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Le origini romane e cristiane del nostro calendario

Gregorianscher_Kalender_Petersdom

Particolare della tomba di papa Gregorio XIII relativo all'introduzione del calendario gregoriano

 

Oggi diamo per scontata l’esistenza del calendario, il nome dei suoi mesi, il numero dei suoi giorni, la coincidenza tra data e stagione- con buona approssimazione ci aspettiamo freddo per il 15 gennaio e caldo per il 15 luglio…-, il considerarlo, più che un dono, quasi un fastidio alla fine dell’anno…sono troppi i calendari che riceviamo! Questa abbondanza, in realtà, offusca e addormenta la nostra ragione, non facendoci più percepire la complessità e il fascino che stanno dietro ad una delle più grandi conquiste intellettuali di tutti i tempi. Il calendario, infatti, lungi dall’apparirci come il frutto di una faticosa conquista durata almeno quarantacinque secoli di storia scritta, ci sembra quasi “naturale”, come un qualsiasi prodotto della Terra, ma non sempre è stato così. La proposizione, apparentemente banale, “Ci vediamo Giovedì alle dieci sotto casa mia”, nasconde un portato metafisico e culturale del quale, purtroppo, non abbiamo più contezza. Tutti i popoli, da sempre, avevano tentato la sincronizzazione dei moti dei grandi luminari-Sole e Luna- con le stagioni, attraverso i calendari, con tentativi quasi riusciti ma lontani dalla perfezione.

Intanto, neanche le specie animali più intelligenti, hanno la benché minima concezione del tempo; immaginiamo, a es, un gruppo di scimpanzè, che fissa un appuntamento per il prossimo fine settimana presso il tal albero per discutere della riforma delle pensioni…L’uomo è il solo essere vivente proiettato contemporaneamente nelle tre dimensioni temporali caratterizzanti la vita: vive nel presente, ricordando il passato, traendone, mediante l’esperienza, ciò che aveva di buono per meglio progettare e vivere il futuro. Per secoli, poi, la conoscenza del calendario è stata un privilegio, appannaggio solo delle classi sociali più nobili e sacerdotali, come nell’antica Roma. Ma procediamo con ordine. La parola “calendario” deriva dal latino Kalendarium, - a sua volta derivata da Kalendae, termine indicante il primo giorno di ogni mese, nel calendario romano-, che altro non era se non il libro dei crediti dei banchieri e di chi prestava denaro, dunque, era un giorno funesto per i debitori: tristis Kalendae, tristi calende, non a caso, era l’appellativo con il quale era conosciuto. In quel tempo, a Roma, vigeva il calendario romuleo-una sorta di calendario lunare, lungo appena 304 giorni- e il mese iniziava con l’osservazione della prima falce lunare nel cielo serale. Poi il re e il pontefice minore, dopo aver compiuto un sacrificio, eseguivano la “chiamata”-dal verbo greco calo -della plebe presso la capanna di Romolo, e annunciavano quanti giorni occorrevano per andare dalle calende alle none: se pronunciavano sei volte la parola “calo”, allora mancavano sei giorni alle none. Come scrive Cattabiani: ”Quanto a calo (Kalo) è un verbo greco che significa “chiamo”, e dunque, sembrò bene chiamare calende”questo giorno in quanto era il primo dei giorni calati, chiamati”. Conoscere la data del calendario, dunque, per secoli è stato un privilegio; ancora nel 304 a. C. la piena parità fra plebei e patrizi non era ancora stata raggiunta, -nonostante che la proclamazione delle Leggi delle XII Tavole era avvenuta oltre un secolo prima (451 a. C.)-, tanto da indurre il liberto plebeo Gneo Flavio a rubare i codici che permettevano di conoscere la data del calendario e a divulgarli a tutti nel foro Romano, cioè pubblicamente. Il motivo è semplice; conoscere la data voleva dire sapere i dies fasti, cioè i giorni in cui era lecito occuparsi di affari giudiziari validi: chi li conosceva era avvantaggiato nella vita sociale. A quel tempo era prerogativa delle classi dominanti: per questo l’atto di Gneo Flavio fu veramente importante; tuttavia, i patrizi continuarono a controllare ancora per quasi tre secoli il potere sul calendario. Quello romuleo, infatti, era largamente impreciso: contando solo 304 giorni in soli tre anni era completamente sfasato con le stagioni e a una data estiva corrispondeva un clima invernale. Una prima correzione fu apportata da Numa Pompilio che nel 700 a.C. aggiunse due mesi-gennaio e febbraio- al calendario di Romolo; si arrivò, così, a un calendario-ancora lunare- di 354 giorni. L’orrore per i numeri pari fece aggiungere un giorno e l’anno passò in questo modo a 355giorni. Con questi accorgimenti le cose andarono meglio; tuttavia, dopo diciotto anni, si tornava al punto di partenza. Questo calendario, infatti, “perdeva”, pur sempre, dieci giorni l’anno rispetto all’andamento stagionale. Ogni tanto si aggiungevano mesi supplementari, ma la confusione era grande soprattutto riguardo a certe cariche pubbliche -come i magistrati-di durata temporale limitata. La confusione durò fino al 46 a.C. quell'anno, infatti, Giulio Cesare tornò dall’Egitto, accompagnato dall’astronomo alessandrino Sosigene e mise fine alla gran confusione. Per sincronizzare la data del calendario con le stagioni fu necessario allungare quell’anno fino a 445 giorni: ultimus annus confusionis, fu l’appellativo con il quale lo stesso Cesare lo battezzò. Curiosamente, il grande oratore Marco Tullio Cicerone- nemico giurato di Cesare- accecato dall’odio anziché elogiare Cesare, lo criticò dicendogli, che dopo aver conquistato tutto sulla Terra, ora voleva dominare anche le stelle…

