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Sui social da tempo si assiste ad una incresciosa e indegna denigrazione di Papa Francesco da parte di più o meno zelanti cattolici tradizionalisti che a parer loro, il Papa si è allontanato dai pontefici precedenti, e dalla Dottrina cattolica e quindi dalla Chiesa. Naturalmente la maggior parte di loro non ha letto o legge con le lenti deformanti della ideologia gli interventi del Pontefice argentino.

In questi giorni mi è capitato di leggere un testo abbastanza interessante, “Dalla fine del mondo, un nuovo umanesimo cristiano”, con un sottotitolo significativo: “l'eredità francescana della nuova evangelizzazione tra emergenze pastorali e questione educativa”, testo pubblicato da Cantagalli (2014) autore è Carmine Matarazzo, professore di filosofia dell'educazione presso la Sezione San Tommaso d'Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale di Napoli.

Il testo riesce egregiamente, almeno credo, a dimostrare con ampie argomentazioni che Papa Francesco è in sintonia con l'insegnamento sia di Benedetto XVI, che di San Giovanni Paolo II. L'autore naturalmente trasmette nel libro, l'originalità della pastorale di Papa Francesco che nei suoi discorsi indica quasi sempre la spiritualità, francescana e poi quello ignaziana. S. Francesco e S. Ignazio sono i pilastri del pontificato di papa Bergoglio. Non solo ma papa Bergoglio fa riferimento a San Pierre Favre, il primo discepolo di S. Ignazio, di cui il Papa è particolarmente devoto. Questo santo incarna sia la spiritualità, francescana che quella ignaziana. Un altro santo a cui spesso fa riferimento Bergoglio è San Massimiliano Kolbe, che ha saputo attualizzare in modo assai originale il carisma francescano, promuovendo un modello di evangelizzazione efficace, grazie anche all'utilizzo pionieristico dei mezzi di comunicazione di massa per l'annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede.

Il volume si presenta articolato in tre parti, che sono legate secondo Matarazzo, da alcuni verbi cari a Papa Bergoglio,“la nostra vita non ci è data come un libretto d'opera in cui c'è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere[...]” La prima parte è suddivisa in cinque tappe. Dove si trovano gli aspetti fondamentali teorico-pratici della nuova evangelizzazione oggi. Nella seconda l'autore propone dei percorsi, delle schede di analisi e riflessione utili alla progettazione pastorale delle comunità ecclesiali. In questi percorsi, mi hanno colpito, “i testi di riferimento”, ai precedenti Papi e ai documenti fondamentali del Vaticano II.

La terza parte occupa alcuni interventi prima da cardinale e poi da Papa Francesco. In questi ultimi secondo il professore della Facoltà Teologica di Napoli, si può trovare il programma essenziale di Papa Bergoglio e anche sintesi significative delle sue parole ed espressioni, abitualmente da lui usate come “scarti sociali”, “autoreferenziale”, “periferie esistenziali”, “mondanità spirituale” etc.

Papa Francesco ha subito“mostrato il suo programma pastorale annunciando la novità del Vangelo e lo ha fatto con modi semplici, gesti significativi e con linguaggio immediato”, scrive Matarazzo nell'introduzione. “Ha usato una comunicazione verbale simbolica che ha colpito il cuore delle persone, anche di quelle non direttamente coinvolte nella vita ecclesiale”.

In questo contesto subentra l'invito alla “nuova evangelizzazione”, che diventa un'opera“di promozione di ogni persona umana, soprattutto di quelle in stato di solitudine esistenziale, di indigenza economica, di emarginazione sociale, di isolamento spirituale, bisognose d'amore...”.

