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Non possiamo fare a meno della famiglia!

Mentre i Soloni dell’intellighènzia celebrano il funerale della famiglia, colpevole di inenarrabili delitti, di libertà soffocate, di antiquate pretese di unicità, nel lavoro clinico si scopre che senza famiglia, una famiglia sana, le persone stanno male: sviluppano problemi e insicurezze, ansie e senso di disperazione, sfiducia nell’amore, angosciosa solitudine. E allora di fronte alla realtà le ideologie cadono e devono cedere il passo.

«Questa è una mela, chi non è d’accordo può andare via», diceva san Tommaso d’Aquino prima di iniziare i suoi corsi di teologia. Altrettanto occorrerebbe dire oggi: parlando di famiglia rimaniamo sulla realtà. E la prima realtà è che con le parole non si bara. Non si può dire che basta che due persone si vogliano bene perché quella sia famiglia. Sarebbe come affermare che basta del latte cagliato perché quello sia pecorino di fossa. 

Se quasi tutto è famiglia, allora quasi niente è famiglia. Cambiare le parole, attribuendogli il significato che di volta in volta fa più comodo è una forma perversa e subdola di violenza. Da sempre e in tutte le culture famiglia è un patto tra un uomo e una donna, espressione dell’amore che per sua natura è totalizzante e indissolubile, che alla società dona il fondamento dell’ordine e la certezza di una continuità temporale e generazionale.  La famiglia è quella, e non ce ne sono altre. L’ecologia umana ha delle esigenze ben precise, la famiglia infatti non è frutto del capriccio di qualche creativo, liberamente modificabile o sostituibile. Verifichiamo infatti che dove manca la famiglia naturale lì c’è sofferenza. Ricerche innumerevoli, ma soprattutto l’esperienza pratica con le persone lo dicono chiaramente. Senza famiglia si può vivere, certamente, e anche bene, ma solo dopo aver riparato i danni e a prezzo di grandi sacrifici, e comunque non è mai possibile rimediare a tutti i guasti quando si tratta di realtà gravemente patologiche.

La negazione della famiglia ha qualcosa di veramente inquietante. È d’inizio 2018 l’istituzione del “Ministero della solitudine” in Inghilterra. Nemmeno la pragmatica presa di coscienza della tragedia sociale legata al dissolvimento dell’istituto familiare ha portato qualcuno ad interrogarsi seriamente sull’assurdo comportamento di segare il ramo su cui si è seduti. No, il bombardamento antifamiliare continua nelle più disparate forme, culturali, legislative, pratiche, comunicative, a dispetto di ogni evidenza.

L’essere umano passa attraverso tre nascite: la prima è l’uscita dal confortevole grembo materno per iniziare un percorso di sviluppo individuale; la seconda è l’uscita dal comodo grembo della famiglia per iniziare la vita adulta; la terza è l’uscita dal grembo della vita per addentrarsi in una realtà definitiva che è il traguardo finale del percorso umano. Sono tre stadi di progressiva espansione del proprio spazio di libertà in direzione dell’acquisizione della pienezza del sé.

Come la salute della mamma è garanzia di gravidanza e parto sereni, così la salute della famiglia è garanzia di una seconda nascita senza problemi. E come la salute della madre è frutto di scelte responsabili e convinte, la salute della famiglia deriva dalla capacità dei componenti di esprimere nella loro unione la responsabilità di un rapporto convinto di amore e servizio pieno.

A questo proposito fa impressione rendersi conto come semplici verità date per acquisite fino ai nostri bisnonni o nonni, oggi hanno bisogno di essere riscoperte come novità clamorose.

Una di queste, la prima, è che la famiglia agevola la libertà. Se partiamo dal presupposto che libertà è scegliere ciò che è bene per noi, bene a lungo termine, bene secondo criteri assoluti, nella piena e responsabile coscienza delle conseguenze, allora la famiglia è l’ambiente ideale dove crescere e sviluppare come individui veramente liberi. Perché la famiglia è fondata su una libera donazione di sé che si assume la responsabilità del bene proprio e delle persone care. In famiglia si apprende la raffinata arte della scelta e della decisione, in ambiente protetto e rassicurante. Chi pensa che la famiglia uccida la libertà ha capito poco della famiglia. E della libertà…

Un’altra verità dimenticata è che la famiglia sa essere indissolubile. Perché è espressione dell’amore, che non è un variopinto florilegio sentimental/emotivo, o non solo: è soprattutto la decisione di stringere un patto d’alleanza con questa specifica persona, di volerle bene e quindi, come ogni decisione basata sulla volontà e fondata sulla totalità del cuore umano, termina solo quando la decisione di amare viene meno. L’amore è una bicicletta, che può sempre andare se c’è voglia di pedalare... 

