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Continua il testa a testa tra Donald Trump e Joe Biden per decidere chi sarà eletto come prossimo presidente degli Stati Uniti d'America. Nelle scorse ore, in questo senso, potrebbe essere arrivata un'importante svolta.

Come riporta la CNN, al termine di un'altra lunga nottata di spoglio delle schede arrivate per posta, l'ex vice di Barack Obama ha messo la freccia in Georgia, dove attualmente è avanti di appena 917 voti. Ora Biden, con il 3% delle schede ancora da scrutinare, è al 49,39% con 2.449,371 voti a suo favore. Trump è al 49,37% con 2.448,454 voti in uno stato che, lo ricordiamo, assegna la bellezza di 16 grandi elettori.

Una lotta voto su voto che continua anche in Pennsylvania, dove Joe Biden continua la sua rimonta ed è ora vicinissimo a Trump, il quale conserva un esiguo vantaggio di circa 18.000 voti, pari allo 0,3%,quando le schede ancora da scrutinare sono pari al 5% del totale.

Arrivati a questo punto, il presidente uscente Trump ha a disposizione un solo scenario per portarsi a casa la vittoria nelle presidenziali, ovvero quella di aggiudicarsi tutti e cinque gli stati ancora in bilico per arrivare a 275 grandi elettori dagli attuali 213.

A Biden, invece, stante la situazione attuale basterebbe portarsi a casa uno tra Nevada, Pennsylvania, North Carolina e Georgia per poter avere la certezza di superare la fatidica quota 269.

Le elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti. Vengono definite elezioni indirette, ovvero gli elettori sono chiamati ad eleggere i cosiddetti grandi elettori che il 14 dicembre 2020 si riuniranno nel Collegio elettorale per eleggere il nuovo presidente e il suo vice presidente.

Se dal Collegio elettorale non ci sarà una maggioranza assoluta di almeno 270 voti a favore di un candidato (il quorum necessario per l'elezione), la nomina del nuovo presidente verrà fatta dalla Camera dei rappresentanti, che sceglieranno a maggioranza fra i tre candidati che hanno ricevuto più voti nel Collegio elettorale. Il vice presidente, invece, verrà nominato dal Senato: scelto fra i due nominativi che hanno ricevuto più voti nel Collegio elettorale.

Il presidente Trump ha parlato ancora una volta di possibili brogli nel conteggio dei cosiddetti voti in assenza, cioè inviati per posta .

L'elezione del 46° presidente degli Stati Uniti potrebbe spostarsi dalle urne ai tribunali. Donald Trump sta infatti valutando un ricorso a livello federale contro i risultati elettorali, accusando i democratici di frode.

“Stanno lavorando sodo per far sparire 500.000 voti in Pennsylvania il prima possibile. Allo stesso modo in Michigan e in altri stati” ha scritto ieri Donald Trump.

Tramite il suo direttore della campagna elettorale, Bill Stepien, Trump ha fatto sapere di voler richiedere un riconteggio in Wisconsin e di voler bloccare quello in Michigan. Inoltre ha annunciato azioni legali in Pennsylvania e in Georgia.

Secondo i scenarieconomici,negli USA i Democratici sono stati sempre molto abili in questo tipo di attività. Un caso clamoroso, che ha influenzato profondamente la storia americana,  è quello delle elezioni di Lyndon B. Johnson a senatore del Texas.

Questo super broglio avvenne nel  1948, quando LBJ si candidò per i democratici al Senato degli Stati Uniti contro il governatore del Texas Coke Stevenson, fra i più ammirati e rispettati nella storia dello Stella Solitaria.

Al primo turno elettorale Stevenson superò Johnson di 70.000 voti, ma non avendo la maggioranza assoluta dei voti, fu costretto al ballottaggio che si tenne un sabato. La domenica mattina dopo il ballottaggio, Stevenson era in testa per 854 voti.

il giorno dopo lo spareggio elettorale fu “scoperto” che non erano ancora stati conteggiati i dati  di una determinata contea e la maggioranza dei nuovi voti era a favore di Johnson. Poi il lunedì, dopo due giorni, arrivarono dei dati dalla Rio Grande Valley.

Nonostante tutte queste aggiunte tardive il martedì, l'Ufficio elettorale di Stato annunciava che che Stevenson aveva vinto per 349 voti. Nulla cambiò il mercoledì e il giovedì, ma il venerdì i distretti della Rio Grande Valley  apportarono “correzioni” ai loro conteggi, riducendo il vantaggio di Stevenson a 157.

Il venerdì arrivò la sorpresa:  la contea di Jim Wells, che era governata come feudo personale da un potente allevatore del Sud del Texas di nome George Parr, presentò delle “correzioni” per quello che  diventò famoso come “Box 13” che diede a Johnson altri 200 voti. Alla fine, Johnson  “Vinse” le elezioni con 87 voti.  

Pensiamo conclude scenari economici, alle conseguenze di questo broglio elettorale. Se LBJ non fosse diventato senatore per il Texas non si sarebbe fatto notare a Washington, non sarebbe stato scelto da Kennedy come vicepresidente e quindi non sarebbe diventato presidente prima al posto dei John Fitzgerald, quindi facendosi eleggere. Non avremmo avuto le politiche sociali, ma probabilmente non avremmo avuto neppure neanche l'ampio intervento nel Vietnam.

L'unica vera differenza fra Trump e Stevenson è che Trump ha nominato tre giudici della Corte Suprema. Per il resto i brogli saranno anche peggiori che nel 1948.  

