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Cento magnifiche opere, tra cui molti capolavori assoluti, appartenenti ad una delle più antiche istituzioni culturali italiane, l’Accademia Nazionale di San Luca di Roma, giungono a Perugia per una mostra di ampio respiro che si sviluppa nelle due prestigiose sedi di Palazzo Baldeschi e Palazzo Lippi Alessandri, edifici storici di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia situati nel centro storico cittadino e adibiti a spazi museali.

Con Raffaello, Bronzino, Pietro da Cortona, Guercino, Rubens, Wicar, Hayez,   Giambologna, Canova, Valadier, Balla, vi compaiono dipinti e sculture di altri fondamentali artisti italiani e stranieri, a documentare la grande arte tra il Quattrocento e il recente Novecento.

La mostra nasce dalla collaborazione tra la Fondazione CariPerugia Arte e l’Accademia Nazionale di San Luca. E’ curata da Vittorio Sgarbi e accompagnata da un catalogo edito da Fabrizio Fabbri editore con tutte le opere riprodotte e analizzate da schede scientifiche curate da specialisti e da un testo, oltre a quello del curatore, di Francesco Moschini Segretario Generale dell'Accademia, che vi traccia una rapida storia dell'istituzione.

Il progetto espositivo offre una immersione nella storia dell’Accademia Nazionale di San Luca, testimoniata in mostra da dipinti, sculture, disegni architettonici, bozzetti preparatori, tutti patrimonio dell’Istituzione romana.

Stimolante il confronto che la mostra propone con la realtà artistica perugina ed umbra. Alcune opere appartenenti alla collezione dell’istituzione romana, infatti, non solo entrano in dialogo con altre della Collezione Marabottini esposta permanentemente a Palazzo Baldeschi - è il caso dell’artista Jean-Baptiste Wicar - ma anche con capolavori di storiche istituzioni perugine, come l’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci.

In questa sorta di viaggio artistico che da Roma conduce a Perugia per svilupparsi nel cuore cittadino, il corpus di opere dell’Accademia di San Luca - allestito nelle due sedi espositive situate entrambe in corso Vannucci, a pochissimi metri di distanza l’una dall’altra - complessivamente si snoda in 12 sale, seguendo un ordine cronologico.

Le opere esposte sono state oggetto di una vasta campagna di restauri promossa e supportata dall’Associazione Forte di Bard che le ha recentemente presentate presso la sua sede in Valle d'Aosta. La Fondazione CariPerugia a dArte contribuisce alla salvaguardia delle opere stesse attraverso un sostegno per la sistemazione e ristrutturazione dei depositi dell’Accademia.“Dopo un impegnativo lavoro di scavo, ricognizione e studio – afferma Vittorio Sgarbi – siamo riusciti ad ottenere un risultato egregio. I depositi dell’Accademia hanno rivelato un patrimonio artistico di immenso valore, con molte opere che sono ancora sconosciute e in attesa di essere sistemate in modo congruo. La mostra di Aosta e questa di Perugia rappresentano un antefatto della creazione di una Galleria nuova e strutturata all’interno dell’Accademia che permetta di valorizzare tale patrimonio facendolo uscire dai depositi e rendendolo fruibile al pubblico”.Il percorso inizia da Palazzo Baldeschi, dove nella prima sala è possibile ammirare il Putto reggifestone di Raffaello Sanzio, affresco staccato appartenuto a Jean-Baptiste Wicar e da lui donato, opera tra le più prestigiose della mostra. Percorrendo gli spazi si incontrano dipinti di Bronzino, Pietro da Cortona, Paris Bordon, Jacopo da Ponte detto il Bassano, che convivono con terrecotte di Vincenzo Danti e del fiammingo Giambologna. Ancora per il Seicento – molto ben rappresentato nell’Accademia Nazionale di San Luca – ecco tra gli altri il Cavalier d’Arpino con la sua teatrale interpretazione della Cattura di Cristo, Peter Paul Rubens con il notevole bozzetto Le ninfe che incoronano la dea dell’abbondanza, Anton Van Dyck con la Madonna con il Bambino fra gli angeli musicanti accompagnata dal relativo disegno, Sassoferrato con l’assoluta espressione di una pittura senza tempo nella purissima Madonna con il Bambino e poi Pier Francesco Mola, Swerts, Borgianni e tanti altri.

