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La Russia rimane disponibile a negoziati con l'Ucraina

"Il principio in generale rimane lo stesso. Proprio come gli obiettivi dell'operazione militare speciale. Gli ucraini hanno abbandonato completamente il percorso negoziale. Per questo, l'operazione militare prosegue", ha affermato il portavoce, Dmitry Peskov.

La Russia rimane pronta a negoziati con l'Ucraina, ma con la situazione che cambia, cambiano anche le condizioni per tali trattative, ha affermato il presidente russo Vladimir Putin in un colloquio con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, secondo quanto ha reso noto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. A Samarcanda, Putin aveva detto, sempre parlando con Erdogan, che sarebbe stato possibile un dialogo con l'Ucraina

Il sistema politico in Russia, vale a dire i parlamentari e l'esecutivo, "è pronto per gli eventuali cambiamenti relativi alla potenziale annessione" delle regioni ucraine del sudest, le Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia dopo i referendum, ha detto inoltre Peskov poche ore prima della chiusura dei seggi aperti nelle quattro regioni.

''Molto presto ci riuniremo alla Russia', ha detto Denis Pushilin, leader della Repubblica popolare di Donetsk, nell'ultimo giorno di quelli che Kiev e la comunità internazionale hanno definito ''referendum farsa''.

Mosca si appresta a creare un nuovo distretto federale, il nono, in cui saranno riunite le quattro regioni ucraine occupate (Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia) insieme alla Crimea, anticipa il quotidiano Vedomosti, citando due diverse fonti e precisando che l'ex direttore di Roscosmos, Dmitry Rogozin sarà nominato inviato del Cremlino per il nuovo distretto. "Ci sono solo dubbi sul nome che verrà dato al nuovo distretto", ha confermato Sergei Tsekov, senatore della Crimea.  

Intanto in Italia il centrodestra ha raccolto alle elezioni legislative del 25 settembre una maggioranza "chiara ma non schiacciante, non amplissima, soprattutto al Senato" e che non può prescindere da Forza Italia, partito che, pur ridimensionato, si rivela cruciale. L'analisi di YouTrend spiega quali siano i dati sui seggi conquistati dalla coalizione guidata da Fratelli d'italia e Giorgia Meloni: 235 deputati su 400 e almeno 112 senatori su 200.

Non sono perspicace come tutti i commentatori politici, che la sanno sicuramente ben più lunga di me. Ma secondo me il vero perdente di queste elezioni è Mario Draghi. Secondo i più, hanno vinto Giorgia Meloni e un po’ Giuseppe Conte, e hanno perso Luigi Di Maio, Enrico Letta, un po’ Forza Italia e un po’ tanto anche Matteo Salvini, come ha perso un po’ la coppia Calenda&Renzi. Che la Meloni abbia non vinto ma stravinto è fuori discussione. Dopo di che, vediamo gli altri.

Ora veniamo alla tesi: il vero sconfitto è Mario Draghi. Era sconfitto prima ancora che si votasse, perché non s’è presentato alle elezioni come premier di nessuno. L’uomo non è un leone. S’è imbrodato da solo sostenendo, lui, di aver fatto non bene ma benissimo: cose che generalmente uno lascia dire agli altri. Non si batte mai, teme il confronto. Le vette lui le raggiunge solo se qualcun altro ce lo paracaduta. Da solo non sa fare. Prima ancora che fosse nominato premier, il 9 febbraio 2021 avevamo previsto che sarebbe stata una delusione il 9 febbraio 2021 avevamo previsto che sarebbe stata una delusione, e che fosse un mezzo bluff lo avevamo sospettato il 3 ottobre 2021lo avevamo sospettato il 3 ottobre 2021.

I fatti ci hanno dato ragione: non ha saputo tenere in piedi un governo pur avendo una maggioranza che mai nessuno prima aveva avuto. Non ne ha azzeccata una con la gestione del piano vaccinale (“se non ti vaccini, uccidi”) e con la guerra (“l’aria condizionata o la pace”). Non ha saputo regolare le bollette energetiche, non ha saputo tenere sotto controllo la gestione del reddito di cittadinanza e neanche la gestione del superbonus 110%. Lascia un paese povero e in guerra. Insomma, ha fallito su quasi tutto. Il “quasi” è di cortesia, perché non sappiamo dire dove abbia avuto successo. E già l’8 febbraio 2021, quando non era ancora Premier, scrivevamo: «Se Draghi fallisce, pagherà chi l’ha sostenuto».

E infatti hanno pagato Calenda&Renzi che lo volevano di nuovo a Palazzo Chigi e dichiaravano che la loro agenda era l’agenda Draghi. Ha pagato Enrico Letta, che straparlava di “metodo Draghi”: si rileggano in proposito le frasi sopra riportate di Supermario e si rammentino gli idranti contro i triestini che in ginocchio e col rosario in mano imploravano di non essere vaccinati. E han pagato Lega e Forza Italia che hanno sostenuto il governo Draghi. Ha rimontato dal tracollo Giuseppe Conte che, molto furbescamente in campagna elettorale (ma solo in campagna elettorale) s’è dichiarato contrario al coinvolgimento bellico tra Russia e Ucraina. E, naturalmente, ha stravinto Giorgia Meloni che da Draghi ha sempre mantenuto le debite distanze.

Enrico Letta: dire che abbia perso, non mette nella giusta prospettiva – a mio parere – il caso Pd. Questo partito è da anni sgradito ai più e il voto recente non ha fatto altro che confermare il voto del 2018 (lasciamo i distinguo sui decimali ai politologi): vi sono indubbiamente nel Paese (oggi, come nel 2018) quei 5-6 milioni d’elettori che votano Pd anche se il loro candidato fosse uno spaventapasseri. Il fatto che sembri che il Pd abbia perso è dovuto solo al fatto che esso governava il Paese sebbene fosse, nel Paese, sfacciata minoranza. Insomma, il Pd era un perdente – un perdente arrogante – prima ancora che si votasse. Forse ridimensionerà un po’ della sua arroganza, ma devo vedere l’evoluzione delle cose prima di metterci la mano sul fuoco: ormai siamo avvezzi a tutto.

Luigi di Maio: un altro perdente in partenza, con gravi problemi di cultura generale – geografia inclusa – ma per qualche misteriosa ragione diventato ministro degli Esteri, brillante per la spocchia. Avremo contezza di quel che abbiamo perso non appena sapremo cosa farà il giovanotto nella vita.

Calenda&Renzi: non sono arrivati, insieme, all’8%, per cui avrebbero un poco perso perché non hanno superato il loro obiettivo minimo che era il 10%. Ma chi li ha fregati è stato Mario Draghi.

Movimento Cinque Stelle: il commento più popolare è che esso abbia ripreso. Ripreso cosa? 11 milioni di voti nel 2018 e 4 milioni nel 2022 è una ripresa? O forse è ritenuta tale perché ci si aspettava che solo la zia e la nonna di Giuseppe Conte avrebbero votato Giuseppe Conte medesimo. Il M5s sono degli scappati di casa, il loro cervello più fine era Di Maio, e s’è visto com’è finito il giovanotto. Bisognava solo farli governare per vederli sparire, com’è appunto sparito Di Maio. La ripresa di Conte allora è invece il riflesso della sconfitta di Mario Draghi.

 

fonti varie agenzie

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