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Immigrazione: Il governo giallo rosso spera ancora nell’Europa

I rapporti dell’Onu fotografano una realtà che impone una riflessione: in tutto il mondo più di una persona su 30 è considerata migrante, cioè vive al di fuori del paese in cui è nata. In totale sono 258 milioni: circa il 3,5% della popolazione mondiale, stimata in 7,6 miliardi di individui. E questa immensa folla di persone, obbligate a cambiare paese per cause che vanno dalle violenze in patria al variare delle condizioni climatiche, aumenta in misura di 14 milioni ogni anno.

Dopo il picco di immigrazione irregolare verso l’Europa tra il 2014 e il 2017, molti paesi dell’Europa occidentale hanno cominciato a restringere i diritti riservati ai richiedenti asilo. La Svezia ha dato un giro di vite già nel 2016. La Francia ha adottato provvedimenti restrittivi a inizio 2018. E settimana scorsa si è diffusa la notizia che la Danimarca starebbe valutando di relegare i richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta ma che non possono essere rimpatriati in un’isola remota.

Ma cosa succede quando un governo riduce il livello di protezione riservato ai richiedenti asilo, pur non essendo capace di aumentare i rimpatri verso i paesi di origine? La risposta è semplice: aumentano gli stranieri senza permesso di soggiorno presenti sul territorio. Ed è esattamente ciò che succederà in Italia nei prossimi due anni.

In breve. Tra giugno 2018 e dicembre 2020, il numero degli irregolari in Italia aumenterà di almeno 140.000 unità. Parte di questo aumento (circa 25.000 unità) è già accaduta nei mesi passati. Ma l’aumento maggiore verrà registrato tra oggi e la fine del 2020.

Nello “scenario base”, quello in cui l’Italia avrebbe mantenuto tutti e tre i livelli di protezione internazionale (status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria), gli irregolari in Italia sarebbero aumentati di circa 60.000 unità. Ma il decreto-legge dello scorso ottobre (da poco convertito in legge) potrebbe aggiungere al numero dei nuovi irregolari previsti dallo scenario base ulteriori 70.000 irregolari, più che raddoppiando i nuovi irregolari presenti in Italia. Ai ritmi attuali, i rimpatri dei migranti irregolari nei loro paesi di origine avranno un effetto solo marginale: per rimpatriarli tutti sarebbero necessari 90 anni, e solo a condizione che nel prossimo secolo non arrivi più nessun irregolare.

In totale, entro il 2020 il numero di migranti irregolari presenti in Italia potrebbe superare quota 670.000. Si tratta di un numero più che doppio rispetto ad appena cinque anni fa, quando i migranti irregolari stimati erano meno di 300.000. Sarebbe anche il record di sempre se si esclude il 2002, quando in Italia si stimavano presenti 750.000 irregolari.

Secondo il giornale il nostro Paese sta tornando ad essere considerato il campo profughi d’Europa. Non è solo l’impennata di sbarchi registrata nelle ultime settimane a farcelo dire. Ci sono diversi atteggiamenti all’interno del governo e in seno all’Unione europea che stanno mettendo a nudo la pericolosa inversione di rotta impressa dal Conte bis.
 rompere gli argini, dopo la batosta elettorale in Umbria, è stata la decisione del governo di inchinarsi a piedi di una Ong francese, la Sos Mediterranée, e di far attraccare la Ocean Viking, nave battente bandiera olandese, nel porto di Pozzallo per farvi sbarcare i 104 immigrati clandestini che ha a bordo. Una presa di posizione netta a favore delle organizzazioni non governative che incoraggia gli scafisti in un momento in cui continuano gli sbarchi non accennano a diminuire. Dall’inizio del mese, tanto per dare un’idea al lettore, si sono registrati 1.854 arrivi di immigrati contro i 1.007 di tutto ottobre 2018. E ancora: a settembre gli stranieri arrivati sulle nostre coste sono stati 2.498 contro i 947 arrivati nello stesso periodo dell’anno scorso.

l problema è che il governo giallorosso, secondo il quotidiano il giornale, non intende mettere un freno a questa nuova ondata di immigrati. Anzi, sembra seriamente intenzionato a riproporre quelle politiche buoniste messe in campo dai governi Letta, Renzi e Gentiloni e che hanno portato il Paese al collasso mentre gli ultrà dell’immigrazione si arricchivano con il business dell’accoglienza. Le linee guida illustrate nelle scorse ore dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, davanti alla commissione antimafia della Camera, sono di mettere mano, “nel giro di poco”, ai decreti Sicurezza voluti da Matteo Salvini quando sedeva al suo posto al Viminale. Già nei giorni scorsi, dal Partito democratico hanno fatto sapere di aver già pronti gli emendamenti necessari a smontare “pezzo per pezzo” i due decreti invisi alla sinistra. “Sui decreti sicurezza c’è stato un intervento del capo dello Stato – ha confermato la Lamorgese – quindi noi certamente in prima battuta opereremo quelle modifiche per renderli conformi alle osservazioni che erano venute dal Quirinale”. Una volta compiuto questo colpo di spugna i porti torneranno ad essere aperti a tutti gli effetti e le Ong non avranno più alcun impedimento a scaricarci tutti i disperati raccolti nel Mar Mediterraneo.