La sesta sala è un tripudio di capolavori tra i quali campeggiano la compostezza di Amore e Venere del Guercino, il mondo del visionario pittore fiammingo Jan de Momper, Pietro da Cortona, Maratti, per arrivare ad un Settecento fortemente europeista che si caratterizza per la presenza di maestri come Angelika  Kauffmann, Jan Frans Van bloemen, il pittore di marine Claude Joseph Vernet  e con i prestigiosi gessi del grande scultore danese Thorvaldsen e di Antonio Canova, l’idolo che, omaggiato dalle corti internazionali, reinventa il monumento funebre e di cui è esposto un gesso di un dettaglio del Monumento a Papa Clemente XIII in San Pietro datato 1784, il tutto insieme alle due splendide vedute antiquarie del Pannini.Una delle sale è dedicata ai disegni di architettura – di cui la collezione dell’Accademia è ricchissima - tra i quali si sono stati scelti gli spettacolari progetti per un Regio Palazzo in Villa di Filippo Juvarra e il rinnovamento di Roma nei progetti del Panteon e di Piazza del Popolo dell’architetto Giuseppe Valadier.A Palazzo Lippi Alessandri i visitatori sono accolti da artisti del calibro di Francesco Hayez, artista veneziano poliedrico e innovatore autore de Il bacio, opera simbolo del romanticismo italiano, Jean Baptiste Wicar, con il suo potente Ritratto ufficiale di Giuseppe Valadier, Rinaldo Rinaldi con il bel ritratto in marmo di Domenico Pellegrini, pittore amatissimo da Canova. In tempo di nominata Scapigliatura, ecco le moderne prove di Tranquillo Cremona, un misterioso Ritratto di donna, e di Federico Faruffini, un ombroso Autoritratto. Espressione artistica del Novecento sono l'autoritratto il Contadino di Giacomo Balla, l’autoritratto del dannunziano Lawrence Alma Tadema, il ritratto dello scultore Giovanni Nicolini realizzato da Antonio Mancini. Il dipinto forse più poetico dell’intera collezione è il Ritratto di Bianca in piedi, mentre attraversa le stanze della casa, portando una teiera di ceramica: è la giovane figlia del pittore Amedeo Bocchi, morta ventiseienne nel 1934.E ancora, marmi di Antonio D’Este – che ritrae Antonio Canova - Francesco Nagni, Pietro Tenerani, Albino Candoni e bronzi di Nicola D’Antino, Francesco Coccia, Adolfo Apolloni, Attilio Selva, Aroldo Bellini e Alberto Viani a coronare un percorso che si contraddistingue per essere particolarmente autorevole dal punto di vista autoriale e iconografico e altrettanto vario per quanto riguarda le tecniche e i linguaggi artistici usati.

Il sequestro di 20 opere d’arte falsamente attribuite ad autori moderni, tra i quali Modigliani, Balla, Boetti, Boccioni, Shimamoto, De Pisis, Rosai e Ceroli, con la denuncia a piede libero di 6 persone indagate per ricettazione e commercializzazione di opere false, è il bilancio delle attività investigative svolte, nell’ultimo trimestre, dai militari della Sezione Falsificazione e Arte Contemporanea del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma.

Le indagini, coordinate nei diversi filoni dalle Procure della Repubblica di Roma, Ferrara, Terni e Brescia, nate a seguito di mirate attività info-investigative, hanno consentito di evitare l’immissione sul mercato di opere false (con i conseguenti gravi pregiudizi economici per i compratori in buona fede) e permesso di individuare delle reti di produzione, mendaci autenticazioni e vendita di dipinti falsi, con la precisa ricostruzione dei vari passaggi per il loro smercio: dal falsario all’acquirente finale attraverso una serie di personaggi “satelliti”, sparsi su tutto il territorio nazionale, che ricevevano le opere falsificate e le piazzavano sul mercato clandestino.

Le province maggiormente interessate da questa attività commerciale illecita erano Ferrara, Roma, Bologna Terni, Brescia e Milano. In questo ambito, non solo operavano mercanti ufficiali del settore, ma anche una rete di persone che, tramite canali privilegiati, entravano in contatto direttamente con i collezionisti a cui proponevano e vendevano le tele.

Alcune di queste opere contraffate sono state individuate all’interno di un magazzino occultato da una parete a scomparsa, altre sono state sequestrate in un museo, dove erano esposte, mentre in un caso, il riconoscimento della falsità del dipinto è avvenuto con la collaborazione della Fondazione Alighiero Boetti.

Particolare è la circostanza che ha riguardato un ex imprenditore del bresciano facoltoso collezionista oggi deceduto, a cui sono state vendute nel corso del tempo anche opere false; la famiglia, nello stimare il valore veniale del lascito ereditario, si è rivolta, per tentarne la vendita, ad alcuni intermediari di settore. Tuttavia, i mirati accertamenti degli investigatori, su questi ultimi, hanno portato alla scoperta della falsità di almeno due opere appartenenti alla collezione.