Intanto punta il dito Trump,affermando che gli osservatori del processo elettorale non hanno potuto monitorare il conteggio, e ribadisce la sua linea battagliera: "Vinco facilmente la presidenza degli Stati Uniti con i voti legittimamente espressi. Agli osservatori non è stato consentito, in alcun modo o forma, di svolgere il proprio lavoro e quindi i voti accettati durante questo periodo devono essere considerati voti illegali. La Corte Suprema degli Stati Uniti dovrebbe decidere!". In un altro tweet preannuncia che "ci saranno ricorsi legali in tutti gli stati rivendicati da Biden per frode elettorale. Siamo pieni di prove, controllate i media. Vinceremo, America first".

La battaglia legale va avanti a tappeto, praticamente in tutti gli stati chiave, con risultati alterni. Lo staff di legali che guida i ricorsi di Trump, capeggiato dall'ex procuratrice della Florida Pam Bondi, affiancata dall'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e da Eric Trump, ha ottenuto dalla Corte di appello la possibilità di entrare in un seggio di Filadelfia (Pennsylvania), per "supervisionare lo spoglio", restando a distanza di un metro e mezzo anziché i 15-30 metri inizialmente previsti eccessivi per controllare davvero la regolarità. In Georgia la richiesta di annullare alcuni voti giunti per posta è stata respinta.

Più di trecentomila voti postali mancano all'appello, secondo il Sole 24, forse smarriti nei centri di distribuzione, e rischiano di non essere mai contati. Oltre 80 mila di questi sono stati spediti in Stati contesi, abbastanza da poter influenzare il risultato finale nel duello per la Casa Bianca.

Le schede via posta negli Stati Uniti sono state quasi 65 milioni, due terzi di un voto anticipato che ha superato i cento milioni e ha spinto l’affluenza complessiva alle urne al record di 160 milioni. Le 300mila schede all'apparenza svanite esistono, sono state ricevute e scannerizzate nelle sedi dello United States Postal Service. Ma non esiste traccia della loro uscita e del recapito agli uffici elettorali dove avrebbero dovuto essere scrutinate.

Da giugno lo USPS è guidato da un controverso finanziatore del partito repubblicano e fedelissimo di Trump, il Postmaster General Louis DeJoy, che ha fatto scattare tagli dei costi e frenate nel lavoro, rallentando la gestione dei crescenti volumi di voti nelle mani dei postini

Secondo Il Sole 24 ore, DeJoy è finito in tribunale per la nuova debacle. Martedì un giudice federale aveva ordinato a ispettori postali di perquisire 12 centri che servono 15 Stati a caccia dell'esercito di schede perdute. DeJoy ha ignorato l'ordine con la protezione del Dipartimento della Giustizia. Il magistrato, Emmett Sullivan, ha risposto definendo «scioccante» il comportamento e affermando che «qualcuno dovrà pagare» per quanto avvenuto.

Lo scandalo ha scosso le Poste americane, controllate dal governo federale e sotto assedio perché le loro carenze potrebbero avere un impatto squilibrato sull’esito delle urne, dato che il voto “remoto” ha favorito il candidato democratico Joe Biden su Donald Trump

Di fronte ai giornalisti radunati alla Casa Bianca, il tycoon ha poi accusato la stampa di aver diffuso "falsi sondaggi necessari per tenere a casa" gli elettori repubblicani e "creare l'illusione di una situazione favorevole per Biden". Trump, in questo senso, ha espressamente nominato le previsioni fatte alla vigilia dell'election day da Quinnipiac e Washington Post.

"Non c'è stata nessuna onda blu, semmai c'è stata un'onda rossa", ha detto ancora il presidente, con chiaro riferimento al fatto che il suo avversario Joe Biden non sia riuscito a sfondare in molti stati, come si pensava guardando ai sondaggi pre-elettorali.

Il tycoon ha lanciato pesanti accuse anche contro le amministrazioni di Philadelphia, in Pennsylvania, e Detroit, nel Michigan, asserendo che i voti di queste due importanti città "non possono contare per la costruzione del risultato elettorale".

Da parte sua, il candidato democratico alla presidenza americana  Joe Biden ha mostrato ancora una volta fiducia circa le proprie possibilità di vittoria al termine del conteggio dei voti nei quattro stati che non hanno ancora annunciato l'esito elettorale:

"Non ho alcun dubbio che vincerò queste elezioni", sono state le parole del vice di Barack Obama, che ha poi cercato di predicare calma tra i suoi affermando che il risultato definitivo delle elezioni sarà reso noto "molto presto".

Le elezioni presidenziali si sono svolte negli Stati Uniti martedì 3 novembre. I risultati delle votazioni di diversi Stati quali Pennsylvania, Georgia, Nevada e North Carolina non sono ancora noti.

Secondo i calcoli dei principali canali televisivi americani, il candidato democratico Joe Biden è in testa, per la vittoria finale ha bisogno di ottenere almeno 6 grandi elettori. In questo senso, potrebbe risultare decisivo lo stato del Nevada, che da solo basterebbe a consegnare le chiavi della casa Bianca all'ex vice di Barack Obama.




Sfida in Usa è tra due personalità praticamente agli antipodi: Joe Biden e Donald Trump. Un duello tra due uomini che hanno un'idea completamente diversa degli Stati Uniti e della posizione americana nel mondo. 

Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Sono questi tre gli Stati che eleggeranno il presidente degli Stati Uniti per il prossimo quadriennio. Dopo che i seggi sono chiusi dappertutto, solo alcune cose si sanno con certezza, di molte altre si sa ancora molto poco. Le poche certezze: i sondaggi hanno fallito di nuovo, in modo clamoroso. I molti punti di vantaggio attribuiti a Biden si sono volatilizzati nella notte del voto. Nonostante le dichiarazioni dello staff di Biden, secondo cui i voti e i delegati della Florida non sarebbero così interessanti 29 preziosissimi grandi elettori... lo stato del sole è rimasto in mano ai repubblicani con una bruciante debacle proprio a Miami, dove pure Hillary vinse comodamente.

