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Mattarella non esclude le urne

Dal Quirinale filtra l'indiscrezione per cui non sono possibili "formule politiche ulteriori". Insomma, niente Conte-ter. Figuriamoci un governo tecnico. Come nota Repubblica, la fine anticipata della legislatura farebbe slittare il voto sulla legge che taglia i parlamentari. In ogni caso, nessuna crisi è ammessa prima dell'approvazione della manovra, giudicata dal Capo dello Stato "una priorità assoluta". Una volta pubblicata la Legge di bilancio in manovra, allora, tutto può succedere. E il voto sarebbe inesorabile

«Sfiduciare Palazzo Chigi non è tra i poteri del presidente della Repubblica», spiegano dal Colle. Ma, se Conte 2 cade, «difficilmente» ci sarà un Conte 3, o un gabinetto istituzionale, o una qualche altra alchimia. Se davvero la coalizione giallorossa entrerà in crisi, bisognerà «tenere bene in chiaro» che il Quirinale non allungherà il brodo della legislatura e che si andrà verso elezioni anticipate nel 2020. C'è già una possibile data, fine marzo, un mese e mezzo dopo le cruciali regionali emiliane: il taglio dei parlamentari non sembra più un ostacolo. Dunque niente più esperimenti. Due «governi Frankenstein» possono bastare, un terzo sarebbe troppo.

La linea è di attesa degli eventi, con un occhio sulla Finanziaria. Mattarella, pur nella modalità zen , è appena appena infastidito da chi nelle ultime ore lo ha chiamato in causa come se potesse fare qualcosa. «Gli italiani - ha detto ad esempio Matteo Salvini - non meritano di essere ostaggio da una simile maggioranza, non è questo, così litigioso, l'esecutivo che il presidente aveva in mente». Giorgia Meloni ha addirittura sollecitato un intervento diretto: «Mattarella tenga conto delle elezioni in Umbria, lo scenario è cambiato». Richieste improvvide dal punto di vista della grammatica costituzionale, propaganda.

Intanto tra i parti che hanno perso e iniziata la resa dei conti interna che e solo questione solo di tempo: prima o dopo il voto in Emilia Romagna? Le scommesse sono iniziate. 

Salvini attacca: «Gli italiani non meritano di rimanere ostaggio di questa maggioranza che si scanna giorno dopo giorno». Ancora: «Le elezioni fan così paura? Sono esterrefatto dalla arroganza con cui Renzi, Zingaretti, Conte e Di Maio trattano gli italiani».

"Non voglio che questo governo cada. Voglio che mantenga gli impegni con gli italiani. E se non realizza quello che ha detto di voler realizzare, meglio andare a votare

È con queste parole che il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, traccia i possibili scenari futuri del governo giallorosso. Non escludendo una sua caduta, anche a breve.

Ospite di "Circo Massimo", su Radio Capital, il governatore del Lazio parte per forza di cose dalla sonora sconfitta alle Regionali umbre che mette a repentaglio l'ipotesi di un'alleanza strutturata con il Movimento 5 Stelle. "Abbiamo perso perché c'era l'accordo con i pentastellati ? Reagisco quando si batte su teoremi falsi", la piccata risposta di Zingaretti alle accuse di Matteo Renzi e altri. "È vero - ammette il leader dem - che il progetto ha perso, ma se non ci fosse stato sarebbe stato molto peggio", difendendo così la sua scelta di correre con Di Maio.

Ed è proprio al capo politico 5S - e alle altre forze della maggioranza - che Zingaretti si rivolge con un appello inequivocabile: "Non voglio che questo governo cada. Voglio che mantenga gli impegni con gli italiani. E se non realizza quello che ha detto di voler realizzare questo governo non ce la fa. Quindi meglio votare". Dunque, per la prima volta, il segretario dei democrat apre all'ipotesi elezioni anticipate

Quel 7.4% pesa. E per quanto i grillini cerchino di minimizzare, la crisi c'è. Luigi Di Maio, subito dopo la clamorosa sconfitta, ha cercato di rassicurare il Paese, ma ha messo le mani avanti: "ll patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato. Il MoVimento nella sua storia non aveva mai provato una strada simile. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti". Insomma, è come se avesse detto "abbiamo perso perché ci siamo alleati col Pd".  

Nel Pd non c'è più Matteo Renzi ad agitare le acque. Ma sono rimasti renziani di ferro come Luca Lotti e Lorenzo Guerini che stanno organizzando una corrente, Base riformista, per scalare il partito. C'è il sindaco di Bergamo Giorgio Gori che sogna la segreteria nazionale. Il leader dem si difende, minacciando lo strappo con i Cinque stelle e la corsa al voto. Una mossa per blindare la poltrona e allontanare lo scenario di un nuovo congresso. Zingaretti si schiera al fianco del presidente dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini in vista del voto a gennaio. Spera in una vittoria che scacci la crisi.

Ma rischia il boomerang: Bonaccini è un altro pretendente alla guida del Pd. E in caso di vittoria potrebbe invocare la testa proprio del segretario. A chiedere di rimettere in gioco la leadership del Pd anche Andrea Marcucci, capogruppo dem in Senato. L'ex renziano poi corregge il tiro e ammorbidisce i toni: «Basta con le liti infinite, chiediamo al Governo di fare il governo. Il voto in Umbria è andato male ma è un dato locale, la maggioranza ora pensi ad approvare una buona legge di bilancio». Il segretario tira dritto e prova ad annegare le difficoltà nella birra: «Domani sarò a Poggibonsi, nel cuore della provincia italiana, perché un gruppo di giovani mi hanno contattato con idee e proposte per cambiare questo Paese. Passeremo la sera insieme bevendo una birra perché il Pd sta dove c'è voglia di futuro, per farla crescere» dice a SkyTg24. Il capo del Pd difende la poltrona e l'intesa con i Cinque stelle: «Abbiamo deciso al 100% di governare per tre anni con questa alleanza. Sono d'accordo, ma devono smetterla di creare polemiche tutti i giorni, perché gli italiani non ne possono più».