Del resto anche San Giovanni Paolo II, aveva indicato la rotta che la Chiesa dovrà seguire nel prossimo millennio, soprattutto in quelle terre ritenute tradizionalmente cristiane. Lo aveva fatto proprio nel 1995, a Palermo in un discorso al III Convegno Ecclesiale. In queste terre già cristiane, bisognerà riscoprire la gioia della missione, la gioia del Vangelo, che dovrà interessare la pastorale ordinaria, proprio perchè “il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell'esistente, ma della missione”. Proprio da Palermo, una città martoriata da molti mali sociali,“occorre quasi idealmente partire per ri-annunciare, ri-vivere, re-incarnare il Vangelo della carità”, scrive Matarazzo. Ma anche Papa Benedetto XVI, ha sollecitato ulteriormente, confermando l'intenzione “di rivitalizzare oggi l'evangelizzazione in Europa e nel mondo intero”. Tant'è che ha istituito il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Questo per quanto riguarda i due papi, polacco e tedesco. Il papa argentino invece“dal canto suo, sta rinnovando con gesti concreti e con parole determinanti lo stile del papato, con il preciso scopo di suscitare una forte ripresa della testimonianza cristiana anche nei paesi tecnologicamente avanzati, vedendo in ogni battezzato un 'discepolo missionario'”. Non è un caso che Bergoglio, da cardinale di Buenos Aires, ricordava che l'annuncio del Vangelo è diretto a ciascuna persona e invitava al superamento dell'individualismo e dell'egoismo,“convinto com'è che al momento attuale 'la scelta fondamentale che la Chiesa deve operare non sia di diminuire o togliere precetti, di rendere più facile questo o quello, ma di scendere in strada e cercare la gente, di conoscere le persone per nome'”. Anche se come diceva San Giovanni Paolo II, non è affatto facile essere discepoli di Cristo. “La sequela, infatti, è impegnativa ed esigente, proprio secondo quanto dice Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24)

E Papa Bergoglio secondo Matarazzo,“segue in un certo senso questa linea wojtyliana e anche lui ricorda che, per seguire Cristo, è necessario rinnegare se stessi ed accettare la croce, un aspetto comunque centrale anche della spiritualità ignaziana”.

Nessuno si faccia illusioni, affermava il grande San Giovanni Paolo II:“oggi, come ieri, essere cristiani significa andare controcorrente rispetto alla mentalità di questo mondo, cercando non il proprio interesse e il plauso degli uomini, ma unicamente la volontà di Dio ed il vero bene del prossimo”.

Nella prima parte il testo di Matarazzo è un continuo citare San Giovanni Paolo II, ma anche Benedetto XVI, in particolare, quest'ultimo, si fa riferimento alla veglia dei giovani di Colonia, nella spianata di Marienfeld, dove Papa Ratzinger propone alcuni esempi significativi di vita cristiana, da San Benedetto a San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, fino ai fondatori degli Ordine religiosi dell'Ottocento che hanno animato ed orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo come Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. “Contemplando queste figure – diceva Benedetto XVI – impariamo che cosa significa 'adorare', e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso”. Questi sono i testimoni della fede, che hanno fatto vedere l'amore di Dio nella Storia. Ritornando al papa polacco, evidente è il riferimento al suo testo “Varcare la soglia della speranza”, scritto con Vittorio Messori. I cristiani devono farsi  promotori di una mobilitazione pastorale in campo etico a favore della cultura della vita in convinta opposizione alla cultura della morte. Giovanni Paolo II era convinto che la Chiesa si rafforzava, grazie ai mistici ed alle persone sante, soprattutto ai martiri, come S. Massimiliano Kolbe, erede ed interprete di San Francesco.

Altro particolare che lega l'attuale Pontefice ai suoi predecessori è la figura di Maria. La Madonna, la Vergine Maria è il collante dei Papi recenti, qualsiasi sia il nome dove è apparsa. Maria è la stella della nuova evangelizzazione.

“Se Giovanni Paolo II – scrive il professore Matarazzo - ha consacrato la sua vita e il suo ministero alla Vergine di Nazareth secondo tradizione francescana testimoniata dal carisma kolbiano e Benedetto XVI ha proposto tutto il suo magistero in ottica 'mariana' guardando anch'egli con particolare ammirazione al carisma del poverello di Assisi, per Papa Francesco, stando alle significative indicazioni finora offerte dai suoi gesti e dalle sue parole, il prossimo futuro dell'evangelizzazione dovrà tenere in considerazione la via mariana, come indicata ancora una volta dal Padre serafico e dalla spiritualità di Ignazio di Loyola e di Pietro Favre”.

