Nel primo pomeriggio del 28 gennaio, i carabinieri si sono presentati a Palazzo Chigi per notificare due avvisi di garanzia: uno destinato alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’altro al sottosegretario alla Presidenza con delega ai servizi, Alfredo Mantovano. Nell’inchiesta risultano coinvolti anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Il provvedimento arriva in un contesto di forte tensione tra il governo e la magistratura. Appena pochi giorni fa, in segno di protesta contro la riforma della giustizia, diversi magistrati hanno interrotto le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario esibendo copie della Costituzione, un gesto senza precedenti.
Giorgia Meloni ha scelto di non arretrare, rispondendo con fermezza. Subito dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia, ha pubblicato un video in cui denuncia il tentativo di delegittimazione nei confronti della maggioranza, che ha tra le sue priorità proprio la riforma della giustizia.
L’indagine su Giorgia Meloni nel caso Almasri è senza dubbio una notizia di rilievo, ed è naturale che trovi spazio sulle prime pagine dei giornali, come accadrebbe in qualsiasi democrazia avanzata.
In un sistema realmente garantista, un’indagine non dovrebbe essere trattata come una condanna anticipata, né tantomeno essere utilizzata come arma per delegittimare un governo democraticamente eletto. La giustizia deve fare il suo corso, senza pressioni mediatiche o strumentalizzazioni politiche, nel rispetto della presunzione di innocenza, principio cardine dello Stato di diritto.
Meloni, fin dall’inizio del suo mandato, ha dimostrato coerenza e determinazione nell’affrontare le sfide del Paese. Attaccarla con toni da giustizialismo militante non solo non giova al dibattito pubblico, ma rischia di distogliere l’attenzione dalle vere priorità dell’Italia.
La sinistra sta cercando di colpire il governo accusandolo di aver ignorato la Corte dell’Aja e di aver liberato il presunto criminale Almasri. Tuttavia, un’analisi oggettiva dei fatti e del diritto dimostra che l’operato del governo è pienamente legittimo.
Innanzitutto, va ricordato che Almasri è un personaggio chiave dell’apparato libico in materia di immigrazione e che l’accordo con la Libia per trattenere i migranti non è affatto una creazione del governo Meloni. Questo schema è stato stabilito con il Memorandum d’intesa firmato nel 2017 dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, esponente del Partito Democratico.
Quel documento nacque da una necessità concreta: l’Italia, con una proiezione di 250.000 sbarchi in un anno, si trovava di fronte a una crisi ingestibile. L’accordo con la Libia prevedeva il coinvolgimento delle tribù locali e della guardia costiera di Tripoli per contenere i flussi migratori.
Da allora, il Memorandum non è mai stato messo in discussione, anzi è stato rinnovato più volte, sia nel 2020 dal governo Conte II (M5S, PD, LeU, Italia Viva), sia nel 2023 dal governo Meloni. Questo dimostra che la gestione dei rapporti con la Libia è stata condivisa da governi di diverso colore politico e non è certo un’esclusiva delle destre.
Attaccare oggi il governo per una strategia che la sinistra stessa ha introdotto e confermato negli anni non solo è ipocrita, ma dimostra la strumentalizzazione politica della vicenda. Il governo Meloni, anziché cedere a polemiche sterili, sta continuando a lavorare per garantire la sicurezza nazionale e la gestione ordinata dei flussi migratori, in linea con gli accordi internazionali già esistenti.
I fatti sono noti a tutti. Il 19 gennaio Almasri viene arrestato a Torino. Il giorno prima – dopo dodici giorni che il presunto criminale girovagava per l’Europa, prima in Inghilterra e poi in Germania – la Corte dell’Aja aveva emesso un mandato d’arresto nei confronti del libico.
Secondo le prime ricostruzioni, infatti, dopo essere stato sette giorni a Londra, il 13 gennaio si trasferisce a Bruxelles in treno, da dove prosegue per Bonn, in Germania. Quest’ultimo tratto in auto con un amico. Qui soggiorna per due giorni durante i quali avrebbe assistito a una partita di calcio. Il 16 gennaio Almasri noleggia una macchina, una Mercedes, per raggiungere con amici Monaco di Baviera, più di 12 ore di viaggio durante il quale viene fermato dalla polizia per un controllo di routine. Gli agenti lo lasciano andare.