"Voglio ringraziare il popolo americano per il grande sostegno. Milioni di persone hanno votato per noi stanotte. E un gruppo triste di persone sta cercando di mettere in ombra il nostro risultato", ha detto Trump in conferenza stampa. "Abbiamo vinto l'elezione" ha affermato senza mezzi termini il candidato repubblicano. E ha accusato di frode i suoi oppositori ribadendo di essere pronto ad andare davanti alla Corte Suprema per affermare la sua vittoria.

"Eravamo pronti a celebrare un grande successo" quando "la nostra vittoria è stata improvvisamente sospesa". Donald Trump parla alla nazione come se fosse già nuovamente presidente degli Stati Uniti. Una vittoria che però gli avrebbero tolto i meccanismi elettorali che, secondo il presidente Usa, verrebbero utilizzati dai democratici per privare il suo popolo della presidenza degli Stati Uniti.

Braccio di ferro tra Repubblicani e Democratici nell Election Night negli Usa che si chiude senza un vincitore ufficiale in attesa che in alcuni stati chiave vengano contati nei prossimi giorni le schede arrivate per posta. "Dobbiamo essere pazienti e aspettare che tutti i voti vengano contati", ha commentato Joe Biden, dicendosi fiducioso su una sua vittoria: "Siamo sulla strada giusta, ma non spetta ne a me ne' a Trump decidere chi ha vinto queste elezioni. Spetta a voi, alla gente".

Trump e Biden sono testa a testa in Georgia e North Carolina, due Stati che secondo le proiezioni sono ancora 'too close to call'. Biden recupera in Wisconsin ed è ora a testa a testa. L'ex vicepresidente ha il 49,3% dei voti contro il 49% di Donald Trump, secondo le proiezioni di Cnn

I democratici Usa hanno scelto in massa per il voto per corrispondenza, i repubblicani hanno preferito quello tradizionale recandosi alle urne: l'ondata rossa repubblicana, come definita da molti osservatori, potrebbe quindi essersi abbattuta sull'America proprio il giorno dell'election day. E si tratta dell'affluenza più alta dal 1908.

A mezzanotte si sono chiusi i primi seggi in Kentucky e Indiana da cui Trump ha incassato quindi i primi 19 grandi elettori. Chiusi anche i seggi in Georgia, South Carolina, Virginia e Vermont, primo Stato nettamente pro Biden.  

I primi numeri ufficiali sono arrivati da Indiana, Kentucky, South Carolina, Vermont e Virginia. Dopo mezz'ora è il turno di West Virginia e Ohio, con quest'ultimo a poter già essere un primo ago della bilancia per capire chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.

Lo spoglio è poi proseguito in Florida e in Georgia. In quest'ultimo Stato, Biden appariva invece in testa ma con un vantaggio che è diventato sempre più sottile fino a che Trump ha saputo ribaltare il pronostico. Il West Virginia viene invece dato per certo come feudo repubblicano. Idem per il South Carolina che sembra saldamente in mano rossa. Dubbi ancora sul North Carolina, che potrà invece rivelarsi importantissimo.

I sondaggi hanno mostrato da sempre un Biden in vantaggio rispetto al presidente Trump. Pochissimi gli analisti che invece hanno dato per probabile o addirittura per certa una vittoria dell'attuale inquilino della Casa Bianca. I risultati definitivi non sono arrivati nell'arco di questa lunga notte elettorale. Il record dei voti per posta (102 milioni di elettori si sono espressi prima dell'Election day del 3 novembre) ha cambiato completamente il modo di leggere i risultati elettorali.

Si va verso un'affluenza alle urne da record negli Stati Uniti, la più alta da oltre un secolo. Secondo lo Us Electoral Project dell'Università della Florida, oltre 101 milioni di americani hanno votato già prima dell'Election Day, di cui oltre 65 milioni per posta. L'affluenza alle urne, secondo dati preliminari, potrebbe raggiungere il 67%, la più alta da oltre un secolo. In almeno sette Stati l'affluenza ha già nettamente superato quella del 2016. Quattro anni fa votarono complessivamente 139 milioni di americani, il 59,2% della popolazione che aveva i requisiti per votare

Sarah McBride è diventata la prima senatrice apertamente transgender nella storia degli Stati Uniti. E' stata eletta con l'86% dei voti a distanza (absentee) nel Delaware diventando così il politico trans di più alto profilo negli Usa.

"Chiunque si preoccupi che la propria realtà e i propri sogni si escludano a vicenda, sappia che il cambiamento è possibile.
 Sappia che la sua voce è importante. Sappi che puoi farlo anche tu", ha scritto McBride sul suo account Twitter.

Incognita sulle elezioni per il nuovo presidente degli Stati Uniti. Testa a testa fra i due candidati e ci vorranno forse giorni perché si arrivi a un risultato finale. Biden: "Siamo sulla strada per la vittoria, va contata ogni scheda". Trump: "Vogliono rubarci le elezioni, andremo alla Corte Suprema". In Pennsylvania posticipato conteggio 275 mila voti: ciò renderà difficile dichiarare nelle prossime ore il vincitore nello Stato che conta 20 grandi elettori. Anche Michigan e Wisconsin non annunceranno il vincitore oggi.

Stati Trump: Utah, New Hampshire, Kansas, North e South Dakota, Montana, Louisiana, Nebraska, Wyoming, Indiana, Iowa, West Virginia, Kentucky, South Carolina, Texas, Alabama, Arkansas, Oklahoma, Missouri, Tennessee, Idaho e Mississippi.