Nella terza tappa Carmine Matarazzo sottolinea gli elementi essenziali del progetto pastorale per educare alla fede. A questo riguardo ribadisce “l'unità inscindibile tra promozione umana, evangelizzazione e passione educativa, in famiglia come nella scuola e nella società tutta”. Anche Papa Francesco insiste sull'importanza dell'educazione nella nostra società. “Trasmettere conoscenza, trasmettere modi di fare, trasmettere valori. Attraverso questi si trasmette la fede. L'educatore deve essere all'altezza delle persone che duca, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia”.

 La Chiesa deve essere in grado di svegliare il mondo, di scuoterlo con la testimonianza di persone a vivere il Vangelo.

Nella quarta parte il testo di Matarazzo affronta le sfide che la Chiesa attraverso l'evangelizzazione dovrà affrontare. Fermo restando che l'identità del messaggio da annunciare resta la medesima. “Non cambia il vangelo, nuovi sono i metodi ed i contesti”. In questo contesto si evidenzia nella società, l'esistenza di un gran pantheon delle diverse religioni. E qui in merito, si cita Benedetto XVI che aveva notato la pericolosità di un certo contesto che tende a“relativizzare il vero”, pertanto,“vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è l'elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale”. E avverte che “un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”.

Tuttavia, la prospettiva di Papa Francesco, che si situa nella linea dei suoi predecessori, può essere proposta in questo modo: la Chiesa non si lascia mondanizzare dal mondo, ma nello stesso tempo però sa confrontarsi con il mondo, proprio perché il “mondo” è il luogo della sua missione. Dunque ecco perché la Chiesa non può rifiutare “le domande, le sfide, le provocazioni rivolte dai laici, spesso anche indifferenti, o semplicemente disinteressati”. E qui Matarazzo fa riferimento a certe domande non programmate, interviste, o a una certa “chiesa del no” su ambito etico. Non è il caso di insistere, facendo apparire la Chiesa come una istituzione che continua a distribuire “moniti ossessivi” di divieti ex cathedra soprattutto in materia etica”. Invece,“la Chiesa che Papa Francesco sogna, è una comunità accogliente e misericordiosa, servizievole e testimone, coerente e dialogica, che mostra al mondo con la coerenza della vita dei suoi membri, con il fare e l'essere dei singoli battezzati, anche le convinzioni in campo etico senza pretendere di imporle agli altri”.

Matarazzo insiste: “Per il Papa, la chiesa che si apre all'umanità e che si confronta con le diverse istanze non perde la propria identità. Ma non può rischiare di 'martellare' su argomenti come il divorzio, l'aborto, l'omosessualità e perdere di vista la sua missione che è testimoniare fino al dono della vita l'amore a Cristo, che ha rivelato Dio Tri-uno che è Amore. Francesco propone una Chiesa che deve essere al servizio dell'uomo, che si china a guarire le sue ferite, che accompagna con generosità chi si trova in affanno”.

Infatti più avanti Matarazzo sottolinea che il magistero non può ostinarsi a intervenire esclusivamente su determinati argomenti.“Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L'annuncio di tipo missionario si concentra sull'essenziale, sul necessario[...]”. Nello stesso tempo però non si deve,“obliare o svendere la proposta etica che deriva direttamente dal Vangelo”. Infatti, non possiamo,“in nome del dialogo ad ogni costo, abbandonare il cardine 'veritativo' della proposta cristiana, o il radicalismo delle scelte evangeliche”. E qui il Papa propone quella brillante immagine dell'”ospedale da campo”. Infatti, la Chiesa di oggi è, deve essere, come un medico dopo una battaglia, la sua missione è quella di curare le ferite, cominciando dal basso.

