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Il Presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani ha dichiarato:

“Hanno voluto un’Imu bis anziché la tassa sui servizi che avrebbe avuto un massimo, almeno, dato dai costi di questi ultimi. Hanno voluto un’incivile tassa addirittura sullo sfitto involontario. Di un ridimensionamento delle smodate rendite Monti, neanche s’è potuto parlare: erano <<sperimentali>> e l’esperimento, è evidente, è andato ottimamente. Non contenti di quanto hanno lautamente ottenuto con la legge di stabilità, ora i Comuni chiedono un miliardo e mezzo ancora e indicano subito la strada per averlo: tassare di nuovo le case, il loro bancomat prediletto. Chiedono a tre giorni dall’entrata in vigore della legge di stabilità che questa venga modificata e che si approvi l’aumento del massimo consentito della Tasi e del massimo consentito dal coacervo Imu-Tasi, così da ricavarne addirittura ancor più della somma da loro richiesta. E il sottosegretario Baretta annuncia che porterà l’emendamento governativo per la Iuc in Senato l’8 prossimo, mercoledì. Ricorrere ancora una volta al settore immobiliare avrebbe un effetto psicologico sul mercato totalmente deleterio. Le nostre Associazioni territoriali ci segnalano, da tutta Italia, lo stato di esasperazione dei piccoli proprietari. La gente non ce la fa più e ci chiede di reagire, azionando le clausole degli Accordi e dei Contratti collettivi da noi sottoscritti. Se si ubbidirà, per l’ennesima volta, ai Comuni, lo faremo”.

Sconcertante sorpresa nel provvedimento sui cosiddetti “affitti d’oro”. Il decreto legge pubblicato ieri sera in Gazzetta interviene infatti sulla legge n. 137/’13 senza recare alla stessa alcuna modifica, come lasciava invece intendere il comunicato della Presidenza del Consiglio del 27 scorso che conteneva l’espressione di riferimento “affitti d’oro”. Sulla base del testo approvato dal Governo le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti locali nonché gli organi costituzionali nell’àmbito della propria autonomia potranno recedere da tutti i contratti di locazione in corso in Italia e non solamente da quelli particolarmente onerosi. Il recesso – sempre secondo il testo varato dal Governo – potrà infatti essere esercitato senza alcuna motivazione, purché entro il 30.6.’14 e a valere per 180 giorni dopo l’invio del preavviso relativo.

“Si tratta – ha dichiarato il Presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani – di un intervento autoritativo di una gravità estrema. Un conto è infatti recedere da locazioni gravemente onerose e un altro è varare un recesso generalizzato e indiscriminato, rimesso alla discrezionalità di politici e burocrati così costituendo eventualmente anche un invito ad atti di corruttela. Siamo in presenza di uno sconvolgimento di princìpi fondamentali dello Stato di diritto che neanche lo Stato autoritario aveva mai tentato di porre in essere. Abbiamo fiducia che il Parlamento interverrà per riportare la facoltà di recesso dai contratti delle P.A. ai casi ed ai motivi ai quali si è sempre fatto riferimento e coi quali la si è giustificata. In mancanza, sarà necessario ricorrere ad uno scrutinio di legittimità costituzionale, che appare nell’esito scontato”.

Se in passato i risultati del vigoroso exploit del “triangolo industriale” concorsero ad accrescere le risorse disponibili per l’attuazione di politiche pubbliche d’intervento finalizzate ad emancipare il Mezzogiorno da condizioni di relativa arretratezza, il motore dello sviluppo industriale del Nord, in sintonia, venne alimentato dall’apporto di forza lavoro e dalla domanda addizionale di beni di consumo durevoli, provenienti dalle regioni meridionali. Pertanto, oggi, c’è da chiedersi se e come sia possibile ripristinare, in un contesto diverso da quello di allora e in sintonia tanto con le direttive dell’Unione europea che, con i processi produttivi della globalizzazione, un necessario rapporto “virtuoso” di complementarietà tra le due aree del Paese Italia. Sta di fatto che, senza una resurrezione di tanta parte del Sud, quel barlume di ripresa che s’intravvede al Nord (grazie, soprattutto, al concorso di molte piccole-medie imprese all’attivo dell’export manifatturiero) sarebbe insufficiente a rimettere in pista il sistema –Paese qualora, continuasse a perdere colpi la domanda interna ed a sfilacciarsi, il tessuto produttivo formatosi, frattanto, in alcuni distretti del Mezzogiorno. Non a caso, per cercare di superare la crisi più pesante che ha investito l’Italia dal dopoguerra e che in particolare, ha aggravato i problemi della “coesione territoriale” tra Nord e Sud del Paese, il Ministro per la Coesione territoriale, Carlo Trigilia ha detto che saranno messi a disposizione 117miliardi di euro. Ma c’è di più. All’Italia andranno risorse comunitarie Programmazione 2014-2020, pari a 32.268 miliardi di euro di cui: 22, 3 miliardi vanno alle Regioni meno sviluppate(Puglia, Calabria, Campania e Sicilia); 7,7miliardi vanno alle Regioni più sviluppate; 1,1miliardi vanno alle Regioni in transizione(Abruzzo, Basilicata, Molise e Sardegna). A questo punto va detto, senza mezzi termini, che le Istituzioni nazionali e locali sulla base di queste notevoli risorse economiche devono puntare, in primis, a risolvere il persistente, divario tra l’economia del Nord e quella del Sud che, secondo un recente Rapporto di Bankitalia, è tornato ad approfondirsi.