Stati Biden: Arizona, Oregon, Washington, California, Colorado, Hawaii, Illinois, Connecticut, Virginia, Vermont, Massachusetts, Maryland, Minnesota, Delaware, New Jersey, Rhode Island, New York, New Mexico e il District of Columbia.

I mercati cinesi cominciano a prezzare una possibile conferma di Donald Trump alla Casa Bianca e a farne le spese è lo yuan. La moneta nazionale cinese, infatti, ha perso fino all’1,4% nel cambio con il dollaro, che in queste ore ha acquisito forza nei confronti di tutte le valute mondiali. Lo moneta offshore, a differenza di quello onshore che è pesantemente regolamentato e ha perso lo 0,6%, ha toccato quota 6,7 yuan per dollaro riuscendo in parte a ricucire le perdite. Tuttavia, si tratta del maggiore calo giornaliero della moneta cinese dal febbraio 2018, in piena guerra dei dazi, a testimonianza del nervosismo di Pechino e del mercato cinese nei confronti dell'ipotesi di vittoria di Donald Trump.

 

 

 

 

Vienna sotto attacco, tre persone sono state uccise e 15 ferite in sei diversi attacchi armati, avvenuti intorno alle 20 di ieri sera, nel centro della città. Uno degli attentatori è stato ucciso dalla polizia. Si tratta di "un attacco terroristico" ha detto il ministro dell'Interno austriaco Karl Nehammer. Il cancelliere austriaco Kurz: "Non ci lasceremo intimidire"

 Almeno 4 morti, tre sospetti ancora in fuga, l’ipotesi di un’affiliazione o comunque di un legame ideologico con Isis e un attentatore ucciso: questi gli elementi confermati stamane in una conferenza stampa a Vienna rispetto alla sparatoria di ieri sera in centro città

"Gli attentatori, partendo dalla Seitenstettengasse, hanno iniziato a sparare a caso nei locali vicini". Lo ha detto il sindaco di Vienna Michael Ludwig alla tv Orf. Da lì si sono spostati in altre zone del centro, lasciando una scia di sangue.
 
Gli assalitori hanno sparato a caso alle persone che si trovavano nel giardino di un bar. Lo ha raccontato al Kurier il rabbino Schlomo Hofmeister, che vive in un appartamento che si trova direttamente sopra la sinagoga della città. Secondo la sua testimonianza, "l'autore si è mosso in direzione di Hoher Markt e della chiesa di San Ruperto" e avrebbe sparato alle persone che erano sedute nel giardino di un pub in Judengasse e Seitenstettengasse, "non ha mirato alla sinagoga".

«Siamo stati obiettivo di un vile attacco terroristico, l'ora buia della nostra Repubblica». Così il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha commentato l'attentato parlando alla nazione. «Noi dobbiamo essere coscienti - ha detto Kurz- che non c’è una battaglia tra cristiani e musulmani, o fra l'Austria e i migranti. No. Questa è una lotta fra le molte persone che credono nella pace e alcuni che auspicano la guerra». Ma «non ci lasceremo intimidire» e «difenderemo i nostri valori fondamentali, il nostro modello di vita e la nostra democrazia con tutte le nostre forze», ha aggiunto

L’attentato di natura terroristica è avvenuto lunedì sera nei pressi della sinagoga, nel cuore della capitale austriaca. L’attentatore, neutralizzato alle 20.09, era equipaggiato con una finta cintura esplosiva, un fucile automatico, una pistola e un machete. Identificato come Fejzulai Kujtim, 20 anni, l'uomo aveva origini macedoni, ma era nato e cresciuto a Vienna, e quindi aveva la doppia cittadinanza. Il giovane era stato condannato a 22 mesi di carcere il 25 aprile 2019 per aver tentato di recarsi in Siria per unirsi all'Isis. Il giovane era stato rilasciato il 5 dicembre con anticipo visto che rientrava sotto il regime della tutela dei minori. I suoi genitori erano macedoni ma non avevano mai mostrato segnali di avvicinamento all'Islam radicale. La polizia non riteneva che sarebbe stato in grado di pianificare un attacco terroristico a Vienna. Secondo la Build, però, avrebbe annunciato su Instagram il suo gesto, postando alcune foto, lunedì.

Tutte le massime autorità riunite oggi nel centro di Vienna per depositare una corona di fiori in ricordo delle vittime del sanguinoso attentato terroristico di lunedì sera. Oltre al cancelliere Sebastian Kurz, presenti tutti i più  importanti rappresentanti della politica federale austriaca come il presidente Alexander Van der Bellen,  il ministro dell'Interno e i capi dei partiti di opposizione a cui si son affiancati il sindaco di Vienna e il presidente della comunità ebraica  

Decine di perquisizioni domiciliari in tutta l'Austria dopo l'attentato a Vienna. La polizia in particolare sta concentrando la sua azione a St. Pölten, capoluogo della Bassa Austria, dove sono stati effettuati anche due arresti. Il giovane attentatore ucciso infatti risiedeva proprio nella cittadina a ovest di Vienna. I media locali riferiscono che sotto esame ci sono i contatti del killer, in particolare le forze speciali avrebbero fatto irruzione in un condominio di fronte all'ospedale universitario.

''Una persona radicalizzata'', un simpatizzante dello Stato Islamico (Isis). Così il ministro degli Interni austriaco Karl Nehammer ha definito l'uomo che ha condotto l'attacco nella notte a Vienna e di cui si hanno notizie, considerato che altri risultano in fuga. Nel corso di una conferenza stampa questa mattina, Nehammer ha affermato che ''abbiamo subito un attacco da un terrorista islamico''. ''Era armato con una cintura esplosiva, austriaco, e aveva con sé una borsa con munizioni. E' stato ucciso dalla polizia, ha aggiunto. Il primo attacco è avvenuto nella Seitenstettengasse, la strada dove si trova una delle sinagoghe più importanti di Vienna, dove nel 1981 avvenne un attentato che lasciò due morti: è una delle zone più famose della vita notturna di Vienna, affollata di persone prima che a mezzanotte sarebbero scattate le misure anti-Covid.