Dialogare con tutti senza dimenticare che la salvezza si trova nella verità. E a questo punto Matarazzo cita la Dichiarazione “Dominus Iesus”, che afferma:“il dialogo perciò, pur facendo parte della missione evangelizzatrice, è solo una delle azioni della Chiesa nella sua missione ad gentes. La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali né tanto meno a Gesù Cristo, che è Dio stesso fatto Uomo, in confronto con i fondatori delle altre religioni”.

Pertanto,“in questa logica la vera riforma della 'vecchia Chiesa' non è quella strutturale, visibile a tutti, insomma quella dei palazzi. La vera rivoluzione, per Bergoglio, è quella degli atteggiamenti, quindi una metanoia, una conversione di mentalità – che ha i suoi riverberi anche sulla pianificazione pastorale – come aveva già auspicato Sant'Ignazio a suo tempo poiché 'era convinto che, partendo dalla 'riforma della propria vita', tenendo davanti agli occhi il modello di Cristo povero e umiliato a causa della parola di Dio, non si poteva non arrivare necessariamente anche a una riforma delle strutture”. Tuttavia,“solo chi ha fatto chiarezza in se stesso, solo chi ha scelto di seguire Cristo fino alla croce è in grado di discernere ciò che nelle strutture della Chiesa vi è di permanentemente valido, dovuto alla volontà stessa di Cristo, e quelle che invece sono le sovrastrutture 'mondane e vane', che si sono sovrapposte alle strutture originarie fino a quasi oscurarle”.

Secondo Matarazzo la Chiesa ha soprattutto bisogno di una rivoluzione cristocentrica che rinnovi relazioni, mentalità, stile comunicativo. Non basta cambiare per cambiare. Ovvero non servono modifiche strutturali nella Chiesa se i suoi membri prima non sentano non vivano un cambiamento interiore”. E qui l'autore del libro ci offre una efficace sintesi di che cosa significa conversione:“superare gli stereotipi di una vita freddamente bloccata in credenze e pratiche rituali, per accedere alla vita nuova in Cristo”.

Biagio D'Angelo è nato a Messina e vive a Milano. Da oltre vent’anni si occupa di comunicazione, collaborando con vari marchi nazionali ed internazionali.
Recentemente ha esordito nel panorama editoriale con l'Opera Prima "NON CI RESTA CHE CORRERE -una storia d'amore e resistenza" (2017, Rizzoli Editore), un romanzo sospeso fra realtà e fantasia, dove trova spazio una storia d'amore e una vetrina di personaggi, accomunati dalla passione per la maratona.
Un libro dedicato a tutti gli appassionati di running, ma anche a coloro i quali pur non praticando questa attività sportiva, possano comunque trarre, pagina dopo pagina, opportunità di riflessione, fra ironia, momenti lirici e tutto l'aspetto ludico che risiede nello sport più amato, che solo in Italia è praticato da circa sei milioni di persone.

Nella vita lei si occupa di comunicazione per diversi marchi nazionali ed internazionali. Potrebbe parlarmi del suo iniziale approccio con la scrittura, che ha poi dato vita all'opera autobiografica  "NON CI RESTA CHE CORRERE - una storia d’amore e resistenza"?
Ho sempre amato scrivere e il mio lavoro mi ha consentito, diciamo così, di tenermi in allenamento. Sin da piccolo mi è sempre piaciuto leggere e l'incontro con la corsa, qualche anno fa, è stato la  scoperta di un mondo che ho pensato valesse la  pena di essere raccontato, anche se non parlerei di autobiografia in senso stretto.

