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Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, avvierà dal 3 aprile le consultazioni per capire se esiste una strada che porti alla nascita di una maggioranza. In attesa del lavoro del capo dello Stato, le forze politiche si muovono tra strategie silenziose e nodi politici da sciogliere. Ieri, sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio hanno rivendicato per Lega e M5s la guida del futuro esecutivo. Una mossa che punta a neutralizzare reciproche fughe in avanti. In realtà, le trattative, al netto delle dichiarazioni ufficiali, sia tra i leader che all'interno dei partiti continuano.

Una volta eletti i presidenti ed i presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato, da martedì 27 marzo il presidente della Repubblica avrà a disposizione tutti gli interlocutori previsti per avviare le consultazioni per la formazione del nuovo governo, il primo della legislatura. Le consultazioni, che a questo punto potrebbero partire subito dopo Pasqua, vengono di norma aperte dai presidenti delle Camere; dopo Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico nello Studio alla Vetrata sarà ricevuto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e quindi i capigruppo dei due rami del Parlamento.

Alla Camera i deputati devono comunicare a quale gruppo si iscrivono entro il prossimo 26 marzo. I gruppi sono tutti simultaneamente convocati per il 27 marzo alle 15.30 per l'elezione dei rispettivi presidenti. A seguire si terrà la prima conferenza dei capigruppo. Al Senato i senatori devono dichiarare l'adesione ai gruppi entro lunedì. I gruppi parlamentari sono convocati martedì 27 marzo alle 16 per procedere, ove non lo avessero ancora fatto, alla propria costituzione e all'elezione dei rispettivi presidenti. La prima conferenza dei Capigruppo di palazzo Madama è convocata per mercoledì 28 marzo alle 11.

L'Aula della Camera è convocata per giovedì 29 marzo per l'elezione dei componenti dell'Ufficio di presidenza. L'Assemblea di Montecitorio sarà chiamata ad eleggere quattro vicepresidenti, tre questori e otto segretari di presidenza. L'Aula del Senato è convocata mercoledì 28 marzo alle 15 per l'elezione dei componenti del Consiglio di presidenza, composto da quattro vicepresidenti, tre questori ed otto Segretari. L'elezione degli uffici di presidenza delle due Camere avviene per schede, è segreta, come quella dei presidenti ed avviene con il meccanismo del cosiddetto 'voto limitato', volto a tutelare le opposizioni: ciascun parlamentare può votare per un numero di candidati inferiore a quelli da eleggere.

"Non è o Salvini o la morte" ha detto inoltre parlando della possibilità che invece di premier lui diventi 'solo' ministro. "A me - ha spiegato - interessa che l'Italia cambi. Sono pronto a metterci la faccia in prima persona e lavorare 24 ore su 24. Ma siccome voglio il cambiamento non è o Salvini o la morte". "La coalizione che ha vinto è quella di centrodestra. Anche se non ha i numeri sufficienti per governare da sola ha vinto, quindi si parte dal programma di centrodestra", ha sottolineato Salvini. E all'interno del centrodestra, ha ricordato, l'accordo era che chi prendeva un voto in più esprimeva il premier. "Sono pronto ma - ha aggiunto - non voglio fare il presidente del Consiglio a tutti i costi, con tutti perché altrimenti mi ammalo. Lo faccio se c'è la possibilità di approvare le leggi per cui gli italiani mi hanno dato il voto. Altrimenti se mi dicono va a fare il presidente di un governo dove ci son dentro tutti quanti e poi vediamo che cosa si riesce a fare in un anno no". 

Dopo l'intervista al Corriere nella quale Silvio Berlusconi apre a un governo Salvini escludendo l'ipotesi di una alleanza solo Lega-M5s, a parlare è il leader del Carroccio. Che va all'attacco dell'Ue: "I problemi fra Madrid e Barcellona - ha detto a Telelombardia - si risolvono dialogando, non con le manette". "L'Unione Europea - ha aggiunto - ha dimostrato il suo nulla".

"Per ora i 5 Stelle si sono dimostrati affidabili", ha detto ancora. "Io le persone le giudico dai fatti, non dalle parole. Poi nei fatti, nei numeri uno si dimostra affidabile o non affidabile" ha spiegato aggiungendo che "quello che hanno detto, hanno fatto. 

Come Di Maio e Grillo hanno detto Salvini ha dato una parola e l'ha mantenuta, io apprezzo la gente che dice una cosa e poi la fa" e questo "vale anche per Berlusconi: alla fine abbiamo chiuso con il centrodestra compatto"

"Sono pronto, ritengo ci sia una squadra pronta" ha detto Salvini ironizzando sulla figura dell' ircocervo con la quale Silvio Berlusconi ha definito un'eventuale alleanza Salvini-Di Maio. "Chi ci ha votato - ha spiegato - ci ha dato fiducia per fare delle cose come l'abolizione della legge Fornero e su questo "vediamo in Parlamento chi ci sta".

Rispetto all'elezione dei presidenti delle Camere - ha detto ancora sul governo - è "un altro paio di maniche". "Chi mi dà una mano a cancellare la legge Fornero? Su la mano in Aula. C'è una maggioranza: io andrò dal presidente della Repubblica con i nostri 10 punti più importanti, la riforma della scuola, del lavoro...".