Ma gli inviti a rimettere il mandato si moltiplicano. Andrea Orlando, numero due Pd, è netto: »Se facciamo un congresso serve un congresso vero», dice il vice segretario dem. Con candidature alternative? «Se ci saranno, sì». Anche l'ex presidente del partito Matteo Orfini bombarda il segretario: «Concentriamoci per il voto in Calabria ed Emilia, poi però si faccia il Congresso, perché non è nel mandato di Zingaretti l'accordo con i 5s. Quindi se si vuole rilanciare l'alleanza c'è l'obbligo di chiamare tutti gli elettori a pronunciarsi». Riappare l'ex sindaco di Napoli Antonio Bassolino: «Siamo di fronte a problemi di fondo, in Italia e in Europa.

Che altro deve succedere? Servirebbe ed è anzi indispensabile un congresso come da tempo non si tiene: un congresso vero, diverso dalle primarie per eleggere il segretario. Un congresso di riflessione su un mondo del tutto nuovo e sul nostro paese. Un congresso dunque sulla base di idee, di tesi, di documenti, ed aperto a tutte le persone interessate ad una proposta politica e sociale di cambiamento. È questa la condizione per rinnovare davvero anche il Pd e la sinistra, il loro modo di essere e di agire nella società e nelle istituzioni. Tocca a Zingaretti prendere l'iniziativa e la decisione, con intelligenza e con determinazione». Il fronte contro Zingaretti si allarga. E prepara il golpe a meno di un anno delle primarie.

Nicola Zingaretti, invece, chiede unità e vuole "un cambiamento di passo". Zingaretti si appella all'unità perché "si governa da alleati non da nemici". Il segretario del Pd sta facendo il tutto e per tutto pur di mantenersi l'allenza coi 5S e soprattutto per tenersi ben stretto la poltrona. Anche se si rende conto che i risultati delle ultime elezioni regionali sono davvero disastrosi. Non soltanto per la netta vittoria del centrodestra che ha staccato di ben venti punti la sinistra. Zingaretti si rende conto - è evidente - che il primo partito che governa il Paese ha tirato su soltanto un 7.4%, mentre il Pd un 22,3%. Dati catastrofici.  

Ma se questi sono i numeri, che aria tira nel M5S? Stando ad alcune indiscrezioni riportate dall'agenzia Agi, i malumori sono parecchi. "Dopo l'Umbria? Adesso basta. Bisogna cambiare la catena gestionale. Non si può decidere in pochi", dicono alcuni. I parlamentari, quindi, chiedono più coinvolgimento e si interrogano sulle strategie per il futuro del Paese, che, riferiscono alcuni, mancano. "Io andrei da sola, meglio perdere con dignità" e "senza alleanze", spiega ancora all'Agi una fonte M5S, perplessa sulla possibilità di allargare il fronte pentastellato ad altri componenti. "Sicuramente non si possono organizzare le campagne elettorali in soli 40 giorni, affidandosi all'improvvisazione. Bisogna tornare nelle piazze e sui territori", viene ancora riferito.

Con lo stesso mood parlano parlamentari e consiglieri regionali pentastellati emiliano-romagnoli dopo l'incontro con Giggino. Maria Edera Spadoni, vice presidente della Camera, ha detto chiaramente che l'incontro "di oggi con il capo politico del MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio è stato un incontro molto positivo. Siamo tutti concordi nel presentarci da soli, senza fare alleanze con i partiti, in occasione delle prossime regionali in Emilia-Romagna. Le uniche alleanze che valuteremo di fare saranno quelle con le liste civiche". E le stesse parole vengono usate dalla deputata M5S Federica Dieni, uscendo da Palazzo Madama dopo l'incontro dei parlamentari calabresi con Luigi Di Maio: "È ancora tutto in divenire, ma l'orientamento è quello di andare da soli".

Insomma, non solo la batosta alle Regionali in Umbria con tanto di figuraccia. Ora i parlamentari si ribellano pure a Di Maio. La sindaca di Imola oggi si è dimessa parlando di snaturazione del M5S. Chi sarà il prossimo? Ma soprattutto, Gigino continuerà a dire che va tutto bene? Che la tenuta del governo non è in crisi? Intanto, per le Regionali in Emilia-Romagna inizia a profilarsi un'altra linea: sì a liste civiche no al Pd.

Intanto da Bruxelles il vicepresidente della Ue Valdis Dombrovskis dice che «sulla manovra italiana rimangono alcune preoccupazioni», legate alle possibili correzioni durante il dibattito alle Camere. Su fisco e contante le posizioni di Cinque Stelle, Pd e Italia viva divergono assai. Continueranno Renzi e gli altri a cercare visibilità? Si insisterà sull'idea del rimpasto o del cambio in corsa del premier? Come andrà a finire la resa dei conti tra i grillini?

Tutto ciò rende precaria la marcia dell'esecutivo. Il presidente della Repubblica, proprio per il suo ruolo, cerca sempre di assicurare stabilità al Paese ma, se i partiti non si daranno una regolata, sarà impossibile arrivare al 2023. Il Conte bis è nato con la prospettiva di durare tre anni, con un patto di legislatura. Però non si può solo litigare, l'Italia ha bisogno che vengano risolti i suoi tanti problemi. Quindi, assicurano dal Colle, nessun calcolo sulla composizione delle forze che nel 2022 dovranno eleggere il successore di Mattarella: o vi calmate o si vota. E questo forse sarà il collante migliore.

 

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