Altri spari sono stati esplosi durante la fuga, sempre nel centro della capitale austriaca. Una delle sparatorie è avvenuta a Schwedenplatz, vicino alle rive del Danubio, nei pressi dell'imbarcadero, da dove partono le escursioni sia per i turisti che per i cittadini viennesi. "Gli attentatori, partendo dalla Seitenstettengasse hanno iniziato a sparare a caso nei vicini locali", ha detto il sindaco di Vienna Michael Ludwig. Lasciando una scia di sangue si sono spostati in altre zone del centro, dove la gente si godeva l'ultima serata prima dell'entrata in vigore del lockdown, in vigore da oggi.

Tutto registrato dai video, circolati numerosi in rete, fino a quando la polizia non ha chiesto con insistenza di evitare di postarli. In uno si vede un uomo che corre, imbracciando un fucile d'assalto e attraversa le strade sparando; un altro sembra mostrare il momento in cui un ignaro passante viene colpito da un terrorista. Un attentatore è stato ucciso dalla polizia. L'uomo indossava una cintura esplosiva, lo ha comunicato la tv austriaca Orf. L'attentatore aveva addosso anche grosse quantità di munizioni

Il ministro dell'Interno austriaco, Karl Nehammer ha nuovamente invitato i viennesi a rimanere a casa ed evitare il centro città e ha annunciato che oggi le scuole a Vienna resteranno chiuse, riporta la Wiener Zeitung. L'attentatore ucciso, ha aggiunto il ministro, era un simpatizzante dell'Isis. Era pesantemente armato, ma la cintura esplosiva che indossava era finta.Secondo il capo della polizia di Vienna, il terrorista è stato "neutralizzato" alle 20,09. L'abitazione dell'uomo è stata già perquisita, anche se la sua identità non e' stata ancora resa nota

Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha convocato alle 13 il Comitato nazionale per l'ordine pubblico e la sicurezza in seguito all'attentato di Vienna. La riunione, alla quale parteciperanno i vertici delle forze di polizia e dei servizi d'intelligence, servirà a fare il punto di quando sta accadendo in Europa e a verificare lo stato della sicurezza in Italia.

L’attentato terroristico in sè è un'azione razionale sorprendente che bilancia immediatamente le forze con il nemico (lo Stato) in un arco temporale strettamente limitato. L’attacco multiplo è una naturale evoluzione dell’azione solitaria concepita per disperdere le superiori forze dello Stato e massimizzare l'effetto sorpresa. Non è chiaro quanti uomini armati siano stati coinvolti nell'attacco di Vienna. Si ritiene che uno degli aggressori sia ancora in fuga. Secondo il Ministero degli Interni austriaco, sarebbe state sei le zone centrali della città colpite. Chi ha elaborato e coordinato l'attacco potrebbe avere un qualche tipo di esperienza militare. Sarebbe opportuno ricordare un passaggio di The British Parliament Operation, l'analisi di al Qaeda dell'attentato avvenuto a Londra nell'aprile del 2017. “Ci appelliamo ai mujahid solitari: non fate affidamento sulle medesime tattiche, ma ampliate le possibilità ed i metodi da impiegare. Vi consigliamo di studiare tutte le operazioni precedenti così da scoprire i fattori di successo ugualmente importanti. Quindi, scegliete con attenzione i vostri obiettivi, preparate il mezzo più efficace e semplice e non dimenticate il momento opportuno”.scrive il quotidiano il giornale

Il terrorismo è una forma di strategia basata sulla violenza per infondere paura per scopi politici, che provoca un giudizio morale sui metodi e obiettivi dell'attore. L’indottrinamento con il ricorso alla narrativa apocalittica crea generalmente una maggiore predisposizione nei terroristi nell’attaccare i bersagli con un'elevata concentrazione di civili.

Con l’espressione soft target non si indica una morbidezza strutturale, ma si riferisce ad un’area facilmente accessibile. I terroristi non sarebbero nulla se non fossero adattabili. Gli attacchi contro obiettivi morbidi sono attraenti per le organizzazioni terroristiche perché presentano caratteristiche operative che li rendono vulnerabili e facili da sfruttare, garantendo così un maggiore successo. Per realizzare questo obiettivo, il layout di questi luoghi deve soddisfare determinati criteri tra cui un'atmosfera invitante per i visitatori che è solitamente aperta e spaziosa.sottolinea il quotidiano Italiano il Giornale...

 

 

In un comunicato del 30 ottobre, Alleanza Cattolica intervenendo sull'attentato nella Basilica di Nostra Signora dell'Assunzione di Nizza, ricorda, riferendosi al jihadismo islamista che: «l’antidoto a questa ideologia che usa la religione per diffondere l’odio contro i cristiani non può essere il laicismo utilizzato dallo Stato francese, che umilia ogni religione ritenendole tutte pericolose e relegandole nella sfera privata dei singoli cittadini». Inoltre afferma che «soltanto la preghiera, la fortezza e l’attaccamento alle radici cristiane dell’Europa potranno sconfiggere questa malattia ideologica che è già presente da decenni in tutta l’Europa».

La stessa indicazione viene data in un interessante post su facebook dallo storico Francesco Agnoli: «Al terrore la Francia della laicite' non risponde, o peggio risponde con il dileggio dissacrante delle vignette di un giornale osceno di sinistra, coccolato da Macron e compagnia.