Intanto  Il neo presidente della Camera, Roberto Fico, non sembra voler derogare al "low profile" che vuole imprimere al suo mandato. Anche questa mattina, dovendo rientrare da Napoli, ha scelto di non modificare le proprie abitudini: metro fino alla stazione centrale poi Freccia rossa per arrivare a Roma alle 9.40. A chi gli ha chiesto che cosa provasse a cominciare la settimana da presidente ha ammesso di provare una "grande emozione, ora andiamo a lavorare". E ha scherzato sul primo passo da compiere: "Per prima cosa, prendo il taxi e vado in ufficio". Ma una volta uscito dalla stazione ha puntato dritto verso i capolinea degli autobus salendo sull'85.

Arrivato in via del Corso, è sceso e ha proseguito a piedi fino alla Camera. In piazza Montecitorio un gruppo di persone gli ha stretto la mano augurandogli buon lavoro. All'entrata della Camera ha preferito non rispondere alle domande sulla presidente del Senato né sulle priorità stabilite

"Ci mettiamo subito al lavoro".

Il Cavaliere in un'intervista al Corriere della Sera parla di Salvini e dei contatti con i Cinque Stelle per un esecutivo grillino-leghista: "Sarebbe un ircocervo, l’animale mitologico spesso citato dai filosofi antichi come esempio di assurdità, perchè in esso convivono caratteri opposti e inconciliabili. E poi perchè Salvini dovrebbe fare il socio di minoranza di un governo Cinque Stelle? Non credo che l’elettorato di centrodestra lo perdonerebbe". Il leader di Forza Italia a questo punto sottolinea l'unità del centrodestra anche in vista della formazione di un nuovo esecutivo: "Con il leader della Lega e con Giorgia Meloni abbiamo accordi chiarissimi: è il centrodestra unito che lavorerà per una soluzione della crisi e per assicurare un buon governo all’Italia".

Sul leader della Lega, Matteo Salvini aggiunge: "Matteo è persona intelligente - ha detto Berlsuconi in un’altra intervista a La repubblica - sa benissimo che senza di noi è il leader di un partito del 17 per cento, che va ad allearsi con un altro che vale il doppio. Che vantaggio avrebbe nel fare lo junior partner di Di Maio? E poi vi immaginate gli elettori leghisti, i piccoli imprenditori e gli artigiani del Nordest, che accettano Di Maio premier o qualcuno con caratteristiche simili? Io non voglio che accada questo, non è nei miei progetti. Voglio che Matteo provi a governare. Con noi, e con chi ci sta.

Nel centrodestra, Fratelli di Italia, la terza forza della coalizione, deve sciogliere il primo nodo: sganciarsi dall'alleanza, sostenendo un eventuale governo M5s-Lega, o confermare il patto con gli elettori e restare all'opposizione in caso di strappo di Salvini. Non c'è una spaccatura all'interno del partito di Giorgia Meloni ma un ragionamento sulla proposta da recapitare a Mattarella. Meloni - nell'intervista al Corriere della Sera - ha provato a indicare la linea, intravedendo all'orizzonte solo un governo del centrodestra. La leader di Fdi è certa che i voti che mancano per ottenere la fiducia nei due rami del Parlamento si troveranno con un appello ai singoli deputati e senatori: «Mancano una cinquantina di voti, una distanza che si può colmare con un appello trasversale ai parlamentari.

Una riflessione che spinge una parte del partito a non scartare l'ipotesi di un accordo con Carroccio e Cinque stelle per sostenere la nascita di un esecutivo. È la proposta suggerita dall'ex capogruppo Fabio Rampelli che al Giornale ha fissato anche i paletti in cui muoversi: «Provare a essere il grillo parlante della maggioranza, un po' come faceva Bossi quando a Palazzo Chigi c'era Berlusconi». 

Se aderiscono a precisi punti di programma, non ha importanza da che partito provengono. A meno che non ci sia un accordo tra Pd e M5s, non ho motivo di dubitare che Mattarella farà fare a noi questa esplorazione». Una strada stoppata nel giro di un paio di ore dall'ex capogruppo dem Ettore Rosato che dal Giornale Radio Rai ha risposto: «La Meloni non troverà voti nel nostro gruppo». 

La rotta indicata dalla Meloni non scioglie il nodo politico. Perché se quei voti non arriveranno, cosa farà il partito? Una prima opzione potrebbe essere la via di un'opposizione parlamentare, forte anche dei numeri dei gruppi di Fdi, alla destra di un governo M5s-Lega. Una scelta che contiene il rischio, concreto, dell'irrilevanza politica per una ragione semplice: lo scenario di un governo M5s-Lega assegnerebbe al Pd, e non a Fratelli di Italia, il ruolo di opposizione.

Silvio Berlusconi è stato rinviato a giudizio, ancora una volta, a Milano, per il caso Ruby ter. Lo ha deciso il gup Maria Vicidomini che ha mandato a processo anche 4 'olgettine' nel filone con al centro i versamenti più recenti dell'ex premier alle giovani e i reati di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. Il processo inizierà il prossimo 9 maggio. Il leader di FI è già processo a Milano con altri 23 imputati nel filone principale. 

Il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio avevano ribadito in udienza preliminare la richiesta di processo Berlusconi e le 4 giovani, che furono ospiti delle serate ad Arcore. 