Il valore commerciale complessivo dei dipinti, qualora commercializzati come autentici, supera €11.000.000,00.

La mostra collettiva Il paradigma di Kuhn riunisce le opere di 19 artisti, dilatandosi in due sedie in due momenti diversi: la galleria FuoriCampo di Siena ospiterà infatti dal 20 gennaio al 31 marzo una serie di piccoli lavori - uno per ogni artista - che anticipano, senza svelare, l’allestimento delle opere nello spazio di Studio O2 a Cremona dal 27 gennaio al 28 febbraio, un ex edificio industriale gestito da un gruppo di giovani ingegneri specializzati nella diagnosi energetica degli edifici.

Fu l’epistemologo Thomas S. Kuhn nel suo libro più famoso La struttura delle rivoluzioni scientifiche a indicare che la scoperta comincia con la presa di coscienza di un’anomalia rispetto alle aspettative, che viene esplorata finché la teoria paradigmatica non viene riadattata, e ciò che era anomalo si trasforma in normalità. Esiste dunque un legame di continuità fra scienza e rivoluzione, nel senso che lo scienziato opera sempre all’interno di una cornice di riferimento riconosciuta e apparentemente solida, fino ad individuare il limite e a superarlo con un adattamento teorico, alimentando dunque il seme del cambiamento verso una nuova rivoluzione.

Seguendo il pensiero di Kuhn, anche il mondo dell’arte può dirsi scandito da brevi momenti di rivoluzione, Manifesti o Secessioni, a cui si alternano lunghi periodi di “accademismo”, che, riproducendo certi principi compositivi o teorici, stimolano a loro volta un cosiddetto “punto di svolta” sul piano culturale.

Le opere presenti in mostra sono accumulate perciò da un pensiero anti-passatista, inteso non tanto come rifiuto del passato quanto piuttosto come rilettura obiettiva della storia, lontano da riferimenti ideologici pretestuosi, per proiettare la prassi artistica su tematiche più universalistiche attinenti il mutamento e la trasformazione, componenti ultimi e soluzione del reale.

Molti degli artisti invitati lavorano proprio sull'idea di costruzione e adattamento, su equilibri formali e rapporti di forze, in un’incessante analisi del proprio presente e di un’eventuale soluzione per il futuro. Un atteggiamento che forse deriva da un sistema dell'arte nazionale sempre più chiuso su se stesso che offre poche possibilità agli artisti italiani, ancora schiacciati da due paradigmi tanto ingombranti e resilienti - l’Arte Povera e la Transavanguardia - da apparire perfino dogmatici e inibire lo sviluppo di un nuovo corso per l’arte.

La mostra di trasforma dunque in una sorta di “spazio critico” sulle attuali “capacità” dell’arte contemporanea, sottoponendo alla verifica sperimentale alcuni principi artistici ed espositivi, grazie alle opere di artisti considerati come marcatori, sensibili indicatori di un’anomalia riconducibile all’esaurirsi della capacità esplicativa del paradigma.

Gli artisti sono Marco Basta, Thomas Berra, Alessandro Biggio, Andrea Bocca, Pamela Diamante, Tony Fiorentino, Mafalda Galessi, Corinna Gosmaro, Helena Hladilovà, Vincenzo Napolitano, Dario Pecoraro, Alessandro Polo, Gianni Politi, Agne Raceviciute, Stefano Serretta, Namsal Siedlecki, Luca Trevisani, Serena Vestrucci, Mauro Vignando.

E' stata promossa con il sostegno della Camera dei deputati, l’esposizione organizzata dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, e verrà inaugurata martedì 23 gennaio alle 16 la mostra Testimoni di Civiltà.

La mostra, che si terrà nella prestigiosa ‘Sala della Lupa’ di Palazzo Montecitorio ove è conservata la copia originale della nostra Costituzione, costituisce una delle iniziative che saranno svolte per ricordare il settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge fondamentale italiana. Permetterà, infatti, di valorizzare il contenuto dell’articolo 9, uno dei suoi dodici principi fondamentali, che raccomanda a tutti i cittadini di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione. 

Nella mostra sarà esposta una simbolica selezione di beni che il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha recuperato non solo attraverso attività investigative o grazie all’azione svolta nell’ambito della cosiddetta “diplomazia culturale”, ma anche “salvati” e messi in sicurezza nelle zone dell’Italia centrale colpite dal sisma del 2016. L’iniziativa permetterà così di illustrare la poliedricità dell’azione di tutela e di salvaguardia che l’Arma dei Carabinieri svolge in sinergia con le articolazioni centrali e periferiche del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Saranno esposte 14 importanti opere, tra le quali spicca il carro di Eretum, per la prima volta esposto in Italia dopo il recente rimpatrio dalla Danimarca. 