Anche a Bruxelles secondo il giornale l’esecutivo sta tenendo la stessa linea che porterà l’Italia ad essere considerata il campo profughi d’Europa. Secondo un’indiscrezione pubblicata dal quotidiano Die Welt dopo aver sentito fonti del Bundestag, il premier Giuseppe Conte avrebbe accettato un piano che prevede il rientro nel nostro Paese dei “dublinanti” presenti in Germania. Va detto che queste espulsioni forzate vanno avanti da sempre. Anzi, nei mesi scorsi era venuto anche alla luce che le autorità tedesche sono solite stordire con medicinali gli immigrati prima di imbarcarli in volo. Quando al Viminale sedeva Salvini, la cancelliera Angela Merkel non era mai riuscita a far sottoscrivere un accordo per un rientro sistematico dei dublinanti. Adesso, invece, si parla di due voli al mese dalla Germania verso l’Italia con a bordo un massimo di 25 migranti.

Già dopo il via libera alla Ocean Viking, la Alan Kurdi e la Open Arms hanno chiesto al nostro governo di poter avere un porto sicuro. Molto probabilmente vedremo gli effetti di queste scellerate decisioni la prossima primavera quando, complice le buone condizioni meteorologiche, gli sbarchi torneranno a farsi massicci. Entro allora i giallorossi avranno preparato la strada per una nuova ondata di arrivi che rimetterà in moto la macchina da soldi gestita dagli ultrà dell’accoglienza e dalle solite cooperative rosse.

Il capo politico del Movimento Cinque Stelle, in qualità di ministro degli Esteri nella giornata di mercoledì è apparso abbastanza chiaro: “Il memorandum con la Libia non può essere cancellato – ha affermato Di Maio durante il question time alla Camera – Secondo il quotidiano il giornale si creerebbe un vulnus politico. Una riduzione dell’assistenza italiana potrebbe tradursi in una sospensione delle attività della Guardia costiera libica con conseguenti maggiori partenze, tragedie in mare e peggioramento delle condizioni dei migranti”. Ma c’è un’apertura su possibili modifiche da apportare all’intesa con Tripoli: “Il governo – ha infatti proseguito Di Maio – intende lavorare per modificare in meglio i contenuti del memorandum con particolare attenzione ai centri ed alle condizioni dei migranti”. In poche parole, alla chiusura totale su ogni ipotesi di sospensione degli accordi, si è affiancata nelle ultime ore la disponibilità ad apporre modifiche sostanziali agli accordi con il governo di Fayez Al Sarraj.

E c’è chi parla di “conversione”, di un Di Maio illuminato in questo caso lungo la via di Tripoli: “Si è convertito – ha dichiarato, come si legge su Repubblica, la deputata Pd Lia Quartapelle –  È passato dall’indifferenza alla consapevolezza dei problemi”. Di fatto dunque, Luigi Di Maio è riuscito a placare gli animi molto accesi a sinistra, visto che parte del Pd e LeU soprattutto sono sempre stati fortemente contrari ad ogni ipotesi di rinnovo degli accordi. La promessa di una revisione del memorandum, ha in qualche modo fatto digerire ai deputati più restii l’oramai prossimo rinnovo automatico per altri due anni delle intese con la Libia.

L’Europa sembra essere il refugium peccatorum anche del governo Conte II. Solo che, rispetto ad altri esecutivi passati, da un’altra prospettiva. Se prima si usava, per giustificare ogni azione impopolare, il motto “ce lo chiede l’Europa”, adesso per dirimere ogni controversia interna alla maggioranza giallorossa si procede con “lo chiediamo all’Europa”. E sull’immigrazione questo modus operandi è oramai una costante durante i primi due mesi di vita del Conte II. Il nuovo scenario dove si appresta ad essere applicato, riguarda il memorandum con la Libia prossimo al rinnovo automatico.

Accordi quelli sottoscritti dal governo Gentiloni, sulla base soprattutto della linea dell’allora ministro degli interni Marco Minniti. E contro l’ex titolare del Viminale, all’interno dello stesso Pd già all’epoca in tanti avevano mostrato non pochi malumori. Ecco perché per la parte più a sinistra della coalizione era molto difficile accettare l’idea di un tacito rinnovo di quei patti stretti con Al Serraj. Per di più in giorni in cui dalla Libia sono emerse notizie sul caso Bija e sul nuovo codice delle Ong varato proprio dal governo di Tripoli.