Sono passate almeno quattro ore prima dell'intervento delle teste di cuoio, scattato alle 14,25 e durato meno di dieci minuti. Intorno alle 14, la città di Carcassonne era praticamente in stato d'assedio: negozi evacuati, scuole chiuse, ai turisti è stato impedito di uscire da hotel e ristoranti. Anche a Trebes, i bambini sono rimasti chiusi nelle scuole e tutti gli accessi alla città isolati dalle forze di polizia. Le forze dell'ordine hanno fatto irruzione nel supermercato e hanno ucciso il terrorista, conosciuto ai servizi segreti e sorvegliato per reati minori. «Era un piccolo delinquente comune, noto per spaccio di stupefacenti», ha dichiarato il ministro dell'Interno francese, Gerard Collomb, che ha anche detto che l'assalitore «ha agito da solo».

Nel supermercato lavorano 50 dipendenti, ma non è chiaro quanti si trovassero nell'edificio al momento dell'irruzione armata. Mentre il terrorista si trovava asserragliato nel supermercato, sul posto era arrivata anche la madre, accompagnata dalla polizia, insieme con altri familiari e amici dell'uomo che si definisce «un soldato dell'Isis». Una decina di clienti presi in ostaggio sono stati rilasciati nel corso della mattinata. L'uomo armato era rimasto all'interno del negozio, con il militare.

Prima della presa d'ostaggi, l'assalitore aveva rubato un'auto a Carcassonne, uccidendo un passeggero con un colpo di pistola alla testa e ferendo il conducente. Poi aggredito un gruppo di poliziotti che tornavano da una corsa e stavano rientrando in caserma. Li ha seguiti in auto e ha esploso cinque colpi con una pistola, ferendo un agente, che ha una costola rotta e un polmone perforato. «La pallottola gli è passata a tre centimetri dal cuore», ha scritto su Twitter la polizia.Il terrorista è poi scappato e alle 11.15 si è rifugiato nel supermercato Super U. La polizia ha subito isolato la zona

L'uomo, Redouane Lakdim, 26enne di origini marocchine, ha fatto irruzione nel Super U della cittadina a dieci chilometri da Carcassonne, urlando «Sono dell'Isis». In seguito il giovane ha detto di volersi «vendicare per la Siria» e ha chiesto la liberazione di Salah Abdeslam, unico superstite del commando terrorista degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, che provocarono la morte di 130 persone e che attualmente è rinchiuso in carcere in Francia. 

Il terrorista ha poi sparato e ucciso l'addetto al banco macelleria del negozio. In una drammatica testimonianza raccolta telefonicamente da Bfm-tv, un impiegato del supermercato ha raccontato: «Ero al reparto macelleria, è lì che lavoro, ho sentito un botto, pensavo fosse caduto qualcosa, poi spari, spari e spari. Sono scappato, come tanti: in quei momenti non c'è tempo per ragionare, scappi e basta, noi siamo usciti dal retro».

Gli ostaggi sono stati poi fatti uscire e con l'uomo è rimasto un ufficiale della gendarmeria. Poco prima, colpi di arma da fuoco erano stati sparati contro poliziotti a Carcassonne, dallo stesso uomo, che ha poi rubato un auto uccidendo un passeggero e ferendone gravemente un altro.

L'Isis rivendica l'attacco nel sud della Francia: è quanto si legge sull'Amaq, l'agenzia di propaganda dello Stato islamico.

L'uomo, schedato per sospetta radicalizzazione, era un marocchino o di origine marocchina di 25 anni, che viveva a Carcassonne. Chiedeva la liberazione di Salah Abdeslam, l'unico superstite degli attentati parigini del 13 novembre 2015, attualmente in carcere in Francia.

"Un tenente colonnello dei gendarmi si è offerto volontariamente per sostituire gli ostaggi nel supermercato ed è rimasto da solo con il terrorista", ha detto il ministro dell'Interno francese, Gerard Collomb, nella prima ricostruzione dei fatti dopo la fine dell'attacco terroristico a Trebes. Il ministro ha definito "eroe" l'ufficiale di gendarmeria, rimasto gravemente ferito. Il tenente colonnello, secondo la ricostruzione di Collomb, si è offerto "spontaneamente" di sostituirsi a uno degli ostaggi che era rimasto all'interno dopo che gli altri erano usciti. L'ufficiale "ha lasciato il suo cellulare acceso", ha aggiunto il ministro, "dall'esterno è stato possibile seguire quello che avveniva dentro al supermercato. Quando abbiamo udito dei colpi di arma da fuoco, i reparti speciali sono intervenuti. Voglio rendere omaggio a questo tenente colonnello, rimasto gravemente ferito, protagonista di un atto di eroismo".

"Tutte le informazioni di cui disponiamo allo stato attuale fanno pensare ad un atto terroristico": così il premier Edouard Philippe, intervistato in diretta sui fatti di Trebes. Il premier, attualmente in missione a Mulhouse, ha annunciato il rientro d'urgenza a Parigi per seguire la situazione. 

Il presidente francese, Emmanuel Macron, attualmente impegnato a Bruxelles per il vertice Ue, viene informato sulla situazione a Trèbes "minuto per minuto": è quanto riferiscono fonti vicine al presidente.