Era nato, dunque, il calendario Giuliano, che contava -secondo i calcoli di Sosigene- 365,25 giorni, una cifra incredibilmente precisa per quei tempi: ovviamente, quel quarto di giorno non conteggiato era recuperato con l’aggiunta di un giorno ogni quattro anni; si scelse d’inserirlo nello stesso giorno in cui, nel calendario di Numa, s’inserivano i giorni intercalari: al sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio, che siccome si ripeteva fu chiamato bisextus. Naturalmente, l’anno contenente due volte il sesto giorno prima delle calende di marzo fu chiamato bisestile. Tra i provvedimenti adottati, occorre segnalare lo spostamento d’inizio anno da marzo a gennaio, l’adozione di dodici mesi in sequenze di trenta e trentuno giorni eccetto febbraio che presentava ventinove giorni negli anni normali e trenta in quello bisestile. Cesare aveva realizzato, finalmente, un calendario “scientifico”, slegato dalla Luna, e dagli dei; un calendario accessibile a tutti, adottato universalmente e che era andato avanti per oltre 1500 anni. Curiosamente, come possiamo verificare ancora oggi, non cambiò il nome di alcuni mesi del Calendario romuleo, sicché ci troviamo- in modo illogico, per quel che concerne la numerazione- con “settembre”, ”ottobre”, “novembre” e “dicembre”, che rispettivamente indicano il settimo, l’ottavo, il nono e decimo mese, ma non all’interno del Calendario giuliano, bensì in quello di Romolo…La storia, è noto, ha esigenze diverse, talvolta, da quelle del rigore matematico…Tuttavia quel che contava, cioè la sincronizzazione delle date con le stagioni era assicurata per oltre ventitré mila anni: sui nomi si poteva anche chiudere un occhio! Alla sua morte, per onorarlo il senato Romano sostituì il quinto mese (Quintilis) del calendario romuleo con (Julius), il nostro Luglio, mese di nascita dello stesso Cesare. Parimenti, quando il Senato volle onorare l’Imperatore Augusto, decise di cambiare nome al sesto mese (Sexstilis), con Augustus, il nostro agosto; tuttavia sorse un inghippo. Sexstilis, nel calendario di Romolo, a differenza di Quintilis -ora luglio- contava trenta giorni e non trentuno; questo fatto era intollerabile per i sostenitori di Augusto, così che si fu costretti a togliere un giorno al già piccolo Febbraio per aggiungerlo ad agosto. A quel punto, per non avere tre mesi consecutivi di trentuno giorni, si fu costretti a mettere mano anche alla durata dei mesi da settembre a dicembre. La parità, almeno calendariale, fra Cesare e Augusto, dunque, era stata raggiunta! Oggi conosciamo con notevole precisione la durata del cosiddetto Anno Tropico- quello su cui cerca di sincronizzarsi i nostri calendari e che determina le stagioni-, cioè l’intervallo di tempo intercorrente affinché l’asse terrestre ritorni alla medesima inclinazione, ecco il suo valore: 365,24220 giorni o, tradotto in secondi, 31.556.000.926, dunque oltre trentuno milioni e mezzo di secondi in un anno…Su questo valore, ai nostri tempi agevolmente misurato con gli orologi atomici, gli uomini hanno “ragionato”per oltre quarantacinque secoli, prima di giungere all’attuale risultato del calendario