Trio
Il linguista Roman Jacobson ha individuato, nella sua teoria della comunicazione (compresa quella non verbale, tipo i suoni) sei aspetti: mittente, messaggio, destinatario, contesto, codice comune, contatto/connessione.
Tali enunciazioni di massima ci son venute in mente a proposito di Il dono, targato Abeat del Fausto Ferraiuolo Trio, uno di quei dischi in cui il momento comunicativo è fondante.
Il pianista partenopeo nonché leader del trio è intanto un'autorità della scena jazz sin dalla fine degli anni '80 ha inanellato, in carriera, prestigiose collaborazioni al proprio fianco per cui, in un certo senso, non fa quasi notizia vederlo in questa occasione con specialisti come Aldo Vigorito al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria.
Ma qual'è la particolarità dell'album? Lo spiega il titolo, come precisa lo stesso Ferraiuolo: il dono è l'incontro, quello con i musicisti con cui suona, con le persone più vicine... Una musica di relazione, dunque, in cui metro/ritmo/armonia tornano ad essere "strumenti" di raccordo fra sensibilità non ostentazione di (indiscussa) bravura.
Il contesto - il trio - offre al mittente - compositore e interprete - il canale giusto acchè il messaggio, la sua emotivitá, sia in "rete" con i partners, e giunga al destinatario ovvero l'ascoltatore inteso come coreferente nel presupposto che ne assimili se non il codice linguistico/musicale (il jazz) quantomeno la poetica o comunque ne percepisca altri segnali metalinguistici.
Gli undici pezzi variano, ci son quelli sostenuti come Fire Island, lo standard Somebody Loves Me, altri d'atmosfera latina (Rue de la Vega, Baires), il blues (C'est tout), può persino capitare che una citazione di 'O sole mio si sviluppi a macchia d'olio (O impro mio) prima che una ballad come 4 Septembre ci riporti nel cullante dondolio di un jazz, per come sopra descritto, persuasivo e referenziale.
Duo
Il pianoforte "si fa in duo" nel caso dell'album Any Morning (Slam) a cura del pianista Luciano Troja e del chitarrista Giancarlo Mazzù.
Il lavoro è ispirato da una poesia di Bill Zavatsky, poeta-pianista, composta e stampata in copertina a suo tempo su You Must Believe In Spring, disco di Bill Evans. Ma il pianismo esibito, è bene precisarlo, non è evansiano almeno nel senso comunemente inteso di questo aggettivo. E pur se riconducibile all'avanguardia nel fitto interplay con la chitarra (e anche qui si sfata il luogo comune secondo cui si tratterebbe di due strumenti abbastanza difficili da mettere insieme nel jazz) il gruppo duale si com/porta in modo conseguente ed originale, spostando spesso l'asse del discorso musicale da dissonanze monkiane a contrappunti bachiani, dallo swing al free, da armonie a dir poco consonanti a clusters ruvidi, mai ispidi, senza dare il tempo al suono di accomodarsi tanto è dinamico nel tempo e nello spazio e tanto si fonda su letture che vanno oltre la partitura, fino alla poesia ed al testo insito dietro le quinte delle note. Con dieci brani differenti l'un l'altro, come un nuovo risveglio mattutino: "When I do wake up ...".
Solo
La pianista Francesca Gemmo licenzia Ad libitum, album di "solo" (Dodicilune) inciso in una mattina estiva durante un'unica sessione di registrazione.
I primi quattro dei dieci brani, i "Sipari", sono pianificati mentre i successivi sono distinte scene sonore, invenzioni che dimostrano quanto possano essere spiritualmente ed esteticamente vicine l'avanguardia jazz e la musica contemporanea.
Con la differenza sostanziale che è data dalla capacitá di improvvisare di musicisti come la Gemmo che non interpreta altri se non stessa fondendo i ruoli di compositore-esecutore e saltando, a piè pari in diverse fasi, l'onere trascrittivo, cercando cioè di captare al meglio l'ispirazione del momento. In un carpe diem in cui, del giorno, si tentano di carpire figure, ombre, stati d'animo, impressioni per narrarle con quelle mani che, da terminal emotivo, guizzano sulla tastiera.