Viene in mente Voltaire, autore di una commedia contro Maometto more suo: non ragionamenti, confutazioni serie, ma derisione. Poi però, poiché odiava soprattutto il cristianesimo, nel Trattato sui costumi Voltaire spiegava che i musulmani sono molto ma molto più intelligenti e tolleranti dei cristiani.

La Francia del massone Macron è uguale: distrugge il senso religioso cristiano del suo popolo, annienta la famiglia e poi, davanti al terrore, risponde con tutta la sua inutile stupidità "progressista", favorendo nuovo terrore. Che ricade però sugli innocenti, sui discepoli di Colui che ha preso su di sé la croce per i peccati degli altri».

E' dello stesso parere Leone Grotti sul Tempi, «Dopo l’attentato di Nizza, ancora una volta, la Francia si riscopre incapace di guardare in faccia la realtà e si rifugia nel laicismo aggressivo. Ma non sarà questo a salvarla». (Leone Grotti, “Se la Francia non riscopre le proprie radici, cederà al terrore islamico”, 31.10.20, Tempi)

Il presidente Macron cerca di rassicurare i cattolici, ma secondo i sondaggi dopo la decapitazione del professore Samuel Paty, soltanto il 26 per cento dei francesi si è detto fiducioso sulle capacità del governo di difenderli dagli attentati. Tuttavia Grotti intravede una preoccupante incapacità di guardare la realtà, di quello che sta accadendo.

L'articolo fa riferimento a un manifesto su Le Monde, firmato da 50 intellettuali su come combattere il razzismo e soprattutto come rispondere agli attentati. Per i firmatari occorre evitare qualsiasi contrapposizione tra i francesi e affermano che, «È urgente che ci mobilitiamo attorno ai principi laici e repubblicani. Se noi falliamo, l’islamismo radicale avrà riportato, insieme all’estrema destra, una vittoria decisiva facendo della questione religiosa, e più precisamente dell’islam, il punto focale della politica francese, a detrimento delle urgenze sociali, ecologiche e democratiche».

Sostanzialmente questi intellettuali per Grotti «non contemplano neanche la possibilità che l’obiettivo dei terroristi islamici non sia «seminare l’odio», ma «vendicare l’onore del profeta» uccidendo i «blasfemi» o gli «infedeli» di turno. Non vogliono vedere che le chiese sono colpite per uccidere i cristiani e perché la Francia, volenti o nolenti, è ancora identificata come un paese cristiano».

In una intervista, l’importante studioso Gilles Kepel afferma che i terroristi islamici che colpiscono la Francia «si sono nutriti dell’atmosfera in cui sono nati e cresciuti. Le loro azioni sono dettate dai messaggi che leggono in Rete. Così è stato per l’assassino di Samuel Paty». Peraltro Grotti precisa che «il video che incitava all’odio verso Paty, giustificando indirettamente la sua eventuale uccisione, non era stato postato su generici siti, ma sulla pagina Facebook della Grande moschea di Pantin. Che non a caso è stata poi chiusa dal governo, al contrario delle oltre 150 moschee salate che continuano a operare indisturbate».

Il giornalista di Tempi rileva che dopo ogni attentato assistiamo a un esercito «negazionista», molto attivo in Francia come in Italia, «sempre pronto a ribadire che la religione non c’entra (mentre è vero il contrario), che è un accidente che non influisce sull’identità dei «cani sciolti» (per usare la terminologia del Corriere) o dei «ragazzi con il coltello» (copyright La Stampa).

Ma la risposta al terrorismo non può neanche essere quella rivendicata su Repubblica dal filosofo Marek Halter, che definisce «il laicismo», non la laicità, «uno dei valori fondanti della République» ed esalta le vignette di Charlie Hebdo al pari di Macron, che non perde occasione per rivendicare il «diritto alla blasfemia» dei francesi.

Il servizio ripropone le interessanti dichiarazioni che padre Pierre-Hervé Grosjean ha rilasciato a Tempi.it nel 2015 dopo gli attentati del Bataclan, «l’integralismo laico è il miglior alleato degli integralisti islamici perché nega la dimensione spirituale della persona umana e vuole far sparire la dimensione religiosa dalla società. Vuole soffocare le religioni.

Ma una nazione che dimentica le sue radici e la sua eredità spirituale - continua il religioso - è fragile davanti alla forza delle convinzioni degli integralisti islamici. I media si domandano come dei giovani francesi possano partire per la Siria, rischiando la loro vita, a combattere per lo Stato islamico. E non si accorgono che parte della risposta è in questo vuoto spirituale nel quale facciamo crescere i nostri giovani. Chi risponderà alla loro sete di assoluto, al loro bisogno spirituale? Di certo non il nichilismo, la denigrazione permanente delle religioni o l’odio verso la propria cultura e identità. Queste cose, insieme al relativismo morale, non hanno mai portato felicità né costruito una civiltà né tanto meno unificato un paese».

Pertanto per padre Grosjean l'unica alternativa per non cedere al terrore è quella di riscoprire le proprie radici, bisogna «condurre senza debolezza una guerra culturale, politica e militare contro questa ideologia mortifera» senza aver paura di guardare in faccia la realtà e «senza buonismo». Allo stesso tempo, però, scrive sempre il sacerdote su Le Figaro, «bisogna rispondere al male con un bene ancora più grande. Ma che cosa significa? Per noi cristiani significa innanzitutto pregare e farlo sul serio. Per tutti significa promuovere ciò che costituisce la nostra identità. La forza di un Paese risiede nella sua storia, cultura, fede e radici. Dobbiamo tornare a essere eri di tutto questo. Come possiamo fare amare la Francia a coloro che la raggiungono se la Francia non sa più amare se stessa e si scusa in continuazione di essere e di essere stata ciò che è?».