Il tema centrale della sua opera è la corsa, ovvero il running, per coniare l’omologo termine anglosassone, comunemente usato. La corsa è senza dubbio una delle attività sportive da sempre più praticata da milioni di persone. Interessante constatare che il fenomeno running, in costante crescita, nel nostro Paese è praticato da sei milioni di persone; fra esse, un’alta percentuale lo fa per mantenere la forma fisica, altri per puro divertimento. Ma, forse, esistono altre motivazioni delle quali vorrebbe parlarmi?
Oggi, fra le tante motivazioni che spingono le persone a correre, c'è anche quella di fare del bene. Esistono molte onlus in Italia e nel mondo che utilizzano la corsa per promuovere charity o sensibilizzare l'opinione pubblica su temi e iniziative sociali e nel libro ne parlo.

Il protagonista della storia è un quarantacinquenne padre separato, che un sabato pomeriggio di marzo  indossa una maglietta di cotone ed un paio di vecchie scarpe e invece di andare in palestra, comincia a correre lungo il Naviglio. Cosa scatta nella sua mente all’improvviso?
L'idea che chiudersi in una palestra dopo otto o dieci ore in ufficio sia una cosa disumana.

In questa nuova avventura avrà la possibilità di incontrare, conoscere e confrontarsi con diverse  persone, anch'esse appassionate di maratona. Un valore aggiunto per la comunicazione sociale?
La corsa può essere lo sport più individuale del mondo e lo sport più relazionale al tempo stesso.
Puoi correre da solo alle cinque del mattino, oppure assieme a cinquantamila persone a una maratona. Il valore aggiunto è proprio questo, credo.

Oltre al rapporto umano, fondamentale per capire le svariate realtà che ci circondano, nel corso della lettura ho colto altri significativi spunti circa la scoperta e talvolta la ri-scoperta da parte del protagonista di una Milano diversa, immersa nell’aria rarefatta dell’alba in tanti luoghi nascosti, visti attraverso gli occhi di coloro che li attraversano correndo. Tento di immaginare tale pervasiva sensazione, che vorrei spiegasse ai nostri lettori…
Milano e le grandi città in genere, le si possono attraversare in tanti modi. Farlo d'inverno, prima che inizi un nuovo giorno, per uno come me all'inizio è stata un'esperienza off limits; poi ci ho preso gusto e adesso, ogni volta che mi trovo in una nuova città per lavoro o per svago, mi impongo sempre un giretto di corsa al mattino presto.

Mi ha colpito un passaggio del suo bellissimo libro, da leggere tutto d’un fiato – "le ragioni per cui le persone di iscrivono a una maratona possono essere le più diverse. Come diverse possono essere le ragioni per cui le persone ogni tanto fanno cose bruttissime o bellissime. A volte lo si fa per non impazzire". Nella conclusione cosa vuole dire?
Che certe persone si iscrivono a una maratona per darsi una regola nella vita, avere qualcosa per cui impegnarsi con tutto se stessi per diversi mesi ed evitare di naufragare o lasciarsi andare, vuol dire questo.

Secondo lei, nella maratona quale posto occupa lo spirito di competizione?
Un posto molto importante. La competizione fa bene, aiuta a migliorarsi.

Potrebbe parlarmi di Constantin, uno dei suoi amici maratoneti, che dal 2016 corre con una protesi in carbonio. Un’efficace lezione di vita per le persone che forse a volte si pongono troppi limiti?
Certamente. Constantin è una persona che ha corso per anni con le stampelle. Con la protesi adesso va più forte di me.

Pensa di continuare a scrivere sull’argomento, magari pubblicando un nuovo libro nel prossimo futuro?
Non credo, sull'argomento quello che dovevo scrivere l'ho scritto. Adesso mi dedicherò ad altro.

Antonio Sgobba, classe 1983, è un giornalista Rai. Dal 2011 al 2016 ha curato la sezione culturale di IL, mensile de Il Sole 24 ore. Inoltre, ha collaborato con la Lettura del Corriere della Sera, Wired, Pagina 99 ed altre testate.
Di recente pubblicazione l'opera editoriale "Il paradosso dell'ignoranza da Socrate a Google" (Il Saggiatore) in cui l'autore intraprende un percorso filosofico e sperimentale sull'ignoranza, dal quale emergono puntuali riflessioni circa le contraddizioni e le illusioni che caratterizzano la nostra società. A partire dalle moderne tecnologie, che negli ultimi decenni hanno conferito all'uomo "il miraggio del sapere illimitato",  sconfinando talvolta nella perdita di una visione razionale di se stessi e quindi nell'autoinganno. 