'"Ero al reparto macelleria, è lì che lavoro, ho sentito un botto, pensavo fosse caduto qualcosa, poi spari, spari e spari. Sinceramente non ho visto l'assalitore in faccia. Appena sentiti gli spari sono scappato, come tanti, in quei momenti non c'è tempo per ragionare, scappi e basta, noi siamo usciti dal retro": è la testimonianza telefonica data in diretta su Bfm-tv da un impiegato del Super U di Trèbes dove è in corso la presa di ostaggi di un individuo affiliato all'Isis. "Ora siamo al sicuro, chiusi nel garage - ha aggiunto - aspettiamo ordini dalla polizia, non ci possiamo muovere da qui".

L'ex presidente francese Nicolas Sarkozy è in stato di fermo a Nanterre, dopo essere stato convocato dalla polizia nell'ambito di un'inchiesta sui finanziamenti illeciti dalla Libia alla sua campagna elettorale del 2007 La storia della guerra in Libia e il fantasma di Gheddafi continuano a perseguitare Nicolas Sarkozy . 

L'ex Presidente è da stamattina in stato di fermo dai magistrati anti-corruzione di Nanterre nell'ambito dell'inchiesta sul presunto finanziamento della sua campagna elletorale del 2007 la prima in cui era candidato all’Eliseo - da parte dell’allora potentissimo raìs libico. 

Le prime accuse erano state rivelate dal sito Mediapart sei anni fa e documentate in un libro uscito qualche mese fa dal titolo “Avec les compliments du Guide” firmato da due cronisti del sito Fabrice Arfi e Karl Laske. 

I giornalisti avevano raccontato di borse piene di banconote passate da Tripoli e Parigi, bonifici sospetti, lettere con promesse di milioni di euro per favorire l’elezione dell’allora leader della destra francese, fino ai ricatti, le minacce e la guerra scatenata da Sarkozy. Nelle varie ricostruzioni si parla di finanziamenti di quasi 50 milioni di euro in diversi pagamenti cash. 

E' la prima volta che Sarkozy viene interrogato su queste accuse, dopo l'apertura dell'inchiesta nel 2013. Lo stato di fermo può durare fino a 48 ore, dopodiché Sarkozy potrà essere presentato davanti al magistrato.

Anche l'ex ministro e fedelissimo di Sarkozy, Brice Hortefeux, è stato interrogato questa mattina. Hortefeux, precisa , è stato interrogato in libera audizione e contrariamente a Sarkozy non è in stato di fermo.

La vicenda è un nuovo colpo, il più pesante, al partito neo gollista dei Républicaines, dopo lo scandalo Fillon – che avrebbe assunto in modo fittizio la moglie come assistente parlamentare - che è costato un pesante risultato elettorale anche alle successive elezioni legislative, vinte dal nuovo movimento del presidente Emmanuel Macron. 

I Républicaines, sotto la guida di Laurent Wauquiez, stanno cercando ora di recuperare terreno avvicinandosi ai temi lepenisti del Front National, una svolta mal vista dai neo gollisti tradizionali sempre più in difficoltà. Più in generale, la vicenda ripropone il tema – oggi attualissimo – delle interferenze estere, attraverso finanziamenti o propaganda occulta, di potenze straniere e di orientamento autoritario nelle democrazie occidentali.

Una nota confidenziale del governo di Tripoli, che confermava il pagamento, era del resto già stata pubblicata a marzo del 2012, mentre il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, aveva già rivelato nel 2011 che suo padre aveva finanziato, con 50 milioni, la campagna del candidato gollista. «Sarkozy – disse in quell'occasione – deve innanziutto restituire i soldi che ha preso dalla Libia per finanziare la sua campagna. Lo abbiamo aiutato, abbiamo i dettagli della vicenda e siamo pronti a rivelarli».

Secondo fonti della stampa Italiana il 6 ottobre 2006, rivelava Mediapart, Hortefeux si sarebbe incontrato con Abdullah Senussi, responsabile delle attività di spionaggio di Gheddafi, Bashir Saleh, presidente del Fondo di investimenti africano di Tripoli e il trafficante d'armi libanese Ziad Takieddine. I protagonisti hanno tutti smentito di aver partecipato all'incontro anche se Takieddine, attraverso un legale, ha ammesso che un simile meeting era molto verosimile.

Successivamente l'uomo d'affari libanese ha affermato di aver versato 5 milioni di euro - è questa la somma oggi contestata all’ex presidente - a Claude Guéant, direttore della campagna presidenziale e poi a Sarkozy, all'epoca ministro degli Interni, in banconote da 200 e 500 euro trasportate in valigie argentate durante tre viaggi da Tripoli a Parigi tra fine 2006 e inizio 2007. Guéant, nel 2015, è stato posto sotto inchiesta per falso, frode fiscale e associazione per delinquere in relazione al noleggio, il 21 marzo 2007, di un’enorme cassaforte presso la Bnp e a un bonifico da 500mila euro apparso nei suoi conti nel 2008 e che lui attribuisce alla vendita di due quadri.

Il premier francese Edouard Philippe, intervistato questa mattina dai media francesi, ha detto di non voler fare "alcun commento" sul fermo di Sarkozy ma ha evocato una "relazione intrisa di rispetto".

"E' utile che la giustizia possa progredire e far luce": lo ha detto il ministro francese dell'Agricoltura, Stéphane Travert, commentando il fermo dell'ex presidente. "Non ho commenti da fare su questo dossier che dura ormai da tanto tempo. La giustizia fa il suo lavoro", ha aggiunto intervistato da France Info.