La Turchia è diventata un problema a partire almeno dal 2009, cioè da quando Ankara ha inaugurato una politica estera sempre più aggressiva, è andato in crescendo. La brutta notizia, per tutti, è che questo problema continuerà a persistere per molti anni, facendoci attraversare crisi e tensioni sempre più grosse. La Ue per il momento, complice una cordata di Paesi, fra cui l'Italia, ha deciso di non procedere con sanzioni per contenere le mire egemoniche, sempre più avide e arroganti, del Presidente Recep Tayyip Erdogan e questo è un grosso errore, per due motivi. Il primo è che la Ue sta dando un'impressione di debolezza e mancanza di coesione che per il capo di Stato di Ankara è la maggiore garanzia del suo successo. In secondo luogo, e questa è la cosa più importante, è che la Turchia non ha alcuna intenzione di accontentarsi e ingloberà voracemente tutte le posizioni che la Ue lascerà vacanti. Ne dovrebbe sapere qualcosa proprio l’Italia, vista la progressiva diminuzione della sua influenza in Libia, Albania e Somalia. Tutti luoghi dove la presenza turca è preponderante.

Ma oltre questo esiste un enorme problema da come va l'economia. La Turchia vive ormai da dieci mesi una situazione economica complicata: da marzo ad aprile la lira turca aveva perso il 10% del suo valore rispetto al dollaro. Tutto è reso ancora più difficile dalla crisi del Covid-19 e dalle scelte del governo Erdoğan, mosse dalla paura di perdere consenso.

Ora la lira Turca scrive insider Over, ha perso oltre il 50 per cento del suo valore nel giro di un anno e le banche in Europa tremano: 120 miliardi di euro andranno in fumo se l'economia di Ankara farà crack. La situazione per chi ha acquistato o sottoscritto contratti in lire turche è allarmante. Oggi sottolinea insider over,un dollaro statunitense costa più di 8,3 lire, mentre un anno fa valeva 5,5 lire e addirittura 1,4 lire nel 2011. L'avvitamento della crisi monetaria turca ha subito una brusca accelerazione dopo le ultime sparate del presidente-sultano Recep Tayyip Erdogan contro l'Unione Europea, contro la Francia e perfino contro un potente alleato come gli Stati Uniti  

l'Italia è messa meglio, ma non è del tutto fuori pericolo. 

Molti sostengono, che la campagna militare turca nel Mediterraneo sia principalmente una distrazione dalla situazione economica. Una distrazione che, però, sarebbe costata circa 5 miliardi di dollari, garantiti dal Qatar, che conta sulla protezione delle truppe turche dalle scimitarre saudite ed emiratine. 

La scommessa è che gli accordi sul gas mediterraneo fatti firmare da Erdoğan ai libici si rivelino proficui. In caso contrario, se la situazione economica dovesse peggiorare ancora e il Qatar decidesse di scendere a patti con Abu Dhabi e Ryad, Ankara potrebbe trovarsi vulnerabile e isolata. L’inazione attuale, però, potrebbe costare cara al leader dell’AKP anche con il supporto qatariota, perché la moneta crollerebbe comunque una volta finite le riserve di dollari e questo potrebbe distruggere le aziende che negli anni hanno sostenuto Erdoğan. Imprese, queste ultime, che sono state trasformate in cosiddetti “zombie”, nutrite da un continuo e incontrollato flusso di credito governativo in dollari, nonostante la loro competitività non fosse così elevata.

La situazione economica influenzerà profondamente il sistema di potere di Erdoğan, soprattutto se la pandemia dovesse peggiorare, visti i casi in grande crescita in Turchia. La medicina è dolorosa e adesso è necessario chiedersi se il popolo turco sarà disposto, in caso di fallimento del progetto economico di Erdoğan, a farsi somministrare da lui la cura, oppure se cercherà risposte altrove.

Erdoğan ha davanti a sé poche vie per uscire dalla crisi e tutte con un altissimo livello di rischio. Se il governo dovesse far crollare la lira, le compagnie turche, in questo momento, farebbero grandissima fatica a ripagare i loro debiti in dollari, creando le premesse per un collasso del sistema bancario. 

Nel caso opposto, se il cambio della lira fosse staccato da quello del dollaro e i tassi di interesse lasciati crescere, la valuta potrebbe essere stabilizzata, ma l'assenza di credito getterebbe l'economia in una profonda recessione, come nel caso della crisi europea del 2010. Terza via: quella di non fare niente, sperando che la crisi rientri, attirando nel frattempo l'attenzione dell'elettorato verso un nuovo obiettivo. 

L'uscita parziale di UniCredit da dalla joint venture Koc Finansal Hizmetler che controlla Yapi Kredi, la terza banca della Turchia, ha ridotto l'esposizione del nostro Paese. Umberto Triulzi, professore ordinario di Politica Economica all'Università di Roma “La Sapienza”, ha detto in una recente intervista ad Agenzia Nova che la scelta di ridurre le quote in Turchia sottolinea insider over,non è necessariamente un bene: “Naturalmente, sarebbe un problema se il debito estero turco dovesse diventare inesigibile, ma per quanto riguarda i rapporti bancari non siamo così messi male come altri paesi. Questo un pochino ci protegge, ma è anche un segnale di debolezza dell'Italia, che poi non è presente in tanti altri mercati che, invece, vanno bene”. Secondo il sito web Infomercatiesteri, scrive insider over,l'interscambio commerciale tra Italia e Turchia ha raggiunto quota 17,9 miliardi di dollari, con 8,6 miliardi di esportazioni italiane verso la Turchia e 9,3 miliardi di export turco verso l’Italia. Nel 2019, l'Italia è stata il quinto fornitore della Turchia dopo Russia, Cina, Germania e Stati Uniti ed il terzo cliente dopo Germania e Regno Unito. Una grande crisi economica in Turchia avrebbe quindi ripercussioni certe sui “big” del calibro di Barilla, Eataly, Eni, Ferrero, Fiat Saipem, Salini, Luxottica solo per citarne alcuni.