La cultura è certamente legata ai valori etici dell’umanità. Sulla base di questa considerazione, come definirebbe il livello culturale dell’attuale tessuto sociale?
È un legame spesso ambiguo. Non è detto che sia positivo. Non è sufficiente essere colti per essere buoni. Non è neanche necessario. Si può essere buoni e incolti. E colti e malvagi. Goebbels era un uomo molto colto. L’attuale tessuto sociale, per esempio, è il più colto della storia dell’umanità. Non siamo mai stati così istruiti, non abbiamo mai avuto a disposizione così tanto conoscenza. Eppure mi sembra che ci rimanga ancora qualche problema da risolvere.

Stiamo vivendo un’epoca contrassegnata dall’alta tecnologia. L’avvento di internet garantisce ad ognuno la certezza dell’informazione, conferendo all’utente un certo “delirio di onnipotenza”, che  spesso si rivela paradossale. Il titolo del suo libro  “Il paradosso dell'ignoranza da Socrate a Google” evoca tale concetto. Cosa l’ha spinta a scrivere un’opera letteraria volta in tale direzione?
Ho scritto un libro sull’ignoranza perché l’ignoranza è una presenza ingombrante nel dibattito pubblico. Ne parliamo di continuo, il più delle volte per lamentarci, per lanciare appelli, allarmi, per parlare di emergenze.  Ma come può l’ignoranza essere un’emergenza se è una caratteristica tipica di ogni essere umano? Sono partito dal cercare una definizione di ignoranza, per scontrarmi col fatto che una definizione soddisfacente non c’è; non sappiamo neanche che cos’è l’ignoranza. Più di tutto ci sfugge la sua natura paradossale: crediamo che sia solo assenza di conoscenza. Non è cosi, ci dimentichiamo che con l’aumentare della conoscenza aumenta anche l’ignoranza. Internet ne è la dimostrazione più immediata: il più grande motore di conoscenza della storia dell’uomo, ma anche il più grande motore d’ignoranza.

Il filosofo e storico Norberto Bobbio afferma: Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non di raccogliere certezze. Mi sentirei di rivolgere questo pensiero, ma senza generalizzare, alle ultime generazioni, fortemente condizionate dal web e talvolta carenti di basi culturali nella loro formazione intellettuale. È d’accordo?
D’accordo con Bobbio. Ed è un invito che dovremmo raccogliere tutti, non solo i giovani. I giovani sono spesso il bersaglio di accuse ingiustificate. Non credo siano particolarmente ignoranti, in realtà sanno cose diverse da quello che sanno i più vecchi e da quello che i più vecchi ritengono importante. L’invito a non avere certezze e seminare dubbi io lo rivolgerei soprattutto a chi ricopre ruoli di responsabilità e di potere, dall’informazione alla politica.

Condivido in pieno la sua conclusione. Per associazione di idee, mi viene in mente Socrate. Il pensiero di colui che di diritto è il padre fondatore dell’etica o filosofia morale, si sviluppa intorno alla consapevolezza di sapere di non sapere, inteso come limite di non conoscenza definitiva. Tale constatazione dovrebbe stimolare il desiderio di conoscere, contrariamente alle dinamiche mentali che determinano l’effetto Dunning-Kruger - "siamo circondati da ignoranti inconsapevoli, o forse lo siamo anche noi" - citando un interessante passaggio nell’introduzione del suo libro. Quindi, se lo fossimo, come potremmo saperlo? Un chiaro invito alla conoscenza dei propri limiti… Cosa vuole aggiungere?
Che la conoscenza dei propri limiti è sicuramente un buon obiettivo, che ci rende persone migliori, ma dobbiamo anche ricordarci che è impossibile da raggiungere. Non è possibile conoscere se stessi fino in fondo. E alle volte non è nemmeno utile. Una certa inconsapevolezza può aiutarci a raggiungere obiettivi difficili. In amore o in politica, per esempio. Certo, è sempre meglio non esagerare, c’è comunque il rischio della megalomania.