Nel 1984 (quasi trent’anni fa, dunque) la Corte costituzionale dichiarò non fondate le questioni di le- gittimità costituzionale sollevate nei confronti di una legge di proroga dei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo solennemente affermando che la legge in questione risultava sostanzialmente diretta “a costituire l’ultimo e definitivo anello di congiunzione della graduale attuazione della nuova disciplina” del ’78, “senza che possa consentirsi un ulteriore analogo intervento legislativo”. Dopo quella decisione, sono stati varati 31 provvedimenti di blocco degli sfratti (fra uso abitativo ed uso di- verso), in pratica un blocco ogni anno. Nessuno dei Presidenti della Repubblica succedutisi in questo periodo ha mai eccepito – né in sede di “emanazione” dei decreti legge di blocco, né in sede di “pro- mulgazione” delle relative leggi – che proroga coattiva dei contratti e blocco delle esecuzioni di rila- scio sono, al fine della lesione dei diritti proprietari e dei parametri costituzionali interessati, la stessa cosa (semmai, fra i due provvedimenti vincolistici, quello del blocco è il più grave dato che paralizza un titolo esecutivo emesso dal giudice). Nessun Presidente della Repubblica, in nessun caso, s’è mai pronunziato in argomento con un messaggio, così come previsto dalla Carta costituzionale. E ieri l’altro il Governo ha approvato il 36° provvedimento (sempre fra uso diverso ed abitativo) di blocco degli sfratti, a far tempo solo dal 1978 – l’anno della normativa dell’”anello” della Consulta – e quindi in ragione di un blocco – ancora – ogni 12 mesi. Insomma, una stanca e accidiosa liturgia alla quale nessun organo – costituzionale o istituzionale – fa più neanche caso, tutti dimentichi del fatto che – come scrisse Einaudi nel ’54 da Presidente della Repubblica, proprio a proposito del “blocco dei fitti”

– “non si è mai vista nessuna normalità tornare da sé”. Nessun avvocato, poi, solleva più in proposito questioni di costituzionalità, sconsigliandolo la deontologia professionale e l’interesse dell’assistito (dato che l’inquilino rimane in casa tranquillamente fino al termine del giudizio costituzionale, che – ormai – supera sempre il termine di scadenza del blocco).

Il problema del perfezionamento del processo di produzione delle leggi è dunque impellente, e anche per il tema di cui stiamo trattando. A proposito di decreti legge non si può poi non constatare che,

dopo la vicenda del “Salva Roma” e i richiami del Colle, il Governo ha presentato un decreto Fran- kenstein (il cosiddetto “Milleproroghe”) che più di così non si può. D’altro canto, è anche doveroso constatare che solo grazie ad un decreto legge il ministro Lupi e il sottosegretario Ferri sono riusciti, rispettivamente, da un lato ad eliminare dal nostro ordinamento giuridico una norma che per 5 mesi ha impedito di stipulare legittimi contratti di locazione e di compravendita perché non muniti di un A t-

testato energetico cartaceo che non si poteva conseguire mancando i relativi decreti attuativi e, dall’altro, a far varare una normativa che, dopo 6 mesi, consentirà di appaltare i lavori straordinari che i singoli condominii vogliono fare. Normative, entrambe, sulle quali nessun dissenso politico s’è mai – ed è ovvio – manifestato.

Ma, tornando alla liturgia del blocco degli sfratti, perché mai un istituto come questo (che, nel m o- mento che attraversiamo, avrà, oltretutto, effetti psicologici deteriori per la ripresa ed il ritorno all’affitto) resiste imperterrito ancora dopo decenni dalla sua formale condanna costituzionale, non sollevando alcun caso neppure di coscienza oltre che di legittimità?

La realtà è che viviamo in un tempo – sotto gli accennati profili, di coscienza e di diritto – più triste che mai. Un esempio per tutti (ed eclatante) è quello della possibilità concessa alle pubbliche ammi- nistrazioni, col decreto legge Frankenstein, di recedere unilateralmente dai contratti di locazione dalle stesse stipulati quali conduttrici. E’ bastato che si sia inventata una felice formula propagandistica, subito ripresa dai mass media (“affitti d’oro”), per far strame di ogni norma di diritto (anche costituzi o- nale) e di ogni legittimo contratto e varare così un’inedita disciplina che – salvo il controllo del suo te- sto finale – non sottopone il recesso in questione – per quanto se ne sa – ad alcuna condizione, ne- anche di onerosità e che potrà quindi espandersi (fatto assolutamente non considerato, da alcuno) a volontà in tutta Italia, indipendentemente dai casi di Roma (sempre Roma…) che l’hanno provocata (e, nel merito, magari giustificata).