gregoriano. Parliamo, ora, della sua origine. Come detto, il calendario Giuliano aveva già raggiunto una notevole precisione nel calcolo, rispetto l’anno tropico; infatti, a differenza di tutti gli altri calendari- come quelli degli ebrei e degli egiziani, che al massimo duravano sette secoli e mezzo prima di invertire totalmente la data con le stagioni- calendario segna inverno, ma fuori c’è il solleone-, quello Giuliano è il primo la cui validità si conta in migliaia di anni. In effetti, ancora oggi, la differenza con l’Anno Tropico ammonta all’incirca, a “soli” 13 giorni, per questo non è stata –come spiegato bene dal Prof. Zichichi- la sincronizzazione della data con le stagioni, la molla che ha fatto scattare l’esigenza di cambiare il calendario Giuliano, bensì l’esigenza -in rispetto alle disposizioni del Concilio di Nicea risalente al 325 d.C- di sincronizzare fra loro le date dell’Equinozio di primavera e del Calendario: infatti, quel Concilio stabilì che la Pasqua dovesse cadere la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Ma quando inizia primavera? Questa è la domanda dalla quale sono partiti il monaco Dionigi, il Piccolo prima e Papa Gregorio XIII poi. Il calendario Giuliano presentava rispetto l’anno tropico un ritardo annuo di 674 secondi, pari a un giorno ogni 128 anni, pertanto entrato in vigore nel 46 a.C. già, ai tempi del Concilio di Nicea presentava un errore di quattro giorni per il calcolo della data dell’equinozio. In pratica, l’equinozio avveniva, quando il calendario Giuliano segnava il 25 marzo; quel Concilio, empiricamente, corresse l’errore, riportando l’equinozio al 21 marzo. Tuttavia, oltre mille anni dopo anche il solstizio invernale era retrocesso al tredici dicembre-giorno di Santa Lucia- al posto del 22 Dicembre. Alla vigilia della riforma gregoriana l’equinozio era caduto, quando il calendario Giuliano segnava il 10 marzo. Ecco come il prof. Zichichi ha splendidamente sintetizzato il problema concernente, la determinazione della data dell’Equinozio primaverile sulla nascita del nostro calendario: ”Il Calendario che usiamo tutti i giorni ha le sue radici nell’equinozio di primavera, non per motivi astrofisici, ma perché il Concilio di Nicea, primo Concilio ecumenico, millesettecento anni fa, aveva stabilito che la Resurrezione del Signore aveva avuto luogo nella prima domenica dopo il plenilunio che segue l’equinozio di primavera. Ecco perché il Concilio di Nicea nel 325 d.C. anticipò dal 25 marzo al 21 marzo l’equinozio di primavera La concezione Mistica del Tempo la sentì nel profondo del suo cuore un piccolo abate Dionisius Exiguus, che millecinquecento anni fa studiò la data dell’Incarnazione di Cristo e della sua Resurrezione”. Possiamo notare, en passant, che se i vescovi a Nicea non avessero scelto di legare la data della Pasqua al moto della Luna, - rispettando, così, il calendario lunare ebraico, in uso all’epoca della Crocifissione di Cristo- preferendo magari una data fissa all’interno del calendario Giuliano, probabilmente avremmo avuto con secoli di ritardo il nuovo, quasi perfetto, calendario gregoriano…

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