A Monaco arriva il 18 gennaio. Ancora una volta Almasri viene sottoposto a un controllo della polizia che non riscontra irregolarità. Siamo nelle ore che seguono la decisione del Tribunale dell’Aja di emanare l’ordine di cattura. A Monaco il generale libico noleggia un’altra auto per raggiungere Torino e assistere in serata alla partita Juve-Milan. Ed ecco che qui scatta il mandato di arresto. Ma a Torino l’arresto prima eseguito non avrebbe ricevuto la convalida e quindi per il libico non restava altra soluzione che il rimpatrio in Libia. La cosa strana è che il suo arresto fosse stato chiesto dal procuratore dell’Aja a ottobre, ma solo sabato 18 la Corte Internazionale, forse dopo l’alert diramato dall’autonoleggio, ha emanato il mandato d’arresto
Solo il 20 gennaio la comunicazione della questura torinese giunge al dipartimento per gli affari di giustizia del ministero di Nordio, senza la preventiva trasmissione degli atti al ministro prevista dalla legge numero 237 del 2012 (che regola i rapporti di cooperazione tra Roma e la Cpi).L’uomo trascorre due notti nel carcere delle Vallette. Il 21 gennaio la Corte d’Appello di Roma non convalida l’arresto perché prima che fosse effettuato non era stato avvisato il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Cpi: questo il cavillo che fa la differenza. Quindi viene ricondotto in Libia a bordo di un volo speciale dei servizi segreti italiani. Il provvedimento della Corte d’appello di Roma viene notificato a Nordio solo a cose fatte, nel pomeriggio della stessa giornata.
Giorgia Meloni si presenta davanti la telecamera e sul suo profilo social su X annuncia il provvedimento nei suoi confronti e degli altri esponenti del governo Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano.
Il presidente del Consiglio spiega chi e il procuratore di Roma, Lo Voi
È lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona. Mi ha invitato l’avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato, presumo a seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi”
Meloni ne ha anche per la Corte penale internazionale:
“Curiosamente, dopo mesi di riflessione, ha emesso il mandato d’arresto quando Almasri stava per entrare sul territorio italiano dopo che aveva serenamente soggiornato per 12 giorni in altri Stati europei. La CPI non aveva trasmesso la richiesta di arresto al Ministero della Giustizia, come previsto dalla legge, e per questo la Corte di Appello di Roma non ha convalidato l’arresto. Piuttosto che lasciare libero quel soggetto, abbiamo deciso di rimpatriarlo per ragioni di sicurezza con un volo apposito. Per questa ragione la Procura di Roma ha deciso di indagarci. Ma io non ricattabile e non mi faccio intimidire. Vado avanti a testa alta e senza paura”
L’avvocato Luigi Li Gotti, citato da Meloni, ammette di avere presentato denuncia.
“Ho ipotizzato dei reati e adesso, come atto dovuto, la Procura di Roma ha iscritto nel registro la presidente del Consiglio e i ministri. Ora dovrà fare le sue valutazioni e decidere come proseguire: se individuare altri elementi oppure se inviare tutto al Tribunale dei ministri”
Ex Militante del Movimento Sociale Italiano, è stato iscritto ad An prima di andare con Di Pietro. Oggi si dice «vicino al Pd». Ma l'esposto lo ha fatto perché da cittadino «ero sdegnato per quello che è accaduto» Luigi Li Gotti è l’accusatore di Giorgia Meloni. È lui ad aver presentato l’esposto su Almasri alla procura di Roma, provocando l’iscrizione della premier nel registro delle comunicazioni di reato e l’invio da parte della procura di Roma delle carte al tribunale dei ministri.
Meloni ha riferito di essere indagata per favoreggiamento e peculato. E ha definito Luigi Li Gotti come un "ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi". La firma sul provvedimento è quella del procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi.
In sostegno di Giorgia Meloni, si registrano le dichiarazioni dei due suoi vice: Matteo Salvini e Antonio Tajani: “Vergogna, vergogna, vergogna. Lo stesso procuratore che mi accusò a Palermo ora ci riprova a Roma con il governo di centrodestra. Riforma della Giustizia, subito!”, dice il leghista.
Fonte Byoblu Nicola Porro e varie agenzie