Anche qui, dunque, il rispetto dello Stato di diritto – quel rispetto al quale primieramente si ispirava la legislazione dello Stato unitario di fine ‘800 – è stato totalmente pretermesso, esattamente come nel caso (comunque non altrettanto giustificato, nel merito) del “blocco degli sfratti”. Ma perché mai, dun- que, la ripetitività (nauseante, e senza pudore) della liturgia in parola?

Prima di tutto, perché fare beneficenza con la roba degli altri è uno sport nazionale (inventato nello Stato Pontificio e varato ad ogni Giubileo, dal 1549 in poi), uno sport largamente praticato dai politici oltre che dai giudici del rilascio e delle esecuzioni. In secondo luogo, perché la nostra legislazione è oggi vieppiù condizionata da potentati, pubblici o parapubblici, a cominciare dall’alta burocrazia (che trionfa soprattutto nei periodi in cui la politica è debole, come ora). E fra i più potenti gruppi di potere (favoriti da un appoggio incondizionatamente bipartisan) ci sono di certo i Comuni che – adusi a non limitarsi in alcun spreco, com’è sotto gli occhi di tutti – sono anche assatanati di soldi, vogliono spen-


dere, vogliono costruire alloggi (che saranno peraltro pronti – spesso per essere subito abusivamente occupati – fra decenni, ma questo poco importa). E il blocco degli sfratti (che non ha mai, nei secoli e nei decenni, risolto alcun problema) è funzionale a queste “esigenze” dei Comuni, è il loro più idoneo humus (anche se sarebbe più proficuo e meno dispendioso – ma è questo il punto debole della solu- zione – incoraggiare l’affitto, specie non uccidendolo con tasse abnormi, anche locali, per poi allog- giare i senza tetto in costosi – e questo invece, è un punto vincente molte volte – alberghi). Non a caso, del resto, è proprio stata l’Anci – la potente lobby dei Comuni – a reclamare a gran voce il blocco.

Corrado Sforza Fogliani

Presidente Confedilizia

Solo 27 Comuni capoluogo di provincia su 117 – poco meno del 23 per cento – hanno stabilito per il 2013 un’aliquota per i contratti di locazione abitativa “concordati” (tecnicamente – secondo l’esatta dizione di legge – “contratti agevolati”), inferiore alla misura base del 7,6 per mille. E’ quanto segnala la Confedilizia – in vista della scadenza di lunedì prossimo per il versamento dell’imposta – sulla base dell’analisi delle aliquote pubblicate dai Comuni entro i termini previsti dalla legge.

Nei 27 casi di aliquote speciali per i contratti a canone calmierato, comunque, il livello stabilito rimane notevolmente elevato, considerato anche che la base imponibile dell’imposta è cresciuta rispetto a quella dell’Ici – per effetto dei moltiplicatori catastali introdotti dal 2012 con la manovra Monti – del 60 per cento. Le aliquote fissate dai pochi Comuni “virtuosi”, infatti, arrivano al 4 per mille solo in 7 casi (Bari, Cuneo, Massa, Piacenza, Pisa, Sassari e Vicenza).

Negli altri 90 Comuni capoluogo di provincia, l’aliquota applicabile alle case affittate a canone più basso rispetto a quello di mercato è pari o superiore all’aliquota base del 7,6 per mille e – in ben 23 casi – addirittura nella misura massima del 10,6 per mille.

Il Presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, ha dichiarato:

“I dati si commentano da soli. Ma il Parlamento, intanto, pensa solo ad inventarsi ulteriori aggravi burocratici a carico anche dei proprietari onesti, e cioè della stragrande maggioranza dei casi, come la scoperta di obbligare al pagamento dei canoni solo a mezzo delle banche, i cui costi – tra l’altro – ricadono proprio a carico specialmente degli inquilini più deboli, come immigrati e anziani. I Comuni, dal canto loro, mentre gridano all’emergenza abitativa per chiedere ulteriori soldi e pur avanti uno sfitto involontario dilagante per di più inverecondamente supertassato, preferiscono alloggiare i senzatetto in albergo piuttosto che rinunciare alla cassa facile dell’Imu e applicare aliquote più basse per i locatori che hanno accettato di affittare a canone calmierato rispetto a quello di mercato. E’ difficile trovare casi più gravi di incoerenza e di cattiva spendita del pubblico denaro, sottratto a contribuenti in sempre maggiori difficoltà”.

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