza. Mi ritrovo nelle parole del grande filosofo quando esalta il carattere poetico del linguaggio, ovvero il suo carattere aprente, disvelante e istitutivo del mondo. Però arrivare al noumeno, alla verità non è dato a nessuno strumento umano, a mio avviso. La parola, la poesia, forse l’arte in genere, è solo un telescopio che ci permette di avere un’immagine semplicemente più vicina della realtà “vera”, che rimane misteriosa. Eroico è il tentativo del poeta che come un esploratore cerca di arrivare al mondo e all’oltremondo con le sue piccole armi umane. La tensione della ricerca è la poesia stessa.  Una meravigliosa impresa, commovente ed esaltante.  Che lascia quell’incompletezza del sapere, del verificare, che è l’essenza, direi quasi il vero gusto della Fede, dell’Arte. “Di questa poesia mi resta quel nulla di inesauribile segreto” recita Ungaretti nel “Porto Sepolto”, una delle mie poesie preferite.

Vorrei concludere con una domanda in “stile Marzullo”: se lei chiedesse a se stessa qual è il livello di appagamento raggiunto grazie al suo interessante percorso artistico, cosa risponderebbe? La domanda avrei potuto rivolgergliela anche in forma diretta, ma le analisi introspettive a volte forniscono risposte più profonde…

Sono sicuramente appagata della mia attività di operatrice culturale, soprattutto del mio impegno come direttrice artistica del Piccolo Museo Della Poesia di Piacenza, unico in Europa, un gioiello che ci sta dando molte soddisfazioni e anche del mio ruolo di direttrice della collana di poesia “Oltre” di Pegasus Editon e  di coordinatrice organizzativa del Premio Internazionale di Cattolica, con cui collaboro da ben dieci anni, e che ormai è il premio letterario più importante d’Italia a partecipazione anche popolare. Mi sembra di dare il mio piccolo contributo alla diffusione della cultura, e cerco sempre di impegnarmi al massimo in questo campo, perché ci tengo molto.

Per quanto riguarda la mia attività letteraria, sono molto felice in questo periodo della mia produzione nell’ambito poetico, all’interno della corrente del Realismo Terminale, di cui parlavo prima. Sento che sto migliorando anche dal punto di vista stilistico e la mia ricerca si sta affinando. Sento di progredire e questo è molto stimolante.

Sono stupita anche dei risultati raggiunti dal mio ultimo libro “Dalle radici al cielo”, che è più incentrato sulla mia ricerca metafisica. Lo sto portando in giro per l’Italia. L’anno scorso In Sardegna è diventato addirittura il titolo di una manifestazione legata alla spiritualità e alla letteratura  all’interno del Nuraghe Arrubbiu di Orroli e in autunno sarà presentato a Roma. 

Invece, per quanto riguarda la mia attività in prosa, a cui tengo tanto, non sono  di certo appagata. E questo per me è un bene, perché ho un pungolo in più per “fare”.  Sento di potermi esprimere meglio di quanto abbia fatto finora e ho in cantiere tanti progetti, ma spesso non ho il tempo di portarli a termine. Il romanzo e l’espressione più compiuta della mia espressione letteraria, per il momento, manca all’appello della mia produzione. Il mio prossimo obiettivo è quello di trovare tempo ed energia per occuparmene. Non ho la pretesa di  scrivere un capolavoro immortale, ma vorrei riuscire ad esprimere il meglio di me, di lasciare un’impronta del mio essere anche in questa dimensione.

 

 

 

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