Così sarebbe una mina per la pace nel Mediterraneo e l'esistenza stessa della UE evocando pagine di storia, conflitti e relative sofferenze che l’Europa credeva superate. Purtroppo non è così. Per Erdogan la partita con l’Occidente non si è chiusa e nel 2023, anni in cui verrà ridiscusso il Trattato di Losanna, rivendicherà come turche isole che appartengono alla Grecia. Utilizzando chiaramente il motivo nazionalista per coprire interessi energetici e commerciali. I prossimi tre anni quindi potrebbero portare alla fine della pace nel Mediterraneo. Se non sta attenta, anche a quella dell’Unione Europea.

Nello scontro tra Grecia e Turchia bisogna quindi prendere in considerazione tre Paesi: la Francia filo-ellenica, la Germania filo-turca e l'Italia, che fatica a prendere posizione tra i due contendenti. «La prima ha sempre avuto una presenza fisica nel Mediterraneo, mentre Berlino vede Ankara come la porta d'accesso al mare nostrum. L'Italia invece offre a parole il suo sostegno ad Atene, ma sa che Ankara è oramai un partner strategico».

Nel contesto attuale, la Turchia «si sente quindi legittimata a riaprire le contese congelate nel Mediterraneo, come quella per la sovranità marittima. La Grecia invece e pronta a difendere i suoi diritti, in vista dei colloqui per la revisione del Trattato di Losanna del 1920, con il quale furono definiti i confini marittimi in seguito legittimati dall’Unclos».

L’ambiziosa e muscolare politica estera della Turchia, pur sostenuta da un potente e ricco alleato come il Qatar, potrebbe crollare a picco sotto i colpi dei mercati. Lo scorso settembre, l’agenzia Moody’s ha declassato il rating sul debito della Turchia a “B2”, citando maggiori vulnerabilità esterne e l’erosione delle riserve fiscali nel Paese, prospettando un outlook negativo: significa che il debito della Turchia è ad alto rischio d’insolvenza, cioè chi vanta crediti in Turchia rischia di rimanere con un pugno di mosche in mano. 

Come scrive Insider Over l'esposizione degli istituti di credito spagnoli è da brividi: 62 miliardi di euro, ovvero più dei crediti vantati da Francia (29 miliardi), Germania (11 miliardi), Italia (8,7 miliardi) e Regno Unito (12 miliardi) messi insieme. Un enorme macigno che pesa sulle ambizioni di Madrid in Nord Africa, dove gli spagnoli sono sempre più in competizione con l’Italia. I cugini iberici stanno moltiplicando gli sforzi diplomatici in Egitto, Algeria e soprattutto in Libia, dove Roma deve già difendersi dalle iniziative francesi. Vale la pena ricordare che nel 2019, le importazioni di petrolio della Spagna dalla Libia hanno raggiunto il record di 170 mila barili al giorno, diventando il terzo fornitore di petrolio del paese europeo. Il ruvido intervento della Turchia sottolinea Insider Over,a sostegno del Governo di accordo nazionale di Tripoli ha cambiato il corso della guerra civile libica e ora l’intera Tripolitania sembra essere sotto il giogo di Erdogan. Per assicurarsi le risorse petrolifere libiche, Madrid deve smarcarsi dai dettami della Turchia in Libia, ma al tempo stesso non può permettersi uno scontro frontale con Ankara, alleato nella Nato e soprattutto debitore ad alto rischio insolvenza

Esiste anche sulla questione Turchia / Ue un altro problema ..la sua insistenza di entrare nella Ue,che oltre i conflitti creati con Cipro Grecia Siria Libia Armenia, con criticità maggiori, c'è quella culturale in una sua eventuale entrata nel Europa, soprattutto quella del ruolo della religione in Turchia. Se il Paese entrasse nell’Ue, sarebbe, con la Germania, il più importante dal punto di vista demografico e, dunque, avrebbe un’influenza rilevante negli organismi europei, dove il suo volto islamista potrebbe confliggere con le vocazioni Ue democratiche e laiche. Inoltre, la Turchia, per la sua collocazione geografica, potrebbe coinvolgere l’Ue in contrasti etnici ed energetici. 

Intanto questi giorni la Grecia e la Turchia sono stati colpiti dal terremoto devastante al largo dell'isola di Samos in Grecia, ma danni e morti soprattutto in Turchia. Quando la terra ha cominciato a tremare, nuvole di polvere scura hanno coperto il cielo sopra Smirne, mentre le onde di un mini-tsunami travolgevano negozi e abitazioni sulla costa turca. Una forte scossa di terremoto, di magnitudo 7.0, ha colpito nelle prime ore del pomeriggio le profondità del mar Egeo, circa 14 km al largo dell'isola greca di Samos. Almeno 19 persone sono morte - 17 in Turchia, due in Grecia - e più di 700 sono rimaste ferite a causa di un terremoto di magnitudo 6.6 che venerdì ha causato il crollo di edifici nella città turca di Izmir (Smirne), nella regione dell'Egeo (ad ovest del paese), e ha scosso diverse isole nel sud-est della Grecia, secondo gli ultimi bilanci delle autorità di entrambi i paesi.

 

 

  

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