Cosi al centro dell'inchiesta sui presunti finanziamenti dell'allora dittatore libico Muammar Gheddafi a Nicolas Sarkozy, ci sarebbero bustarelle per 5 milioni di euro in denaro contante. Dalla pubblicazione, nel maggio 2012, da parte del sito Mediapart, di un documento libico che evocava un presunto finanziamento di Gheddafi alla campagna presidenziale di Sarkozy, le indagini dei magistrati sono "molto progredite, rafforzando i sospetti che pesano sulla campagna dell'ex capo dello Stato", scrive Le Monde. 

Nel novembre 2016, durante le primarie dei Républicains, il faccendiere Ziad Takieddine dichiarò di aver trasportato 5 milioni di euro in contanti da Tripoli a Parigi tra fine 2006 e inizio 2007 prima di consegnarli a Claude Guéant, tra i fedelissimi dell'ex presidente, poi allo stesso Sarkozy. Fonti vicine al dossier parlano di "indizi gravi e concordanti". Tra l'altro, la testimonianza di Takieddine risultò in linea con quella dell'ex direttore dell'intelligence militare libica, Abdallah Senoussi, il 20 settembre 2012, dinanzi alla procura generale del consiglio nazionale di transizione libico.

Come scrive Le Monde anche gli appunti di un ex ministro libico del petrolio, Shukri Ghanem, morto in circostanze misteriose nel 2012, parlerebbero di alcuni pagamenti in denaro a Sarkozy. Bechir Saleh, ex finanziere di Gheddafi e deputato alle relazioni con la Francia, recentemente ferito da colpi di arma da fuoco durante un'aggressione a Johannesburg, rivelò a Le Monde che "Gheddafi aveva ammesso di aver finanziato Sarkozy. Sarkozy nega ma io credo di più a Gheddafi".

Il fermo a cui è stato sottoposto Sarkozy cosa vuol dire? I giudici hanno in mano altre prove sul finanziamento illecito di cui avrebbe beneficiato? L'ex presidente sino ad ora ha sempre negato ogni accusa. Vediamo cosa accadrà di qui a breve.

 

 

Un ennesimo giro di telefonate ieri tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi per arrivare oggi al vertice convocato a palazzo Grazioli con un punto di partenza condiviso: le decisioni devono rappresentare tutta la coalizione, è il messaggio recapitato al segretario della Lega. 

E la scelta dei due presidenti di Camera e Senato rappresenta il primo ostacolo su cui testare la tenuta del centrodestra. Il dialogo tra la Lega ed il Movimento Cinque Stelle continua a destare sospetti ad Arcore non solo perchè il Cavaliere continua a ritenere che in una logica di coalizione un ruolo di primo piano vada dato anche al suo partito, ma la vera preoccupazione è che l'intesa sulle presidenze sia il preludio ad un accordo di governo. Uno scenario che un big come Giancarlo Giorgetti boccia senza appello, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, ribadendo che il Carroccio manterrà gli impegni presi con gli alleati ma che anche "Forza Italia deve collaborare". Parole che oggi il leader della Lega ribadirà al Cavaliere, con l'intenzione di mantenere il canale di dialogo con il Movimento Cinque Stelle, comunque indisponibile a votare "condannati o inquisiti".

Il veto su Paolo Romani dei pentastellati resta nonostante il capogruppo Fi sia ancora il primo candidato del suo partito, anche perchè gli azzurri ricordano che il coalizione più numerosa a palazzo Madama è proprio la loro: Noi non condizioniamo le scelte degli altri - è il ragionamento - non possiamo accettare diktat.

Intanto al via il vertice del centrodestra a Palazzo Grazioli. Nella sede della presidenza di Forza Italia, oltre al presidente Silvio Berlusconi, prendono parte alla riunione, oltre all'azzurro Niccolò Ghedini, i leghisti Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, e gli esponenti di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni e Ignazio La Russa.

E intanto, il leader della Lega, intervenendo a Radio Padania, ha detto: "Di Maio può dire quello che vuole, ma la prima coalizione uscita dalle urne è quella di centrodestra e noi ragioniamo da persone concrete su quello che è il governo da dare agli italiani". 

Ma tra i 5 Stelle e la Lega l'accordo sulle presidenze delle Camere è sostanzialmente fatto: ed è a tal punto saldo da far immaginare ai due contraenti di poter sbloccare l'elezione della seconda e terza carica dello Stato al massimo sabato. "L'elezione dei due Presidenti avverrà in contemporanea" si mettono al riparo però i 5 Stelle che non sembrano comunque temere colpi di scena da parte del centrodestra che domani riunirà i suoi big: "Per decidere merito, metodo e nomi". A garantire per la sua coalizione ci prova Matteo Salvini che si giostrerà prima la partita dentro il centrodestra. Tant'è che sulle personalità indicate le carte sono ancora coperte e verranno scoperte solo giovedì, dopo il vertice con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni a Palazzo Grazioli, e a ridosso dell'inizio delle votazioni.