La terza verità che uno psicologo si trova a dover ricordare con frequenza è che i figli non appartengono ai genitori. Oggi viviamo in una società in cui non solo la donna è oggetto, ma la persona in quanto tale è stata asservita e umiliata ed è diventata una cosa di cui disporre a piacimento. Così i bambini si uccidono, i vecchi si abbattono, le donne si violentano e gli uomini si addomesticano.  Così i figli sono considerati un diritto, si comprano, si fabbricano, si danno in affitto ad uteri sconosciuti, ci si trastulla contro ogni legge naturale di procreazione e di buon senso, si tengono stretti e gli si impedisce di diventare autonomi e indipendenti. Invece il figlio è semplicemente un dono, da accogliere, amare, e lasciar andare (proprio perché lo si ama).

Un’ulteriore verità che può essere utile ricordare è che si è coppia prima di avere figli, si rimane coppia quando si è genitori, si continua ad essere coppia anche quando i figli hanno preso la loro strada e sono ormai individui autonomi. La coppia rappresenta il fulcro dinamico della famiglia, il centro propulsore, il garante della coerenza educativa. Il che vuol dire che i genitori devono costantemente riscoprirsi coppia, dedicare tempo a loro stessi, rinnovare frequentemente il dialogo e il confronto, mai darsi per scontati.

Ma l’equivoco più grande che riguarda il rapporto tra genitori e figli (ed è un equivoco che si estende anche a molti “professionisti della materia”) è proprio sul tema dell’educazione. C’è una tale confusione sull’argomento che per molti si tratta ormai di una resa incondizionata. Si preferisce rinunciare del tutto ad educare per la crescente sfiducia di riuscire a capire, applicare e portare avanti il ruolo educativo. Eppure non è difficile, se si usano le giuste categorie. Ciò che fa di un bambino un uomo è la capacità di dirigere la propria vita, di riflettere sulle scelte da fare, di capire dov’è il bene e dove il male, di agire di conseguenza, di essere fedele alle proprie decisioni. Tutto questo si traduce in una sola parola: discriminazione. Nonostante la brutta fama, dovuta a manipolazioni linguistiche, discriminare vuol dire semplicemente saper distinguere, e la capacità di distinguere è il segno primario dell’intelligenza. L’educazione, infatti, è l’arte dell’insegnare a distinguere, perché tutta la vita dei figli si tradurrà nel dover giornalmente scegliere per decidere e, nella qualità, nella coerenza e nei criteri dello scegliere una persona diventa realizza davvero sé stessa, di definisce, autodetermina il proprio destino. Quindi il compito a cui i genitori in primis e tutti gli altri educatori come ausiliari sono chiamati a svolgere è quello di accompagnare i figli, fin da piccoli, in maniera commisurata al loro sviluppo, a costruire un profondo e solido senso critico per comprendere la distinzione: tra quello che si fa e quello che non si deve fare, tra luoghi in cui si può e luoghi in cui non si può, tra tempi in cui è possibile e tempi in cui non è possibile. Capire il contesto, indossare vari abiti, adottare stili diversi di comportamento. Perché pur nell’unicità e nella fedeltà a noi stessi, dobbiamo saper adattarci a realtà diverse, modificare il linguaggio, comprendere le diversità. Ed in famiglia si apprende l’insegnamento fondamentale: ogni scelta produce delle conseguenze di cui chi sceglie si deve assumere ogni responsabilità.

Ovviamente quelle famiglie che capiscono questo e vivono in coerenza con tale comprensione devono sapere che si condannano ad un probabile isolamento. Perché la società oggi va in un’altra direzione.  Ma nello stesso tempo si impongono come cellule vive di un corpo morente, come nuclei che contengono ancora linfa vitale. Sono perciò chiamate a connettersi l’una con l’altra e creare una rete di mutuo aiuto. Il compito appare perciò duplice: da una parte consolidarsi all’interno, dall’altra tendere una mano ad altre famiglie per istituire dei sistemi di famiglie che condividono la stessa visione realistica.  L’esigenza del tempo attuale è quindi unire le persone nella famiglia, unire le famiglie in reti di condivisione e sostegno reciproco, connettere le reti per reggere - come fa il reticolo delle radici di tanti alberi – la frana di una società che declina.

 

 

 

 

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