Scavato clandestinamente in Sabina nei primi anni ’70, è stato recuperato a seguito di riscontri investigativi e scientifici nell’ambito delle attività di diplomazia culturale. Potranno anche essere ammirati il noto gruppo scultoreo “Triade Capitolina”, rinvenuto negli anni ’90 nel corso di scavi clandestini nonché la grande tela d’altare di Giovan Battista Tiepolo della chiesa di San Filippo Neri di Camerino, messo in sicurezza a seguito dei drammatici eventi sismici che si sono verificati in Italia nel 2016. La mostra sarà aperta al pubblico con ingresso libero dal 24 gennaio al 28 febbraio dalle ore 10 alle ore 18 (apertura dal lunedì al venerdì) con entrata da piazza Montecitorio.

Una sala gremita, presso il Salone del Palazzo Vescovile di Caltagirone, ha accolto la presentazione della mostra "Armonia dell’infinito" di Piero Guccione, artista ragusano di fama internazionale. 

Realizzata con il patrocinio della Regione Siciliana Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo e del Comune di Caltagirone, sarà visitabile presso il Museo Diocesano di Caltagirone fino al 6 maggio 2018. 

Alla presenza del Vescovo di Caltagirone Calogero Peri, del Sindaco Gino Ioppolo, dell’Avvocato Giuseppe Iannaccone e di Santino Carta, Presidente della Fondazione Pio Alferano Virginia Ippolito, il direttore del Museo diocesano Don Fabio Raimondi ha illustrato il percorso espositivo fatto di 30 opere, con qualche inedito, del Maestro dal 1962 al 2014.

Dai primi dipinti come Omaggio a F. Bacon, Giardino su muro giallo e A Lenin, alle rondini e alle bimbe bionde, fino ai dipinti maturi che quasi tolgono il fiato come Paesaggio di punta corvo prima del tramonto o Dopo il tramonto dove “Più che il mare nella sua naturalità è l’idea del mare che credo di proseguire con tutta la carica emozionale che promuove nelle sue infinite variazioni”. Per poi arrivare al 2014, anno in cui ha realizzato il suo ultimo capolavoro, un’opera dolce dove è impossibile non perdersi con lo sguardo in un gioco di luci e di sublimi colori.

"Parlare di armonia e di infintio è come parlare del silenzio - ha dichiarato il Vescovo Peri - E' impossibile. Solo gli artisti hanno questo privilegio, questa capacità. E nei quadri di Guccione, tra armonia e infinito ci sono delle ferite, degli squarci. Con la sua arte, una ferita diventa una feritoia. Gli artisti come lui parlano poco con le parole e molto con la vista". 

Le opere esposte hanno una grande essenza “isolana”, tra il mare azzurro, la sabbia dorata, i caldi tramonti. Un'armonia siciliana che incontra l’infinito delle acque, le linee d’orizzonte sfumate, la staticità delle immagini. Il risultato è un'emozione contrastante che supera qualsiasi confine e va oltre “i limiti” della sua terra.

La mostra, con opere provenienti da tutto il territorio nazionale, ha la direzione artistica di Don Fabio Raimondi ed è a cura dell’Avvocato e Collezionista Giuseppe Iannaccone, uomo illuminato e di grande supporto che tra l’altro ha favorito, insieme al Presidente della Fondazione Pio Alferano Virginia Ippolito, il trasferimento della mostra di Castellabate presso il museo.

"Sono un collezionista innamorato dell'arte e degli artisti che parlano di umanità - dichiara  Iannaccone in conferenza stampa - Primo fra tutti Guccione. Un artista umile che parla solo attarverso i suoi straordinari lavori. Apparetemente trattano del mare, della natura, di una Sicilia sofferta, ma parlano anche di sentimenti umani. Della necessità dell'uomo di raccogliere i suoi pensieri per approfondire tutto quello che veramente conta nella vita. Per lasciare in piedi solo i valori veri. E' il più grande artista siciliano vivente. In un paese dove si fa poco o niente per l'arte contemporanea, in questo museo si sta facendo tanto". 

A chiudere la presentazione, l'intervento del sindaco di Caltagirone Gino Ioppolo soddisfatto per il percorso artistico ospitato dal Museo diocesano che, negli ultimi anni, è diventato "un punto di riferimento anche culturale. Siamo grati ed interessati a questo processo che sta portando la nostra città lì dove merita di stare. Caltagirone è uno scrigno che per un verso deve essere custodito, e per altro verso aperto. Anche ad una importante fruizione artistica come questa".  

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