Ma lo schema sembra già stabilito: ai M5s la Camera e alla Lega, o centrodestra, il Senato. Luigi Di Maio torna però ad elencare quelli che sono i paletti da rispettare: dovranno "rappresentare le istituzioni in maniera dignitosa e onorevole, quindi non accetteremo né condannati né persone sotto processo" ripete confermando il suo No, quindi, a Paolo Romani o Roberto Calderoli e facendo risalire in primo luogo le quotazioni di Giulia Bongiorno, accanto a quelle dell'azzurra Anna Maria Bernini, mentre spunta il nome di un'altra leghista Lucia Borgonzoni. Per il Movimento, Di Maio rivendica Montecitorio dove in pole ci sono sempre i nomi di Riccardo Fraccaro e Roberto Fico: "Vogliamo che ci venga riconosciuto lo straordinario risultato del 4 marzo" mette in chiaro il leader che ripete: "abbiamo chiesto la Presidenza della Camera perché qui ci sono più vitalizi da tagliare, più regolamenti da modificare". Tanto più che al Senato è molto più difficile governare il calendario dei lavori giacché per regolamento, in assenza di maggioranza in Consiglio di Presidenza, la palla passa all'assemblea. Un desiderio, fanno sapere i capigruppo M5s su cui non c'è alcuna "contrarietà degli altri partiti" che intanto già si organizzano per suddividersi le vicepresidenze.

Tra le ipotesi discusse c'è anche quella di presentare una rosa di nomi (uno potrebbe essere quello di Anna Maria Bernini) e vedere quale dei due ottiene più consensi.

In alternativa, Forza Italia potrebbe rilanciare sulla Camera con Mariastella Gelmini lasciando che Toninelli sia il candidato M5s al Senato. Per Montecitorio poi potrebbe tornare in auge il nome di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia e candidato su cui gli altri due leader avrebbero dei problemi a dire di no. Nella partita delle candidature potrebbe poi rientrare anche quella del Friuli Venezia Giulia.

L'accordo sul nome di Renzo Tondo potrebbe essere rimesso in discussione in favore di Massimiliano Fedriga, capogruppo uscente della Lega alla Camera e da sempre in pole per la presidenza della Regione. Insomma il rebus non è semplice da sciogliere anche in considerazione del fatto che nel centrodestra si guarda già agli scenari sulla costruzione del governo. Il Cavaliere non vuole rimanere tagliato fuori e più volte ha ribadito la disponibilità a dar vita ad un governo che non è detto abbia come premier Salvini.

Stesso ragionamento di Meloni che però pone come condizione il fatto che sia il leader del Carroccio ad indicare un altro esponente del suo partito che possa tentare di trovare un'intesa. Ed è in nome proprio della volontà di dar vita ad un esecutivo che dentro Forza Italia non si chiude la porta nemmeno ad un'intesa con i pentastellati. Un percorso difficile di cui gi big azzurri sono perfettamente consapevoli.

"E' finita l'era dell'opposizione, ora comincia l'era del governo M5s: saremo all'altezza di questa sfida" esulta Di Maio mostrando quindi di aver l'accordo in tasca che sarebbe stato stretto questa mattina con il vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti. Il quale cerca di mantenere il low profile: "stiamo lavorando tutti assieme, non solo Lega e Cinque Stelle. Domani tireremo le somme con Berlusconi e Meloni e decideremo tutti assieme, come centrodestra, come ci presenteremo al M5s e al Pd". Insomma, "non c'è alcun accordo segreto tra Salvini e Di Maio".

Ma il leader pentastellato sembra già cantare vittoria e già guarda al governo dove non abbandona ancora la strada di un'intesa che, con pazienza, guardi anche a sinistra. Per il momento, in ogni caso, le indiscrezioni sulla 'pazienza' e sulla neutralità del Quirinale di fronte al colore che dovrebbe avere un governo stabile e con i numeri lo rassicurano. "Sono sicuro che il capo dello stato gestirà nel migliore dei modi questa fase. Apprezziamo molto che il Quirinale non stia mettendo fretta alle forze politiche" ha commentato il candidato premier M5s. Ed esulta, con il Washington Post, anche Davide Casaleggio che raccoglie i frutti della scommessa fatta da suo padre Gianroberto: "Il M5s è inarrestabile, è il primo partito digitale al mondo" mentre i vecchi partiti sono "moribondi" e con l'avvento della Rete anche "obsoleti e diseconomici".

Meglio, di Palazzo Madama, perché Montecitorio si lascerebbe al M5s. Lo schema prevede un passo indietro e uno avanti per Fi e Lega. Il Carroccio rinuncerebbe ad imporre la Bongiorno o la Borgonzoni a favore di un azzurro. Potrebbe arrivare una rosa di nomi: Paolo Romani, che però ha l'handicap del no dei grillini a chi è sotto processo, Anna Maria Bernini, e un'altra senatrice azzurra, magari Elisabetta Alberti Casellati. Il vicesegretario leghista, Giancarlo Giorgetti, conferma: «Importante è che una presidenza vada al centrodestra, se ne servirà uno non della Lega, non faremo i capricci». E aggiunge: «Non vogliamo fare un'Opa su Fi, vogliamo fare un governo».

Le due telefonate ad Arcore di Salvini, lunedì e ieri mattina, sono servite a tranquillizzare il Cavaliere sulla volontà del candidato premier di non giocare da solo ma a nome di tutto il centrodestra. Sul piatto c'è anche la trattativa per il futuro governatore del Friuli: invece di Tondo, già annunciato da Fi, sarebbe Fedriga.

