Le recenti polemiche sulla presunta "alleanza" tra Donald Trump e i CEO delle maggiori aziende tecnologiche statunitensi sono state interpretate come un “normale riposizionamento” dal noto editorialista Federico Rampini, del Corriere della Sera. Intervenendo alla trasmissione Piazzapulita, condotta da Corrado Formigli su La7, Rampini ha offerto una chiave di lettura che ridimensiona drasticamente la portata del fenomeno.
Nessuna "oligarchia nera", nessuna "tecno-destra" al servizio di Donald Trump. L'incontro tra i CEO delle multinazionali tecnologiche e il nuovo presidente americano durante il giorno dell'insediamento non rappresenta un inquietante novità, come alcuni osservatori di sinistra vorrebbero far credere con grande sdegno.
Chi oggi critica l'evento come un simbolo di potere inappropriato sembra dimenticare – per faziosità o per comoda amnesia – che le grandi personalità della Silicon Valley hanno per anni sostenuto apertamente i Democratici. Da Mark Zuckerberg (Meta) a Jeff Bezos (Amazon), fino a Sundar Pichai (Google), i leader delle big-tech erano considerati alleati naturali del progressismo americano. Hanno finanziato campagne, promosso battaglie politiche, e in quel contesto nessuno, a sinistra, aveva parlato di "democrazia in pericolo" o gridato allo scandalo.
Oggi, con Trump alla guida, queste stesse personalità sembrano aver intrapreso un dialogo diverso, più orientato alla collaborazione con la nuova amministrazione repubblicana. È un segno che il presidente sa parlare a tutti i settori, aprendo canali anche con coloro che un tempo erano considerati distanti dalle sue posizioni politiche. Non c'è nulla di sinistro o antidemocratico in questo, ma solo la volontà di governare in modo pragmatico e coinvolgere chi ha il potenziale per contribuire alla crescita economica e tecnologica degli Stati Uniti.
Le critiche da parte della sinistra suonano come ipocrisia. Se dialogare con le big-tech era accettabile e addirittura celebrato durante le presidenze Obama e Biden, perché dovrebbe essere diverso con Trump? Questo atteggiamento non fa altro che sottolineare il doppio standard con cui certe narrazioni vengono costruite.
A smontare la narrazione progressista sulla presunta "tecnocrazia" instaurata da Trump ci ha pensato di recente Federico Rampini, noto giornalista e saggista, che certo non si può definire un sostenitore sfegatato del tycoon repubblicano. Eppure, la sua analisi, espressa a Piazzapulita su La7, ha riportato un po’ di buon senso in una discussione spesso deformata da pregiudizi ideologici.
Rispondendo al conduttore Corrado Formigli, che gli chiedeva cosa volessero i CEO delle big-tech presenti all’insediamento di Trump, Rampini ha chiarito: "Quello che volevano e davano quattro anni fa a Biden. Guardate che quella prima fila era tutta schierata a sinistra quattro anni fa, e nessuno ci trovava nulla di strano. Non ve lo ricordate più, ma erano tutti con Biden."
Rampini ha poi ricordato come la vicepresidente Kamala Harris abbia costruito la sua carriera politica grazie al sostegno economico della Silicon Valley: "È una creatura politica delle big-tech e della Silicon Valley." E ancora: "Adesso scopriamo l'oligarchia solo perché quei miliardari sono saltati sul carro del vincitore."
Il punto sollevato da Rampini è chiaro: i CEO delle multinazionali tecnologiche non sono ideologicamente legati a Trump né lo erano a Biden. Si tratta di imprenditori che, come è naturale nel loro settore, perseguono gli interessi economici delle proprie aziende, dialogando con la politica per aumentare i profitti e favorire il loro business. Pensare che siano legati a un complotto per sovvertire la democrazia è una fantasia che rispecchia un provincialismo miope e lontano dalla realtà americana.
Dunque, l’idea che Trump abbia creato un’oligarchia tecnologica è palesemente falsa. Questi imprenditori, da Zuckerberg a Bezos, da Pichai a Cook, erano già vicini ai Democratici durante l’amministrazione Obama-Biden, e nessuno allora si scandalizzava per il loro ruolo. Oggi, la sinistra tenta di demonizzarli perché hanno scelto di dialogare con l’amministrazione Trump, ma la verità è che seguono semplicemente il carro del vincitore, come spesso accade in politica e negli affari. È una dimostrazione, piuttosto, della capacità di Trump di coinvolgere tutti gli attori rilevanti nel suo progetto politico.
L'obiezione sollevata da alcuni osservatori è che, con Donald Trump, le big-tech siano ormai “andate al potere”, soprattutto alla luce del ruolo attribuito a Elon Musk nella nuova amministrazione. Ma anche su questo punto, il giornalista Federico Rampini ha riportato ordine ai fatti, rispondendo con lucidità alle osservazioni di Corrado Formigli e altri critici.
"Non mi fate rifare la storia di quanto Musk fosse vicino a Obama," ha ricordato Rampini, "o di quando Bill Clinton mise il capo di Goldman Sachs a dirigere il ministero del Tesoro, con conseguenze disastrose sulla deregulation finanziaria." La sua conclusione è chiara: "Queste dinamiche non nascono certo con Trump."
Il ragionamento di Rampini sottolinea come le relazioni tra politica e grandi realtà economiche siano sempre esistite, indipendentemente dal colore politico delle amministrazioni al potere. Elon Musk, ad esempio, è stato a lungo celebrato dagli ambienti progressisti come il simbolo dell'innovazione e della transizione green, ricevendo ampio sostegno sotto Obama per progetti come Tesla e SpaceX. Demonizzarlo oggi solo perché dialoga con Trump è un'ipocrisia evidente.
D'altra parte, Rampini ha giustamente ricordato i precedenti di altre amministrazioni, come quella di Clinton, che assegnarono posizioni di rilievo a figure del mondo finanziario con impatti profondi – e spesso controversi – sull'economia globale. L’idea che Trump abbia inaugurato una commistione senza precedenti tra potere politico ed economico è quindi una narrazione errata, che ignora decenni di storia politica americana.
In realtà, ciò che Trump ha fatto è coinvolgere personalità influenti, come Musk, che rappresentano non solo il potere economico ma anche l'innovazione e la spinta verso il futuro. Un approccio che, più che essere demonizzato, dovrebbe essere valutato per i risultati concreti che potrà portare.
Fonte Varie Agenzie