Di Maio però, ha sempre rifiutato di dare un taglio netto a quegli accordi. Questo per due motivi: il primo è di ordine prettamente politico e riguarda l’esigenza del capo politico dei grillini di non mostrarsi così distante dalla sua posizione tenuta quando era alleato di Salvini. L’altro ha a che fare con il suo mandato di ministro degli Esteri: qualcuno alla Farnesina avrà spiegato a Di Maio che, sotto il profilo politico, ritirarsi da quegli accordi equivaleva ad allontanarsi dal governo di Al Sarraj, sostenuto da sempre dall’Italia anche con 300 militari ancora oggi presenti a Misurata.

Come scrive il giornale nella sua rubrica insider a qui il “compromesso“: si rinnovano gli accordi, ma si promette anche una loro revisione. Ma, nel particolare, cosa si andrà a rivedere? La questione qui non è solo politica, bensì anche tecnica e pratica . Di Maio mercoledì ha assicurato che il governo ha già aperto tavoli tecnici con l’Oim e l’Unchcr, segno che, seguendo le richieste di una parte della maggioranza, l’obiettivo è quello di uno svuotamento dei centri d’accoglienza libici. Un progetto ambizioso, volto a chiudere per sempre strutture colme all’inverosimile ed esposte anche ai combattimenti in corso a Tripoli. L’Italia però da sola non lo può fare.

Ed ecco quindi che a subentrare è la richiesta, ancora una volta, dell’aiuto da parte europea. Quello che Roma vuole chiedere a Bruxelles, continua il giornale si legge dai retroscena trapelati e ripresi da Repubblica, è la gestione di hotspot direttamente in Libia. Magari dirottando una parte dei fondi previsti per Frontex verso la costruzione e gestione di hotspot lungo le coste della Tripolitania. In tal modo, si creerebbero delle strutture più dignitose per i migranti, dove potrebbe essere possibile già lì registrare i richiedenti asilo ed organizzare ponti umanitari per permettere o il loro ingresso in Europa oppure il loro rientro in patria. Un progetto, di per sé, ambizioso ma dove non mancano le incognite. A partire dalla volontà stessa dell’Ue di collaborare. Lo si è visto già in occasione del vertice di Malta: a fronte della volontà espressa da parte della Germania di istituire meccanismi di redistribuzione automatica dei migranti, nei fatti poi non è cambiato nulla. Anzi, il vertice sopra menzionato è stato solo mera passerella politica per aiutare l’amico Giuseppe Conte, in difficoltà visto il numero crescente di sbarchi.

Se l’Europa è la stessa poi che, nel vertice dei ministri dell’interno del Lussemburgo, ha giudicato marginale i numeri delle rotte centrali del Mediterraneo, difficilmente da Bruxelles arriveranno parole di sostegno ad un simile progetto. Ed anche le rassicurazioni dello spagnolo Josep Borrell, prossimo a succedere a Federica Mogherini come alto rappresentante della politica estera dell’Ue e che ha dichiarato di essere pronto a riaprire il dossier libico, per adesso non appaiono così risolutive. C’è poi un’altra incognita, ossia la situazione sul campo. A parte il fatto che occorre capire se, sotto il profilo politico, il governo di Al Sarraj vorrà o meno inserire queste modifiche nel memorandum, il problema principale è che a Tripoli si continua a sparare. Per dare vita al sistema sopra descritto, occorre garantire condizioni di sicurezza che al momento non ci sono.

La proposta dunque in ballo, altro non è che un compromesso politico interno alla maggioranza al momento vuoto di contenuti pratici. Si sta provando a far digerire alla parte più a sinistra della coalizione il rinnovo delle intese con Tripoli e nulla più. Ed a gennaio, quando si parlerà di rifinanziamento delle missioni all’estero, sul capitolo che riguarderà la Libia l’attuale tregua interna alla maggioranza potrebbe già terminare.

Ai dubbi sul piano del governo e soprattutto sul possibile aiuto dell’Unione europea, si è poi aggiunta direttamente la smentita dell’Ue: “Questo piano non esiste”. La portavoce della Commissione europea, Natasha Bertaud, ha risposto in maniera molto netta all’ipotesi di un piano per gli hotspot in Libia controllati da Bruxelles con un messaggio molto chiaro: “Non c’è alcuna intenzione che questo piano esista in futuro”, anche perché la stessa portavoce ha voluto ribadire, sulla Libia, che “non ci sono le condizioni per considerarlo come un paese sicuro”. Ancora una volta l’Europa non ci darà una mano.

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