Le carte in mano in questo momento ce le ha Salvini, leader della prima forza, con il mandato degli alleati di trattare. E lui guarda a Luigi Di Maio per un governo, non di scopo, ma di lunga durata, su 5-6 punti di programma (legge elettorale, Fornero, Def, Jobs act,immigrazione,sicurezza). Eventualmente, si valuterebbe step by step se accordarsi su altri punti. A Palazzo Chigi potrebbe non arrivare né il candidato premier grillino né il leader leghista.

Berlusconi, da parte sua, deve prendere atto che la strada dell'accordo con il Pd sembra chiusa, non c'è interlocutore, né linea. E l'ex premier due cose ha chiare: non vuole tornare al voto, né finire all'opposizione. Inoltre, l'arma di pressione sulla Lega di far saltare le amministrazioni locali nelle quali si governa insieme (come ipotizzato da Maroni), appare spuntata perché dal territorio arrivano segnali diversi: il governatore ligure Giovanni Toti, ma anche assessori e consiglieri veneti e lombardi fanno sapere che non si dimetterebbero in ogni caso. Obtorto collo, insomma, Berlusconi deve ragionare su un esecutivo con i 5 Stelle, per non rimanere tagliato fuori e rispettare il risultato elettorale. Anche se, dentro di sé, spera che il percorso accidentato che Salvini ha davanti lo porti in un vicolo cieco. E che si apra una prospettiva diversa. Lo stesso leader leghista non ha certezze, mette un passo dopo l'altro.

Con un governo M5s-Lega, probabilmente Fdi andrebbe all'opposizione, Fi rischierebbe di annegare nel partito unico del centrodestra, se si facesse una legge elettorale con premio alla lista, come vuole il M5s, ma anche la Lega potrebbe finire penalizzata.

Il partito azzurro è in subbuglio. Ma il Cav chiede di aver fiducia. Ora bisogna pensare al 23 marzo, al voto sui presidenti del Parlamento. I capigruppo M5s hanno incontrato i capigruppo di Fi, Romani e Brunetta, ribadendo che non voteranno chi ha guai giudiziari.«Non accettiamo veti», dice Renato Schifani. Ma Romani potrebbe rinunciare. In Senato il centrodestra non ha bisogno al ballottaggio dei voti M5s, e prevede l'astensione del Pd, ma alla Camera i grillini non possono farcela da soli. «Il centrodestra unito - dice Toti- sceglierà i rappresentati alle Camere e mi auguro un larghissimo consenso. Il M5s è un interlocutore, non vuole dire essere d'accordo». Oggi, per Brunetta, si troverà «una soluzione o una rosa di soluzioni».E «verosimilmente, Salvini andrà poi a dialogare con il M5s per chiudere un accordo».

 

"Buon lavoro presidente". Così su Twitter il leader della Lega, Matteo Salvini, si congratula con Vladimir Putin per la sua rielezione. "Complimenti a Vladimir Putin per la sua quarta elezione a presidente della Federazione russa. La volontà del popolo in queste elezioni russe appare inequivocabile", scrive su Facebook la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni 

Il presidente russo Vladimir Putin ha vinto le elezioni con il 76,6% dei voti, "un risultato senza precedenti". Lo ha annunciato il capo della Commissione elettorale centrale (Cec) Ella Pamfilova, dopo l'elaborazione del 99,83% dei seggi. Le ha fatto eco il suo vice, Nikolai Bulaev: "56.514.000 russi hanno votato per Putin, un record assoluto per le ultime elezioni del presidente della Federazione russa". A partecipare alla giornata elettorale, sono stati oltre 73 milioni di russi, rispetto ai 71,8 milioni delle ultime presidenziali del 2012. Secondo i dati ancora preliminari - quelli definitivi verranno presentati entro 10 giorni dalla Cec - l'affluenza è stata del 67,49%. 

Anche a Mosca e a San Pietroburgo, le due capitali dove si concentra l'elettorato più critico di Putin, il presidente ha raccolto più del 70% delle preferenze, con un'affluenza di circa il 60%. Al secondo posto, Pavel Grudinin, il candidato del Partito Comunista della Federazione Russa (CPRF), con il 13% circa. Terzo il leader del Partito Liberal Democratico della Russia Vladimir Zhirinovsky, attorno al 6% dei voti. Ksenia Sobchak ha il 2% delle preferenze, Grigory Yavlinsky, di Yabloko, guadagna l'1% delle schede. Maxim Suraykin e Boris Titov ottengono lo 0,7%, Sergei Baburin lo 0,6%. Nessuno degli sfidanti rappresentava del resto una preoccupazione per Putin. 

Le autorità hanno detto di non aver rilevato irregolarità significative, ma opposizione e ong ne hanno denunciate migliaia. Putin: "Il successo è il nostro destino" "Grazie a tutti i nostri sostenitori per questo risultato: ora è importante essere uniti e includere nella nostra squadra anche chi ha votato altri candidati. Il successo è il nostro destino. Lavoreremo tutti duramente per il futuro della grande Russia", ha detto Vladimir Putin parlando alla folla davanti al Maneggio, nel cuore di Mosca a pochi passi dal Cremlino. "Davanti a noi sfide enormi, serve una svolta" "Davanti a noi ci aspettano sfide enormi, dobbiamo risolvere i problemi della nazione, serve una svolta", ha poi detto Putin parlando al suo comitato elettorale. "Questo risultato significa che è stato approvato quello che abbiamo fatto in condizioni difficili in questi anni ma anche quello che faremo, ciò che abbiamo proposto: mi auguro che le forze politiche si sforzino di pensare al bene del paese prima che al loro tornaconto", ha aggiunto. 

