«… “Guagliù, lati saputu?”
“No, c’à ssuccedutu?”
“Nenti, Pagos à scrivùtu ’nu libbru ’i quann’era guagliùnu.”
“E mmò?”
“E mmò, namu accattari ’u libbru!”».
Con questo esilarante duetto, tratto dal libro “Veni ca ti cuntu”, l’autore e artista crotonese Pagos e l’attore Francesco Pupa hanno concluso l’incontro di presentazione del volume in vernacolo crotonese suscitando le fragorose risate del pubblico.
Una serata dall’atmosfera indimenticabile quella di sabato 27 maggio sulla terrazza della D’Ettoris Editori. A fare da cornice un cielo azzurro in cui le rondini volteggiavano stranamente silenziose, quasi a invitare a un attento ascolto, e un sole che col suo tepore crepuscolare baciava relatori e pubblico.
Un pubblico accorso talmente numeroso da riempire ogni angolo della terrazza e delle stanze attigue da cui si poteva assistere all’evento.
Il libro di Pagos, davvero straordinario, ritrae un quadro di umanità della Crotone del centro storico degli anni ’40 e ’50 quando valori come la famiglia, la fedeltà, la trasparenza, la solidarietà e la vicinanza nelle difficoltà appartenevano al bagaglio culturale dei crotonesi. Che tristezza invece vedere oggi tante persone, e purtroppo anche tanti giovani, che si abbandonano alla doppiezza e alla falsità scivolando così verso una mediocrità che ottenebra il cuore.
L’evento è iniziato con la poesia “Ricchizza appizzata”, recitata da Francesco Pupa, attraverso la quale i partecipanti all’incontro hanno potuto assaporare l’odore del mare che una leggera brezza trasportava sulla terrazza da cui era visibile.
«Chistu? È ru maru ‒ recita la poesia di Pagos nella parte finale ‒ e ssi trova d’a Cutrònu i quannu à natu u munnu, e nisciùnu vò ccapisciri quant’è rranna sta ricchìzza».
L’incontro è stato moderato da Maria Grazia D’Ettoris, direttrice della biblioteca Pier Giorgio Frassati.
Eleonora Costa, curatrice del volume nonché collaboratrice della D’Ettoris Editori, ha sottolineato come il libro di Pagos sia un’eredità da custodire, specie per le nuove generazioni, perché solo riscoprendo le proprie radici e nutrendo la memoria collettiva è possibile far germogliare in noi «il bello, il buono e il vero», come afferma lo scrittore Alessandro D’Avenia.
Elio Cortese ha appassionato il pubblico con la sua straordinaria relazione degna di un accademico. Cortese, massimo esperto locale di dialetto e tradizioni popolari, ha esordito affermando che «la proposizione di uno spaccato della nostra vita, nella semplicità del suo vivere e del suo tramite espressivo, com’è appunto Veni ca ti cuntu, non deve essere recepita avulsa dal nostro mondo».
«L’umanità che Pagos descrive nel suo vivere quotidiano sulle ruje, sulle vie o nell’intimo delle loro modeste abitazioni ‒ ha continuato il dialettologo ‒ non è considerata figura statica, iconografica, fuori del tempo. Vista in tali dimensioni si perderebbe l’effetto educativo, che traspare dalla lettura dei tanti quadretti, pregni di un umanesimo ambientale e degni d’essere tramandati.
I ricordi evocati hanno una funzione educativa: riscoprire una patria culturale e proporre un umanesimo ambientale attraverso la semplicità, la spiritualità del vivere di un tempo, che lievita il presente con pause di riflessione, di comparazione con il nostro mondo post moderno, magmatico, interreligioso, interetnico».
Elio Cortese, leggendo il libro, ha avuto la sensazione di trovarsi in un teatro, spettatore incantato e a tratti sorpreso dall’imprevedibilità dei racconti dove, grazie alla maestria comunicativa dello stile narrativo e alla facile e feconda ironia, viene interpretato «un mondo popolare che si movimenta tra arguzia, immancabili litigi all’aperto e affetti familiari, come il commovente ricordo del padre, avvolto di un lessico familiare di amore e unità».
L’esperto ha elogiato Pagos per aver adoperato la storica parlata crotonese garantendole pari dignità con la lingua ufficiale.
«Il dialetto ‒ ha concluso Cortese ‒ ha oggi una rilevanza storica, perché permette la riscoperta dei nostri antichi valori linguistici e antropologici».
Veni ca ti cuntu è in grado di rafforzare o suscitare, laddove ancora non sia presente, l’amore per la nostra bellissima città che Pagos, al pari di un sapiente dipinto, ritrae come una mamma nella poesia Cutronu mia cui si rivolge con dolcezza scrivendo «Ti vulìssa d’accarizzàri, abbrazzàri, parràri, prima o doppu ’i cosi ànnu canciàri».