Come si può ovviare alla possibilità di incappare in falsità o contenuti poco affidabili nell’infinito universo del web?
Facendo attenzione. Il problema è che l’attenzione è diventata una delle merci più rare. Non c’è una risposta semplice o una soluzione alla portata di tutti. Trovare la verità è sempre stata un’impresa. Richiede uno sforzo notevole, che tutti devono fare se sono interessati ad accrescere le proprie conoscenze. Non è detto che ci sia questa esigenza: spesso la gente non vuole sapere e la conoscenza non si può certo imporre dall’alto.

All’interno della psicologia delle ricerche online, ci sono gruppi di psicologi che effettuano studi ed  osservazioni circa la non onnipotenza della mente umana; in realtà, la nostra mente aumenta la sua efficienza  attingendo a fonti esterne di informazione. Cosa si intende per “sistema interdipendente di memoria”?
La nostra mente aumenta la propria efficienza servendosi di fonti esterne. Per potenziare la nostra memoria ci serviamo di supporti, di protesi, come possono essere un diario o un album di foto. Sono archivi esterni. Ma la nostra memoria non si fonda solo sugli oggetti, possiamo contare anche su altri individui. Quando sono gli altri la nostra “memoria esterna” noi abbiamo a che fare con quello che gli psicologi definiscono un “sistema interdipendente”. Sono sistemi in cui l’informazione è distribuita e ogni individuo è responsabile solo della conoscenza di un’area specifica. Internet complica le cose, poiché attraverso la rete non facciamo affidamento direttamente su altre persone, ma in modo mediato e questo, a volte, ci fa perdere di vista quale sia la fonte delle nostre informazioni.

I sociologi ritengono la crescita delle conoscenze specialistiche il punto di partenza del paradosso. In effetti, oggi gli esperti leggono sempre meno ciò che non li riguarda direttamente. Dove arriveremo?
Il sistema del sapere diventa sempre più complesso, sempre più parcellizzato, sempre più specialistico. Ogni esperto è tale di un settore limitato. La strategia migliore per affrontare questa complessità e la condivisione dell’ignoranza. Possiamo servirci degli strumenti inventati per condividere l’ignoranza. Uno è l’enciclopedia: dall’Illuminismo a Wikipedia, rimane un ottimo esempio di come una comunità possa condividere l’ignoranza per accrescere il sapere collettivo. Oppure pensiamo alle biblioteche: possono essere grandi spazi aperti di condivisione dell’ignoranza. 

Ha già presentato a Roma la sua opera editoriale?
Ho fatto un incontro per il Premio Biblioteche di Roma alla Biblioteca Nelson Mandela. Un bell’incontro, con molte domande. Mi è sembrato un buon risultato per un libro che ha per titolo un punto interrogativo.

Per concludere, oltre a congratularmi per l’alto valore socio-culturale del suo libro, che ho letto con sincero interesse, vorrei chiederle di spiegare ai nostri lettori la differenza fra ignoranza ed errore, troppo spesso messi sullo stesso piano?
Grazie. In effetti, la confusione tra ignoranza ed errore è molto frequente. Ma non sapere è diverso da credere qualcosa di falso. Alla fine la definizione più convincente di ignoranza si trova proprio nell’enciclopedia curata da Diderot e d’Alembert: «l’ignoranza è una via di mezzo tra verità ed errore», si legge nel testo fondamentale dell’Illuminismo. È bene ricordarlo: l’ignoranza è un punto di partenza, sta a noi decidere in quale direzione andare. Possiamo andare verso nuove conoscenze, oppure possiamo sbagliarci. Non è detto che le cose debbano andare sempre male.

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