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Hillary Clinton “Umile”?

hillary

Domenica scorsa Hillary Rodham Clinton ha annunciato ufficialmente con un video l’avvio alla campagna per ottenere la nomination democratica e, poi, per conquistare la Casa Bianca. Ho visto lo spot pubblicitario, l’apoteosi del “politicamente corretto”. Della melassa dell’ex first ladycolpisce una parola: “Umiltà”. Dopo il famoso perdono del marito “Bill” Clinton, vedendo il video vien proprio da dire: “forse il prossimo presidente americano sarà l’espressione di un nuovo cristianesimo …senza Gesù Cristo?”.

Da alcuni passi fatti come responsabile del Dipartimento di Stato di Washington in questi ultimi anni, la designazione della Clinton a candidato alla Casa bianca ci sembra una vera e propria iattura. In primo luogo per le sue ripetute dichiarazioni filo-aborto e filo-matrimonio omosessuale. Per non parlare poi della “gestione” di Hillary del decisivo tema della tutela della libertà religiosa nel mondo. A differenza del ruolo incisivo svolto, almeno pubblicamente, a livello internazionale dagli Stati Unti a guida repubblicana, infatti, “a cascata” dei vari dati sulla sua violazione emersi nei “Rapporti annuali sulla libertà religiosa” predisposti appunto dal suo Dipartimento, la Clinton non ha mostrato di far mai seguire alle parole i fatti. Anzi, le ultime edizioni di questo importante documento pubblico governativo, sono addirittura uscite con ritardi rispetto al passato che gli hanno causato non poche polemiche da parte di esperti ed operatori sensibili alla difesa della libertà religiosa.

Facciamo l’esempio delle critiche alla situazione dei diritti negati ai fedeli di varie religioni in Cina. Si tratta di vere e proprie realtà di persecuzione, costantemente contenute nei “Rapporti” degli ultimi anni, nei confronti delle quali con la Clinton al Dipartimento di Stato non sono seguite alle denunce passi conseguenti nelle relazioni diplomatiche fra gli Stati Uniti e Pechino.

Nei documenti pubblicati durante il mandato dell’ex first lady, invece, sono crescite in modo esponenziale, ad avviso di diversi osservatori internazionali, le segnalazioni sulla crescita globale dei casi d'islamofobia. L'enfasi su questo fenomeno è apparsa sproporzionata anche in relazione a recenti accuse rivolte dal Rapporto proprio all'Italia. Il nostro Paese, infatti, è stato accusato, ad esempio in quello relativo all’anno 2012, di «lasciar costruire troppe poche moschee» e, contemporaneamente, «di non lasciare indossare alle donne musulmane il burqa». Si tratta evidentemente di imputazioni che mancano di valutare adeguatamente non solo il quadro giuridico nazionale, ma anche la legittima specificità italiana dal punto di vista geo-politico e sociale.

Del tuto carente, poi, appare nei “Rapporti” firmati dalla Clinton, l'analisi delle discriminazioni che i cristiani patiscono in Occidente ad opera della “dittatura del relativismo” e di quel laicismo aggressivo dal quale l’ex first lady rifugge nella “forma” ma, spesso, accede nella sostanza.

Del resto non poteva essere altrimenti se, la stessa amministrazione Obama, è da anni pesantemente criticata dai vescovi cattolici e non solo per le violazioni della libertà religiosa ai danni dei cristiani e sul diritto delle Chiese e comunità religiose a gestire le proprie istituzioni in base ai propri principi ispiratori.

Mentre «La politica cinese del figlio unico provoca più violenza contro le donne e le bambine di ogni altra politica sulla terra, di ogni politica ufficiale nella storia mondiale», come non manca di ripetere, fra gli altri, ReggieLittlejohn, l’avvocato statunitense che ha fondato la “Women'sRightsWithoutFrontiers”, un’associazione internazionale che lotta contro l’aborto forzato e la schiavitù sessuale in Cina, non pare che l’enfasi femminista della Clinton si sia concretizzata in una più generosa politica di accoglienza dei rifugiati cinesi che hanno chiesto asilo politico negli Stati Uniti.

Eppure molti cristiani in Cina «Sono stati prima perseguitati per essere cristiani e poi forzatamente sterilizzati», ha più volte denunciato la Littlejohn, definendo la politica del figlio unico letteralmente una «guerra cinese contro le donne e le bambine».

Ma la brutalità dell’aborto forzato non è l’unica violazione dei diritti umani conseguente alla brutale «politica di pianificazione familiare» del governo di Pechino. Essa porta anche al cosiddetto “genericidio”, per la tradizionale preferenza cinese per i maschi, che lascia le femmine soggette all’aborto, all’abbandono e all’infanticidio. Esso porta anche alla schiavitù sessuale poiché l’eliminazione delle femmine ha indotto un maggior traffico di donne provenienti dai Paesi vicini alla Cina, attirate da un eccesso di circa 40 milioni di maschi cinesi rispetto alle femmine (l’Organizzazione mondiale della sanità ha documentato che il Paese ha il più alto tasso di suicidio femminile al mondo, con circa 500 donne cinesi che ogni giorno mettono fine alla propria vita).

Nonostante le diffuse, Washington ha fatto ben poco per ottenere un cambiamento da parte della Cina. Secondo la Littlejohn, se pure la Clinton si è più volte espressa «con forza» contro l’aborto forzato in Cina, questa sua linea non si è mai «tradotta in un’azione concreta». E questo perché, sostiene l’avvocato statunitense, il governo americano non vuole battere questo punto perché Pechino vanta grandi crediti finanziari verso gli USA ed i suoi principali alleati.

Inoltre, sia gli Stati Uniti che le Nazioni Unite contribuiscono a finanziare questa infame politica attraverso l’UNFPA, l’United Nations Family Planning Fund e l’IPPF, l’International PlannedParenthoodFederation. Sebbene nel 2001 gli Stati Uniti abbiano ridotto i finanziamenti all’UNFPA, perché era stata scoperta la sua complicità con la politica del figlio unico, il Dipartimento di Stato li ha ristabiliti nel 2009.

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