Un’elezione che conferma l’approvazione della Russia per il suo presidente, quella che ha rieletto con il 75% dei consensi Vladimir Putin, che si è così assicurato il quarto mandato presidenziale. Una popolarità in patria che non corrisponde all’opinione che buona parte del mondo politico ha del leader del Cremlino.

Il portavoce della campagna elettorale di Putin, con un pizzico di sarcasmo, ha ringraziato il premier britannico Theresa May e i suoi alleati per aver incoraggiato con minacce e ultimatum i russi ad andare alle urne e sostenere il loro Zar. 

Il 4 marzo scorso, la spia doppiogiochista  Sergei Skripal  è stata avvelenata a Salisbury, in Gran Bretagna. Subito si è puntato il dito contro i servizi segreti russi che avrebbero, almeno secondo le ricostruzioni fornite fino ad ora, colpito Skripal utilizzando il gas nervino.

Un attacco di questo tipo potrebbe essere un’arma a doppio taglio per Putin. Ammettiamo che siano stati i russi: che vantaggio ne avrebbero tratto? Probabilmente, quello di dimostrare all’Mi6 di poter colpire i nemici del Cremlino in qualsiasi momento, persino a ridosso delle elezioni, sul suolo britannico. Ma avrebbe avuto senso per Putin organizzare un’operazione simile a due settimane dal voto ?

C’è poi un altro scenario da non sottovalutare: da sempre, all’interno dei servizi segreti britannici, sono presenti diverse anime. Tra queste anche una antirussa, fin dai tempi della Guerra fredda. È quindi possibile che l’attacco a Skripal rientri in questo grande gioco all’interno dell’Mi6.

L’escalation tra i due Paesi ha coinvolto anche Francia, Germania e Stati Uniti che hanno sposato la convinzione britannica che dietro all’avvelenamento con il gas nervino ci sia non solo Mosca, ma soprattutto Putin. In particolare, a puntare il dito contro il leader russo è stato il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson secondo il quale è “enormemente probabile che sia stata una decisione di Putin quella di portare l’impegno di un gas nervino nelle strade britanniche, nelle strade dell’Europa, per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale”.  

il portavoce di Angela Merkel ha assicurato che la cancelliera tedesca “scriverà molto presto un telegramma a Putin e in quell’occasione parlerà  anche delle sfide della relazione tedesco-russa”. 

Dopo che il Cremlino ha respinto l’ultimatum del governo inglese che voleva dalla Russia un’ammissione di responsabilità, i rapporti tra i due Paesi si sono fatti sempre più tesi. E così il premier britannico Theresa May ha annunciato l’espulsione di 23 funzionari russi, la sospensione dei rapporti bilaterali e ha comunicato che nessun membro del governo e della famiglia reale sarà presente in Russia durante i Mondiali di calcio. La risposta del Cremlino non si è fatta attendere: Putin ha ripagato con la stessa moneta la May “cacciando” i diplomatici di Londra da Mosca. La Russia ha inoltre negato il suo consenso all’apertura del consolato generale britannico a San Pietroburgo e interrotto le attività del British Council sul suolo russo. 

I leader occidentali purtroppo non si sono affrettati a fare le congratulazioni a Putin. Tra i primi a complimentarsi con lo Zar è stato l'”alleato” cinese Xi Jinping, che ha definito la collaborazione con Mosca “al miglior livello della storia”. Sono seguiti i telegrammi dei leader delle ex repubbliche sovietiche: Kazakhistan, Azerbaijan, Tajikistan e Bielorussia. Ma anche Venezuela, Cuba e Bolivia. Nessun messaggio invece da parte di quell’Occidente i cui rapporti con la Russia si sono fatti ancora più complicati in seguito all’avvelenamento dell’ex spiaSergej Skripal. 

Secondo l'ultima ricostruzione di Scotland Yard, infatti, il gas nervino usato per far fuori Skripal non si trovava - come sostenuto in precedenza - nella valigia della figlia Yulia, ma a quanto pare potrebbe essersi trovato nellìimpianto di riscaldamento della Bmw dell'ex colonnello addetto allo spionaggio di Mosca.

Inoltre, come dichiarato dall'ambasciatore russo all'Unione europea, Vladimir Chizhov, l'origine dell'aggressivo chimico potrebbe essere un laboratorio di ricerca britannico che si trova a soli pochi chilometri da dove è stata avvistata l'auto di Skripal la mattina di domenica quattro marzo.

Intanto però il caso Skripal sbarca al vertice europeo dei 28 ministri degli Esteri in cui si sottolinea che "le vite di molti cittadini sono state minacciate da questo atto illegale" . L'Ue "prende molto sul serio la valutazione del governo britannico secondo cui è altamente probabile che la Federazione russa sia responsabile". Ma il Cremlino non si lascia ancora intimorire: "O prove o scuse".

L'ambasciata russa evoca lo "Sherlock Holmes" ideato dalla scrittrice Agatha Christie per far leva sui diversi colpi di scena che stanno colorando la vicenda dell'ex spia avvelenata con il gas nervino Novichok, proprio come in un bel thriller. La premier inglese Theresa May ci è rimasta maluccio, ma visti gli ultimi sviluppi nemmeno Poirot ci capirebbe qualcosa. 

 

 

 

 

 

 

 

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